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IL Vangelo nelle visioni della mistica M. Valtorta

3 Settembre 2016 | Filed under: Rivelazioni private
     

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Chi non rinunzia .... 2

Dal ”Poema dell’Uomo DIO”

Di Maria Valtorta

Chi non rinunzia ai suoi averi, non può essere mio discepolo.

Gesù si trova nel Tempio e chiede a bruciapelo: «Perché intorno a Me vi pigiate? Ditelo. Avete rabbi noti e sapienti, benvisti da tutti. Io sono l’Ignoto e il Malvisto. Perché allora venite a Me?».

«Perché ti amiamo», dicono alcuni, ed altri:

«Perché hai parole diverse dagli altri», ed altri ancora:

«Per vedere i tuoi miracoli», e:

«Perché di Te abbiamo sentito parlare», e:

«Per­ché Tu solo hai parole di vita eterna e opere corrispondenti alle parole», e infine:

«Perché vogliamo unirci ai tuoi discepoli».

Gesù guarda la gente man mano che parla, quasi volesse trafiggerla con lo sguardo per leggerne le più occulte sensazio­ni; e qualcuno, non resistendo a quello sguardo, si allontana o, quanto meno, si nasconde dietro a una colonna o a gente più alta di lui.

Gesù riprende:

«Ma sapete voi cosa vuol dire e vuole essere venire dietro a Me? 

Io rispondo a queste sole parole, perché non merita rispo­sta la curiosità e perché chi ha fame delle mie parole è, di conseguenza, di Me amante e desideroso di unirsi a Me. Perciò, fra chi ha parlato, vi sono due gruppi: i curiosi che trascuro, i vo­lonterosi che ammaestro senza inganno sulla severità di questa vocazione.

Venire a Me come discepolo vuol dire rinuncia di tutti gli amori a un solo amore: il mio.

Amore egoista verso se stessi, amore colpevole verso le ricchezze o il senso o la potenza, amo­re onesto verso la sposa, santo verso la madre, il padre, amore amabile dei e ai figli e fratelli, tutto deve cedere al mio amore se si vuole essere miei.

In verità vi dico che più liberi di uccelli spazianti nei cieli devono essere i miei discepoli, più liberi dei venti che scorrono i firmamenti senza che nessuno li trattenga, nessuno e nessuna cosa. Liberi, senza catene pesanti, senza lac­ci d’amore materiale, senza neppure le ragnatele sottili delle più lievi barriere.

Lo spirito è come una delicata farfalla serra­ta dentro al bozzolo pesante della carne, e può appesantirne il volo, o arrestarlo del tutto, anche l’iridescente e impalpabile tela di un ragno: il ragno della sensibilità, della ingenerosità nel sacrificio. Io voglio tutto, senza riserve. Lo spirito abbiso­gna di questa libertà di dare, di questa generosità di dare, per poter esser certo di non essere impigliato nella ragnatela delle affezioni, consuetudini, riflessioni, paure, tese come tanti fili da quel ragno mostruoso che è satana, rapinatore di anime.

Se uno vuol venire a Me e non odia santamente suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i suoi fratelli e le sue sorel­le, e persino la sua vita, non può esser mio discepolo. Ho detto “odia santamente”.

Voi in cuor vostro dite: “L’odio, Egli lo in­segna, non è mai santo. Perciò Egli si contraddice”. No. Non mi contraddico.

Io dico di odiare la pesantezza dell’amore, la passionalità carnale dell’amore al padre e madre, e sposa e figli, e fratelli e sorelle, e alla stessa vita, ma anzi ordino di amare, con la libertà leggera che è propria degli spiriti, i pa­renti e la vita.

Amateli in Dio e per Dio, non posponendo mai Dio a loro, occupandovi e preoccupandovi di portarli dove il discepolo è giunto, ossia a Dio Verità. Così amerete santamente i parenti e Dio, conciliando i due amori e facendo dei legami di sangue non peso ma ala, non colpa ma giustizia.

Anche la vostra vita dovete esser pronti a odiare per seguire Me.

Odia la sua vita colui che, senza paura di perderla o di renderla umanamente triste, la fa servire a Me. Ma non è che una apparenza di odio. Un sentimento erroneamente detto “odio” dal pensiero dell’uomo che non sa elevarsi, dell’uomo tutto ter­restre, di poco superiore al bruto.

In realtà questo apparente odio, che è il negare le soddisfazioni sensuali alla esistenza per dare una sempre più vasta vita allo spirito, è amore.

