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LA GIOIA DELL’AMORE. Che tempo fa nelle Diocesi?

19 Giugno 2016 | Filed under: Chiesa
     

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Mons. Davide Pelucchi

La gioia dell’amore che vive nelle famiglie

Nella Chiesa si è sempre avuto cura, anche se con modalità diverse, della famiglia e, in questa fase successiva alla firma e pubblicazione  dell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia, non sarebbe potuto accadere diversamente.

Momenti di studio, riflessione e preghiera si moltiplicano in ogni diocesi per sempre meglio, non solo accostare i temi della famiglia, ma per aiutare le famiglie nel processo  di conoscenza di sé, della propria vocazione alla Santità del Vangelo e progresso nella comunione.

Mons. Davide Pelucchi, Vicario Generale della Diocesi di Bergamo

Nella Diocesi di Bergamo, ove la pastorale familiare è ben attiva, come, da molti anni, l’attenzione, con cammini di accompagnamento, alle situazioni di crisi della famiglia in rapporto alla fede e alla risposta morale del credente, sabato 11 c.m. il Vicario Generale della Diocesi, Mons. Davide Pelucchi, ha introdotto il convegno La gioia dell’amore che vive nelle famiglie. Ha presentato l’esortazione Amoris Laetitia Mons. Maurizio Gronchi, docente ordinario di cristologia alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e consulente al Sinodo sulla famiglia. Di lui sono ben noti significativi studi di cristologia.

Egli ha articolato la relazione individuando cinque chiavi di lettura:

1 – Le caratteristiche uniche di questo documento nel panorama del Magistero

2 – Unità dottrinale e pluralità pastorale

3 – La teologia guida del documento: Alleanza tra Cristo e l’umanità e non tra Cristo e la Chiesa

4 – Primato della grazia sulla volontà

5 – Discernimento

La prima Chiave: Le caratteristiche uniche di questo documento nel panorama del Magistero.

Mons. Maurizio Gronchi, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede 

Questo Documento è unico per la sua alta densità magisteriale, congiungendo tre elementi che compaiono pienamente nella stesura finale: Sinodalità quale ascolto del Popolo di Dio. L’ascolto viene recepito attraverso i lunghi lavori di preparazione ai due Sinodi e conservato, nello stesso testo, nei suoi risultati. Ampia collegialità, con la presenza di duecento Vescovi al Sinodo Straordinario e trecento al Sinodo Ordinario. Primato Petrino: il Papa dà il Suo insegnamento.

Nessun altro documento precedente poneva in evidenza tutti e tre gli aspetti congiuntamente. Si era abituati a documenti ove la Chiesa insegnava nella persona del Papa. Chi vuole ridurre il documento ad una serie di insegnamenti personali del Papa, tralascia le altre due componenti e sbaglia. È il Popolo di Dio con il Papa che parlano a tutta la Chiesa. Ora inizia la fase di ricezione del documento da parte di tutta la Chiesa.

La seconda Chiave: Unità dottrinale e pluralità pastorale.

Il n. 3 dell’Esortazione insegna che «Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano». Dottrina e pastorale non sono in concorrenza, ma la pastorale deve individuare modalità adeguate di applicazione della dottrina nella diversità delle situazioni culturali, esistenziali … . Per questo, n. 300, non ci si può aspettare una nuova normativa canonica per tutti i casi. Alle parole del relatore, per chiarezza, aggiungerei che una normativa esiste e resta pienamente in essere.

Mons. Gronchi si chiede, ben consapevole di una eccessiva pluralità, già esistente nella Chiesa, come evitare la confusione. Se i criteri sono cercati nel testo, afferma, non si ha confusione, ma pluralità. Se si cercano criteri esterni, allora si genera contraddizione con il testo.

Chiedo allora al relatore: gli altri documenti del Magistero sono testi da considerarsi esterni? Testi che potrebbero generare confusione? Penso che no, visto che sono ampiamente citati benché, a volte, tralasciandone alcune parti importanti, rintracciabili, però, attraverso le note –vedremo poi la questione delle note come è affrontata dal Monsignore.

