La donna nella società, nella famiglia e nella Chiesa
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Fra tutti gli argomenti che questo workshop approfondirà ho considerato in modo particolare il ruolo della donna nella società di oggi e quanto la sua equilibrata identità sia la base di un buon matrimonio e di una famiglia sana, di una società più giusta e più umana.
Sembrano idee retoriche, ma chi non desidera armonia e affetto nella propria famiglia? Chi non vuole pace e giustizia intorno a se’?
La prima identità che la donna ha è quello di essere umano, creata ad immagine e somiglianza di Dio, simile e complementare all’uomo, nello spirito, nel cuore e nella carne. L’altissima dignità della donna discende direttamente da Dio e, come possiamo immaginare, era in mente Dei già prima della creazione –tanto che sarà una donna la unica genitrice umana del Verbo di Dio- anche se, in termini di tempo, ella è descritta apparire qualche istante dopo, rispetto a all’uomo. Uomo e donna Dio creò l’essere umano.[1]
A causa della debolezza mostrata dalla donna, del ruolo determinante avuto da lei nel mostrare sfiducia verso i consigli di Dio, e col dar eccessivo credito al Male senza cercare riscontro da parte di Dio, suo padre e creatore, suo amico col quale passeggiava nel giardino di Eden (il peccato originale), dopo la caduta dei nostri progenitori cambia anche il rapporto tra uomo e donna nella coppia e l’uomo la dominerà, mentre il cuore della donna sarà invece rivolto al suo compagno.[2]
Si nota, nel racconto biblico, un elemento di debolezza della donna lasciata sola dal compagno, ed anche una forza di persuasione, poi, sul compagno stesso, ed ecco che risulta leggibile quella sottomissione affettuosa che la donna dovrà avere nei confronti del marito.
Dopo la redenzione operata da Cristo la donna, faticosamente, tenterà di recuperare un ruolo più attivo, e più dignitoso, scontrandosi sempre con la durezza del mondo e della cultura maschile dominante. Tuttavia, da Maria SS. In poi, lo Spirito Santo opererà con sottile pervasiva tenacia a ricostruire l’identità della donna –cristiana- tal quale fu a lei data, da Dio stesso, in principio.
E’ solo nel secolo scorso, e in un ambito geografico ben determinato, quello di “cultura” e tradizione cristiana, che alla donna verrà riconosciuto un ruolo sociale diverso dal passato: potrà svolgere professioni un tempo esclusivamente dell’uomo, avrà diritto di voto come persona attiva ed utile alla vita politica del suo paese, potrà misurarsi con attività di lavoro oltre le mura domestiche.
E proprio nel secolo scorso il fenomeno del femminismo ha rappresentato l’esplodere, a dire il vero abbastanza devastante, di una ribellione umana e sociale legittima, ma come tutte le esplosioni, molto disordinata e poco orientata a costruire una nuova, reale, identità della donna.
Ora, la donna ha un grandissimo bisogno, al tempo di oggi -tempo di veloci e faticosissimi cambiamenti che la società contemporanea ci impone- più che mai di ritrovare la sua squisita dimensione femminile fuori da stereotipi e ideologie, quali che siano. Poiché vi è una sola libertà per ogni caso ed ogni essere umano, quella che si trova nella verità. E la verità va cercata.
C’è modo di recuperare i ruoli dell’uomo e della donna in un equilibrio nuovo nella società di oggi? Certamente l’uomo e la donna sono gli stessi di sempre, uguale il loro sentire, la loro meravigliosa e complementare dignità. Il femminismo, pur avendo esaurito la sua acme, ha portato dei travisamenti. Si affermò che la donna, per poter partecipare alla vita sociale (politica, lavorativa e culturale) dovesse liberarsi da due vincoli impedienti: la coniugalità e la maternità. Si intese anche “liberare” l’esercizio della sessualità e della contraccezione, incluso l’esercizio l’aborto.
L’agire secondo queste idee ha, di fatto, distanziato il vissuto sessuale dalla percezione del proprio corpo in senso stretto ed identitario, che nella donna è fisiologicamente e totalmente legato alla funzione materna, anche nella sfera emotiva.
Questo scollamento di anima e di corpo sembra sia passato transizionalmente anche al genere maschile in modo massiccio.
