La Passione di Gesù
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- Era già quasi l’ora di nona e le tenebre erano per tutta la terra. Il sole riconobbe il suo Fattore e si rifiutò d’illuminare più oltre questo mondo e di fecondarlo. Si eclissò contro tutte le leggi della natura. In mezzo alle armonie sublimi dell’amore di Gesù per il Padre, il sole, direi quasi, si vergognò che gli uomini sulla terra lo avessero adorato e lo adorassero. Sembrava che tutto si volesse sconvolgere per dare a Dio l’omaggio di una sincera adorazione e per rimproverare agli uomini la loro insensibilità spaventosa! Quale terrore essere avvolti in quelle tenebre così fitte e sentire nell’atmosfera stessa qualche cosa di sinistro e di opprimente!
Eppure questa oscurità, questo terrore non avevano ancora spezzato l’ira feroce degli scribi e dei farisei! Essi si facevano più vicino alla croce, per distinguere il morente che spiccava in quelle oscurità e per insultarlo di nuovo. I loro insulti però, diretti contro di Lui, sembrava quasi che lo avessero lasciato insensibile: si sarebbe detto che Gesù godeva di vedere in Lui vilipesa la miseria umana, della quale si era caricato, e l’orgoglio spaventoso dell‘uomo che crede di essere sapiente e potente, senza curarsi di Dio!
Questa calma divina di Gesù fra tanti improperi finì d’irritare maggiormente i suoi nemici, i quali, per avere il barbaro piacere di scuoterlo e di vederlo soffrire, gli toccarono il Cuore nella sua corda più delicata e sensibile, nell’amore che portava al Padre. Essi perciò con infernale malizia esclamarono: «Ha confidato in Dio, lo liberi adesso, se gli vuole bene; poiché Lui ha detto: lo sono Figlio di Dio».
L’insulto non poteva essere più atroce e più doloroso per Gesù; Egli che aveva immolato sé stesso per la glorificazione del Padre suo, Egli che aveva raccolto per questo su di sé tutte le miserie umane, sente da quei perfidi insultare persino il Padre suo, e vede che Egli stesso col suo sacrificio dolorosissimo ne dà quasi il pretesto: «Ha confidato in Dio, lo liberi adesso, se gli vuole bene!». Egli era stato veramente amato dal Padre e la voce divina si era fatta solennemente sentire da tutto il popolo sulle rive del Giordano: «Ecco il mio Figlio diletto, nel quale ho posto tutte le mie compiacenze». Le parole degli Ebrei suonavano dunque o una smentita a questa testimonianza, ovvero per il popolo uno scandalo, che lo allontanava dalla fiducia che doveva avere in Dio.
Certamente Gesù era stato ridotto in uno stato veramente compassionevole; non gli si poteva fare maggior male di quello che gli era stato fatto, e se aveva confidato in Dio e Dio stesso aveva detto di amarlo, il non scendere allora dalla croce, umanamente parlando, equivaleva alla conferma che la confidenza in Dio gli era stata inutile, e l’amore che Dio gli aveva portato era stato impotente contro la perfidia dei suoi nemici!
Queste parole, piene di bestemmia, erano una provocazione fatta a Dio stesso, erano un volerlo screditare innanzi al popolo, per affermare sempre di più quella loro potenza e quel prestigio del quale erano tanto gelosi. Costoro volevano dire nella loro malizia: «Guardate che non è vero che Dio lo ha amato e che era Figlio di Dio, dal momento che Dio non lo difende». E siccome Gesù aveva dato prove luminosissime della sua Santità, e non poteva supporsi che la sua confidenza in Dio fosse stata falsa, essi venivano a dire indirettamente: Ecco la confidenza che ha avuto in Dio; non gli è giovata a nulla, e quantunque lo abbia amato, non ha potuto liberarsi dalle nostre mani!