La terza Chiave:  La teologia guida del documento: Alleanza tra Cristo e l’umanità e non tra Cristo e la Chiesa.

Qual è la teologia guida?, si chiede il relatore. L’amore della famiglia è l’occasione specifica. L’amore qui avrebbe l’orizzonte della creazione-redenzione-escatologia e non la relazione Cristo-Chiesa, -come in Ef. 5 e in Familiaris Consortio e Magistero precedente, che cita Ef 5. Il centro sarebbe l’alleanza tra Cristo e l’umanità, in quanto l’uomo, ogni uomo, cristiano o musulmano, è a immagine di Dio. Dalla Creazione, ad Adamo ed Eva fino a Gesù e la Chiesa, emerge un progetto di pedagogia divina.

Noto che nella relazione non viene posta in evidenza la specificità della rivelazione di Cristo, bensì l’universalità della relazione Cristo e immagine di Cristo, che è l’uomo, forse riecheggiando anche quel noto cristianesimo anonimo. L’intento è, dice il relatore, valorizzare i semina verbi (cf Esortazione n. 77). Ma proprio nel n. 77, nelle parole del Santo Padre, il senso, della su accennata linea teologica, risulta assai più chiaro e indicativo, con tutto il significato che la parola indicativo conserva anche oggi:

Assumendo l’insegnamento biblico secondo il quale tutto è stato creato da Cristo e in vista di Cristo (cfr Col 1,16), i Padri sinodali hanno ricordato che «l’ordine della redenzione illumina e compie quello della creazione. Il matrimonio naturale, pertanto, si comprende pienamente alla luce del suo compimento sacramentale: solo fissando lo sguardo su Cristo si conosce fino in fondo la verità sui rapporti umani. “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. […] Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione” (Gaudium et spes, 22). Risulta particolarmente opportuno comprendere in chiave cristocentrica le proprietà naturali del matrimonio, che costituiscono il bene dei coniugi (bonum coniugum)»,[75]che comprende l’unità, l’apertura alla vita, la fedeltà e l’indissolubilità, e all’interno del matrimonio cristiano anche l’aiuto reciproco nel cammino verso una più piena amicizia con il Signore. «Il discernimento della presenza dei semina Verbi nelle altre culture (cfr Ad gentes, 11) può essere applicato anche alla realtà matrimoniale e familiare. Oltre al vero matrimonio naturale ci sono elementi positivi presenti nelle forme matrimoniali di altre tradizioni religiose»,[76] benché non manchino neppure le ombre. Possiamo affermare che «ogni persona che desideri formare in questo mondo una famiglia che insegni ai figli a gioire per ogni azione che si proponga di vincere il male – una famiglia che mostri che lo Spirito è vivo e operante –, troverà la gratitudine e la stima, a qualunque popolo, religione o regione appartenga».[77] [Ecco le note: 75 Relatio finalis 2015, 47. 76 Ibid. 77Omelia nella Santa Messa di chiusura dell’VIII Incontro Mondiale delle famiglie, Filadelfia (27 settembre 2015): L´Osservatore Romano, 28-29 settembre 2015, p. 7].

Sembra che Mons. Gronchi operi un’interpretazione inversa del testo del Santo Padre, poiché pone a modello l’ordine della creazione, mentre il Papa, citando Gaudium et Spes e la Relatio Finalis, dice chiaramente, proprio in apertura del paragrafo: l’ordine della redenzione illumina e compie quello della creazione.

Paolo VI, Giovanni Battista Montini, Anni di pontificato 1963-1978

Perché questa inversione da parte del relatore? L’ordine della redenzione è anche l’ordine della rivelazione, che essa annuncia, e della Chiesa, che lo annuncia.

