La data esatta del Natale
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La data del Natale. La data di nascita di Gesù si ricava dal Vangelo stesso, sia pure indirettamente. È Giovanni evangelista che s’incarica di farci capire che Gesù dovette aver parlato almeno ai suoi intimi della ricorrenza in calendario del Suo giorno natale. Per loro, quella speciale confidenza, alla luce degli eventi successivi, dovette risultare quanto mai ricca di senso profetico. Infatti, già in occasione della prima Pasqua del Suo ministero pubblico, Gesù aveva apertamente alluso al Suo Corpo Santissimo come al vero Tempio, all’autentico e supremo Santo dei Santi consacrato al culto divino105, che sarebbe stato distrutto e ricostruito (tre anni più tardi), con la Sua Passione, morte e resurrezione106. Quelle parole dovevano risultare di immediata comprensione per i discepoli che le ascoltarono (o conobbero), anche nelle loro immediate implicazioni di calendario: doveva cioè apparire assolutamente evidente, a Giovanni evangelista ed agli altri intimi di Gesù, che Egli in tanto poteva omologare simbolicamente il Suo corpo al Tempio di Gerusalemme, in quanto era nato proprio nel giorno solenne della Dedicazione del Tempio medesimo, e quindi a maggior ragione poteva considerare quel sacro edificio come figura materiale del Suo stesso Corpo.
Dobbiamo ora ricordare che la festa della Dedicazione del Tempio (in greco Encenie, in ebraico Hanukkàh) ricorreva e ricorre tuttora il 25 del mese lunare di Kislew (che cade regolarmente a cavallo fra Novembre e Dicembre); questa era ed è per gli Ebrei una delle più solenni festività religiose, istituita da Giuda Maccabeo nel 165 a.C., nell’intento di commemorare la rinnovata consacrazione del Tempio, operata per rimediare alle profanazioni perpetratevi da Antioco IV Epifane, empio persecutore degli ebrei107.
Bisogna tener presente che nel contesto culturale di allora era generalmente invalso il convincimento che dal giorno natale si traessero gli auspici di tutta la vita di ciascuno108; nel caso di Gesù, il presagio profetico che si poteva ricavare dal Suo giorno di nascita era che anch’Egli sarebbe andato incontro ad una profanazione e ad una riconsacrazione, hi altri termini, i luoghi giovannèi ci lasciano intendere che come il Tempio composto di pietre era stato profanato da Antioco Epifàne e rapidamente di nuovo consacrato da Giuda Maccabeo il 25 kaslew del 165 a.C., così pure il Tempio edificato con le membra del Signore il 25 kaslew del Suo anno natale era predestinato ad essere profanato con la Passione e la morte di Gesù e subito riconsacrato con la Resurrezione del Cristo. Possiamo quindi ammettere che essendo venuto al mondo in una data tanto significativa, Gesù non potè aver taciuto una tale circostanza ai Suoi Apostoli, amici e discepoli. Riesce perciò difficile credere che gli Apostoli e discepoli Suoi, missionarì in Occidente ed a Roma, non abbiano divulgato anche nell’Urbe tale prezioso dettaglio cronologico, particolarmente significativo agli occhi dei cristiani di nazionalità ebraica. Sappiamo peraltro che la consuetudine liturgica di celebrare la festività del Natale in data 25 dicembre si affermò prima a Roma ed in Occidente e solo dopo anche in Oriente.
Non possiamo nemmeno tacere che molte rivelazioni private forniscono esplicita conferma della data di nascita del Signore, che a noi peraltro appare sufficientemente inferita già dai citati luoghi del Vangelo di Giovanni. L’opera sul Vangelo di Maria Valtorta attesta infatti, in svariati punti, che Gesù, morto nella primavera successiva al compimento dei 33 anni, è nato verso la mezzanotte del 25 kaslew, giorno della festa ebraica della Dedicazione del Tempio di Gerusalemme.
[Gesù istruisce a Bethlehem alcuni apostoli]: «…Amici: qui la notte del 25 diEn-cenie, dalla Vergine nacque Gesù Cristo, l’Emmanuele, il Verbo di Dio fatto Carne per amore dell’uomo: Io che vi parlo… »109.
[Gesù a Pietro]: «Io sono una lampada accesa… e vorrei che tali foste voi pure. Sono VEncenia sempiterna, Pietro. Lo sai che sono nato proprio il ventìcinque di Casleu?»m.
[Maria al sepolcro di Gesù]: « …Sarò al suo fianco, ma in ginocchio. Vi fili quando Egli vagiva, tenero e roseo, in una notte decembrìna. Vi sarò ora in questa notte del mondo che non ha più il Cristo. Oh! Vera notte! La luce non è più… O gelida notte! L’Amore è morto! (…) Quanto freddo! Quanto! Io ne tremo tutta. Più di quella notte dì dicembre. Allora c’era la gioia dell’averti a scaldarmi il cuore. … »U1.
[Lazzaro si rivolge a Gesù]: «Tu sei nato mentre Betlemme ardeva per una lontana Encenie.y>in.
[Il pastore Elia descrive la sua esperienza della notte di Natale]: « …E l’angelo disse: “E nato il Salvatore.” Era la notte piena. E pieno di stelle era il ciclo… »113.
La grande stimmatizzata bavarese Teresa Neumann conobbe l’ora esatta della nascita di Gesù:
All’incirca alle 11 dì notte Maria andò in estasi (…). Il divino Bambino lasciò il grembo della Madre a mezzanotte114.
Per individuare l’anno di nascita di Gesù, basta scalare a ritroso di 33,3 anni circa, a partire dalla data della Sua morte (venerdì 7 aprile e 14 nisan del 30) fino alla data della Sua nascita; in tal modo si perviene al 25 kaslew del 5 a.C.
Dobbiamo allora procedere a determinare la data giuliana corrispondente al 25 kaslew del 5 a.C. A tale scopo occorre preliminarmente individuare quando cadde, nell’anno 5 a.C., la data ebraica dell’I nisan. Secondo il dato registrato da Ginzel -che è riportato anche da Bickerman (ed è espresso nel tempo medio locale di Greenwich, secondo il calendario giuliano convenzionale ed in giorni astronomici che hanno inizio a mezzogiorno)- in quell’anno vi tu un novilunio in data IV (aprile) 6,20115.
Poiché l’equinozio primaverile cadde quell’anno, secondo il calendario giuliano convenzionale degli astronomi, di giovedì 23 marzo, questo valore temporale del 6,20 aprile va assegnato al novilunio di Nisan del 5 a.C., poiché cade entro il campo di variabilità, definito nell’intorno del giorno equinoziale di Primavera, come abbiamo spiegato nel capitolo ffl.
Tenuto conto dei due bisesti che all’epoca risultavano intercalati in eccesso a Roma, tale valore, nel calendario giuliano vero in uso nell’Urbe, equivale a IV4,20. Per convertire detto valore, espresso in centesimi di giorno, nel tempo medio locale di Gerasalemme, lo esprimiamo dapprima in ore, minuti e secondi, onde diviene IV 4 a 4h48m. Successivamente vi aggiungiamo +2h20m55s per coprire la differenza temporale media corrispondente al divario di longitudine terrestre esistente fra Greenwich e Gerasalemme. (Data l’ora del giorno, non occorre invece, praticamente, provvedere alla correzione di parallasse necessaria per trovare il satellite nella stessa posizione di fase di Greenwich, osservandolo però a Gerasalemme). Per formulare in giorni romani -che hanno inizio a mezzanotte- l’ultimo valore sopra ottenuto, vi aggiungiamo ancora 12h. Si perviene infine, come momento del novilunio, al 4 aprile a 19h08m558. È questa finalmente l’ora della congiunzione Luna-Sole di Nisan 5 a.C. (che seguì di poco il tramonto del Sole), espressa nel tempo medio locale di Gerasalemme, nel calendario giuliano vero dell’Urbe ed in giorni romani.
