La donna, madre nel nuovo millennio
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Intervista al Prof. Giuseppe Noia
Professore di Medicina dell’età prenatale,
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università
Cattolica del Sacro Cuore – Roma.
Domanda: La rivoluzione dei costumi sociali ha portato alla riformulazione del ruolo dell’uomo e
della donna all’interno della coppia e alla rielaborazione delle reciproche identità. Se si dovesse tracciare un profilo identitario della donna madre del nuovo millennio, pur nella molteplicità delle diverse sfaccettature, quale sarebbe?
G. Noia: Una donna madre più consapevole, più informata e più determinata, ma molto più insicura, con molte più paure, incertezze e purtroppo più sola dinanzi agli eventi interni ed esterni della famiglia. È con dispiacere che traccio questo profilo identitario, ma è la verità di 30 anni della mia esperienza come osservatore privilegiato della donna, della coppia e della famiglia.
D: La vita umana inizia dal momento della fecondazione dell’ovulo. Perché dunque si rivendica più frequentemente la libertà della donna di praticare l’aborto senza riconoscere all’embrione alcun
diritto alla vita?
“L’essenziale è invisibile agli occhi del corpo…”, leggiamo nel Piccolo Principe. Questo essenziale (il figlio) è stato criptato agli occhi del cuore delle donne (le madri) attraverso una costante e sottile pervasione e persuasione culturale, che ha usato non solo mistificazioni scientifiche ma anche slogan mediatici per enfatizzare un falso concetto di libertà: la libertà di scelta (l’autodeterminazione) di non far vivere “il più povero tra i poveri” (Madre Teresa di Calcutta), il più debole, il più piccolo, l’embrione, il figlio. Esso viene privato del diritto fondamentale, il diritto alla vita, pur avendo tre caratteristiche che sul piano scientifico, filosofico e antropologico ne fondano incontestabilmente la sua individualità umana e il concetto di persona: è un protagonista («L’embrione è un attivo direttore d’orchestra del suo impianto e del suo destino futuro», esprime aspetti relazionali, biologici
e psicodinamici oggi universalmente riconosciuti (S. Mancuso, La prima casa, Poletto Editore, 2009);
può essere curato in utero anche in epoche precoci come un paziente adulto con terapie invasive e non
invasive (G. Noia et al., Terapie fetali invasive, Società Editrice Universo, 1998).
D: Il corpo della donna è stato creato per generare la vita. Quando la donna decide di abortire
sopprimendo la vita che si sta sviluppando nel suo grembo, che cosa si scatena in lei?
Si scatena una innaturale narcosi del cuore che vede innaturalmente nel figlio un nemico: nella
chiusura interiore più tragica della storia dell’umanità perché è la più grande menzogna che va
a distruggere quell’essenziale che non è solo la vita del bimbo, ma anche la progettualità, la speranza,
il futuro. Molti studi scientifici hanno dimostrato che la simbiosi tra figlio e madre inizia fin da subito. Helen Pearson (Your destiny from day one, Nature 2002) dimostra che il destino di ciascuno di noi è iscritto tutto nel momento in cui l’embrione è allo stadio unicellulare (zigote) e che dopo l’impianto c’è una crescita enorme di relazioni tra il figlio e la madre talmente intima da arrivare intorno al 7°-8° mese al momento in cui madre e figlio fanno gli stessi sogni. Nella cultura attuale non si percepisce questa grande tragedia umana: «Quando una madre
uccide il proprio figlio uccide la propria coscienza» (Madre Teresa di Calcutta).
D: Una paura che nasce da una mancanza di fede in Dio, un’assenza di valori etici, una mancata
educazione affettiva, una consapevolezza delle donne di rimanere sole e quindi prive di un necessario supporto economico, affettivo e sociale, secondo Lei sono dei motivi sufficienti per indurre la donna a sopprimere un essere umano? Quali le conseguenze psicologiche di questo gesto?
Non c’è e non ci sarà mai un motivo sufficiente per sopprimere un essere umano e a maggior ragione
se è un figlio. Non si può eliminare il sofferente pensando di eliminare la sofferenza. Queste considerazioni non si basano solo sugli insegnamenti di Gesù ma sono così profondamente radicate nella dimensione umana, hanno radici così intime nel cuore umano di tutti credenti e non credenti, che le conseguenze psicologiche, gravissime, sono state evidenziate anche da osservazioni non confessionali: depressioni bipolari fino a 3 volte superiori (Ferguson et al.), tendenze al suicidio fino a 7 volte di più (Gissler), crisi di autolesionismo fino a 5 volte di più (Elliott Institute), dipendenza da alcool o droga fino a 6 volte di più (Goodwin), perdita di capacità gestazionale successiva fino a nove volte di più (Walfer). CONTINUA
Angela G. Colicchio
British Medical Journal
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