Intanto, ha creato i prodromi della disidentificazione sessuale e di genere, perché la sessualità legata al mero soddisfacimento del piacere e delle necessità del corpo, ha perso la funzione identificativa del ruolo affettivo e legante, nonché generativo, che costruisce l’identità di genere. Inoltre non mi parrebbe azzardato dire che questa libertà della donna ha fatto molto comodo all’uomo, svincolato ormai dalle responsabilità del legame, della fedeltà e della costituzione di una famiglia.
Questi volani –ma non solo questi- incoraggiano la disgregazione delle famiglie già in essere, le separazioni, la disperazione dei figli e minano alla base la famiglia intesa come luogo d’amore, di sicurezza emotiva, di acquisizione di identità; luogo di realizzazione della propria futura affettività e generatività.
Probabilmente questo circolo chiuso di sofferenza sta scatenando contro la famiglia – e l’identità sessuale ordinata- contro l’amore e la felicità, l’invidia e l’infelicità di troppe anime.[3]
L’uomo e la donna nascono in una realtà relazionale che è basata appunto sull’essere, uomo e donna, complementari. Tuttavia l’identità non è solo un dato di fatto ma è qualcosa che siamo chiamati a realizzare nei contenuti di vita, e non solo nell’ambito della maternità o paternità.
Tanto che attribuiamo un alto valore ed una utilità morale e sociale anche a coloro che hanno fatto la scelta del celibato, che siano consacrati o no, ed alle coppie che non hanno generato figli.
L’identità della donna nella famiglia cristiana
Se leggiamo nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, dove si parla della famiglia come cellula vitale della società, e del ruolo della donna nella famiglia, ritroviamo tutta l’importanza della figura femminile nell’ambito delle relazioni affettive e del rispetto che tutta la società deve a tale ruolo. [4]
Il lavoro di cura che la donna svolge all’interno della famiglia spesso lo svolge insieme ad un’attività professionale che la occupa anche fuori della propria casa, e dunque va maggiormente apprezzato.
Spesso gli uomini, pur compagni della nostra vita, restano spiazzati di fronte alla fatica di cui la loro compagna si sobbarca, e, a volte, anche dalle difficoltà che ella mostra di avere nell’espletare i suoi compiti. D’altronde è vero che oggi, per portare avanti una famiglia, è spesso necessario che entrambe i coniugi lavorino. Nei tempi passati, solo poche privilegiate classi sociali concedevano alla donna di occuparsi esclusivamente della casa e della famiglia: tutte le altre donne hanno sempre dovuto lavorare, ma c’era una realtà sociale diversa. La famiglia era “allargata”, insieme vivevano tre generazioni di persone, ed i nuclei familiari erano più numerosi. Ognuno badava a tutti, i bambini grandetti a quelli più piccoli, gli anziani erano un punto di riferimento e memoria storica della famiglia, e tutti collaboravano, spesso vivevano anche insieme.
Oggi per la donna lavorare è uno status sociale importante, un’occasione di sviluppo culturale e di completamento della personalità. Non è più considerata povera la donna che esce di casa per andare al lavoro, ma al contrario viene apprezzata e stimata. Però restano dei problemi pratici di difficile soluzione: a chi lasciare i figli quando si va al lavoro, da chi farsi aiutare per le pulizie domestiche e come non arrivare distrutte a casa la sera, cercando di rimanere piacevoli nei confronti del marito e dei figli. In questo lo Stato dovrebbe farsi carico di questa nuova realtà sociale per sostenere il ruolo irrinunciabile della donna nella famiglia, la quale è cellula viva della società; e non solo viva, ma unica nel suo genere e che sostiene a sua volta la società stessa.
Infatti la famiglia contribuisce, in quanto comunità naturale, in modo unico e insostituibile al bene della società. [5] “Una società a misura di famiglia è la migliore garanzia contro ogni deriva di tipo individualista o collettivista, perché in essa la persona è sempre al centro dell’attenzione in quanto fine e mai come mezzo. È del tutto evidente che il bene delle persone e il buon funzionamento della società sono strettamente connessi « con una felice collocazione della comunità coniugale e familiare ». Senza famiglie forti nella comunione e stabili nell’impegno, i popoli si indeboliscono. Nella famiglia vengono inculcati fin dai primi anni di vita i valori morali, si trasmette il patrimonio spirituale della comunità religiosa e quello culturale della Nazione. In essa si fa l’apprendistato delle responsabilità sociali e della solidarietà.”
