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Il Vangelo nelle visioni della mistica M. Valtorta

10 Giugno 2017 | Filed under: Rivelazioni private
     

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ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

Dal “Poema dell’Uomo Dio”

di Maria Valtorta

Chi crede in Gesù non è condannato

Gesù è nella cucina della casetta dell’Uliveto, a cena fra i suoi discepoli. Parlano dei fatti della giornata, che però non è quella precedentemente descritta, perché sento parlare di altri avvenimenti, fra cui la guarigione di un lebbroso avvenuta presso i sepolcri lungo la via di Betfage.

Dopo una lunga discussione e racconti degli ultimi avvenimenti, Gesù dice: “Ora ognuno vada al suo riposo. Io resto con Giovanni e Simone ai quali devo parlare. Andate”.

I discepoli si ritirano. Forse dormono nel frantoio. Non so. Vanno via e certo non rientrano in Gerusalemme, perché le porte sono chiuse da ore. 

«Hai detto, Simone, che Lazzaro ti ha mandato Isacco con Massimino, oggi, mentre Io ero presso la torre di Davide. Che voleva?».

«Voleva dirti che Nicodemo è da lui e che voleva parlarti in segreto. Mi sono permesso di dire: “Che venga. Il Maestro lo attenderà nella notte”. Non hai che la notte per essere solo. Per questo ti ho detto: “Congeda tutti, meno Giovanni e me”. Gio­vanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nico­demo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io ser­vivo a spiegare. Ho fatto male?».

«Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto».

Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone ri­spetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: «Sì. É bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti… vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora… Ma i potenti… non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo».

«Torniamo in Galilea?».

«No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangeliz­zata. É Israele essa pure. Ma qui, lo vedi… Tutto serve ad ac­cusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta…».

«Maestro, ecco Nicodemo», dice Giovanni entrando per primo. Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cu­cina, lasciando soli i due.

«Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia. Anche pruden­za e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamen­te. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammi­rano.

Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo. Gli ho detto le ultime… discussioni del Sinedrio su Te».

«Le ultime accuse. Dì pure le verità nude come sono».

«Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire: “Ebbene, io pure sono dei suoi”. Tanto perché in quell’assem­blea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: “Taci. Teniamo oc­culto il nostro pensiero. Ti dirò poi”. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: “Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotter­fugi”. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto… cattivi! An­che io ho i miei interessi e i miei doveri… e così Giuseppe… Capisci, Maestro».

«Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dice­vo questo a Simone. E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme».

«Ci odi perché non ti amiamo!».

«No. Non odio neppure i nemici».

«Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ric­chezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Pale­stina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della tua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei roma­ni al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Ro­ma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era “lei”, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto?

Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione elleniz­zante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, be­vuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sa­rebbe stato mandato a loro anatema. Ma posto che così è, ap­profittane».

«No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà a Me».

«Ho fatto male a parlare!».

Nicodemo è accasciato.

«No. Attendi e persuaditi», e Gesù apre una porta e chia­ma: «Simone! Giovanni! Venite da Me».

Accorrono i due. «Simone, dì a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui».

«Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Per­ché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?»

«Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole».

«Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù».

«E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conser­vato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro».

«Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto faccio».

«Noi ti perdiamo, allora!».

«No, Nicodemo. Dal Battista vanno uomini di tutte le sette. Da Me potranno venire uomini di tutte le sette e di tutte le ca­riche».

«Noi venivamo a Te sapendoti da più di Giovanni».

«Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi di­menticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto».

«Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti  ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa. Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri… Ma non tutti. Lo vedi… Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dot­tore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele. Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo cre­dono anche i dotti come Gamaliele.

Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: “Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere”.

Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?».

«Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?».

«Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una bur­rasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabe­ta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quel­la luce negli occhi, quel sole nel cuore? Come credi tu, Giovan­ni, per essere così sicuro? Insegnami, o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Naza­reno!».

Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde sem­plicemente: «Amando».

«Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?».

«Meditando».

«Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!».

Interloquisce Gesù dicendo: «Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero per­ciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio né credere nel suo Re».

«Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla rincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Co­me? Come?».

«Non vi è che una esistenza della carne sulla Terra e una eterna vita dello spirito oltre Terra. Ora Io non parlo della car­ne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a vera vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spiri­to e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver alle­vato sino all’età perfetta il proprio spirito.

Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta.

Non meravigliarti dunque se dico: “Bisogna che voi nasciate di nuovo”.

Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era materia. Dalle ceneri ecco sorgere il suo nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno.

Il vecchio ha messo la scure del­la meditazione onesta ai piedi del vecchio suo pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buo­na volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede.

Ognuno ha il suo metodo per giungere al porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi a dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre.

An­che lo Spirito chiama e viene chiamando e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, co­nosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato».

«Come può avvenire questo?»

«Tu, maestro in Israele, me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai ac­cettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’in­carnata Parola?

Io sono disceso per risalire e meco trarre colo­ro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’Uomo. E uno solo al Cielo salirà col potere di aprire il Cie­lo: Io, Figlio dell’Uomo.

Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innal­zato, coloro che ora la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita.

Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia con­dannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui.

Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le ido­latrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcar­sene la piuma? No. Porta solo per le triste vie della Terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna.

Così Io. Vengo per portar­vi meco. Venite!… Chi crede nel Figlio unigenito non è giudi­cato. É già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice “Costui mi amò”. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. É già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio uni­co di Dio. Quale è il mio Nome, Nicodemo?».

«Gesù».

«No. Salvatore. Io sono Salvazione. Chi non mi crede, rifiu­ta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giu­dizio è questo: ”La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai era­no la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi addita­va da seguire per essere santi”.

Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività.

Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica le verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda vol­ta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quel­la da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre.

No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere di­cono: “Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito han­no compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno”.

E dal Cie­lo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro per­fetta Unità: “A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere”.

Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle.

Nicodemo, sei persuaso?».

«Maestro… sì. Quando potrò parlarti ancora?».

«Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allon­tanarmi di qui».

«Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo».

«La mia pace sia teco».

Nicodemo esce con Giovanni.

Gesù si volge a Simone: «Vedi l’opera della potestà delle te­nebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e impri­giona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te». Tutto ha fine.

 


     

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