Pertanto, l’esile falce della nuova luna di Nisan dovette sicuramente osservarsi nel ciclo di Gerasalemme durante il crepuscolo vespertino del 6 aprile. Tuttavia, potremmo ancora chiederci se già entro le 20 circa del 5 aprile 5 a.C., dalle coordinate terrestri della capitale della Giudea, si poteva osservare il primo filetto della luna di Nisan. Abbiamo infatti già considerato, nel capitolo M, che, in condizioni favorevoli di osservabilità meteorologica ed astronomica (ciclo particolarmente terso, orizzonte libero da nuvole e foschìa, determinazione accurata, precisata mediante calcolo, del sito del cielo dove dovrebbe stagliarsi la prima falce crescente di luna, etc…) è possibile talora osservare la falce della
già un solo giorno dopo il novilunio. Una possibilità del genere, in cui gli esperti cronologisti del Tempio si erano verosimilmente già imbattuti in precedenza, magari consultando i registri delle osservazioni passate, poteva efficacemente concorrere a giustificare la decisione di far iniziare 1′ 1 nisan alla sera del 5 aprile. Per di più, allo stesso risultato si perveniva adottando semplicemente il calendario calcolato, secondo cui il primo tramonto immediatamente successivo alla ricorrenza del novilunio (tanto vero, quanto mediano) era proprio quello del 5 aprile.
Ma, più ancora, va tenuta presente l’usanza sadducaica allora vigente e sostenuta dai sacerdoti del potente casato di Boeto, che mirava a far cadere la Pentecoste (6 siwan) sempre di domenica, ricorrendo, a tal uopo, anche all’anticipazione od al ritardo di un giorno dell’I nisan, in modo che questo cadesse di sabato anche quando l’apparizione della prima falce della nuova luna di Nisan era prevista per la sera in cui iniziava, rispettivamente, una domenica od un venerdì.
Orbene, nell’anno 5 a.C. il 6 aprile giuliano vero (corrispondente all’8 a-prile giuliano convenzionale) cadeva di sabato: facendovi allora corrispondere l’I nisan (con inizio al tramonto del venerdì 5 aprile giuliano vero) si otteneva che la Pasqua (15 nisan) cadesse parimenti di sabato e la successiva Pentecoste (6 siwan) cadesse di domenica, secondo il criterio caro ai Sadducei. È quindi praticamente certo che, in queir anno, l’I nisan fu fatto iniziare dai sacerdoti del Tempio^alla sera del 5 aprile: possiamo allora, per brevità, considerarlo omologo al 6 aprile .
Fatto conto delle durate fisse dei successivi mesi ebraici e giuliani, si ricava senza difficoltà che il 25 kaslew (giorno in cui, alle ore O circa, ebbe natale il Signore) del 5 a.C. si omologava alla data giuliana vera di domenica 22 dicembre117, coincidente con la data giuliana convenzionale di domenica 24 dicembre, primo giorno successivo al solstizio d’Inverno. A conferma del fatto che il Natale cadde proprio in questo giorno della settimana, cercando nell’ampio panorama della rivelazione privata, troviamo che tanto la beata Anna-Catharina Emmerick118, quanto la nostra contemporanea spagnola Consuelo119, affermano concordemente che il giorno prima della nascita di Gesù era un sabato, da intendere, ovviamente, secondo l’uso ebraico, che fa iniziare il giorno al tramonto120.
Bisogna poi tener presente che all’ora in cui nacque Gesù, in tutte le località poste ad Ovest di Betlemme, nelle quali l’inizio del giorno e conscguentemente il passaggio di data avvenivano a mezzanotte (a Roma, per esempio), non era ancora cominciata la domenica. In particolare, alla mezzanotte del 25 kislew 5 a.C. (ora di Betlemme-Gerusalemme), a Roma erano ancora le 22h29m di sabato 23 dicembre secondo il calendario giuliano convenzionale ovvero di sabato 21 dicembre secondo il calendario giuliano vero.
Dobbiamo ora chiederci per quali vie la data ebraica del 25 kislew sia stata recepita in Occidente come 25 dicembre. C’è allora da dire che l’assetto raggiunto dal sistema calendariale ebraico, mediante la collocazione dell’inizio del Capodanno nell’intorno del punto Omega (nel modo che abbiamo visto al capitolo DI),
produceva al tempo di Gesù una conseguenza del massimo interesse. Nella prima metà del primo secolo d.C. il Sole si congiungeva col primo punto di Bilancia, prevalentemente, il 25 settembre. Quando pertanto era prevedibile la circostanza ideale (rara ed eccezionale), per cui il Capodanno o Ros-ha-sanàh (= 1 Tisri, scandito dall’apparizione serotina della prima falce lunare crescente, poco dopo il tramonto) sarebbe iniziato proprio col disco solare sovrapposto al punto Omega, allora questa speciale occorrenza astronomica poteva essere anticipatamente predisposta in calendario, facendo cadere il primo di Nisan 177 giorni prima di essa , ossia, con riferimento al calendario giuliano, 177 giorni prima del 25 settembre. Ma contando 177 giorni prima del 25 settembre si perviene alla data dell’ 1 Aprile, che, affinchè fosse verificata la particolare combinazione in esame, doveva coincidere con 1′ 1 Nisan.
La trasposizione liturgica del Natale del Signore alla data giuliana del 25 dicembre trae allora una prima giustificazione dalla specialissima relazione di corrispondenza fra il mese solare di Aprile ed il mese lunare di Nisan (entrambi di 30 giorni), sussistente al tempo di Gesù e del Suo primo Vicario Pietro. Da essa derivano tutte le altre corrispondenze di calendario, fra mesi ebraici e giuliani, compresa quella fra Kaslew e Dicembre e, per conseguenza, fra 25 kaslew e 25 dicembre.
Nel 42 d.C. Pietro, primo e sommo Pontefice della Chiesa universale, lasciò Gerusalemme per sfuggire alla persecuzione di Erode Agrippa I, nella quale aveva subito il martirio per decapitazione l’apostolo Giacomo il maggiore (figlio di Zebedeo e fratello di Giovarmi evangelista). Dopo un breve soggiorno ad Antio-chia, di cui fu pure il primo vescovo, egli giunse a Roma, probabilmente nell’anno 43. Qui egli si trovò di fronte al problema di dare regola liturgica al calendario della comunità dei primi cristiani dell’Urbe, fra quali molti erano gli ebrei, ma più numerosi ancora erano i convcrtiti provenienti dai Gentili, i quali utilizzavano il calendario giuliano. Noi crediamo che già sotto il pontificato di Pietro l’esigenza di fornire norma organica al calendario ecclesiastico della Sede romana venne precocemente e rapidamente soddisfatta ricorrendo, per le feste fisse, alle identificazioni mensili fisse che scaturivano tutte da quella ideale fra Aprile e Nisan122. Queste infatti codificavano e cristallizzavano una condizione di ideale e perfetta corrispondenza fra i due calendari che occorreva in certo modo contemperare: quello solare giuliano dei Gentili cristiani di Roma e quello lunisolare degli Ebrei cristiani.
