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Il Vangelo nelle visioni della mistica M. Valtorta

8 Ottobre 2016 | Filed under: Rivelazioni private
     

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dieci lebbrosi

Dal “Poema dell’Uomo Dio

di Maria Valtorta”

I dieci lebbrosi

Sono sempre fra i monti, e monti ben rudi, su certe stradet­te dove non passano certo dei carri, ma soltanto viandanti a piedi o persone cavalcanti i forti somari della montagna, più alti e robusti dei soliti somarelli delle zone meno accidentate. Un’osservazione che a molti potrà parere inutile, ma che io faccio lo stesso.

In Samaria vi sono delle diversità dagli usi degli altri luo­ghi. Sia nel vestire come in tante altre cose. E una è l’abbon­danza di cani, insolita altrove, che mi colpisce, come mi ha colpito la presenza di porci nella Decapoli.  

Gli apostoli parlano col Maestro e, nonostante siano incorreggibilmente israeliti, devono riconoscere e lodare lo spirito che hanno trovato negli abitanti di Sichem i quali, lo comprendo dai discorsi che sento, hanno invitato Gesù a sostare fra di loro.

«Hai sentito, eh?», dice Pietro, «come hanno detto chiaramente che sanno l’odio giudeo? Hanno detto: “Per Te e su Te c’è più odio che su noi samaritani per quanti siamo e quanti fummo. Ti odiano senza limite”».

«E quel vecchio? Come ha detto bene: “È in fondo giusto che sia così, perché Tu non sei un uomo ma sei il Cristo, il Salvatore del mondo, e perciò sei il Figlio di Dio, perché solo un Dio può salvare il mondo corrotto. Perciò, essendo Tu senza limite come Dio, senza limitazioni nel tuo potere, nella tua santità e nel tuo amore, come sarà senza limite la tua vittoria sul Male, così è naturale che il Male e l’Odio, tutt’una cosa col Male, siano senza limiti contro Te”.

Ha proprio detto bene! E questa ragione spiega tante cose!», dice lo Zelote.

«Che spiega secondo te? Io… io dico che spiega soltanto che sono degli stolti», dice Tommaso spicciativo.

«No. La stoltezza sarebbe ancora una scusante. Ma stolti non sono».

«Ebbri allora, ebbri di odio», replica Tommaso.

«Neppure. L’ebbrezza cede dopo essersi scatenata. Questo livore non cede».

«E sì che più scatenato di così! È tanto che lo è… che ormai avrebbe dovuto cadere».

«Amici, esso non ha ancora toccato la mèta», dice Gesù calmo, come se la mèta dell’odio non fosse il suo supplizio.

«No?! Ma se non ci lasciano in pace mai?!».

«Maestro, essi ancora non si persuadono che ho detto il vero. Ma l’ho detto. Oh! se l’ho detto! E dico anche che, se era per voi, sareste caduti tutti nella trappola come ci cadde il Battista. Ma non riusciranno perché io veglio…», dice l’Iscariota.

E Gesù lo guarda. E lo guardo anche io domandandomi, e me lo chiedo da qualche giorno, se la condotta dell’Iscariota è causata da un buono e reale ritorno sulla via del bene e dell’amore per il suo Maestro, una liberazione dalle forze umane e extraumane che lo tenevano, o se sia un più raffinato lavoro di preparazione al colpo finale, un asservimento maggiore ai nemici di Cristo e a satana.

Ma Giuda è un essere talmente speciale che non è decifrabile.

Solo Dio può capirlo. E Dio, Gesù, cala un velo di misericordia e di prudenza su tutte le azioni e sulla personalità del suo apostolo… un velo che si lacererà, completamente illuminando tanti perché, ora misteriosi, soltanto quando saranno aperti i libri dei Cieli.

Giuda Iscariota lo guarda e forse parlerebbe, ma è distratto da un grido che li raggiunge da un poggetto che sovrasta il paesino che stanno costeggiando cercando la via per entrarvi.

«Gesù! Rabbi Gesù! Figlio di Davide e Signore nostro, abbi pietà di noi».

«Dei lebbrosi! Andiamo, Maestro, altrimenti il paese accor­rerà e ci tratterrà fra le sue case», dicono gli apostoli.

Ma i lebbrosi hanno il vantaggio di essere più avanti di loro, alti sulla via, ma almeno a un cinquecento metri dal paese, e scendono zoppicando sulla via e corrono verso Gesù ripetendo il loro grido.