Ma non solo nella società, in senso stretto. Il matrimonio cristiano, infatti, non mira semplicemente al compimento del desiderio d’amore, ma anche alla partecipazione dell’essere umano –uomo e donna- alla continua co-creazione delle realtà della Terra. San Josemaría Escriválo spiega bene:
È importante che gli sposi acquistino un chiaro senso della dignità della loro vocazione; che sappiano di esser stati chiamati da Dio a raggiungere l’amore divino attraverso l’amore umano; che sono stati scelti, fin dall’eternità, per cooperare con il potere creatore di Dio nella procreazione e poi nell’educazione dei figli;[6] che il Signore chiede che facciano della loro casa e della loro vita di famiglia una testimonianza di tutte le virtù cristiane.[7]
Andando al ruolo identitario della donna come sposa, abbiamo come fondamento di riflessione la Scrittura. San Paolo, in particolare, ha descritto nelle sue lettere quello che gli sembra opportuno per conservare in famiglia accordo e pace tra i coniugi, e di conseguenza tra genitori e figli.
L’Apostolo è stato molto criticato per una presunta visione maschilista della donna. Ricordiamo anche il periodo storico in cui viveva e la dimensione sociale in cui la donna veniva educata, con il patrimonio esiguo di cultura e libertà in cui essa poteva formarsi, e che influenzava, comunque, la sua mentalità: San Paolo riflette infatti anche sulla realtà in cui viveva.
Se però meditiamo attentamente le sue parole ci apparirà qualcosa di diverso. Nella lettera agli Efesini san Paolo consiglia: [8]
Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunchè di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.[9]
Rileggo in chiave pratica: Le mogli siano sottomesse al marito -un capo in casa ci dev’essere, ed è meglio che sia il marito, che non ha anche i figli attaccati ai vestiti, e che essendo il capo si prende il peso delle scelte (sempre da discutere con la moglie)- come siano sottomesse al Signore, poiché è sempre e principalmente a Cristo che bisogna essere fedeli.
Il marito, poi, ami la moglie per renderla santa – ed è questo il senso del sacramento del matrimonio, farsi santi grazie all’amore del coniuge, amore dato e ricevuto.
Dia la vita per la moglie –e dove lo trovi oggi un uomo che da la vita per te?- faccia che questa gli compaia dinnanzi santa e pura – ovvero: marito, impègnati perché lei ti resti fedele e resti anche fedele a Cristo- senza macchia ne’ ruga –ovvero dignitosa e bella.
Ami la moglie come fosse se stesso – e questa è un’ottima cosa, inoltre assolve al comandamento di Gesù di amare il prossimo come se stessi.
In ultimo la donna rispetti il marito ed il rispetto è pacifico in ogni relazione sana.
Insomma, sembra che la sottomissione a cui lui fa riferimento possa essere ben tradotta come rispetto: umano, sociale ed affettivo. Senza questo non c’è amore. Il marito cristiano, per esser tale deve amare la sua donna come Cristo la ama, e ha dato la sua vita per lei, per tutti.
Escriváspiega anche il ruolo della la grazia, che deriva dal fatto che il matrimonio cristiano è un sacramento:
Gli sposi hanno grazia di stato – la grazia del sacramento – per praticare tutte le virtù umane e cristiane della convivenza: la comprensione, il buon umore, la pazienza, il perdono, la delicatezza nel rapporto reciproco. L’importante è non lasciarsi andare, non lasciarsi dominare dal nervosismo, dall’orgoglio o dalle manie personali. Per riuscirci, marito e moglie devono sviluppare la propria vita interiore e apprendere dalla Sacra Famiglia a vivere con finezza – per un motivo che è allo stesso tempo umano e soprannaturale – le virtù del focolare cristiano. Lo ripeto ancora: la grazia di Dio ce l’hanno.[10]
Ecco che la donna acquista in Cristo un valore speciale, poiché Egli sa che alla donna ha affidato l’essere umano in una maternità, materiale e morale, insostituibile.
