Jesce sole
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Sogno e realtà
Un giorno come tanti, una mattina sonnolenta di metà autunno o di inizio primavera, una casa come tante, i rumori di sempre che dalla strada salgono lenti ma sicuri quasi a ricordare che sta passando un altro dì.
Dalle stanze vicine rumori soliti e ben conosciuti, le voci care, il passo sicuro di chi vive accanto a noi, l’attesa di una parola, la gioia di un sorriso e di uno sguardo che rendono meno noioso il vivere quotidiano.
La finestra semichiusa lascia entrare fiotti di luce mista ai gas della strada; si levano i richiami, le grida, i rumori che accompagnano l’eterno di Napoli.
Poi inizia il nuovo giorno: si compie il rito normale, ci segue il ritmo già segnato e ben fisso nella nostra abitudine. La maggior parte degli uomini trascorre così il proprio senso quotidiano del vivere, aspettando serena o agitata, lieta o triste, comunque sempre incerta ciò che accade, senza sussulti, senza alcun sentimento particolare.
E i giorni seguono i giorni, le piogge accompagnano i mesi dell’autunno e dell’inverno, l’attesa del sole a volte si fa pungente ma quando torna finalmente la bella stagione il calore dei raggi diventa insopportabile e costringe a restare fermi immobili, nel tripudio dei colori dell’estate.
Se dunque il maggior numero delle persone lascia che il tempo trascorra senza lasciare traccia e quasi rassegnato come all’interno di un gregge segue la scia che altri hanno segnato davanti, se ogni gesto ripetuto e stanco ne genera un altro e un altro ancora senza quasi mai chiedersi perché ciò si ripeta c’è anche invece chi, messa da parte ogni accettazione silenziosa e scarna degli eventi, vuole chiedersi il perché di questa rappresentazione, vuole in altri termini cogliere il senso vero di ciò che lo circonda e ne avverte la profonda suggestione, riuscendo a suggere anche le stille di umori ad altri sconosciuti, strappando al grigiore quotidiano fasci improvvisi di luminosità, barbagli di lontani fuochi esplosi nel magma indistinto delle cose che ancora attendono di riempirsi di noi.
Il poeta riesce appunto in questa singolare quanto affascinante situazione psicologica, avvertendo le armonie più riposte e lontane che le cose, gli oggetti, gli atti più semplici possono inviarci.
Se poi il teatro naturale di queste armonie è una città al tempo stesso semplice misteriosa, ondivaga e sempre uguale a se stessa, solitària e pure pronta al dialogo, spugna e pietra, dolore e letizia, speranze d’angoscia come appunto da sempre Napoli appare a chi, sollevando il velo di Maya della sua visione fenomenica, va oltre l’apparenza raggiungendo quelle regioni profonde e insondabili nelle quali Partenope celebra i suoi riti misterici, esaltando al massimo un’idea della storia che davvero appare simile ad un eterno ritorno.
Senza dover pensare il poeta coglie questa dimensione metafisica e la rende alla sua maniera piacevole e godibile; ne esalta la fragranza e l’armonia dei colori, dipinge un antico e sempre nuovo quadro nel quale tutto diventa finalmente paesaggio dell’anima.
Scorrono davanti a noi immagini nuove sempre presenti nella nostra mente e gradevole al nostro cuore. La forza della poesia è proprio in questa capacità di rinnovarsi pur mantenendo intatta la sua origine di meraviglia stupore e sentimento, filtrati dal senso complice della ragione, capace di sognare senza mai allontanarsi dalla realtà.
Silvio Mastrocola
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