«Entriamo nel paese, Maestro. Essi non vi possono entra­re», dicono alcuni apostoli, ma altri ribattono: «Già delle don­ne si affacciano a guardare. Se entriamo sfuggiremo i lebbrosi, ma non di esser conosciuti e trattenuti».

E mentre sono incerti sul da farsi, i lebbrosi si fanno sempre più vicini a Gesù che, incurante dei ma e dei se dei suoi apo­stoli, ha proseguito per la sua strada. E gli apostoli si rasse­gnano a seguirlo, mentre donne coi bambini alle gonnelle e qualche uomo vecchio rimasto in paese vengono a vedere, stando a prudente distanza dai lebbrosi, che però si fermano a qualche metro da Gesù e ancora supplicano:

«Gesù, abbi pietà di noi!».

Gesù li contempla un istante; poi, senza accostarsi a questo gruppo di dolore, chiede: «Siete di questo paese?».

«No, Maestro. Di luoghi diversi. Ma quel monte, dove stia­mo, dall’altra parte guarda sulla via per Gerico, ed è buono per noi quel luogo…».

«Andate allora al paese vicino al vostro monte e mostratevi ai sacerdoti».

E Gesù riprende a camminare spostandosi sul ciglio della via per non sfiorare i lebbrosi, che Lo guardano avvicinare senza avere altro che uno sguardo di speranza nei poveri occhi mala­ti. E Gesù, giunto alla loro altezza, alza la mano a benedire.

La gente del paese, delusa, ritorna nelle case… I lebbrosi si inerpicano di nuovo sul monte per andare verso la loro grotta o verso la via di Gerico.

«Hai fatto bene a non guarirli. Non ci avrebbero più lasciati andare quelli del paese…».

«Sì, e bisognerebbe giungere ad Efraim prima di notte».

Gesù cammina e tace. Il paese ormai è nascosto alla vista dalle curve della via molto sinuosa, perché segue i capricci del monte ai piedi del quale è tagliata.

Ma una voce li raggiunge:

«Lode al Dio Altissimo e al suo vero Messia. In Lui è ogni potenza, sapienza e pietà! Lode al Dio Altissimo che in Lui ci ha concesso la pace. Lodatelo, uo­mini tutti dei paesi di Giudea e di Samaria, della Galilea e dell’Oltre Giordano. Sino alle nevi dell’altissimo Hermon, sino alle arse petraie dell’Idumea, sino alle arene bagnate dalle on­de del Mar Grande risuoni la lode all’Altissimo ed al suo Cristo.

Ecco compita la profezia di Balaam. La Stella di Giacobbe splende sul cielo ricomposto della patria riunita dal vero Pa­store. Ecco anche compiute le promesse fatte ai patriarchi. Ec­co, ecco la parola di Elia che ci amò. Uditela, o popoli di Pale­stina, e comprendetela. Più non si deve zoppicare da due parti, ma scegliere si deve per luce di spirito, e se lo spirito sarà retto bene sceglierà.

Questo è il Signore, seguitelo! Ah! che finora fummo puniti perché non ci siamo sforzati a comprendere! L’uomo di Dio maledisse il falso altare profetando: “Ecco, na­scerà dalla casa di Davide un figlio chiamato Jeosciuè, il quale immolerà sopra l’altare e consumerà ossa di Adamo. E l’altare allora si squarcerà fin nelle viscere della Terra e le ceneri dell’immolazione si spargeranno a settentrione e mezzogiorno, a oriente e là dove tramonta il sole”.

Non vogliate fare come lo stolto Ocozia, che mandava a consultare il dio di Acaron men­tre l’Altissimo era in Israele. Non vogliate essere inferiori all’asina di Balaam, la quale per il suo ossequio allo spirito di luce avrebbe meritato la vita, mentre sarebbe caduto percosso il profeta che non vedeva. Ecco la Luce che passa fra noi. Aprite gli occhi, o ciechi di spirito, e vedete», e uno dei lebbro­si li segue sempre più da vicino, anche sulla via maestra ormai raggiunta, indicando Gesù ai pellegrini.

Gli apostoli, seccati, si volgono due o tre volte intimando al lebbroso, perfettamente guarito, di tacere. E lo minacciano quasi l’ultima volta.

Ma egli, cessando per un momento di alzare così la voce per parlare a tutti, risponde: «E che volete, che io non glorifichi le grandi cose che Dio mi ha fatto? Volete che io non Lo benedi­ca?».

«Benedicilo in cuor tuo e taci», gli rispondono inquieti.

«No, che non posso tacere. Dio mette le parole sulla mia boc­ca», e riprende forte: «Gente dei due luoghi di confine, gente che passate per caso, fermatevi ad adorare Colui che regnerà nel Nome del Signore.