Sappiamo peraltro che Pietro fu sempre molto sensibile alla necessità di conciliare le esigenze delle due comunità cristiane. È altamente probabile che sia stato proprio il primo Vicario del Signore a fissare la festività del Natale al 25 dicembre, in primo luogo perché nessuno meglio di lui poteva conoscere in Roma la data ebraica esatta del Natale (25 kaslew), poi perché nessuno più di lui poteva avere autorità per dare norma al calendario ecclesiastico. Quando perciò la Chiesa di Roma, guidata da Pietro apostolo fino al momento del suo martirio, si pose il problema di impostare nel calendario giuliano-ecclesiastico la data del Natale del Signore, per poterla celebrare come festività liturgica di cristiani non provenienti dal giudaismo, a tutta prima non avrebbe potuto fare di meglio che ricorrere ad una delle ideali e perfette corrispondenze mensili, trasponendo in maniera del tutto automatica la data ebraica del 25 kislew in quella giuliana del 25 dicembre.
Ma vi ha di più: oltre alle ideali corrispondenze fra mesi dell’uno e dell’altro calendario, allo scopo di individuare la data giuliana corrispondente a quella ebraica del Natale di Gesù, i responsabili della Chiesa di Roma avevano a disposizione uno strumento facile ed immediato: il ciclo metonico. Questo ciclo, come abbiamo visto, è basato sulla corrispondenza quasi esatta fra 19 anni solari tropici e 235 lunazioni; tale pari durata comportava che tutte le date del calendario ebraico, trascorsi 19 anni solari, tornavano a presentarsi in corrispondenza delle medesime date giuliane di 19 anni prima, tutt’al più con uno scarto di un solo giorno, di anticipo o ritardo, imputabile alla grande variabilità del moto lunare. Essendo Gesù nato nel 5 a.C., la data del 25 kislew di quell’anno poteva essere agevolmente determinata nel calendario dell’Urbe controllando a quale data giuliana di 19 o di 38 o di 57 anni dopo essa sarebbe andata a corrispondere. Trascurando perciò una verifica da farsi nel 15 d.C. (perché Gesù era ancora a Nazareth) o nel 34 (perché gli Apostoli erano ancora tutti in Terrasanta), la prima occasione utile per effettuare la verifica sperimentale e visiva in questione si presentava, a Roma come ad Atene, Antiochia, Alessandria o Gerusalemme, nell’anno 53 d.C.
Potremmo anche chiederci se è accertato l’effettivo possesso da parte di qualche membro del collegio apostolico di questa specifica nozione di astronomia. Ebbene, è possibile rispondere affermativamente. Abbiamo infatti già ricordato che Paolo conosceva bene i Phaenomena di Arato di Soli, al punto da citarne un verso nel suo discorso tenuto presso i membri dell’Areopago di Atene. Ma siccome Arato nella sua opera fa espressa menzione del ciclo di 19 anni solari123, Paolo, da lettore attento di quel poema astronomico, non poteva ignorare l’esistenza del ciclo metonico. Possiamo anzi supporre che la verifica astronomica che stiamo ipotizzando possa essere stata concepita in occasione del primo concilio ecumenico, tenutosi a Gerusalemme, poco dopo il 50, con la presenza di tutti gli apostoli ancora in vita (solo Giacomo di Zebedeo aveva già subito il martirio) e con l’assistenza pneumatica di Maria Vergine, ancora presente in terra, la quale certamente serbava nel suo cuore il ricordo di tutte le date della vita di Gesù . In quella circostanza può essere stato concertato di confrontare i risultati delle osservazioni condotte a Roma con quelli posseduti e ricavati a Gerusalemme.
Comunque fosse, una prima e semplice verifica si poteva impostare già a tavolino: i 57 anni giuliani intercorrenti dal 25 dicembre 5 a.C. al 25 dicembre 53 erano infatti pari a 57*365 giorni ordinari + 14 giorni bisesti intercalari = 20819 giorni, mentre le corrispondenti lunazioni intercedenti fra il 25 kislew 5 a.C. ed il 25 kislew 53 dovevano presentare, in base al valor medio del mese lunare sinodico, una durata di 235x3x29,53059414 = 20819,0688687 giorni. Se quindi, anche a una verifica percettiva, si fosse osservata nel 53 la corrispondenza fra il 25 kaslew ed il 25 dicembre, allora sarebbe risultata acclarata ed incontrovertibile l’identica corrispondenza nell’anno di nascita del Signore.
Per determinare la data giuliana del 25 kaslew 53 occorreva osservare la comparsa della prima falce della luna di Nisan nel corso di quell’anno, giacché la regolazione del calendario ebraico veniva condotta, con l’intercalazione del mese supplementare, prima che iniziasse il Nisan. A quel tempo era ancora in piedi il Tempio di Gerusalemme, col suo manipolo di sacerdoti uranòscopi, che immaginiamo esperto di questioni di calendario, addestrato all’incombenza di osservare il ciclo ed attivo allo scopo di conoscere con sufficiente anticipo gli adempimenti liturgici da predisporre nel corso dell’anno. Presso il Tempio dovevano risultare disponibili le effemeridi lunari e le registrazioni delle osservazioni lunari condotte da molti anni fino a quella data, da custodire diligentemente, perché sempre utili per le impostazioni di calendario. A Gerusalemme era vescovo Giacomo il minore (figlio di Alfeo, fratello uterino di San Giuseppe), che, anche in qualità di congiunto del Signore, godeva di grandissima autorità presso gli ebrei cristiani; è possibile che almeno lui, in prima o per interposta persona, avesse accesso ai dati astronomici conservati negli archivi templari e potesse fornirne ragguagli ai cristiani, ebrei o gentili, della comunità di Roma. Infatti, già sulla scorta dell’andamento del calendario ebraico corrente, come pure dei dati osservati e calcolati, registrati e custoditi presso il Tempio, era possibile farsi un’idea assai precisa della data o delle date in cui occorreva procedere alla verifica astronomica in parola.
Nel corso del 53 la prima falce della Luna di Nisan si potè avvistare nel cielo di Roma (o di Gerusalemme) alla sera dell’8 aprile. In quell’anno si potè allora omologare l’I nisan col 9 aprile e, conscguentemente, il 25 kaslew col 25 dicembre125. La prima falce della Luna di Kislew si potè anche direttamente osservare alla sera del 30 novembre, consentendo, anche in questo caso, di omologare il 25 kislew col 25 dicembre120. In virtù di entrambe le osservazioni si poteva insomma pervenire a una corrispondenza fra 25 kislew e 25 dicembre, che venne perciò considerata realizzata, in forza del ciclo metonico, anche 57 anni prima, cioè proprio nell’anno di nascita di Gesù. (Per l’esattezza, come abbiamo visto, nel 5 a.C. il 25 kaslew risultò omologo al 24 dicembre giuliano convenzionale). NelP istituire e fissare per sempre in calendario questa corrispondenza, i calendaristi della Chiesa di Roma dovettero trovare naturale prescindere dalla correzione augustea (se pure ne ebbero contézza); questa infatti era servita a porre rimedio a degli errori di conduzione del calendario; per conseguenza, le date giuliane vere, usate nelPUrbe finché non fu completamente espletata la correzione del calendario voluta da Augusto, erano da considerare tutte affette da errore e quindi inadatte ad essere prese a riferimento per una data tanto solenne del calendario liturgico.
S. Ippolito romano già attesta, nel capitolo 23 del libro IV del suo Commentario a Daniele, scritto nel primo decennio del terzo secolo, che il giorno natale del Signore era il 25 dicembre. All’epoca di Ippolito si era quindi già da lungo tempo consolidata liturgicamente la trasposizione del 25 Kaslew ebraico nel 25 Dicembre giuliano.
È pure di rilievo che, cadendo in data 25 dicembre, la festività liturgica del Natale veniva anche a coincidere con la data in cui all’epoca si presumeva che, approssimativamente, ricorresse il solstizio d’Inverno127.
