La malattia mi ha donato la fede – II parte
Questo articolo è stato già letto1058 volte!
La risposta a quella mia preghiera non si fece attendere. “Quello stesso anno conobbi Rossana. Lei mi fece incontrare l’amore vero, puro, totale. Capii cos’era il battito del cuore, le emozioni, la carezza, il bacio. Cose che diamo per scontato ma che scontate non sono. Rossana era uno tsunami di emozioni. E adesso penso che sia stata anche una sorgente di forza e di amore che doveva prepararmi per quello che sarebbe accaduto. Infatti, pochi mesi dopo avere incontrato l’amore, scoprii anche di avere un cancro alla tiroide. Avevo solo 22 anni. Era il settembre del 1998.
“La mia prima reazione fu di negare l’evidenza. No, non era possibile che fossi malato, mi dicevo. Io recitavo in teatro, ero seguito da pubblico e critici. La malattia non era nei miei piani. Facevo finta che il cancro non ci fosse. Ma peggioravo, ero afono, perdevo peso. In quel periodo, feci un viaggio in Marocco. Entrai in contatto con una grande povertà, vidi tanta gente sofferente chiedere l’elemosina per poter mangiare.
Allora accadde qualcosa dentro di me, qualcosa che mi cambiò. Avvertivo tutta quella sofferenza, sofferenza dell’anima, e la mettevo a confronto con la mia situazione. Anche io provavo dolore, nel mio intimo e nel corpo perché ero malato. Ero dunque come quella gente, ero simile a loro. Ero vero, non facevo più parte di un mondo rarefatto, di apparenza.
Venni travolto dalle domande. Mi chiedevo il perché della sofferenza, della solitudine. Non mi ero mai chiesto questo tipo di cose prima di allora. Ed erano domande che stavano iniziando a trasformarmi. Così, calai la maschera e ammisi a me stesso e alla mia famiglia, la mia condizione. Nel giro di poche settimane mi ritrovai in ospedale, sottoposto ad un intervento di cinque ore che fermò, sia pure parzialmente, la malattia.
Io e Rossana decidemmo allora di partire per il Portogallo alla ricerca dei luoghi di Pessoa, autore che amavo e di cui avevo portato in scena alcune opere. Rossana mi chiese: “Perché non andiamo anche a Fatima?”. Le risposi che non avevo alcuna voglia di perdere tempo in un santuario.
A Lisbona però cominciai a stare molto male, anche perché il nostro bagaglio era andato perduto e dentro c’erano tutte le mie medicine. Una notte, febbricitante, tremante di freddo, vidi, nel dormiveglia, una grande luce. Sentii molto caldo e mi apparve un amico carissimo che avevo perduto a 17 anni per un incidente stradale. Mi svegliai di soprassalto e, guardando sul comodino, vedi la medaglietta della Madonna. “Strano”, dissi a me stesso “ero sicuro di averla lasciata nella tasca dei pantaloni”.
Scesi nel bar dell’albergo per bere una camomilla e lì trovai un gruppo di spagnoli. Stavano cantando, erano allegri, pieni di vita. Chiesi al barista che cosa stessero facendo. “Pregano cantando, la Madonna di Fatima”, mi rispose. Fu come se avessi ricevuto un pugno in pieno petto. Corsi in camera e svegliai Rossana. “Dobbiamo andare a Fatima!” le dissi.
Partimmo immediatamente. Per tutto il viaggio rimasi in silenzio. Ma nel momento in cui misi piede a Fatima, mi sentii trasformato. C’era tutta quella gente che, in ginocchio, si muoveva verso il santuario. Persone ferite, malate, mamme coi bambini in braccio, anziani smarriti, paralitici in carrozzella. Uomini e donne che piangevano, che pregavano. Percepii una immensa sofferenza, ovunque. Ma anche una grande fede, potente, reale.
Mi sentivo uguale e partecipe a quella moltitudine perché anch’io avevo sperimentato il dolore fisico ma soprattutto avevo sperimentato quello dell’anima. Rimasi due ore immobile davanti alla statua della Madonna, in contemplazione. All’improvviso sentii dentro di me una voce che mi diceva: “Sono qui. Sono qui per accoglierti, figlio mio!” Scoppiai in lacrime e piansi a lungo come non mi era mai capitato. Tornati in albergo: ad attenderci c’erano i bagagli con le medicine.
Da quel momento, ho abbracciato la fede con il desiderio di viverla in pieno. Avevo capito che Gesù era sì una presenza celeste ma anche terrena e lo si poteva incontrare per la strada, tra la gente che sta male. In mezzo alle persone che hanno bisogno come io avevo bisogno di loro perché ogni volta che aiuti qualcuno, aiuti te stesso. Avevo capito che la fede era anche un deserto di lacrime e sudore e in quel deserto avevo cominciato a camminare e camminare. Insomma, ero una persona diversa ma le prove per me non erano finite.
Nel 2007, finì la mia storia d’amore con Rossana. Eravamo cresciuti, io ero molto cambiato. Nello stesso periodo, il cancro si ripresentò agguerrito più di prima. E mio padre morì in un incidente stradale, ucciso da un giovane che guidava ubriaco. Mi sentii distrutto. La disperazione più totale stava per travolgermi, ma reagii ricorrendo alla fede che ormai era parte della mia vita.
Presi in mano il rosario e, guardandomi allo specchio, dissi: “Sia fatta la tua volontà, Signore. Mi affido totalmente a te e a tua Madre”. In quel preciso momento il mio essere fu colmato da una sensazione di profondo benessere e capii che era l’amore di Gesù. Una presenza forte, viva, reale. Ed iniziò la mia nuova vita.
La malattia non mi ha più abbandonato. C’è ancora. Mi accompagna ogni giorno e io la tengo sotto controllo con i farmaci. Il simbolo della croce è diventato il simbolo della mia vita perché ci sono giorni in cui mi sento davvero come un uomo crocefisso. Però è una croce che porto con amore e dignità perché ho capito che il cancro è stato l’occasione per cambiare, per incontrare Gesù. Cristo mi ha fatto capire che la sofferenza va offerta. E così ho fatto. Allora la redenzione e il perdono sono entrati nella mia esistenza. Ho perdonato il cancro. Anzi, ho finito con il ringraziare la malattia in quanto mi ha donato una nuova vita.
Un giorno, mentre ero in ospedale per una terapia, ho conosciuto Emanuele, un ragazzo anche lui malato. Mi ha detto di essere un tossico dipendente e che voleva cambiare la sua vita. Siamo diventati amici e usciti dall’ospedale mi ha chiesto di accompagnarlo in una comunità di recupero. La comunità era “Nuovi Orizzonti”, quella fondata da Chiara Amirante.
Ho accompagnato il mio amico, ma da quel posto non me ne sono più andato. A “Nuovi Orizzonti” ho trovato le risposte a tutte le mie domande. Ho abbracciato gli ideali di quella Comunità. Mi sono messo al servizio degli altri, ho iniziato a diffondere il Vangelo per la strada. Ho lasciato il teatro, ho abbandonato tutto il mondo apparentemente dorato che prima mi affascinava, per seguire gli ideali di “Nuovi Orizzonti”. E il prossimo maggio, nel giorno di Pentecoste, farò solenne promessa di povertà, castità, obbedienza e gioia, diventando un membro effettivo di quella Associazione.
Roberto Allegri
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.