Io sono un sogno di Dio
Questo articolo è stato già letto1234 volte!
Breve, troppo breve la vita di questo prete che ci ha lasciato a soli 28 anni. È la sera del 30 aprile 2004 quando Don Giò cade, sotto gli occhi terrorizzati dei suoi ragazzi, facendo un volo di tre metri nella palestra dell’oratorio: stava mettendo a posto dei materassi, durante i festeggiamenti per la conclusione dell’esperienza di vita comunitaria oratoriana intitolata: “Fratello alla grande”.
Dal 2000, anno della sua ordinazione sacerdotale, don Giovanni aveva il compito di animare l’oratorio di Verdello, in provincia di Bergamo, dove raccoglieva tanti giovani per avvicinarli con gioia e partecipazione alla vita cristiana: giochi, campi scuola, momenti di festa, aiuto nello studio, grande passione per la musica che lo ha aiutato nel suo ministero sacerdotale, durante il quale ha continuato a comporre canzoni.
Con la sua chitarra, don Giovanni cantava la gioia di vivere e proponeva «percorsi di fede impegnativi e radicali». A diciotto anni nel suo diario scriveva: «A ogni giovane auguro di scoprire in Cristo e nella sua chiamata il senso vero dell’esistenza, come l’ho scoperto io. In fin dei conti è solo lui che importa. Tutto il resto passa». Don Giovanni aveva un sorriso che contagiava, un sorriso da bambino felice, ma era tutt’altro che un bambino. Era un prete e un prete in gamba, come attestano le testimonianze dei genitori e delle persone che lo hanno conosciuto.
Don Giò ha voluto diventare sacerdote per essere santo, lieto di giocarsi unicamente per il Signore. Ha desiderato essere un libro aperto come le braccia e le mani di Cristo sulla Croce. Il 17 agosto 1995 al campo scuola di Azione Cattolica, scriveva infatti: «Voglio essere un libro aperto. Voglio migliaia di pagine bianche su cui sia Tu a scrivere il resto della mia storia… Voglio che sia Tu a completare le pagine della mia esistenza, le frasi della mia vita… Voglio davvero che i miei puntini di sospensione siano i tuoi punti esclamativi visti dal basso». Don Giò, quelle pagine, le ha scritte e colorate di note e pentagrammi, di parole, ma anche di incontri e sorrisi ai suoi ragazzi che il 3 aprile di sei anni fa hanno riempito la chiesa per potersi avvicinare alla sua bara e dargli un bacio.
Don Giò è stato capace di cogliere di più, di guardare “oltre e alto” e «anche ora può segnare nuovi sentieri luminosi, perché i passi di una persona non si fermano con la morte». Tante sono le persone che hanno incrociato nella loro vita don Giò e per questo i suoi genitori hanno scelto di tenere vivi i contatti attraverso un originale gesto: dopo la morte del sacerdote il suo cellulare è rimasto acceso per raccogliere, attraverso gli sms, i ricordi di chi lo ha conosciuto.
Il 4 dicembre 1990 don Giovanni annotava: «Spesso mi ritrovo a pensare che io sono un sogno di Dio. Io vedo Dio che sogna la nostra storia». Aveva 15 anni. Pensieri più grandi di un ragazzo quindicenne, amante della vita che accoglieva ogni giorno come dono da corrispondere. Un ragazzo che non aveva paura di voler diventare santo, né di dirlo. Poco prima di morire, scriveva: «Le esperienze che hanno segnato la mia vita sono autentiche. Io davvero ho incontrato Dio! Davvero mi sono sentito amato e perdonato da Gesù. Per questo ho scelto di giocarmi con lui. Per nessun altro motivo». Mons. Bellini dipinge don Giò come un prete che «non ha fatto cose straordinarie, ma ha vissuto in modo appassionato l’ordinario della sua vita.
L’esperienza di sentirsi “amato e perdonato da Dio” lo ha segnato profondamente e lo ha portato a rispondere al dono di Dio con tutto se stesso e a comunicare con giovanile entusiasmo la speranza che gli bruciava in cuore».Don Giò, “il ‘don’ più pazzo di noi”, come lo definivano i suoi giovani, è stato espressione luminosa di un’esperienza vissuta con autenticità che ha irradiato la testimonianza della “bella notizia” di Gesù nella vita di tutti i giorni.
Nelle pagine del suo diario si legge: «La mia scelta di vita come sacerdote implica il dono di tutto me stesso. Devo essere tutto a tutti. Tutto per i ragazzi, per i loro bisogni. Tutto per i genitori, con la fatica dell’educare. Tutto per la comunità che a volte ha sete di Dio, altre no…. Tutto per i baristi dell’oratorio, per le signore delle pulizie, per i catechisti, per gli anziani, per i malati…».
Anna Maria Gellini
Testimoni
Testimoni
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.