Come abbiamo dimostrato, nell’anno 5 a.C. in cui il Signore ebbe natale, il 25 kaslew s’omologò alla data giuliana convenzionale e prima datapostsolstizia-le di domenica 24 dicembre. Non può sfuggire il senso simbolico connesso a questo dato. Gesù è nato nel primo giorno in cui la durata del dì, trascorso il giorno solstiziale invernale, riprende ad aumentare., mentre la durata della notte comincia a calare; il Messia è quindi il Sole di Giustizia, la cui luce di amore e verità toma a guadagnare campo sulla Terra, proprio come fa la luce fisica del Sole che, appena trascorso il solstizio d’Inverno, si accinge a estendere il suo dominio sul mondo, respingendone via le tenebre128.
Peraltro un’autorevole conferma della data immediatamente postsolstizia-le della Natività sembra provenire direttamente da una manifestazione di Maria Santissima, riconosciuta come autentica dalla Chiesa cattolica. Sappiamo infatti che la straordinaria icona achiropoièta (non fatta da mano umana) della Vergine di Guadalupe, si è formata a Città del Messico su un tessuto grezzo di fibra locale in data 12 dicembre 1531, giorno solstiziale, sotto gli occhi stupefatti dell’indio (oggi beato) Juan Diego, del vescovo Zumàrraga e di pochi altri presenti. Ebbene, la Vergine vi è rappresentata con un dettaglio di abbigliamento tipico delle donne indie incinte, ossia con un fiocco nero legato alto in vita; inoltre la Sua figura appare interamente contornata di raggi di Sole, mentre sotto i suoi piedi compare una larga falce di luna; Ella è quindi effigiata come la Donna vestita di Sole di Apoc 12 che deve partorire. Per di più il Suo mantello azzurro appare punteggiato di stelle, che un’attenta ricognizione, condotta da qualificati astronomi messicani, ha potuto identificare come appartenenti alle costellazioni visibili nel ciclo di Città del Massico alla stessa data e persine disposte, con buona approssimazione, a distanze reciprocamente corrispondenti agli archi di ciclo effettivamente intercedenti fra di loro. Anche le costellazioni di appartenenza sono riconoscibili sul manto medesimo, con le loro particolari configurazioni129. La circostanza più singolare è poi che, fra le costellazioni non riprodotte sulla parte visibile del manto di Maria, ma da ritenere presenti sulla parte di manto retrostante alla figura della Vergine -in posizioni rigorosamente corrispondenti sul manto alle posizioni sulla volta celeste delle costellazioni contigue a quelle visibili sul manto- vi è pure il Leone, con la stella Regolo, la quale viene in tal modo a cadere proprio al centro del grembo di Maria, peraltro nitidamente contrassegnato da un fiore a quattro petali, il nahui ollin azteco, l’unico presente in tutta la tunica di broccato che Ella indossa130. La Vergine di Guadalupe è insomma Colei che reca in grembo ed è prossima a mettere al mondo il piccolo Re del ciclo, cioè il Sole di Giustizia, il quale già La innimba completamente dei Suoi raggi e quindi, durante la notte della data solstiziale d’Inverno, è ormai alla vigilia della sua Natività.
hi conclusione possiamo affermare che la profonda ed ispirata sapienza pontificale di Pietro, fissando la festa del Natale alla data giuliana del 25 dicembre e ottimizzandone così la trasposizione dal 25 kaslew ebraico, ci ha conservato e tramandato la seguente quintuplice, segreta ma intelligibile memoria (depositata come gemma luminosa -e tuttavia celata- fra le pieghe del calendario ecclesiastico):
1. della Natività del Signore nella ricorrenza della festa della Dedicazione del Tempio di Gerusalemme al 25 kislew;
2. della ideale e perfetta identità fra i mesi di Nisan e di Aprile e fra tutti gli altri rispettivi e susseguenti mesi dei calendarì ebraico e giuliano, verificabile rigorosamente solo nel tempo messianico di conversione131 e solo finché l’equinozio di Primavera rimase in data 23 marzo;
3. della diretta corrispondenza 25 dicembre – 25 kaslew riscontrata nel 53 ed attribuita retrospettivamente alla data di nascita del Signore;
4. della nascita del Messia in un anno in cui la grande festa ebraica di Hanukkah, cadde nella prima data postsolstiziale (ossia nell’anno 749 di Roma, computato secondo l’era varroniana, corrispondente al 5 a.C.132);
5. della nascita del Redentore nello stesso giorno settimanale della Sua Resurrezione.
Nel fare ricorso ad un triplice ciclo di 19 anni, per definire la data giuliana del Natale, Pietro finì col giovarsi, all’atto pratico, dell’antico ciclo numano di 57 anni, di cui abbiamo trattato sopra e che stava a fondamento dell’antico calendario lunisolare dell’Urbe, nel periodo monarchico e forse nei primi due secoli della repubblica. L’apostolo, anche in questo particolare, si mostra erede legittimo e autorevole dell’arcaica sapienza calendrica e sacerdotale dei Pontefici massimi della prisca Roma, che egli recupera e valorizza alla luce del mandato ricevuto dal Signore (“onde anche Cristo è romano”!). Il primo Vicario di Cristo è la prima pietra su cui poggia il calendario giuliano-ecclesiastico. Questo peraltro è un calendario alquanto singolare, poiché è contemporaneamente lunisolare in rapporto all’insieme delle feste mobili e solare, per tutte le feste fisse in esso comprese. Anch’esso, quindi, al pari dell’antico calendario numano, ma per una diversa ragione e con una diversa articolazione strutturale, può comunque definirsi un calendario lunisolare-solare.
Occorre prestare attenzione alla circostanza per cui la festività del Natale, pur derivando anch’essa, come la Pasqua, da una data del calendario lunisolare ebraico, non è stata considerata festa mobile, come la Pasqua, ma già dal Sommo Pontefice Pietro (a nostro avviso) è stata inserita come festa fissa nel calendario giuliano-ecclesiastico. Ciò deriva proprio dalla disposizione strettamente perisol-stiziale della data di nascita di Gesù. Abbiamo infatti visto che nell’intorno del solstizio il Sole, per circa una decina di giorni non muta quasi i suoi punti di levata e d’occaso e resta quindi come fisso sull’orizzonte all’atto di sorgere e tramontare. Nell’intorno dell’equinozio, invece, il Sole mostra la massima velocità di scorrimento quotidiano dei suoi punti di levata e d’occaso e quindi esplica la massima mobilità lungo l’orizzonte all’atto di sorgere e tramontare. L’impostazione in calendario del Natale e della Pasqua, rispettivamente come festa fissa e festa mobile, rispecchia quindi fedelmente il dinamismo del Sole lungo l’orizzonte nelle rispettive fasi del ciclo tropico. In altri termini, il Natale è festa fissa perché commemora un giorno dell’anno tropico in cui gli azimut del Sole levante ed occiduo erano praticamente fissi (sicché la stessa scelta di fame una festa fissa è commemorazione e valido indizio della collocazione perisolstiziale del giorno del Natale del Signore). La Pasqua, invece, è festa mobile perché commemora un giorno dell’anno tropico in cui gli azimut del Sole levante ed occiduo erano vicini al massimo della loro variabilità. Rispettando questa particolare norma di analogia solare per le due massime festività del calendario giuliano-ecclesiastico, Pietro dette insomma adempimento liturgico ad uno dei molti sensi adombrati nel grandioso e complesso tema del Sole di Giustizia.