- Il popolo, che era là raccolto, fece eco a questa empietà: non poteva negare che Gesù era un giusto; lo svolgimento medesimo del mostruoso processo della Passione ne era testimonianza, ed allora, per quel senso occulto di ribrezzo che si prova nel veder soffrire un giusto, ancorché odiato, esso sentì come un movimento di avversione a Dio stesso.
Anche oggi, quando si vede un giusto perseguitato e si vede che tutte le sue preghiere e tutta la fiducia che ebbe in Dio, esternamente non gli hanno giovato a nulla, gli stolti inveiscono contro la Provvidenza, e nel loro cuore viene meno il rispetto e l’amore dovuto a Dio, viene meno la fede nel suo aiuto. Lo sentiamo ripetere noi tante volte: Vedete, quell’anima segue la religione e la pietà ed è piena di tribolazioni; non sarebbe meglio che lasciasse tutto? Così disse pure la stolta moglie di Giobbe, quando lo vide ridotto tutto una piaga: Perché tu confidi ancora in Dio? Maledici tutto e muori nel tuo amaro dolore!
Gesù non può discendere dalla croce, perché vuole compiere la grande opera che in tutti i secoli darà al Padre suo la gloria e l’onore dovutogli: gloria ed onore che sono la vita stessa dell’umanità. Non può, per conseguenza, smentire di fatto l’empia parola degli Ebrei, perché non può rinunziare al suo sacrificio. Egli sente che il Padre suo lo ama, sente che la sua fiducia non è stata vana, perché la croce è proprio il mezzo che lo glorificherà anche come uomo, nell’universo ed allora, non reggendo al dolore di vedere offeso il suo divin Padre, desidera apparire come abbandonato e come maledetto innanzi al popolo, rinunzia all’ultimo suo conforto interno per dire indirettamente: Non mormorate della provvidenza di Dio e del suo amore. Chi è amato da Lui e chi lo ama, non può diventare ludibrio degli uomini… se mi vedete così, lo sono stato abbandonato da Lui; ecco perché rimango nella mia desolazione! Sono stato abbandonato non per i miei peccati, ma per questa stessa bestemmia che voi pronunziate; però se non mi vedete discendere dalla croce, attribuitelo a questo abbandono, non all’impotenza della fiducia che si ha in Dio!…
O Gesù, quale fiamma di amore ti brucia mai nel petto? Non basta dunque il grande sacrificio che hai compiuto? Tu vuoi apparire ancora come un peccatore degno dell’abbandono di Dio e, per difendere il suo onore, vuoi privarti della dolce consolazione della sua compagnia? Questa è la più completa immolazione di tutto il tuo essere, è la riparazione più bella che Tu fai alla freddezza o all’indifferenza che le creature hanno avuto ed avranno per Dio!
III. Il Padre accetta questo sacrificio sublime ed in se stesso superiore a tutte le precedenti immolazioni; lo accetta e subito Gesù rimane solo con i suoi dolori e non vede in sé stesso altro che i peccati e le miserie degli uomini… Il suo Cuore divino diventa un ammasso di tenebre fitte e di spasimo infinito!
