La gestualità sacra
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“L’elevazione verso Dio è accompagnata sempre da un senso di adorazione, perchè il riconoscimento della grandezza di Dio aumenta la mia aspirazione a Lui.
Fate attenzione a non abbassare troppo Dio al nostro livello.
Dio rimane trascendenza assoluta, ed io riconosco la sua maestà con un atto di fede, che si accompagna anche, finchè sono nel corpo, con espressioni e gestualità fisiche, che hanno la loro importanza.
Venendo in chiesa, ad esempio, riconosco la presenza di Dio nel Santissimo Sacramento e mi inchino con una genuflessione. Magari molti di voi non la fanno perchè siete anziani e se vi genuflettete rimanete per terra e non vi rialzate più. Ma se non la fate con il ginocchio, la genuflessione bisogna farla con l’anima. La noncuranza davanti a Dio è una cosa penosa.
Una volta a Bologna, in una cappella in cui vi era il Santissimo Sacramento solennemente esposto, vidi questa scena: entrò un anziano signore con il bastone e il cappello; il suo modo di incedere era lento, solenne. C’era una suora di là della grata che faceva l’adorazione; l’uomo le venne davanti, mise adagio il bastone da una parte, si mise lentamente in ginocchio.
“Ora questo non si tira più su” – pensai. Invece, una volta in ginocchio, si piegò fino a toccare terra con la fronte. Stette così più di un minuto, poi si sollevò pacatamente, si rimise in piedi e stette così ritto ancora qualche minuto, poi se ne andò.
Non avevo mai visto una scena più solenne di questa.
Mi bastò il gesto dell’anziano per capire la riverenza con cui quest’uomo si metteva alla presenza di Dio; eppure c’era la suora inginocchiata lì da tempo, ma forse dalla suora i gesti di devozione ce li aspettiamo e non fanno effetto … Ma quanto fece quell’uomo è ancora scolpito nella mia memoria.
La liturgia è piena di gesti. Se li facessimo con coscienza e solennità, come ci aiuterebbero!
Il rispetto si accompagna all’affetto, perchè chi ama realmente il prossimo gli usa anche riverenza.
Non ricordo quale santo, ma so di uno che si faceva continuamente il segno della croce per ogni cosa che doveva dire o fare, faceva precedere tutto da un segno di croce, e ciò significava per lui voler mettere il sigillo di Dio nelle sue azioni, ricordarsi di Lui, fare un gesto che fosse significativo sia per lui che per Dio, un gesto appunto di amore.
C’è un gesto di uomo del Vangelo che mi pare molto significativo: quello del cieco nato, dopo il miracolo della guarigione. Gesù seppe che avevano cacciato quest’uomo dalla sinagoga dopo l’interrogatorio da parte dei sacerdoti e degli anziani, e incontrandolo gli chiese: “E chi è, Signore, perchè io creda in Lui?”. Gesù gli replicò: “Tu l’hai visto, Colui che ti parla è proprio lui”. Ed egli: “Io credo, Signore” (Gv 9, 35-38).
Detto questo, si prostrò davanti a Lui. Ecco il gesto. Quando l’uomo che ha ricevuto il grande dono di poter finalmente vedere, capisce che Gesù è colui che gli ha operato tale miracolo, e che addirittura è anche il Messia, immediatamente si prostra per terra.
Gesù non dice: “Ma no, no, cosa fai, tirati su, non fare così!”. Niente affatto: lo lascia per terra. Ciò significa che il riconoscimento e la gratitudine per il miracolo avuto e la percezione della grandezza della persona che mi sta davanti, è gradito a Dio. Non per sentirsi schiavi, ma per posizionarci in questo nostro nulla, dato che quando il nulla è riempito di Dio, subito la nostra vita si innalza fino a Lui, si immerge nella luce della divinità, si riempie di una pace sovrumana.
Dio si comunica perchè gode nel comunicarsi alle anime come afferma San Giovanni della Croce. La gioia di Dio è la comunicazione di Sè alle anime facendole partecipi in qualche misura della sua gloria infinita.
Quindi facciamo attenzione a non trattare il Signore troppo banalmente, soprattutto nella liturgia.
Nei testi dell’Apocalisse è molto frequente il gesto della prostrazione, dell’inchinarsi davanti all’Agnello, da parte di tutti i salvati. Queste prostrazioni significano forse schiavitù? No: intimità.
L’Agnello si è immolato per me, io riconosco la sua grandezza, e ne scaturisce la lode, la mia elevazione.
Tutto il Nuovo Testamento lo esalta così, quindi nella liturgia va benissimo la ricchezza dei gesti, e quando non li facciamo più significa che la grande decadenza è già iniziata.
In chiesa è giusto segnarsi, inginocchiarsi, anche prostrarsi: lì c’è Dio.
Una volta andai in Francia con un gruppo di pellegrini; passando per un paese ed essendo l’ora della preghiera (Ora Media) fermammo il pullman vicino ad una chiesa della quale avevamo visto per la strada le segnalazioni. Entrammo e trovammo molti turisti che, pur rispettosi e in silenzio, giravano per la chiesa fotografando i quadri e le sculture. C’era il tabernacolo, ma essi vi passavano davanti come nulla fosse; probabilmente non sapevano nemmeno che lì vi fosse la presenza reale del Santissimo Sacramento.
Noi ci mettemmo nelle panche della chiesa e intonammo la preghiera dei Salmi.
Successe allora una cosa bella: appena sentirono i nostri inni tutti si fermarono e smisero di girare e fotografare. Evidentemente avevano capito che se un sacerdote stava pregando con un gruppo di fedeli era bene sospendere altre cose e attendere che la preghiera finisse per poi riprendere il giro.
Questo senso di rispetto ci colpì.
Ma non facemmo in tempo a rallegrarci di questo che venne il “colpo di scena”: sbucò dalla sacrestia un uomo (evidentemente il sacrestano o l’addetto alla cura della chiesa) e ci chiese come mai avessimo iniziato la preghiera a voce alta, perchè lì non si poteva pregare. Non conoscendo bene il francese, pensai di aver capito male, ma egli ripetè proprio che “lì non si poteva pregare”. “E perchè?” gli domandai allibito. Mi rispose che quella era l’ora dei turisti, e che quindi noi li stavamo “disturbando” con la nostra preghiera. Gli feci notare che, al contrario, i turisti, appena sentito l’inno della nostra Ora Nona, si erano fermati e non parevamo affatto disturbati.
Ma non ci fu nulla da fare; e nonostante gli protestassi che la preghiera sarebbe durata al massimo dieci minuti, ci fece per forza smettere e ci ordinò di stare in silenzio oppure di uscire dalla chiesa.
Così ci alzammo e terminammo la nostra preghiera all’esterno, sul sagrato, rivolti al portone.
Io ero indignato. Andando via avrei voluto citare quel passo del Vangelo in cui si diceva: “Di questo tempio non rimarrà pietra su pietra” (Mc 13,2), ma pensai che la frase fosse eccessiva, e mi accontentai di levare gli occhi al cielo ed esclamare, rivolto al sacrestano: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti” (Mc 11, 17). Così ripartimmo e da quel momento dicemmo tutte le Ore medie sul pullman.
Ciò che avevano capito i turisti – la riverenza per Dio davanti ad un gruppo di persone che aveva iniziato a pregare – urtava invece il sacrestano di quella chiesa.
incredibile”.
Padre Serafino Tognetti
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