Conviene pure sottolineare un dato a carattere metastorico che a noi appare grandemente significativo. Morto Pietro (nel 64 o 67) e trascorsi gli anni della tragica guerra giudaica (66-70), l’equinozio di Primavera, almeno come valor medio, uscì per sempre dalla data giuliana del 23 marzo (che ebbe durante la vita del Signore), scalando in data 22; ciò per effetto della minor durata dell’anno tropico (allora di circa 365,2423 giorni) rispetto all’anno giuliano (di 365,25 giorni). Nello stesso torno di anni, anche la data del giorno equinoziale d’Autunno retrocesse, correlativamente, al 24 settembre (almeno come valor medio); sicché FI aprile prese a precedere l’equinozio autunnale di soli 176 giorni, rendendo permanentemente e definitivamente impossibile la concorrenza perfetta, in uno stesso anno, della ideale coincidenza fra 1 tisri e giorno equinoziale d’Autunno, con l’esatta corrispondenza Nisan-Aprile.
L’effettiva data equinoziale di Primavera continuò progressivamente a calare, allontanandosi dal 23 marzo, fino alla riforma del calendario giuliano del 1582, quando Papa Gregorio Xffi la riportò stabilmente, in pratica, nella seconda metà del 20 marzo (in cui l’avevano rinvenuta i Padri conciliari di Nicea), restituendola definitivamente al valore che aveva al momento sacratissimo della Incarnazione del Verbo, che avvenne proprio nel corso del giorno ebraico iniziato al 20,75 marzo, secondo il calendario giuliano vero.
L’intervenuta impossibilità della ideale e perfetta corrispondenza Aprile-Nisan, verifìcatasi appena dopo la morte di Pietro, scandì la fine del tempo messianico di conversione; sicché anche i rispettivi ritmi sacri dei calendari cristiano ed ebraico, divaricandosi irreversibilmente, segnarono l’avvenuta e definitiva separazione fra i Cristiani e gli Ebrei, questi ultimi ormai privati del loro splendido ed unico luogo di culto, rimasto di fatto precluso al vero Messia e profanato dai falsi messia dell’insurrezione antiromana. Analogamente, il secondo Papa non fu più un ebreo, bensì un gentile: l’etrusco Lino da Volterra; segno anche questo che l’eredità della verità passava ai Gentili, fino ai tempi ultimi della riconciliazione cogli Ebrei, alla seconda venuta del Messia.
Che le suesposte circostanze di calendario fossero o meno note allo stesso Principe degli Apostoli od ai suoi successori, non ci pare argomento decisivo o rilevante. Riteniamo invece di aver sufficientemente esemplificato che i tempi della liturgìa e quindi il calendario ecclesiastico, al di là della stessa consapevolezza di coloro che sono chiamati ad operarne la regolazione, ricevono impulso efficace e normativo dalla stessa volontà di Colui che ha costituito il moto degli astri (e quindi il tempo) a misura del divenire del creato133.
Durata della vita di Gesù. In termini di cronografìa astronomica e con riferimento a giorni giuliani inizianti a mezzanotte, la data e l’ora del Natale, ossia la domenica 24 dicembre giuliana convenzionale 5 a.C. alle ore O, possono essere indicate come giorno giuliano 1719’955,0.
A probante verifica dei termini cronografici della vita di Gesù, sopra rintracciati, accenniamo che l’angelo custode di Maria Valtorta le rivelò che Gesù fu in terra per 1737 settimane.
Settimana Santa, settimana dolorosa. Ma di averti dato le sue gemme più belle sempre in questa settimana, che è la perfezione fra le sue molte settimane di uomo –né alcuna delle tante 1737 che lo videro nel mondo equivale a questa estrema di Uomo soggetto al dolore- siigli grata come della prova d’amore più bella.134
La grande mistica di Casella conobbe pure che Gesù mori esattamente alle 15.15135. Pertanto, il momento della morte del Signore, avvenuta alla data di venerdì 7 aprile e 14 nisan del 30 d.C., va fissato al giorno giuliano (iniziato a mezzanotte) 1732112,6354. Sottraendo a questo valore quello della nascita di Gesù, si ottiene 1732112,6354 – 1719*955,0 = 12157,6354. Sicché i giorni durante i quali si estese la vita di Gesù furono 12158 (tanto se si considerino i giorni romani, quanto se si considerino quelli ebraici), cioè appena uno in meno di quelli che si ricavano dal numero di settimane precisato dall’angelo custode Azaria, essendo 1737 x 7 = 12159 giorni. La differenza di un sol giorno (un sabato) è giustificata dal fatto che Gesù è nato di domenica ed è morto di venerdì.
L’approssimazione di un solo giorno rispetto al numero delle settimane indicate dall’angelo Azaria, ci sembra accettabile proprio per il fatto che egli si è espresso in settimane, non in giorni. Se egli avesse indicato un numero preciso di giorni (anziché di settimane), allora sì: sarebbe stato assolutamente inderogabile ritrovare quell’identico numero di giorni fra l’inizio e la fine della vita del Signore. Ma posto che l’angelo ha parlato di settimane, riteniamo ammissibile che il numero di giorni della reale vita di Gesù in terra, secondo la nostra ricostruzione cronologica, si discosti, per il difetto di una sola unità, da quello che si ricava dalla pura e semplice moltiplicazione di l’737 x 7. È di rilievo che l’angelo considera la Settimana Santa come l’estrema, ossia l’ultima della vita da uomo di Gesù; resta quindi esplicitamente escluso dal suo conteggio il tempo trascorso dalla morte all’Ascensione in ciclo del Signore.
Peraltro l’espressione angelica non parla espressamente di settimane intere, quindi intende semplicemente numerare le settimane abbracciate dalla vita di Gesù; pertanto l’ultima e/o la prima, secondo il suo modo di parlare, potrebbero anche essere state settimane incomplete. D’altronde occorre tener presente che, secondo la costante modalità biblica di conto, ogni frazione di unità, posta all’inizio od alla fine di una numerazione di unità temporali, va presa come unità intera. Ma, come abbiamo visto, Gesù è nato proprio alla mezzanotte (ore 0) del giorno (la domenica) con cui iniziava la settimana; pertanto solo l’ultima Sua settimana è rimasta incompleta, essendosi fermata a un venerdì. Per conseguenza, l’angelo Azaria, parlando a Maria Valtorta, computa le settimane nel modo biblico e numera la settimana santa come intera136.
Se poi si fa conto dell’ora di Roma, allora, come abbiamo visto, Gesù è nato mentre a Roma era ancora sabato. Pertanto l’intera Sua vita, da sabato 23 dicembre giuliano convenzionale 5 a.C. a venerdì 7 aprile 30, copre un insieme di T737 settimane, esattamente pari a 12159 giorni, dei quali il primo e l’ultimo, pur essendo frazionali, si contano, secondo il modo biblico, come giorni interi. D’altronde le citate parole angeliche sono rivolte ad una destinataria italiana, abituata a considerare l’inizio del giorno alla mezzanotte, è quindi ben possibile che aneli’egli si riferisse a settimane di giorni iniziati col passaggio del Sole sull’antimeridiano.
La data dell’Incarnazione del Verbo. Per datare il giorno dell’Annunciazione di Maria, possiamo risalire, a ritroso, di nove mesi tropici, hi tal modo, partendo dalla data immediatamente postsolstiziale del Natale, perverremmo alla data dell’equinozio di Primavera, che, in quell’anno 5 a.C., cadde il giovedì 21 marzo giuliano vero, corrispondente al 23 marzo giuliano convenzionale e durante il giorno giuliano n. 1719’679. Adottiamo quindi questa data, in prima approssimazione, come data dell’Annunciazione e dell’Incarnazione, da sottoporre a verifica.