E poiché Dio nostro Padre creò la donna per l’uomo, perché l’uomo non restasse solo, con altrettanta forza Gesù affida la donna all’uomo come un tesoro insostituibile, necessario, completante e come tale egli vuole che sia amata, accudita, protetta, nella libertà gloriosa dei figli di Dio, che è quella dell’amore reciproco e gratuito.
Senza rispetto non esiste amore, e senza amore non c’è felicità. San Josemaría ha detto:
Ogni focolare cristiano deve essere un’oasi di serenità in cui, al di sopra delle piccole contrarietà quotidiane, si avverte — come frutto di una fede reale e vissuta — un affetto intenso e sincero, una pace profonda.[11]
D’altronde chi vorrebbe vivere in una famiglia diversa da questa? Piuttosto ci può capitare di vivere in famiglie peggiori, ma non desiderando altro che una famiglia piena di amore e di pace.
San Josemaría continua chiarendo l’apporto che l’unione dei cuori, di una donna ed un uomo, nel matrimonio, ha un ruolo spirituale ed umano importante anche per la società, la comunità umana in cui esso esiste, si muove, ed in primo luogo per quella nuova cellula di comunità che proprio dal matrimonio prende origine, la famiglia:
“Il matrimonio è fatto perché quelli che lo contraggono vi si santifichino e santifichino gli altri per mezzo di esso: perciò i coniugi hanno una grazia speciale, che viene conferita dal sacramento istituito da Gesù Cristo. Chi è chiamato allo stato matrimoniale trova in esso, con la grazia di Dio, tutti i mezzi necessari per essere santo, per identificarsi ogni giorno di più con Gesù e per condurre verso il Signore le persone con cui vive.
“Gli sposi cristiani devono avere la consapevolezza di essere chiamati a santificarsi santificando, cioè a essere apostoli; e che il loro primo apostolato si deve realizzare nella loro casa. Devono capire l’opera soprannaturale che è insita nella creazione di una famiglia, nell’educazione dei figli, nell’irradiazione cristiana nella società. Dalla consapevolezza della propria missione dipende gran parte dell’efficacia e del successo della loro vita: la loro felicità.” [12]
L’identità della donna nella Chiesa
Se la donna, in ambito sociale e professionale, non può essere considerata inferiore all’uomo, è pur vero che non è bene che imiti l’uomo, perché così facendo rinuncerebbe alla propria identità, e quindi al suo ruolo. Anche nell’ambito della Chiesa si pone lo stesso problema.
Questo nostro tempo ci impone di ripensare i compiti dell’uomo e della donna riflettendo sulla complementarietà e la diversità, in modo adeguato all’oggi, ma rimanendo fedele alla differente natura, e quindi al progetto di Dio.[13]
Papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium riflette sulla necessità che ci sia più spazio per la donna nella società e nella Chiesa.
Nell’ Evangelii Gaudium leggiamo:
La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica.
Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Perché «il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo» e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali.
Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere.
Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale «ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità». Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri».
Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi. Anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera “gerarchica”, occorre tenere ben presente che «è ordinata totalmente alla santità delle membra di Cristo». Sua chiave e suo fulcro non è il potere inteso come dominio, ma la potestà di amministrare il sacramento dell’Eucaristia; da qui deriva la sua autorità, che è sempre un servizio al popolo. Qui si presenta una grande sfida per i pastori e per i teologi, che potrebbero aiutare a meglio riconoscere ciò che questo implica rispetto al possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa.[14]
Già Giovanni Paolo II, nell’introduzione alla Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem, del 1988, si esprime così:
La dignità della donna e la sua vocazione – oggetto costante della riflessione umana e cristiana – hanno assunto un rilievo tutto particolare negli anni più recenti. Ciò è dimostrato, tra l’altro, dagli interventi del Magistero della Chiesa, rispecchiati in vari documenti del Concilio Vaticano II, il quale afferma poi nel Messaggio finale: «Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. E’ per questo che, in un momento in cui l’umanità conosce una così profonda trasformazione, le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l’umanità a non decadere»(1). Le parole di questo Messaggio riassumono ciò che aveva già trovato espressione nel Magistero conciliare, specie nella Costituzione pastorale Gaudium et spes e nel Decreto su ll’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem.[15]