Proprio questa inversione di senso teologico, più chiaramente, capovolgimento, mi fa capire perché il relatore non abbia detto nulla su perché e come il Santo Padre citi Ef 5 proprio in Amoris Laetitia al n. 11:

La coppia che ama e genera la vita è la vera “scultura” vivente (non quella di pietra o d’oro che il Decalogo proibisce), capace di manifestare il Dio creatore e salvatore. Perciò l’amore fecondo viene ad essere il simbolo delle realtà intime di Dio (cfr Gen 1,28; 9,7; 17,2-5.16; 28,3; 35,11; 48,3-4). A questo si deve che la narrazione del Libro della Genesi, seguendo la cosiddetta “tradizione sacerdotale”, sia attraversata da varie sequenze genealogiche (cfr 4,17-22.25-26; 5; 10; 11,10-32; 25,1-4.12-17.19-26; 36): infatti la capacità di generare della coppia umana è la via attraverso la quale si sviluppa la storia della salvezza. In questa luce, la relazione feconda della coppia diventa un’immagine per scoprire e descrivere il mistero di Dio, fondamentale nella visione cristiana della Trinità che contempla in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito d’amore. Il Dio Trinità è comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente. Ci illuminano le parole di san Giovanni Paolo II: «Il nostro Dio, nel suo mistero più intimo, non è solitudine, bensì una famiglia, dato che ha in sé paternità, filiazione e l’essenza della famiglia che è l’amore. Questo amore, nella famiglia divina, è lo Spirito Santo».[6] La famiglia non è dunque qualcosa di estraneo alla stessa essenza divina.[7] Questo aspetto trinitario della coppia ha una nuova rappresentazione nella teologia paolina quando l’Apostolo la mette in relazione con il “mistero” dell’unione tra Cristo e la Chiesa (cfr Ef 5,21-33). [Ecco le note: 6 Omelia nella Messa a Puebla de los Ángeles (28 gennaio 1979), 2: AAS 71 (1979), 184. 7 Cfr ibid. ].

San Giovanni Paolo II, Karol Jozef Wojtya, Anni di Pontificato 1978-2005

Se il relatore avesse analizzato la relazione che il Santo Padre pone tra creazione-redenzione-Efesini 5, -che tra l’altro insiste molto sulla volontà dell’uomo di aderire alla volontà di Cristo- avrebbe posto in continuità le due linee teologiche, riconoscendo alla seconda il ruolo di interprete e completamento della prima, come è intento dell’intero documento. La creazione, senza rivelazione e redenzione, resta nell’ordine della natura, ma in Cristo, e nel simbolo dell’unione tra Cristo e la Chiesa,  alla coppia umana è conferita la capacità di essere simbolo del mistero riconosciuto da Paolo alla Chiesa e, per derivazione, al matrimonio.

La fede individuale

Proseguendo, il relatore parla del criterio della fede individuale come un possibile elemento, che può configurare la nullità di un matrimonio, ma sia ben chiaro, lo cita proprio per escluderlo, poiché come si potrebbe valutare il grado della fede di una persona? Ma poi cita anche il canone 1099 del CJC, solo il numero; noi, invece, lo riportiamo: L’errore circa l’unità o l’indissolubilità o la dignità sacramentale del matrimonio non vizia il consenso matrimoniale (ecco il non poter giudicare la fede), purché non determini la volontà. Allora se l’errore di conoscenza determinasse la volontà, la fede -o non fede- potrebbe compromettere il sacramento? Di fatto il relatore continua dicendo che i coniugi poi non sanno come sostenere i beni del matrimonio. Per molti l’incontro personale con Cristo avviene dopo, io aggiungerei, anche all’interno di seconde nozze non sacramentali e qui assistiamo a veri drammi …

Questi beni del matrimonio, da non intendersi come giogo, ma come dono, diventerebbero pesi insopportabili e, -anticipo con ciò cosa dice il relatore più avanti-, i coniugi sono schiacciati dall’ipocrisia dell’ideale (ritornerò su questa espressione assai critica). Il vangelo della Famiglia, che credo sia una misericordia di Dio per la persona, diviene “matrignesco”, utilizzando un’espressione di Sua Ecc. il Card. Kasper.