Ricerchiamo ora la data ebraica dell’equinozio di Primavera del 5 a.C., ossia la data omologa a quella giuliana convenzionale del 23 marzo, coincidente con la data giuliana vera del 21 marzo 5 a.C. A tale scopo determiniamo dapprima la data giuliana vera dell’I nisan del 6 a.C. hi quell’anno il novilunio astronomico di Nisan, riportato dal Ginzel e ripreso dal Bickerman, espresso secondo il calendario giuliano convenzionale, nel tempo universale di Greenwich ed in giorni astronomici (che iniziano a mezzogiorno, ossia al passaggio del Sole sul meridiano), avvenne in data IH (marzo) 19,40. Tale data, tenuto conto delle tre intercalazioni bisestili all’epoca avvenute in eccesso, equivale alla data giuliana vera del Et. 16,40; espressa nel tempo medio locale di Gerusalemme ed in giorni romani (che iniziano a mezzanotte), equivale al 16 marzo a 23h51m35s. n primo arco falcato della nuova luna di Nisan del 6 a.C. fu pertanto visibile a Gerusalemme nel ciclo vespertino del 18 marzo giuliano vero. L’I nisan cominciò allora col tramonto del 18 marzo giuliano vero e può quindi essere omologato al 19 marzo giuliano vero del 6 a.C. Tenuto conto delle durate dei successivi mesi giuliani ed ebraici, troviamo che il giovedì 21 marzo giuliano vero del 5 a.C., corrispondente al giovedì 23 marzo del calendario giuliano convenzionale, è omologo al 13 weadar. Abbiamo già rilevato in precedenza, ricercando i numeri aurei metanici, che nel corso dell’anno giuliano 5 a.C. venne intercalato il mese lunare embolismico del calendario ebraico137.
Anche un testo valtortiano ci consente di precisare il mese della Incarnazione, che coincide con quello da noi trovato.
Amedeo Maria Pontoni
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NOTE
* È questo il criterio adottato, in buona sostanza, anche dal calendario ebraico attuale, per il quale, però, in luogo dell’orario del tramonto (variabile nel corso dell’anno) si considerano le ore 18.
5 Leggiamo nel Vangelo di Giovanni (2,13-24):
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel Tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del Tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, ed ai venditori di colombe disse: « Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato ». I discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi divora”. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: « Quale segno ci mostri per fare queste cose? » Rispose loro Gesù: « Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere ». Gli dissero allora i Giudei: « Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere? » Ma egli parlava del tempio del Suo corpo. Quando poi fu resuscitato dai morti, i Suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel Suo nome.
106 Le parole che il Signore, durante la Sua prima Pasqua pubblica, aveva rivolto ai Suoi contraddirteli, Gli vennero imputate come blasfeme, proprio al venerdì santo, dai Suoi malevoli accusatori, come, scrivendo prima di Giovanni, ricordano gli evangelisti Matteo e Marco.
I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarLo a morte; ma non riuscivano a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: « Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni” ». (Mt 26,57-61 ).
Intanto i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterLo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti attestavano il falso contro di Lui e cosi le loro testimonianze non erano concordi. Ma alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di Lui, dicendo: «Noi lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne riedificherà un altro non fatto da mani d’uomo” ».(Mc 14,55-58).
Giovanni, a sua volta, scrivendo l’ultimo dei Vangeli, provvedere successivamente a precisare le circostanze ed il senso metastatico e spirituale di quelle affermazioni di Gesù
107 I Mac 4,52; II Mac 10,1-8.
108 Nelle biografìe dei Santi cristiani, si legge non di rado come essi stessi abbiano avvertito una sorta di prefigurazione simbolica della loro personale vicenda spirituale, come sinteticamente adombrata nella ricorrenza del calendario liturgico relativa alla propria data di nascita. A maggior ragione, una circostanza del genere si potrà rintracciare nella vita di Gesù Cristo, il Santo dei Santi. 109 VALTORTA 1975, voi. II, cap. 37, p. 199, 7° cpv., righi 1-3. Il corsivo è nostro.
110 VALTORTA 1975, voi. II, cap. 99, p. 620, righi 19-21.1 corsivi sono nostri.
111 VALTORTA 1975, voi. LX, cap. 30, p. 376, righi 4-8 e p. 377, righi 1-2.1 corsivi sono nostri.
112 VALTORTA 1975, voi. II, cap. 103, p. 650. Il corsivo è nostro.
113 VALTORTA 1975, voi. II, cap. 103, p. 655, 8° cpv., righi 5-6. Il corsivo è nostro.
114 naber 1987, p. 32 (i corsivi sono nostri). È di rilievo che l’Autore, che fu parroco dal 1909 al 1967 a Konnersreuth, il paese di Teresa Neumann (della quale ebbe pure la direzione spirituale fino alla morte di lei, avvenuta nel 1962) attesta che la grande mistica bavarese riferì questi particolari ‘im erhobenen Ruhezustand’, ossia in uno stato straordinario di elevata e profonda pace intcriore, in cui ella, fra l’altro, si esprimeva con eccezionale chiarezza e padronanza su argomenti dei quali, nello stato di coscienza ordinaria, poteva essere del tutto ignara.
115 BICKERMAN 1966, p. 131.1 dati sono tratti da GINZEL 1914, tavola IL6 Definiamo la data di un giorno del calendario ebraico (con inizio al tramonto) omologa alla data del giorno del calendario giuliano che inizia alla mezzanotte immediatamente successiva al tramonto medesimo. Pertanto, il giorno ebraico ed il giorno romano, che in tal modo risultano omologhi, coincidono per 3/4 delle loro durate.
“7 Dall’I nisan al 25 kaslew decorrono i seguenti giorni: 29 di Nisan + 29 di Ziv/Ijjar + 30 di Siwan + 29 di Tammuz + 30 di Ab + 29 di Elul + 30 di Tisri + 29 di Etamin/Marcheswan + 25 di Kaslew = 260 giorni Del pari, dal 6 aprile al 22 dicembre decorrono i seguenti giorni: 24 di Aprile + 31 di Maggio + 30 di Giugno + 31 di Luglio + 31 di Agosto + 30 di Settembre + 31 di Ottobre + 30 di Novembre + 22 di Dicembre = 260 giorni.
EMMERICK 1855, pp. 255-256. Come edizione in lingua originale si può consultare EMMERICK 1981.
consuelo 1991, pp. 101 e segg.
Ciò peraltro spiega bene perché il Signore abbia avuto natale in una grotta naturale, con annessa stalla: i viandanti Maria e Giuseppe, da buoni ebrei osservanti, nell’imminenza dell’inizio del sabato, dovettero fermarsi nel primo alloggio di fortuna, che consentisse loro di sostarvi per il solo giorno festivo, durante il quale, per rispettare la rigorosa prescrizione del riposo, non si poteva camminare per più di un miglio circa. Trascorso però il sabato, dovette apparire tanto vicina la nascita di Gesù, che i due sposi debbono aver deciso di trattenersi in quella precaria sistemazione anche dopo il tramonto, quando, secondo l’uso ebraico, essendo già iniziata la domenica, si sarebbe anche potuto riprendere il viaggio. 121 Dei sei mesi lunari precedenti il Tisri, tre sono di 30 giorni (Nisan, Siwan, Abh) e tre, alternati ai precedenti, sono di 29 giorni (Ziv o Ijjar, Tammuz, Elul), per un totale di 177 giorni.