Il Santo Padre G.P. II è attento a specificare anche il ruolo sacerdotale, regale e profetico della donna (come dell’uomo, d’altronde) nella Chiesa e nella storia, quella storia in cui ognuno di noi è immerso, sempre; storia personale, ma anche universale:
Il Concilio Vaticano II ha rinnovato nella Chiesa la coscienza dell’universalità del sacerdozio. Nella Nuova Alleanza c’è un solo sacrificio e un solo sacerdote: Cristo. Di questo unico sacerdozio partecipano tutti i battezzati, sia uomini che donne, in quanto devono «offrire se stessi come vittima viva, santa, a Dio gradita (cf. Rm 12, 1), dare in ogni luogo testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendere ragione della loro speranza della vita eterna (cf. 1 Pt 3, 15)»(51). La partecipazione universale al sacrificio di Cristo, in cui il Redentore ha offerto al Padre il mondo intero, e, in particolare, l’umanità, fa sì che tutti nella Chiesa siano «un regno di sacerdoti» (Ap 5, 10; cf. 1 Pt 2, 9), partecipino cioè non solo alla missione sacerdotale, ma anche a quella profetica e regale di Cristo Messia. Questa partecipazione determina, inoltre, l’unione organica della Chiesa, come Popolo di Dio, con Cristo. … Ciò riguarda tutti nella Chiesa, le donne come gli uomini, e riguarda ovviamente anche coloro che sono partecipi del «sacerdozio ministeriale»(52), che possiede il carattere di servizio. Nell’ambito del «grande mistero» di Cristo e della Chiesa tutti sono chiamati a rispondere – come una sposa – col dono della loro vita all’ineffabile dono dell’amore di Cristo, che solo, come redentore del mondo, è lo Sposo della Chiesa. Nel «sacerdozio regale», che è universale, si esprime contemporaneamente il dono della Sposa.[16]
Sembra l’annunzio di un cambiamento che impiegherà un tempo per realizzarsi.
Nel frattempo noi donne cristiane possiamo interrogarci su noi stesse per cercare di “riposizionarci”.
Qual’è la strada che si apre davanti a noi, donne di oggi, per cooperare al progetto divino di essere noi stesse?
G.P. II dispiega la sua idea.
… la Chiesa nel mondo contemporaneo ci indica la strada da seguire nell’assumere i compiti relativi alla dignità della donna e alla sua vocazione, sullo sfondo dei mutamenti significativi per i nostri tempi. Possiamo affrontare tali mutamenti in modo corretto e adeguato solo se riandiamo ai fondamenti che si trovano in Cristo, a quelle verità e a quei valori «immutabili», di cui egli stesso rimane «testimone fedele» (cf. Ap 1, 5) e Maestro. Un diverso modo di agire condurrebbe a risultati dubbi, se non addirittura erronei e ingannevoli.[17]
… Sul fondamento del disegno eterno di Dio, la donna è colei in cui l’ordine dell’amore nel mondo creato delle persone trova un terreno per la sua prima radice. … Il passo della Genesi – riletto alla luce del simbolo sponsale [tra Cristo e le Chiesa] della Lettera agli Efesini – ci permette di intuire una verità che sembra decidere in modo essenziale la questione della dignità della donna e, in seguito, anche quella della sua vocazione: la dignità della donna viene misurata dall’ordine dell’amore, che è essenzialmente ordine di giustizia e di carità . … Se non si ricorre a quest’ordine e a questo primato, non si può dare una risposta completa e adeguata all’interrogativo sulla dignità della donna e sulla sua vocazione. Quando diciamo che la donna è colei che riceve amore per amare a sua volta, non intendiamo solo o innanzitutto lo specifico rapporto sponsale del matrimonio.
Intendiamo qualcosa di più universale, fondato sul fatto stesso di essere donna nell’insieme delle relazioni interpersonali, che nei modi più diversi strutturano la convivenza e la collaborazione tra le persone, uomini e donne. In questo contesto, ampio e diversificato, la donna rappresenta un valore particolare come persona umana e, nello stesso tempo, come quella persona concreta, per il fatto della sua femminilità. Questo riguarda tutte le donne e ciascuna di esse, indipendentemente dal contesto culturale in cui ciascuna si trova e dalle sue caratteristiche spirituali, psichiche e corporali, come, ad esempio, l’età, l’istruzione, la salute, il lavoro, l’essere sposata o nubile.