 

Quarta chiave: Primato della grazia sulla volontà

Il n. 297 di Amoris Laetitia vuole integrare tutti, ciascuno deve trovare il proprio modo di partecipare alla Chiesa come oggetto della misericordia. L’unità, l’indissolubilità e la fecondità non sono sostenibili senza la grazia. Mi verrebbe da dire che, secondo la linea teologica indicata nella terza chiave dal relatore, potrebbero esserlo, se l’uomo è immagine di Dio e non consideriamo le conseguenze del peccato originale, cosa che qui il relatore, precisamente, non fa e che è la grande lacuna di molti commenti ad Amoris Laetitia. Purtroppo, direi, nell’uomo è impressa l’immagine, ma la somiglianza si perde proprio senza la grazia, che viene tramite la redenzione e non tramite la creazione se non nel progetto di Dio, ma non può essere in atto senza un pieno consenso e desiderio da parte dell’uomo, che si lascia finalmente perdonare.

Qui il relatore ritorna sul pelagianesimo, cioè, sulla leva della volontà dell’uomo a discapito della grazia, come già il Santo Padre in più occasioni. A sostegno di ciò cita il n. 120, lo richiama, ma non lo legge e non lo parafrasa. Cosa dice il n. 120 di Amoris Laetitia, citando Pio XI, Casti Connubii AAS 22 (19309, 547-548) e Giovanni Paolo II in FC, 13?

Pio XI, Achille Ambrogio Damiano Ratti, Anni di Pontificato 1922-1939

L’inno di san Paolo, che abbiamo percorso, ci permette di passare alla carità coniugale. Essa è l’amore che unisce gli sposi,[115] santificato, arricchito e illuminato dalla grazia del sacramento del matrimonio. È «un’unione affettiva»,[116] spirituale e oblativa, che però raccoglie in sé la tenerezza dell’amicizia e la passione erotica, benché sia in grado di sussistere anche quando i sentimenti e la passione si indebolissero. Il Papa Pio XI ha insegnato che tale amore permea tutti i doveri della vita coniugale e «tiene come il primato della nobiltà».[117]Infatti, tale amore forte, versato dallo Spirito Santo, è il riflesso dell’Alleanza indistruttibile tra Cristo e l’umanità, culminata nella dedizione sino alla fine, sulla croce: «Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l’uomo e la donna capaci di amarsi come Cristo ci ha amato. L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale».[118].

Certo, il Santo Padre non cita interamente FC 13, solo due frasi della prima parte di FC 13, che, però, sono comprensibili solo alla luce di quanto precede e segue, così che è chiaro che la forza ai coniugi viene dalla croce liberamente accettata:

In questo sacrificio si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell’umanità dell’uomo e della donna, fin dalla loro creazione (cfr. Ef 5,32s); il matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed eterna Alleanza, sancita nel sangue di Cristo.

Queste parole di FC 13 saldano bene la creazione e la redenzione che rende capaci i coniugi:

… in ragione di questo indistruttibile inserimento … l’intima comunità di vita e di amore coniugale fondata dal Creatore (cfr. «Gaudium et Spes», 48), viene elevata ed assunta nella carità sponsale del Cristo, sostenuta ed arricchita dalla sua forza redentrice (FC 13).

Benedetto XVI, Josef Ratzinger, Anni Pontificato 2006-2013, Papa Emerito

Qui non vi è ombra di pelagianesimo – per favore, evitiamo di coinvolgere etichette ereticali, che compromettono la bellezza e la suggestione delle proposte interpretative. Possiamo qui, invece, scorgere la redenzione della stessa volontà umana, resa capace di esprimere  ciò che è fondato dal Creatore.

La loro reciproca appartenenza (degli sposi) è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa (FC 13) ed implica proprio la volontà. Non riduciamo i cristiani, per quanto inconsapevoli della ricchezza che portano in sé, a inconsapevoli burattini manipolati dalla grazia!

I tremendi pesi

Il relatore non vuole che si impongano quei tremendi pesi. Cita così AL 122. In effetti, il Santo Padre non vuolegettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica  «un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni» (FC 9), ma è altresì vero che citando FC 9 il Santo Padre non afferma di espungerne il contesto che recita così: vi è un’ … ingiustizia originata dal peccato – profondamente penetrato anche nelle strutture del mondo di oggi – e che spesso ostacola la famiglia nella piena realizzazione di se stessa e dei suoi diritti fondamentali, (cui) dobbiamo tutti opporci con una conversione della mente e del cuore, seguendo Cristo Crocifisso nel rinnegamento del proprio egoismo: una simile conversione non potrà non avere influenza benefica e rinnovatrice anche sulle strutture della società.