In questo momento la sua attenzione è tutta concentrata nei suoi acerbi dolori, e questi gli si rinnovano amaramente per logica conseguenza: oscuratosi il suo Cuore, svanita d’un tratto, dirò così, la sua intima vita con Dio e la sua altissima contemplazione, il Corpo ritorna quasi in se stesso, i sensi aumentano la loro sensibilità ed il loro potere percettivo… Egli sente uno spasimo infinito e la morte comincia a prendere più velocemente dominio di Lui! Non vi è più luce nel suo spirito, poiché l’abbandono di Dio lo ha inaridito; non vi è più amore sensibile nel suo Cuore, poiché l’abbandono di Dio lo ha come esaurito, sottraendo gli l’oggetto diretto di quell’amore. Non vi è più pace nella sua anima… l’abbandono di Dio l‘ha resa irrequieta perché, essendo anima così santa e così giusta, non poteva riposare se non in Dio, e non poteva in nessun modo acquietarsi, vedendosene priva! Quale amarezza, o Gesù, nel tuo Cuore! lo scorgo appena da lontano e mi sento rabbrividire e non so dirti neppure una parola di compatimento! Tacete, o venti della terra… acquietati, o fragore del mare… ascolta tu, impietrita ed immobile nel dolore, o umanità, la parola di amaro lamento che Gesù pronunzia!…
Egli grida con grande voce, come ci fa notare il Vangelo; grida in modo da essere ascoltato da tutti, perché questa parola è una sublime riparazione all’onore di Dio. Grida per un amore di assoluto apprezzamento per Dio, grida per immenso e sconfinato dolore: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». L’evangelista ha voluto conservarci nella lingua originale queste grandi parole, per tramandarci, così qual era stata pronunziata, questa sublime espressione di amore e di immolazione: «Eli, Eli, lamma sabacthani».
L’impressione che produsse in chi le ascoltò, dovette essere enorme e l’espressione con la quale furono dette dovette essere incancellabile, dato che san Matteo e san Marco ci tengono a conservarci il testo originale. Queste parole erano, infatti, dialettali e Gesù esprimeva anche così il suo dolore profondo, esprimendosi in dialetto Galileo. Forse volle farsi intendere meglio da tutti.
Gesù non può dichiararsi semplicemente abbandonato da Dio, perché verrebbe a confessarsi colpevole: verrebbe ad offuscare quella santità e quell’innocenza che neppure i suoi nemici avevano potuto negare. Non vuole manifestare il mistero di questo abbandono, perché verrebbe a diminuire l’efficacia della riparazione che vuol fare alle empie parole dei Giudei; per questo ricopre di un velo il mistero del suo amore e si esprime sotto forma interrogativa, per attrarre nella indagine e nella riflessione la mente di quei perfidi bestemmiatori: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Con questa espressione viene a dimostrare di nuovo l’innocenza, della quale gli era testimone la sua coscienza; viene a dimostrare che di fatto Egli è abbandonato da Dio, e per questo soffre senza scampo e senz’aiuto, per questo rimane sulla croce!
Alle parole degli empi Giudei, alla loro provocazione, Dio avrebbe risposto con un miracolo di potenza, perché non si può impunemente provocarlo; Gesù ha preferito essere abbandonato per consumare fino all’ultimo il suo grande sublime sacrificio: ha preferito essere abbandonato, perché la manifestazione della potenza di Dio, in quel momento, sarebbe stata la distruzione e la rovina di quei perfidi e di tutto il popolo.
- Come si manifesta poi tutto il dolore di Gesù in questa interrogazione, e come appare tutto lo spasimo del suo Cuore divino! Egli giace ora nelle tenebre e nei dolori e la sua anima non vede più nulla… Nell’amara agonia dalla quale è oppresso, Egli ne domanda la spiegazione, Egli invoca la luce nella sua stessa umanità, che per la sua amarezza è quasi ottenebrata riguardo al medesimo disegno di questo amore unico e sconfinato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Egli ha voluto questo dolore, ma ora che si sente in tenebre tanto profonde di spirito, il suo lamento è spontaneo, è naturale ed esprime la natura dell’amarezza stessa che prova.