Il passo della Lettera agli Efesini che consideriamo ci permette di pensare ad una specie di «profetismo» particolare della donna nella sua femminilità. … Questa caratteristica «profetica» della donna nella sua femminilità trova la più alta espressione nella Vergine Madre di Dio. Nei suoi riguardi viene messo in rilievo, nel modo più pieno e diretto, l’intimo congiungersi dell’ordine dell’amore – che entra nell’ambito del mondo delle persone umane attraverso una Donna – con lo Spirito Santo. Maria ode all’annunciazione: «Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Lc 1, 35).
… La dignità della donna si collega intimamente con l’amore che ella riceve a motivo stesso della sua femminilità ed altresì con l’amore che a sua volta dona. Viene così confermata la verità sulla persona e sull’amore. … Il peccato delle origini non ha annullato questo ordine, non lo ha cancellato in modo irreversibile. …
La forza morale della donna, la sua forza spirituale si unisce con la consapevolezza che Dio le affida in un modo speciale l’uomo, l’essere umano. … e questo decide in particolare della sua vocazione. …
La donna è forte per la consapevolezza dell’affidamento, forte per il fatto che Dio «le affida l’uomo», sempre e comunque, persino nelle condizioni di discriminazione sociale in cui essa può trovarsi. Questa consapevolezza e questa fondamentale vocazione parlano alla donna della dignità che riceve da Dio stesso, e ciò la rende «forte» e consolida la sua vocazione. In questo modo, la «donna perfetta» (cf. Prv 31, 10) diventa un insostituibile sostegno e una fonte di forza spirituale per gli altri, che percepiscono le grandi energie del suo spirito.
A queste «donne perfette» devono molto le loro famiglie e talvolta intere Nazioni.[18]
Oggi non è più solo nell’ambito familiare e sociale che dovremo cercare il nostro ruolo, la nostra identità: come donne siamo chiamate ad agire, a prendere su di noi responsabilità molto più ampie che nel passato, poiché siamo regine, profetesse, sacerdotesse, per la nostra Chiesa.
Nella temperie culturale che ci circonda è facile perdersi, perdere il senso della vita, della dignità umana.
… Nella nostra epoca i successi della scienza e della tecnica permettono di raggiungere in grado finora sconosciuto un benessere materiale che, mentre favorisce alcuni, conduce altri all’emarginazione. In tal modo, questo progresso unilaterale può comportare anche una graduale scomparsa della sensibilità per l’uomo, per ciò che è essenzialmente umano.
In questo senso, soprattutto i nostri giorni attendono la manifestazione di quel «genio» della donna che assicuri la sensibilità per l’uomo in ogni circostanza: per il fatto che è uomo! E perché «più grande è la carità» (1 Cor 13, 13).
Pertanto, un’attenta lettura del paradigma biblico della «donna» – dal Libro della Genesi sino all’Apocalisse – conferma in che consistono la dignità e la vocazione della donna e ciò che in esse è immutabile e non perde attualità, avendo il suo «ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli»(61). Se l’uomo è affidato in modo speciale da Dio alla donna, questo significa che da lei Cristo si attende il compiersi di quel «sacerdozio regale» (1 Pt 2, 9), che è la ricchezza da lui data agli uomini. Questa stessa eredità Cristo, sommo ed unico sacerdote della nuova ed eterna Alleanza e Sposo della Chiesa, non cessa di sottomettere al Padre mediante lo Spirito Santo, affinché Dio sia «tutto in tutti» (1 Cor 15, 28). [19]
La Chiesa, dunque, rende grazie per tutte le donne e per ciascuna: per le madri, le sorelle, le spose; per le donne consacrate a Dio nella verginità; per le donne dedite ai tanti e tanti esseri umani, che attendono l’amore gratuito di un’altra persona; per le donne che vegliano sull’essere umano nella famiglia, che è il fondamentale segno della comunità umana; per le donne che lavorano professionalmente, donne a volte gravate da una grande responsabilità sociale; per le donne «perfette» e per le donne «deboli» per tutte: così come sono uscite dal cuore di Dio in tutta la bellezza e ricchezza della loro femminilità; così come sono state abbracciate dal suo eterno amore; così come, insieme con l’uomo, sono pellegrine su questa terra, che è, nel tempo, la «patria» degli uomini e si trasforma talvolta in una «valle di pianto»; così come assumono, insieme con l’uomo, una comune responsabilità per le sorti dell’umanità, secondo le quotidiane necessità e secondo quei destini definitivi che l’umana famiglia ha in Dio stesso, nel seno dell’ineffabile Trinità.