Ma proponiamo tutto il brano per evitare equivoci:

Alla ingiustizia originata dal peccato – profondamente penetrato anche nelle strutture del mondo di oggi – e che spesso ostacola la famiglia nella piena realizzazione di se stessa e dei suoi diritti fondamentali, dobbiamo tutti opporci con una conversione della mente e del cuore, seguendo Cristo Crocifisso nel rinnegamento del proprio egoismo: una simile conversione non potrà non avere influenza benefica e rinnovatrice anche sulle strutture della società. E’ richiesta una conversione continua, permanente, che, pur esigendo l’interiore distacco da ogni male e l’adesione al bene nella sua pienezza, si attua però concretamente in passi che conducono sempre oltre. Si sviluppa così un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell’intera vita personale e sociale dell’uomo. E’ perciò necessario un cammino pedagogico di crescita affinché i singoli fedeli, le famiglie ed i popoli, anzi la stessa civiltà, da ciò che hanno già accolto del Mistero di Cristo siano pazientemente condotti oltre, giungendo ad una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo Mistero nella loro vita(FC 9).

La quinta chiave: il discernimento

Per giungere al Capitolo VIII, Accompagnare, discernere e integrare la fragilità (nn 291-292) occorre almeno leggere i cap. IV-V-VI-VII dall’amore nel matrimonio, all’amore fecondo, ad alcune prospettive pastorali, all’educazione dei figli, capitoli che danno una visione abbastanza completa del dono del matrimonio. Ciò è fondamentale.

Il relatore si sofferma, riprendendo Amoris Laetitia, che cita Papa Benedetto, sul tema della vulnerabilità, dell’amore che sempre è esposto al rifiuto, al sentirsi dire di no; ciò vale per l’uomo e vale per Dio.  Queste, in verità, le parole di Mons. Gronchi e Papa Francesco. Ma nella citazione che Papa Francesco fa di Papa Benedetto, Papa Benedetto non utilizza tale termine. I due passi che Papa Francesco cita della Deus Caritas est 5  comunque non propongono una riflessione che vada nel senso di quanto suggerito da Mons. Gronchi. Di più, ancora una volta, il testo Deus Caritas Est rafforza una visione di forte impegno della volontà dell’uomo. Papa Benedetto sarebbe pelagiano? E papa Francesco che lo cita, anche?

Ma procediamo sul versante del discernimento. Il discernimento si attua tenendo conto delle circostanze attenuanti e dei condizionamenti (n. 301):

Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[FC 33] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione».[340] Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù,[341] in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù».[342].

Si tenga, però, presente che San Tommaso si riferiva non già ad uno stato protratto di peccato (situazioni di peccato oggettivo della quali parla Amoris Laetitia), bensì a situazioni episodiche, ancorché ricorrenti, alle quali però il penitente si oppone con tutte le proprie forze, sostenendo la dura lotta spirituale contro il mondo e contro la mondanità spirituale.

Papa Francesco tralascia la dottrina?

Il n. 305, cui il relatore si è qui riferito, diffida i Pastori dal sentirsi soddisfatti solo applicando le leggi morali … come pietre che si lanciano contro la vita delle persone … che si siedono sulla cattedra di Mosé a giudicare. Simili espressioni possono dare l’impressione che il Santo Padre con esse scalzi in un sol colpo la verità della dottrina. Invece, vuole solo evitare il giudizio, quel giudizio che ha tenuto spesso lontani persone in peccato che han visto nella Chiesa non una Madre soccorrevole, ma una matrigna.

Nella mia esperienza di accompagnatore di persone in situazioni “irregolari”, e oggettivamente di peccato, ho visto comunità e, in alcuni casi, sacerdoti, tenerle lontane. Questo è l’atteggiamento che il Santo Padre non vuole. Diverso è indicare, annunciare il Vangelo della Famiglia e via via mostrare alle persone come dal peccato si può uscire, là dove, caso per caso, peccato vi sia. Accogliere sentitamente le persone e annunciare la verità. Ecco il senso di percorsi all’interno dei quali chi, forse all’inizio cercava una semplice risposta “sì”, “no”, comincia a chiedersi: «Signore, cosa vuoi da me?».