Io deridevo tante parole. Ma ora le ripeto perché le vedo compiute.

Ecco muoversi tutte le genti e venire giubilando al Signore per le vie del mare e dei deserti, per i col­li e i monti. E anche noi, popolo che abbiamo camminato nelle tenebre, andremo alla gran Luce che è sorta, alla Vita, uscendo dalla regione di morte. Lupi, leopardi e leoni quali eravamo, ri­nasceremo nello Spirito del Signore e ci ameremo in Lui, all’ombra del Germoglio di Jesse divenuto cedro, sotto il quale si accampano le nazioni raccolte da Lui ai quattro punti della Terra.

Ecco, viene il giorno in cui la gelosia di Efraim avrà fine, perché non c’è più Israele e Giuda, ma un solo Regno: quello del Cristo del Signore. Ecco, io canto le lodi del Signore che mi ha salvato e consolato. Ecco, io dico: lodatelo e venite a bere la sal­vezza alla fonte del Salvatore. Osanna! Osanna alle grandi cose che Egli fa! Osanna all’Altissimo che ha messo in mezzo agli uomini il suo Spirito rivestendolo di carne, perché divenisse il Redentore!».

È inesauribile. La gente aumenta, si affolla, ingombra la via. Chi era indietro accorre, chi era avanti torna indietro. Quelli di un piccolo paese, presso il quale sono ormai, si uni­scono ai passanti.

«Ma fallo tacere, Signore. Egli è il samaritano. Lo dice così la gente. Non deve parlare di Te, se Tu non permetti neppure che noi ti si preceda più predicandoti!», dicono inquieti gli apostoli.

«Amici miei, ripeto le parole di Mosè a Giosuè figlio di Num, che si lamentava perché Eldad e Medad profetavano ne­gli accampamenti: “Sei tu geloso per me, in mia vece? Oh! pro­fetasse così tutto il popolo, e il Signore desse a tutti il suo Spi­rito!”. Ma pure mi fermerò e lo congederò per farvi contenti».

E si ferma voltandosi e chiamando a sé il lebbroso guarito, che accorre e si prostra dinanzi a Gesù baciando la polvere.

«Alzati. E gli altri dove sono? Non eravate in dieci? Gli altri nove non hanno sentito bisogno di ringraziare il Signore. E che? Su dieci lebbrosi, dei quali uno solo era samaritano, non si è trovato altro che questo straniero che sentisse il dovere di tornare indietro a rendere gloria a Dio, prima di rendere se stesso alla vita e alla famiglia?

Ed egli è detto “samaritano”. Non più ubriachi sono allora i samaritani, posto che vedono senza traveggole e accorrono sulla via di Salute senza barcol­lare? Parla dunque la Parola un linguaggio straniero se lo in­tendono gli stranieri e non quelli del suo popolo?».

Gira gli splendidi occhi sulla folla di ogni luogo della Pale­stina che si trova presente. E sono insostenibili nei loro balenii quegli occhi… Molti chinano il capo e spronano le cavalcature o si danno a camminare allontanandosi…

Gesù china gli occhi sul samaritano inginocchiato ai suoi piedi, e lo sguardo si fa dolcissimo. Alza la mano, che teneva abbandonata lungo il fianco, in un gesto di benedizione e dice: «Alzati e vattene. La tua Fede ha salvato in te più ancora della tua carne. Procedi nella luce di Dio. Va».

L’uomo bacia nuovamente la polvere e prima di alzarsi chiede: «Un nome, Signore. Un nome nuovo, perché tutto è nuovo in me, e per sempre».

«In che terra ci troviamo?».

«In quella d’Efraim».

«Ed Efrem chiamati da ora in poi, perché due volte la Vita ti ha dato vita. Va».

E l’uomo si alza e va.

La gente del luogo e qualche pellegrino vorrebbero tratte­nere Gesù. Ma Egli li soggioga con il suo sguardo che non è se­vero, anzi è molto dolce nel guardarli, ma che deve sprigionare una potenza, perché nessuno fa un gesto per trattenerlo.

E Gesù lascia la via senza entrare nel paesino, traversa un campo, poi un piccolo rio e un sentiero, e sale sul poggio orien­tale, tutto boscoso, e si inselva con i suoi dicendo: «Per non smarrirci seguiremo la via, ma stando nel bosco. Dopo quella curva, la strada si appoggia a questo monte. Vi troveremo qualche grotta per dormire, superando all’alba Efraim…».


     

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