La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del «genio» femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e Nazioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne nella storia del Popolo di Dio, per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speranza e carità: ringrazia per tutti i frutti di santità femminile.[20]
Preghiamo, allora, perché la Chiesa ci aiuti nella costruzione di un’identità femminile davvero piena ed efficace, affinché possiamo sentirci amate, accolte, realizzate nella vita di fede, e perchè la società intorno a noi possa ricevere quella luce, la nostra piccola luce, il po’ di lievito e il pizzico di sale indispensabili che Gesù ci raccomanda di essere, affinché coloro che vivono intorno a noi “vedendo le nostre opere buone glorifichino il Padre vostro.”[21]
E speriamo anche in un approfondimento teologico di quell’aspetto materno e femminino di Dio stesso; ché, se egli non lo possedesse, non sarebbe giustificata l’esistenza di un essere femminile, a Sua immagine e somiglianza.
Maria Laura d’Acunto
Workshop romano 2014 (24-27 aprile)
“Identità e Relazioni”
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[1] Ivi, punto 31
[1] Dal vangelo di Matteo, c. 5, vv. 13- 16: “ 13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.”
[1]Giovanni Paolo II in Mulieris Dignitate, punto 6.: Dobbiamo collocarci nel contesto di quel «principio» biblico, in cui la verità rivelata sull’uomo come «immagine e somiglianza di Dio» costituisce l’immutabile base di tutta l’antropologia cristiana. «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27). Questo passo conciso contiene le verità antropologiche fondamentali: l’uomo è l’apice di tutto l’ordine del creato nel mondo visibile – il genere umano, che prende inizio dalla chiamata all’esistenza dell’uomo e della donna, corona tutta l’opera della creazione -; ambedue sono esseri umani, in egual grado l’uomo e la donna, ambedue creati a immagine di Dio. Questa immagine e somiglianza con Dio, essenziale per l’uomo, dall’uomo e dalla donna, come sposi e genitori, viene trasmessa ai loro discendenti: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela» (Gen 1, 28). Il Creatore affida il «dominio» della terra al genere umano, a tutte le persone, a tutti gli uomini e a tutte le donne, che attingono la loro dignità e vocazione dal comune «principio»… Nella lingua biblica questo nome [donna] indica l’essenziale identità nei riguardi dell’uomo: ‘is – ‘issah, cosa che in generale le lingue moderne non possono purtroppo esprimere. «La si chiamerà donna (‘issah), perché dall’uomo (‘is) è stata tolta» (Gen 2, 23).
[2] Genesi, cap. 3, v. 16: “Alla donna disse: <<Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli.Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà.>>”
[3] Su questa scia, e mai come in questo momento storico in Occidente, si è avuta una grande proliferazione di omosessuali, come sintomo e risultato di una profonda crisi d’identità personale, sociale e spirituale. Oggi, dopo secoli di moralismi, discriminazioni e intolleranza verso i soggetti deboli della società, ovvero donne, bambini e “diversi”, in tanti rivendicano il diritto all’amore, come sia, e in qualunque modo. Ma le persone “normali” come si pongono? Si può veramente proporre la propria “normalità” in modo efficace, senza ferire o offendere, in modo non conflittuale ma propositivo, e quindi, vincente?
[4] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, punto 251: “Nel rapporto tra famiglia e lavoro, una speciale attenzione va riservata al lavoro della donna in famiglia, il cosiddetto lavoro di cura, che chiama in causa anche le responsabilità dell’uomo come marito e come padre. Il lavoro di cura, a cominciare da quello della madre, proprio perché finalizzato e dedicato al servizio della qualità della vita, costituisce un tipo di attività lavorativa eminentemente personale e personalizzante, che deve essere socialmente riconosciuta e valorizzata, anche mediante un corrispettivo economico almeno pari a quello di altri lavori. Nello stesso tempo, occorre eliminare tutti gli ostacoli che impediscono agli sposi di esercitare liberamente la loro responsabilità procreativa e, in particolare, quelli che costringono la donna a non svolgere pienamente le sue funzioni materne.”