122 A questa ideale e perfetta corrispondenza fra i 30 giorni del Nisan ebraico e i 30 giorni dell’Aprile giuliano (che assicurava la coincidenza fra inizio del 1 Tisri e passaggio del Sole sul punto Omega) seguiva di conseguenza la corrispondenza ideale fra le altre coppie di mesi ebraici e giuliani: Ziv/Ijjar = Maggio, Siwan = Giugno, Tammuz = Luglio, Abh = Agosto, Elul = Settembre, Tisri = Ottobre, Etamin/Marcheswan = Novembre, Kislew = Dicembre, Tebet = Gennaio, Sebat = Febbraio, Adar = Marzo.
123
ARATUS Solensis, Phaenomena, 753.
124 Cfr. Le 2,19 e 51.
125 Nel tempo medio locale di Babilonia-Baghdad, il novilunio di Nisan ebbe luogo alle 20hOOm del 6 aprile. Cfr. GOLDSTINE 1973, p. 84. Tale orario è alFineirca corrispondente alle I7b50m secondo il tempo medio locale di Roma ed alle 19h21m secondo il tempo medio locale di Gerusalemme. A parità di condizioni meteorologiche, Posservabilità della prima falce lunare era praticamente uguale nelle due città; l’orario più anticipato e quindi più favorevole a Roma è pressappoco compensato dalla lievemente maggiore inclinazione dell’equatore celeste sull’orizzonte alla latitudine di Gerusalemme. Sull’orizzonte occidentale delle due città il primo sottile filetto di Luna crescente si potè scorgere sicuramente la sera dell’8 aprile. Pertanto, nel corso di quell’anno, l’I nisan si potè omologare al giorno romano iniziato alla mezzanotte successiva e cioè al 9 aprile, l’I ziv al 9 maggio, l’I siwan al 7 giugno, l’I tammuz al 7 luglio, l’I av al 5 agosto, l’I elul al 4 settembre, l’I tisri al 3 ottobre, l’I marcheswan al 2 novembre, l’I kaslew all’I dicembre ed infine il 25 kislew al 25 dicembre.
Nel tempo medio locale di Babilonia-Baghdad, il novilunio di Kislew ebbe luogo alle 14h37m del 29 novembre. Cfr. GOLDSTINE 1973, p. 84. Tale orario è ali’incirca corrispondente alle 12h27m del tempo medio di Roma ed alle 13h58m del tempo medio di Gerusalemme. Sull’orizzonte occidentale di entrambe le città la prima sottile falce di Luna crescente si potè scorgere, molto probabilmente, la sera del 30 novembre. Pertanto in quel mese l’I kislew si potè omologare al giorno romano iniziato alla mezzanotte successiva e cioè all’I dicembre e il 25 kislew al 25 dicembre.
127 II programma Horizon, generatore di effemeridi, messo a disposizione dall’Agenzia spaziale americana sul sito Internet http://ssd.jpl.nasa.gov/hori2ons.cgi, alla data del 22 dicembre 5 a.C., secondo il calendario giuliano convenzionale degli astronomi, per le coordinate terrestri di Gerusalemme e nel T.U. di Greenwich, fornisce per il Sole, alle ore 22h28™ (corrispondenti alle (P49m del 23 dicembre, secondo il tempo di Gerusalemme), in coordinate equatoriali dell’anno 2000,0 i seguenti valori: AR20oo = 20A20ra33,23* e smm = -20°4730,2″. Tali valori possono anche scriversi come 02000 = 300,138458333° e 82000 = -20,7917222°. Detto (360°-^ooo) l’arco intercedente in quel momento lungo l’eclittica fra la posizione del Sole ed il primo punto d’Ariete, esso costituisce 1’ipotenusa di un triangolo sferico rettangolo, del quale a e 5 costituiscono i cateti Sarà pertanto: cos(360°-X2000) = coso^ x coso^oo = cos300,138458333° x cos-20,7917222° = 0,4693936262 -» arccos 0,4693936262 = (360°-Vw) = 62,0050573°. Conscguentemente, detto (360°-4^i) l’arco intercedente fra il punto solstiziale invernale eclitticale del 5 a.C. ed il successivo punto Gamma, poiché per effetto della precessione il primo punto d’Ariete annualmente arretra di 50,29″, sarà: (360°-?L,) = (SÓO0-^) + (2004+9/365) x 50,29″ = 62,0050573° + 27,995111° = 90,00017° -> ^ ~ 270° -* O</% alla data del 23 dicembre giuliano convenzionale ed alle ore OH901 di Gerusalemme.
128 Cfr. per analogia, il motivo della luce e delle tenebre nel prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1,4-9). Persino questo grande luogo giovannèo, sembra dotato di una significativa implicazione astronomico-cronografica.
129 Per tutta la vivida e profonda simbologia connessa all’icona di Guadalupe cfr. PERFETTI 1992; in particolare, per le stelle e le costellazioni del manto, alle pag. 176-179. Ivi è pure citato, a p. 176 e nota 1, per lo specifico approfondimento, lo studio di Mario ROJAS SÀNCHEZ e Juan Homero HERNANDEZILLESCAS, Las estrellas del manto de la Virgen de Guadalupe, Mexico, F. Méndez Oteo 1983, al quale hanno collaborato Pastrofisico J. Canto Ylla e Armando Garcia de Leon, dell’Università Nazionale Autonoma del Messico.
130 La posizione del fiore sulla tunica di Maria, secondo l’ipotesi di Rojas Sànchez e Hernàndez Illescas, individua il centro di osservazione della volta celeste riprodotta sul manto della Vergine di Guadalupe. Tale fiore, inoltre, presenta l’aspetto di una quinconce, ossia della struttura che era “l’elemento forse più ricorrente fra tutti i simboli nahuatl [cioè aztechi], … formato da quattro raggi (o punti) disposti attorno a un centro. Simbolo del Sole, rappresenta l’idea india dell’universo e ne sintetizzava graficamente la filosofia: le quattro età in movimento (nahui ollìn significa appunto «quattro movimenti»), verso il Quinto Sole e P«età attuale». Le cosiddette «piramidi» azteche possono essere considerate -viste in pianta- come esempi di quinconce. Esse, infatti erano tronche e il tempio sostituiva il vertice. Inoltre -come sappiamo- il numero cinque rappresentava per gli Aztechi il centro, il punto d’incontro fra Dio e l’uomo”. (Da PERFETTI 1992, pag. 173 e nota 3). Osserviamo infine che anche la lettera M maiuscola, iniziale di Maria, presenta la conformazione di una quinconce, il cui centro giace sul vertice della cuspide centrale della lettera.
131 Definiamo tempo messianico di conversione, il tempo di una generazione, intercorrente fra la morte di Gesù (anno 30) e la distruzione del Tempio di Gerusalemme (anno 70), da Lui profetiz-zata, o anche fra la Sua morte e l’inizio della catastrofica guerra giudaica (anno 66). Nel primo caso la generazione dura 40 anni (il tempo della peregrinazione degli Ebrei nel deserto, dopo l’esodo dall’Egitto), nel secondo caso ne dura 36 (pari al numero di anni lunisolari, inizianti l’I Nisan, abbracciati dalla vita di Gesù in terra, dal momento dell’Annunciazione a quello della Sua morte).
132 Da quanto precede si ricava che è assolutamente priva di qualsiasi fondamento l’opinione (purtroppo condivisa acriticamente e divulgata a cuor leggero anche da insigni biblisti cattolici), secondo la quale la fissazione al 25 dicembre della festività liturgica del Natale del Signore sarebbe dovuta ad un recepimento od influsso nel calendario liturgico cristiano della festa pagana del ‘Sol invìctus’, che ricorreva appunto al 25 dicembre: insomma, una sorta di cristianizzazione di una ricorrenza festiva pagana. Abbiamo invece illustrato a sufficienza -crediamo- da quali ragioni (a carattere scritturistico, storico, astronomico-cronografìco e mitico-simbolico) autenticamente discenda la data tradizionale del Natale cristiano, che direttamente continua il 25 kaslew delle Encenie ebraiche all’interno del calendario giuliano-ecclesiastico. Ma l’opinione della dipendenza della data cristiana da quella pagana è assolutamente da rigettare anche per svariate altre, buone e concorrenti ragioni.
