La rilettura del Presbyterorum Ordinis
Questo articolo è stato già letto1588 volte!
LO STUDIO U.A.C.
COME UAC RILEGGIAMO
PRESBYTERORUM ORDINIS
A 50 ANNI DALLA SUA
PROMULGAZIONE
Introduzione
Nel contributo precedente, quello introduttivo, l’invito pressante è stato quello di prendere materialmente in mano il testo di PO. Auspicando che lo si sia fatto, ora procediamo con una rilettura (che, non a caso, alla lettera significa “seconda lettura”!), scorrendo insieme innanzitutto la struttura del documento, che – come ormai sappiamo – è frutto di una redazione che ha accompagnato tutta la stagione conciliare.
Averne anche solo semplicemente presenti i titoli, ci aiuta già a intuirne lo svolgimento tematico. Così, dopo il proemio, troviamo un primo capitolo: II presbiterato nella missione della Chiesa. Un secondo capitolo si intitola: II ministero dei presbiteri e tratta in successione: a. le funzioni dei presbiteri; b. i rapporti dei presbiteri con gli altri; e. la distribuzione dei presbiteri e le vocazioni sacerdotali. Quindi un terzo capitolo: Vita dei presbiteri, con i seguenti passaggi: a. la chiamata dei presbiteri alla perfezione; b. le peculiari esigenze spirituali nella vita dei presbiteri; e. i sussidi per la vita dei presbiteri. Infine una esortazione a mo’ diconclusione. In estrema sintesi: la teologia, il ministero e la spiritualità dei presbiteri, la cui trattazione completa e approfondita è parsa di somma utilità, “poiché questo ordine ha un compito estremamente importante e sempre più arduo da svolgere nell’ambito del rinnovamento della Chiesa di Cristo” (Proemio, 1).
Ora, di seguito, dai primi due capitoli, cogliamo le due acquisizioni di fondo del decreto, che possono fungerne da fondamentali“chiavi di lettura”.
La prima è la natura missionaria (e non prevalentemente sacrale) del presbiterato. Espressione sintetica di questa impostazione è l’affermazione dei redattori del testo finale di PO: “Il presbiterato è ordinato al ministero”.1 Di primo acchito si può dire che “arriva in concilio il sacerdozio che, avendo come esemplare il presbiterato, si presenta finalizzato essenzialmente all’eucaristia, ed esce dal concilio il ministero ordinato che, avendo come esemplare l’episcopato, si presenta distinto in tre gradi e finalizzato all’annuncio, alla celebrazione ed alla guida pastorale”.2 In altre parole: “alla porta del Vaticano II bussa un sacerdozio cultuale e sacrale e dalla stessa porta, tre anni dopo, esce un ministero ordinato missionario ed ecclesiale”.3
Seconda acquisizione è quella relativa alla natura comunitaria (e non individualistica) del presbiterato. “Prove” evidenti, anche a livello di vocabolario, ne sono innanzitutto il rilievo statistico del termine plurale “presbiteri”, che in PO compare ben 111 volte, rispetto al singolare (solo 7). E poi il recupero in senso ignaziano della valenza teologica e pratica del “presbiterio”, che dai primi secoli fino a cinquanta anni fa era completamente scomparso come realtà teologica per ridursi alla sola dimensione architettonica del “recinto” attorno all’altare.
A rendere possibili (ed avvincenti) queste due acquisizioni, la riscoperta delle “radici” sacramentali” (fino ad allora appena intuite e generalmente sottaciute) della comunionalità e spiritualità presbiterali cambia il quadro di riferimento: da socio-psicologico e giuridico-asce-tico diventava anch’esso innanzitutto teologico. Con altre conseguenze. A cui anche l’UAC ed i due suoi periti conciliari, il presidenti nazionale L. Piovesana e internazionale S. Delacroix – come vedremo – daranno il loro contributo.
Don Stefano Rosati- Presidente Naz. U.A.C.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.