[5] Ivi, punto 213 :“La famiglia, comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana, contribuisce in modo unico e insostituibile al bene della società. La comunità familiare, infatti, nasce dalla comunione delle persone: « La “comunione” riguarda la relazione personale tra l’“io” e il “tu”. La “comunità” invece supera questo schema nella direzione di una “società”, di un “noi”. La famiglia, comunità di persone, è pertanto la prima “società” umana.
Una società a misura di famiglia è la migliore garanzia contro ogni deriva di tipo individualista o collettivista, perché in essa la persona è sempre al centro dell’attenzione in quanto fine e mai come mezzo. È del tutto evidente che il bene delle persone e il buon funzionamento della società sono strettamente connessi « con una felice collocazione della comunità coniugale e familiare ». Senza famiglie forti nella comunione e stabili nell’impegno, i popoli si indeboliscono. Nella famiglia vengono inculcati fin dai primi anni di vita i valori morali, si trasmette il patrimonio spirituale della comunità religiosa e quello culturale della Nazione. In essa si fa l’apprendistato delle responsabilità sociali e della solidarietà.”
Ed ancora: “214: Va affermata la priorità della famiglia rispetto alla società e allo Stato. La famiglia, infatti, almeno nella sua funzione procreativa, è la condizione stessa della loro esistenza. Nelle altre funzioni a vantaggio di ciascuno dei suoi membri essa precede, per importanza e valore, le funzioni che la società e lo Stato devono svolgere. La famiglia, soggetto titolare di diritti inviolabili, trova la sua legittimazione nella natura umana e non nel riconoscimento dello Stato.
Essa non è, quindi, per la società e per lo Stato, bensì la società e lo Stato sono per la famiglia.
Ogni modello sociale che intenda servire il bene dell’uomo non può prescindere dalla centralità e dalla responsabilità sociale della famiglia. La società e lo Stato, nelle loro relazioni con la famiglia, hanno invece l’obbligo di attenersi al principio di sussidiarietà. In forza di tale principio, le autorità pubbliche non devono sottrarre alla famiglia quei compiti che essa può svolgere bene da sola o liberamente associata con altre famiglie; d’altra parte, le stesse autorità hanno il dovere di sostenere la famiglia assicurandole tutti gli aiuti di cui essa ha bisogno per assumere in modo adeguato tutte le sue responsabilità.472
[6] E quindi al miglioramento della società umana.
[7] Colloqui, 93
[8] Lettera agli Efesini, cap. 5, vv 22-33
[9] Gli altri passi di san Paolo sulla donna: 1Tim c. 2, v.12; Col. c. 3, 18; Tito c. 2, 5; 1Corinzi c. 14, 34; 1 Corinzi c. 11,7-8; 1Corinzi c. 14,35; Efesini c. 5,22;
[10] Colloqui, 108
[11] È Gesù che passa, 22
[12] Colloqui, 91
[13] Dai mie appunti sulla lezione di T. Comoretto data in Roma nel Centro Convegni di Casalmentano, 8 dicembre 2013: Il gender.
[14] Evangelii Gaudium , punti 103-104; e confronta con [14] Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem : Anche se la Chiesa possiede una struttura «gerarchica», tuttavia tale struttura è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo. La santità poi si misura secondo il «grande mistero», in cui la Sposa risponde col dono dell’amore al dono dello Sposo, e questo fa «nello Spirito Santo», poiché «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato» (Rm 5, 5). Il Concilio Vaticano II, confermando l’insegnamento di tutta la tradizione, ha ricordato che nella gerarchia della santità proprio la «donna», Maria di Nazareth, è «figura» della Chiesa. Ella «precede» tutti sulla via verso la santità; nella sua persona «la Chiesa ha già raggiunto la perfezione, con la quale esiste immacolata e senza macchia (cf. Ef 5, 27)
[15] Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, introduzione
[16] Ivi, Punto 27
[17] Ivi, punto 28
[18] Ivi, punto 30
[19] Ivi, punto 30
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