Proprio poche sere fa, dopo l’adorazione, in uno dei nostri Centri di Adorazione e ascolto con le persone separate, nella condivisione, una persona, che nella vita, oltre alla separazione, ha avuto numerose altre sofferenze, ci diceva:

«Prima chiedevo sempre al Signore: – Perché, perché questo, perché ancora?  Ora ho imparato a porre un’altra domanda: – Signore cosa vuoi da me? Penso che questo sia un passo in avanti nella fede. Non fermarsi a lamentarsi, ma anche chiedere e chiedersi cosa il Signore voglia da me, a cosa mi chiama».

Una consapevolezza nuova cui questa Signora è giunta dopo anni. Non ci sono scorciatoie indolori, o meno dolorose. L’accompagnamento, però, lenisce, incoraggia, sostiene, apre alla speranza e fa sperimentare forme molteplici di comunione sempre più verso la pienezza.

Che ne è dell’adulterio?

Il relatore, soddisfatto, precisa che nel documento non compare la parola adulterio. Certo, penso, il Santo Padre ha voluto evitare un termine che potrebbe ferire la sensibilità di chi nemmeno spesso ha sentore di cosa sia un peccato. Ma il Santo Padre non fa che riprendere tutti gli aspetti che proprio si riferiscono all’adulterio, tra le altre cose. Ciò è inevitabile.

Eucaristia sì, eucaristia no.

Mons. Gronchi ricorda che l’argomento è solo presente in una nota, la 351, dove l’eucaristia è indicata come sacramento non per i perfetti, ma per i deboli. Afferma che se la questione è in una nota è quindi cosa di poca importanza. Ma, allora, le altre note, che citano con ampiezze diverse i documenti precedenti, anche di Papa Francesco, sono poco importanti? Oppure è poco importante l’eucaristia in sé ( non direi, visto quanto ampiamente parla del sacramento Papa Francesco). Forse è poco importante per i separati/divorziati/risposati? Nemmeno, visto che essi lamentano la grave sofferenza di non potervi accedere e che quanti, tra loro, si mantengono fedeli al sacramento del matrimonio, lo fanno proprio anche per poter accedere pienamente ai sacramenti tutti.

Allora, cosa vuol dire poco importante? Certo, Papa Francesco più volte ha detto che il punto non è poter ricevere l’eucaristia, ma avviare un cammino di discernimento, questo sì e proprio per scoprire strade che riportino all’eucaristia, superando condizioni oggettive di peccato.

Ricordiamoci che le prime comunità cristiane annunciarono questo Vangelo in un Impero dove esistevano e il ripudio e il divorzio anche da parte della donna. Cambiarono il volto dell’Impero. Fondarono la famiglia secondo il progetto di Dio.

Ipocrisia dell’ideale

Non è questa una chiave di lettura, ma un’affermazione che il relatore ha sottolineato con forza e secchezza. L’unica volta che ha nominato la parola ideale, in tutta la sua relazione, è stata con un’accezione negativa. Strano, visto che il Santo Padre nell’Esortazione la nomina una quindicina di volte, riferita ad accezioni altamente positive. Certo, potremmo utilizzare l’ideale della vita cristiana in modo riduttivo, farisaico, più che giansenistico, ma questo cosa centrerebbe con il Magistero?

Nell’ascoltare i documenti della Chiesa dobbiamo fare lo sforzo, alto, ma indispensabile, di staccarci da vissuti, che ci precludono l’accoglienza dell’insegnamento. Non è facile; richiede carità nella comunità. Non sarebbe nemmeno bene puntare il dito contro chi ci pare appannare la trasparenza dell’insegnamento della Chiesa. Dobbiamo mantenere la porta aperta, ma senza equivoci o cedimenti.

Anche il Popolo di Dio è chiamato a tenere alta la fede.

Accompagnare, discernere, integrare la fragilità.

