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La famiglia ferita: separati e divorziati

8 Ottobre 2012 | Filed under: Famiglia
     

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Quale processo di guarigione? Le persone provate da questo ge­nere di sofferenza possono innescare un processo, per passare da una condizione di smarrimento a uno stato di positivo riorientamento della propria vita. Tale cambiamen­to non può che essere l’esito di un attraversamento doloroso di tappe ineliminabili, ma soprattutto, per chi crede, è il frutto di una sinergia tra la persona umana e lo Spirito di Dio, ricreatore, Dominum et vivifìcantem.

Dopo una crisi deva­stante, la capacità di di-scernere e di ri-disegna-re la propria vita, con nuove coordinate, è frutto della libertà dell’uomo, illuminata, corroborata e sospinta dall’azione della grazia. L’affermazione trova riscontro nell’esperien­za: dinanzi a un certo “evento doloroso”, due persone possono reagire in maniera differente, addirittura opposta e rag­giungere due esiti di vita completa­mente diversi. E ciò dipende in gran parte dal coraggio e dalla sincerità con cui si affronta la realtà, dall’oriz­zonte motivazionale e/o di fede, dal senso critico che fa riconoscere gli errori e le fragilità proprie e dell’al­tro, ma anche dalla capacità di chie­dere e ricevere aiuto.

Vivere il cambiamento come sfi­da, considerare l’ostacolo come su­perabile, coltivare la fiducia nella vi­ta, rafforzare relazioni positive, fa­re appello alla creatività e alla pro­pria capacità di re-inventare l’esi­stenza, costituiscono i presupposti per non farsi atterrare dal dolore e per risalire la china, tro­vando nuove ragioni di vi­ta, attingendo la forza nel­la fede in Dio, in sé stessi, negli altri. Da ogni even­to, anche il più doloroso, è possibile trarre occasio­ni di crescita per acquisi­re sempre più quella sa­pienza, che è la capacità di attraversare l’esistenza e leggere gli eventi, attri­buendo a ogni cosa il sen­so relativo rispetto all’As­soluto. È così che emerge il disegno di Dio, pur in mezzo alle disavventure, un mosaico fatto di tassel­li variegati.

I possibili esiti positivi sono sì frutto delle risorse di ciascuno, ma anche del­lo spazio che i soggetti la­sciano al Signore perché possa, con la sua presenza efficace, potenziare il di­namismo antropologico. Vale l’espressione attribuita a sant’Ignazio: «Fate come se tutto dipendesse da voi e, allo stesso tempo, fate co­me se tutto dipendesse da Dio». Dunque né protagonismo solo uma­no, né quietismo passivo: sinergia è il termine esatto. La speranza cri­stiana non è attesa vaga di qualche cosa; è, piuttosto, credere con tutti sé stessi in qualcuno: «In te, Signo­re, noi speriamo» (Sai 33,22); è ab­bandonarsi a Cristo senza riserve con la certezza che «chiunque spera in lui non resta deluso» (Sal 25,3).

La fede cristiana non è l’esalta­zione della forza e della sicurezza, ma una sorta di apologie della debo­lezza che trova nel Servo sofferen-te, nel Crocifisso-Risorto, le ragio­ni della speranza, visto che«egli è in grado di sentire giusta compas­sione per quelli che sono nell’igno­ranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza!» (Eb 5,2). Per questo Paolo dichiara: «Di lui mi vanterò. Di me stesso in­vece non mi vanterò, fuorché delle mie debolezze» (2Cor 12,5). L’Apostolo ha piena consapevolez­za della fragilità radicale dell’uo­mo, come anche della potenza straordinaria dellagrazia: «Ti basta la mia grazia: la mia potenza, infat­ti, si manifesta pienamente nella de­bolezza» (2Cor 12,9). Egli giunge a esclamare, in modo paradossale: Coppia in crisi: le separazioni e i divorzi lasciano sempre ferite aperte.

«Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. […] Quando sono debole, è allora che sono forte!» (2Cor 12,9-10).