1. La festa pagana del Sole invitto è di istituzione tardiva e deriva dal culto del dio Sole praticato ad Emesa (in Siria), da cui la introdusse l’imperatore Aureliano (270-275), il quale ne fissò pure la data al 25 dicembre, ossia nella supposta, ma non esatta, data del solstizio d’Inverno.
2. E inconcepibile che i liturgisti della Chiesa di Roma, una Chiesa tempratasi col sangue di innumerevoli màrtiri (che avevano saputo dare la vita anziché sacrificare agli dèi e agl’imperatori), per poter fissare la data della festività del Natale, siano dovuti ricorrere al calco pedissequo di una festa pagana, ossia a qualcosa i cui presupposti religiosi e cultuali i Cristiani dovevano tenere in assoluto abominio. Se anzi davvero avessero dovuto tardivamente determinare, a priori ed in astratto, la data liturgica in questione (anziché celebrarla sin dall’inizio sul fondamento di una precisa e consolidata tradizione), i responsabili della Sede di Pietro si sarebbero ben guardati dal farla coincidere con quella di una festa pagana: ciò avrebbe potuto far sorgere gravi equivoci nei confronti dei culti adottati dai pagani, i quali ancora rappresentavano per il Cristianesimo un avversario aggressivo e pericoloso. Un’ipotesi del genere ci pare semplicemente oltraggiosa, non solo per la memoria dei martiri della chiesa romana, ma anche nei confronti dei Pontefici e delle autorità ecclesiastiche dell’Urbe, che avrebbero improvvidamente e con scarso discernimento avallato una così grossolana omologazione di un culto pagano, e questo per solennizzare la data del Natale, ossia proprio uno dei momenti salienti e più alti di tutto l’ordinamento liturgico cristiano!
3. L’opinione che la data cristiana derivi da quella pagana ha guadagnato storicamente credito in un clima culturale ancora influenzato dal modernismo, prima che il santo ed ispirato Papa Pio X, giustamente condannasse quella erronea scuola di pensiero. Com’è noto, il modernismo ammetteva che il patrimonio dottrinale della Chiesa potesse aver subito, dai tempi di Gesù in poi, una evoluzione di contenuti dettata da circostanze contingenti e da influenze storico-filosofiche. Ma, accogliendo tale presupposto, quel movimento d’opinione veniva ad inficiare gravemente e pericolosamente il principio per cui la Chiesa cattolica è stata sempre e comunque guidata dalla provvidenziale (ed ortodossa) ispirazione dello Spirito Santo, nell’elaborare gli atti ufficiali del Magistero, che i Pontefici ed i Concilii ecumenici hanno enunciato a tutela della integrità e del ratto approfondimento del deposito originale della Fede cristiana, affidato da Gesù Cristo agli Apostoli e giunto incorrotto fino a noi attraverso la Sacra Scrittura e la ininterrotta Tradizione ecclesiale.
4. La testimonianza di S. Ippolito romano, al riguardo, è grandemente significativa. Essendo precedente alla istituzione della festa pagana del Sol invictus, essa possiede per noi tutto il valore di una tempestiva e preziosa messa a punto da parte di quel Padre della Chiesa (che peraltro conosciamo come eccellente controversista e come interessato a problemi di cronografìa liturgica). Essa giova altresì a tenere la motivazione della festività liturgica del Natale cristiano ben distinta e distante da quella della festa pagana del Sole invitto (di assai più recente istituzione), la quale presupponeva una forma di astrolatria assolutamente irriducibile ed antitetica alla teologìa cristiana. La priorità cronologica del Natale cristiano, che anche la testimonianza del vescovo Ippolito ci consente di accertare, fa anzi supporre che -se di influsso debba parlarsi- allora è stata la data della festività cristiana a fungere da calco per quella pagana, in ragione della (supposta) ricorrenza solstiziale del 25 dicembre.
Per completezza espositiva, dobbiamo al riguardo ricordare che il passo in questione di Ippolito da molti Autori è stato tendenziosamente ritenuto interpolato. Altrettanto autorevoli e, a nostro avviso, assai più attendibili, sono state però le voci levatesi a favore dell’autenticità.
La grande mistica e stimmatizzata tedesca Anna Catharina Emmerick (1774-1824) proclamata beata alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II, affermava che per lei il calendario era una fonte straordinaria di contemplazioni… nel convincimento che ci siamo fatto, riguardo all’utilità di approfondire il senso ripostovi, siamo quindi in ottima, consolante, autorevole e benefica compagnia.
134 VALTORTA 1972, cap.8, p. 62, righi 20-26. Meditazione angelica sulle letture della Messa della Domenica della Benedizione delle Palme del 14/4/1946. Il corsivo è nostro. (Siigli è nostra correzione di ‘siagli’).
135
VALTORTA 1978, quaderno 29, p. 607, cpv. 3°, righi 2-3; riflessioni di venerdì 11/8/1944.
136 Come variazione su tema, segnaliamo che, sottraendo dal momento della morte di Gesù quello dell’Incarnazione (qui di seguito indagato), troviamo che 1732112,6354 – 1719 679,625 « 12 433 giorni = 1776 settimane + 1 giorno. Ancora una volta rintracciamo un numero di settimane, affetto dall’approssimazione di una sola unità, stavolta in eccesso. Ma 1776 è pari a 888 x 2. Ora, il numero 888, dai primi giudeo-cristiani, era considerato rappresentativo di Gesù stesso, poiché la parola greca Ir|ao0q (Gesù) possedeva questo medesimo, mistico valore aritmologico: infatti, la somma dei valori numerici dati dalle singole lettere dell’alfabeto greco facenti parte del nome del Signore, fornisce la cifra 888.
Ricordiamo che il febbraio del 5 a.C. durò 28 giorni (anziché 29), per effetto della correzione augustea allora in corso, la quale mirava a ripristinare la regolare cadenza dei bisestili prevista da Cesare. Per conseguenza, dal 19 marzo giuliano vero 6 a.C. al giorno equinoziale del 21 marzo giuliano vero 5 a.C. trascorsero 367 giorni.
Ricordiamo altresì che il Weadar del 5 a.C. (successivo al primo Adar, che negli anni emboli-smici era sempre di 30 giorni), fu fatto durare 29 giorni, per consentire che il successivo 6 siwan (Pentecoste) cadesse, nel 5 a.C., di domenica e, conscguentemente, il 15 nisan (Pasqua) cadesse di sabato. Pertanto, dall’I nisan 6 a.C. al 13 weadar 5 a.C. trascorsero 29 giorni di Nisan + 29 di Ijjar/Ziv + 30 di Siwan + 29 di Tammuz + 30 di Av + 29 di Elul + 30 di Tisri + 29 di Marche-swan/Etamin + 30 di Kislew + 29 di Thebet + 30 di Sebat + 30 di Adar + 13 di Weadar, per un totale di 367. Pertanto il 13 weadar 5 a.C. cominciò alla data 111.20,75 giuliana vera, ossia al tramonto del 20 marzo giuliano vero (coincidente col 22 marzo giuliano convenzionale), omologandosi al 21 marzo giuliano vero (coincidente col 23 marzo giuliano convenzionale).
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