Il relatore aggiunge a questi tre termini accogliere. Precisa che questo termine non è qui presente, ma lo è sovente negli interventi del Santo Padre. Sicuramente è la premessa. L’accoglienza è un punto molto delicato. Accogliere quando, in che modo, fino a che punto? Dice il Santo Padre al n. 297:

 Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino. Ovviamente, se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità (cfr Mt 18,17). Ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione. Ma perfino per questa persona può esserci qualche maniera di partecipare alla vita della comunità: in impegni sociali, in riunioni di preghiera, o secondo quello che la sua personale iniziativa, insieme al discernimento del Pastore, può suggerire. Riguardo al modo di trattare le diverse situazioni dette “irregolari”, i Padri sinodali hanno raggiunto un consenso generale, che sostengo: «In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro»,(Relatio Synodi 2014, 25) sempre possibile con la forza dello Spirito Santo.

Questo significa che, per il Santo Padre, è sempre possibile accogliere, anche se con dei limiti, dei “non”, sulla scia del perdonare fino a settanta volte sette.

Alla relazione di Mons. Gronchi sono seguiti, in contemporanea, otto gruppi laboratoriali, che hanno toccato i principali temi indicati dall’Esortazione. I risultati dei gruppi saranno tenuti in considerazione negli Atti del Convegno.

Successivamente, Sua Ecc. Mons. Francesco Beschi è intervenuto con chiari orientamenti.

Mons. Francesco Beschi e il quadro delle premesse

La prima premessa

Sua Ecc. Mons. Francesco Beschi, Vescovo della Diocesi di Bergamo

Sono importanti sia il testo che il contesto. Il nostro Pastore l’ha ripetuto più volte, sottolineandolo con la cadenza della voce, come incidendo, sulla pietra dei nostri cuori, parole precise a lettere di fuoco. Non solo usando serietà, ma solennità, fermezza, categoricità, quasi durezza, che trasparivano dalle parole e dal volto.

Il contesto ci presenta le dimensioni esistenziali (fondamentali), la vita, le persone; la cultura, il modo di vedere le cose.

Lo stesso Vescovo ha narrato come molte volte abbia ritrovato, nell’insegnare, distanza culturale tra le persone cui predicava ed il suo messaggio. Il contesto, poi, implica la mediazione mediatica, che non può non condizionare l’accoglienza dell’insegnamento della Chiesa. Implica anche la mediazione pastorale, per come la Chiesa locale sente e legge il Magistero.

La seconda premessa

Secondo Mons. Beschi è importante avvertire la bellezza di ciò di cui stiamo parlando, della bellezza della generatività, che affonda nell’origine dell’umanità, in Dio. Prima la testimonianza dello stupore e poi delle convinzioni. Ricordava l’eredità che gli lasciò uno dei suoi più grandi maestri:

«Ricordati che il più bel dono che Dio ha fatto per ogni persona e per tutta l’umanità sono la famiglia ed il matrimonio».

Come Mons. Beschi guida la Chiesa di Bergamo verso Amoris Laetitia

Entrando in merito all’Esortazione, il Vescovo ci ha insegnato che è necessaria una lettura attenta e assimilata del testo nella sua interezza, come già indica al n. 7  il Santo Padre. Per tutte le persone, fidanzati, spose, persone in situazioni delicate, i criteri inseparabili sono: accoglienza, accompagnamento, discernimento, integrazione. Però il discernimento evangelico non concerne solo i momenti critici, ma tutti i momenti della vita familiare.

Sempre discernere a confronto con il Vangelo, la Chiesa, nella preghiera. Il primo soggetto del discernimento non è il sacerdote, o altri, ma il soggetto interessato. Io con la mia coscienza, che devo formare. Ma la coscienza non è una scorciatoia per giustificare ciò che io voglio. Tale discernimento evangelico richiede confronto con una guida spirituale, generalmente il sacerdote, attingendo alla fede, all’azione dello Spirito Santo, alla Parola, all’orientamento pastorale del Vescovo, alla conversione. È un processo.