Riconoscere la condizione di fra­gilità dinanzi a eventi drammatici non deve condurre a vivere “da morti”, a piombare in uno stato de­pressivo o, viceversa, a tuffarsi nell’attivismo più sfrenato e/o nel divertimento smodato. Ogni avveni­mento negativo porta in sé una va­lenza misteriosa di fecondità, che si evidenzia col trascorrere del tem­po: si possono acquisire criteri di lettura diversi per leggere lo stesso evento e scoprirvi degli aspetti ine­diti. La preghiera di essere liberati

dalla sofferenza è quella che per pri­ma fiorisce sulle labbra di chi è nel­la prova, è legittima ma non è l’uni­ca, né la più perfetta. Gesù insegna qual è la via più conducente alla co­munione col Padre: «Padre, se è possibile allontana da me questo ca­lice» (cf Me 14,36; Gv 18,11), «pe­rò non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26,39).

Lo spezzarsi di un rapporto di coppia implica una seria elaborazio­ne di un dolore, che la maggior par­te degli psicologi definiscono un lutto vero e proprio, che implica l’elaborazione della perdita della persona amata. Pertanto l’aiuto ne­cessario per attraversare tale tun­nel doloroso non può es­sere attinto solo alla di­mensione di fede (pre­ghiera personale, accom­pagnamento spirituale, partecipazione alla vita sacramentale ed ecclesia­le). C’è anche l’esigenza di un sostegno psicologi­co; le scienze umane pos­sono offrire un contribu­to enorme alla ripresa dei soggetti: i due generi di aiuto sono compatibili perché complementari. Le 5 fasi da attraversare, come nel lutto, sono: 1. il rifiuto; 2. la rivolta; 3. il patteggiamento; 4. la depressione; 5. l’accettazio­ne (cosa diversa dalla ras­segnazione).

Più consapevolmente si attraversano queste tap­pe, più sarà effettiva la ri­presa e l’apertura a nuove possibilità di realizzazione sia inte­riori, ma anche relazionali e lavorati­ve. Accade sovente che l’esperienza della prova, nel labirinto dei perché, costituisca un vero e proprio appun­tamento con Dio. Può succedere sia che alcuni molto credenti si allonta­nino, sia che altri, lontani, non prati­canti, si avvicinino. La comunità cri­stiana deve mostrarsi attenta e aper­ta dinanzi agli uni e agli altri, pronta a lasciarsi coinvolgere nella preghie­ra, nella prossimità non giudicante, compassionevole e concreta. Da questa vicinanza molte volte dipen­de la “piega” che assumono le esi­stenze provate da crisi di coppia: la Chiesa ha una sua precisa e grave re­sponsabilità in tali situazioni. (Continua)

Ina Siviglia

(Vita pastorale)

     

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Tu ci hai dato un modello di vita
nella famiglia di Nazareth,
aiutaci, o Padre buono,
a fare della nostra famiglia
un'altra Nazareth, dove regnano
l'amore, la pace e la gioia.
Fa' che la nostra vita,
sia profondamente contemplativa,
intensamente eucaristica
e vibrante di gioia.
Aiutaci a rimanere insieme
nella gioia e nella sofferenza
attraverso la preghiera familiare.
Insegnaci a vedere Gesù
nei membri della nostra famiglia
specialmente nelle loro difficoltà.
Possa il Cuore Eucaristico di Gesù
rendere i nostri cuori miti ed umili
come il suo e possa aiutarci
a compiere i nostri doveri familiari
in modo santo.
Possiamo amarci
come Dio ama ognuno di noi,
ogni giorno sempre più,
e possiamo perdonarci le offese
come Dio perdona le nostre.
Aiutaci, o Padre buono,
a prendere ciò che ci dai
e a darti tutto ciò che ci chiedi
con grande gioia.
O Immacolato Cuore di Maria,
causa della nostra gioia,
prega per noi.
S. Giuseppe, prega per noi.
S. Angelo Custode,
rimani sempre con noi,
guidaci e proteggici.
AMEN

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