Quale momento doloroso per Gesù! Egli non chiama più Dio col nome di Padre, perché non ne sente più l’intima familiarità, perché soffre non come Figlio eterno di Dio ma soffre come uomo: «Dio mio, Dio mio!». Egli non trova aiuto e conforto in nessuno e ripete due volte, con espressione di amore intenso, Dio mio, Dio mio, per mostrare che anche in Lui ripone ogni suo amore ed ogni sua speranza! È abbandonato, ma si sente ancora tutto di Dio: Dio mio, e questo stesso accresce il suo dolore ed il suo spasimo! Egli lo ama e desidera di nuovo la sua familiarità, ma siccome si è sottoposto volontariamente a questa amarissima pena, non osa domandarla ed il suo desiderio lo nasconde in quella forma interrogativa piena di affetto: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Abbandonato nel momento nel quale aveva più bisogno di aiuto e di conforto; abbandonato quanto la perfidia umana infierisce contro di Lui senza limiti e senza ritegno… abbandonato!…
Gesù, dolce Gesù… hai ben ragione di lamentarti, ma il tuo lamento non è che amore!… Tu non puoi più dire in questo momento che col Padre formi una cosa sola; Tu non puoi pronunziare più quelle tue preghiere che erano la tua dolce conversazione nei Cieli!… Tu senti il peso enorme della perdita che fece l’uomo quando pretese di rendersi simile a Dio, e si trovò disgraziatamente caduto nella più squallida miseria, lontano da Dio, abbandonato da Lui!… Oh come mi appare più bello questo tuo Cuore, o Gesù, in questo momento di angoscia! Questa tua parola mi scopre uno dei segreti più belli del tuo amore, e rimango annientato pensando alla mia miseria, alla nullità del mio amore per Dio!
- All’amaro lamento di Gesù che cosa risponde quella turba efferata? Essa non comprende la profondità di quelle parole… si dimentica d’insultare Dio ed infierisce di nuovo contro di Lui, schernendo questo suo medesimo dolore! Gesù aveva parlato in dialetto ed essi per questo danno alle sue parole un doppio senso e ridono persino dell’espressione più forte del suo dolore, schernendolo amaramente. «Egli chiama Elia – gridano quei perversi – lo chiama ad alta voce perché spera di esser liberato da lui; aspettate un po’ e vedete se viene». Elia era considerato dal popolo come il protettore dei casi disperati. Nell’insulto, quindi, dei perfidi Giudei vi era anche questa ironia crudele; essi dicevano: Il tuo caso è disperato, ormai ci vorrebbe Elia per liberarti e Tu lo chiami!
La parola del dolore acerbo di Gesù aveva fatto una grande impressione, per l’ardore con il quale era stata pronunziata, e subito i suoi nemici la volgono in ridicolo e dicono: «Ecco, è ridotto alla disperazione, chiama Elia, ma neppure Elia lo può liberare dalle nostre mani, con tutto che è protettore dei casi disperati».
Gesù dunque, non era stato compreso neppure nel suo incommensurabile e grande amore! I primi tre evangelisti dicono che Egli senz’altro morì e non parlano delle altre parole che pronunziò; la reticenza è di un’espressività singolare, perché in realtà Gesù diede permesso alla morte di avanzare fino a Lui e di consumarne la vita, quando vide che la voce del suo amore diventava inutile per quegli scellerati! Il suo amore quindi non trovò altro sfogo che nell‘ultima e suprema immolazione! Oh quanti sublimi segreti nell’amore di Gesù, segreti dei quali noi appena appena arriviamo a scorgerne un pallido barlume!
Ah Gesù mio, io mi prostro innanzi alla tua croce e piango amaramente! Se avessi amato Dio come Egli merita di essere amato, non avrei concorso al tuo grande dolore! Ecco come ti ho ridotto con le mie iniquità e con i miei peccati! L’amore ti ha ridotto a questo stato, o Gesù buono, ed io con i miei peccati ti potrò mai abbandonare per una miserabile soddisfazione umana? Piuttosto morire, o mio Dio, piuttosto morire: io te lo prometto sinceramente, non voglio offenderti mai più! Ah mio Salvatore, noi meriteremmo di essere abbandonati da te, noi che ti abbiamo tante volte disgustato! Non ci abbandonare, o Gesù, e per i meriti di questo tuo dolore amarissimo, donaci la grazia di saper apprezzare Dio sopra tutte le cose, di saper desiderare soltanto la sua gloria in tutte le cose!…
don Dolindo Ruotolo
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