Aggiungerei alle parole del Vescovo la domanda del giovane ricco: Maestro che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? (Mt 19, 16). Credo che perché una persona possa giungere a questa domanda, che postulerà una conversione, debba essere aiutato a colmare il vuoto tra la sua condizione ed il Vangelo, tra lui e la disponibilità ad accogliere Cristo incondizionatamente.

È il tempo dell’annuncio, del kerigma, come ricorda il Papa (AL 58). L’orientamento verso cui andare è la radicalità del Vangelo e non l’accomodamento. Ricordiamo che Gesù accolse quel giovane, ma alla fine quel giovane si allontanò triste perché aveva molte ricchezze e non voleva lasciare il proprio modo di vivere!

Il Vescovo chiede

Ai presbiteri il Vescovo chiede particolarmente di agire con prudenza e pazienza, evitando di fissare criteri nuovi quando maturano orientamenti ancora non definiti e da condividere.

Bisogna assolutamente non esporre il Popolo di Dio a scelte diverse da quelle che poi la Chiesa adotterà.

Non si deve semplificare meccanicamente. Con ciò il Vescovo -parole sue- non intende annacquare ciò che il Papa ha scritto ed il processo che ha voluto, non innescare, ma potenziare, perché già in atto nella Chiesa.

Il Vescovo vuole coinvolgere i diversi organismi diocesani e quelle realtà, che accolgono le persone in situazioni familiari complesse. Con il loro aiuto vuole consegnare alla Diocesi, entro un anno, un percorso pastorale condiviso, chiaro. E qui ha ampiamente citato il Gruppo Diocesano La Casa come un riferimento molto positivo dal quale possono giungere suggerimenti, proposte e accompagnamenti.

Mons. Edoardo Algeri,

Ufficio Diocesano per la Pastorale Familiare

Ha concluso i lavori Mons. Edoardo Algeri, Responsabile dell’Ufficio Pastorale della Famiglia, da anni impegnato in questo ambito diocesano con la sua nota generosità ed inventiva. La sua relazione, incentrata sulla riforma della Chiesa e dell’apporto che la famiglia può ad essa apportare, è, molto in breve, così riassumibile: Famiglia soggetto di evangelizzazione e soggetto pastorale.

Conclusioni

La famiglia, per sua natura è situazione complessa. Il mondo contemporaneo sembra mortificarla sotto più aspetti. Il Magistero, ad essa relativo, ne rispecchia la complessità non solo per le sue dimensioni esistenziali, ma perché si impegna ad educare la famiglia, nella Chiesa, al Vangelo di Cristo. Ma più complesse, certamente, sono le interpretazioni quando parcellizzano (che termine imperfetto) e riducono la grandezza della vocazione alla famiglia e della Famiglia alla Santità. Vocazione implica chiamata, ascolto, risposta, cammino, gradualità, ma sempre e comunque un Se vuoi essere perfetto … va … e …

Marcello Giuliano


     

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Padre del cielo,
Tu ci hai dato un modello di vita
nella famiglia di Nazareth,
aiutaci, o Padre buono,
a fare della nostra famiglia
un'altra Nazareth, dove regnano
l'amore, la pace e la gioia.
Fa' che la nostra vita,
sia profondamente contemplativa,
intensamente eucaristica
e vibrante di gioia.
Aiutaci a rimanere insieme
nella gioia e nella sofferenza
attraverso la preghiera familiare.
Insegnaci a vedere Gesù
nei membri della nostra famiglia
specialmente nelle loro difficoltà.
Possa il Cuore Eucaristico di Gesù
rendere i nostri cuori miti ed umili
come il suo e possa aiutarci
a compiere i nostri doveri familiari
in modo santo.
Possiamo amarci
come Dio ama ognuno di noi,
ogni giorno sempre più,
e possiamo perdonarci le offese
come Dio perdona le nostre.
Aiutaci, o Padre buono,
a prendere ciò che ci dai
e a darti tutto ciò che ci chiedi
con grande gioia.
O Immacolato Cuore di Maria,
causa della nostra gioia,
prega per noi.
S. Giuseppe, prega per noi.
S. Angelo Custode,
rimani sempre con noi,
guidaci e proteggici.
AMEN

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