Amore è, e del più alto che esista, del più benedetto.

Questo negarsi le bas­se soddisfazioni, questo interdirsi la sensualità degli affetti, questo procurarsi rimproveri e commenti ingiusti, questo ri­schiare punizioni, ripudi, maledizioni e forse anche persecuzio­ni, è una sequela di pene.

Ma occorre abbracciarle e imporsele come una croce, un patibolo sul quale si espia ogni passata col­pa per andare giustificati a Dio, e dal quale si ottiene ogni gra­zia, vera, potente, santa Grazia di Dio per coloro che noi amia­mo. Chi non porta la sua croce e non viene dietro a Me, chi non sa fare questo, non può essere mio discepolo.

Pensateci dunque molto, molto, voi che dite: “Siamo venuti perché vogliamo unirci ai tuoi discepoli”.

Non è vergogna ma sapienza pesarsi, giudicarsi e confessare, a se stessi e agli altri: “Io non ho stoffa di discepolo”.

E che? I pagani hanno a base di un loro insegnamento la necessità di “conoscere se stessi”; e voi israeliti, per conquistare il Cielo, non lo sapreste fare? Per­ché, ricordatevelo sempre, beati quelli che verranno a Me. Ma piuttosto che venire per poi tradire Me e Colui che mi ha man­dato, meglio è non venire affatto e rimanere i figli della Legge come fin qui foste.

Guai a coloro che, avendo detto: “Vengo”, portano poi danno al Cristo essendo i traditori dell’idea cri­stiana, gli scandalizzatori dei piccoli, dei buoni! Guai a loro! Eppure vi saranno, e sempre vi saranno!

Imitate perciò colui che vuole edificare una torre. Prima calcola attentamente la spesa necessaria e fa i conti del suo de­naro per vedere se ha di che portarla a termine, perché, termi­nate le fondamenta, non debba sospendere i lavori non avendo più denaro. In questo caso perderebbe anche quanto aveva pri­ma, rimanendo senza torre e senza talenti, e in cambio si atti­rerebbe le beffe del popolo che direbbe: “Costui ha cominciato a fabbricare senza poter finire. Ora può empirsi lo stomaco delle rovine della sua incompiuta fabbrica”.

Imitate ancora i re della Terra, facendo servire i poveri avvenimenti del mondo a insegnamento soprannaturale.

Costoro, quando vogliono muovere guerra ad un altro re, esaminano con calma e attenzione ogni cosa, il pro e il contro, meditano se l’utile della conquista valga il sacrificio delle vite dei sudditi, studiano se è possibile conquistare quel luogo, se le loro mili­zie, inferiori della metà a quelle del rivale, anche se più com­battive, possono vincere; e giustamente pensando che è impro­babile che diecimila vincano ventimila, prima che avvenga lo scontro mandano incontro al rivale una ambasceria con ricchi doni e, ammansendo il rivale, già insospettito dalle mosse mili­tari dell’altro, lo disarmano con prove di amicizia, ne annulla­no i sospetti e fanno con esso trattato di pace, in verità sempre più vantaggioso, tanto umanamente che spiritualmente, di una guerra.

Così dovete fare voi prima di iniziare la nuova vita e di schierarvi contro il mondo. Perché questo è essere miei disce­poli: andare contro la turbinosa e violenta corrente del mondo, della carne, di satana.

E, se non sentite in voi il coraggio di ri­nunciare a tutto per amor mio, non venite a Me perché non po­tete essere miei discepoli».

«Va bene. Ciò che Tu dici è vero», ammette uno scriba che si è mescolato al gruppo. «Ma se ci spogliamo di tutto, con che ti serviamo poi? La Legge ha dei comandi che sono come mo­nete che Dio dà all’uomo perché usandole si compri la vita eterna. Tu dici: “Rinunciate a tutto” e accenni il padre, la ma­dre, le ricchezze, gli onori. Dio ha pur dato queste cose e ci ha detto, per bocca di Mosè, di usarle con santità per apparire giusti agli occhi di Dio. Se Tu ci levi tutto, che ci dai?».

«Il vero amore, l’ho detto, o rabbi. Vi do la mia dottrina che non leva un iota alla antica Legge, ma anzi la perfeziona».

«Allora tutti siamo discepoli uguali, perché tutti abbiamo le stesse cose».

«Tutti le abbiamo secondo la Legge mosaica. Non tutti se­condo la Legge perfezionata da Me secondo l’Amore. Ma non tutti raggiungono, nella stessa, la stessa somma di meriti. An­che fra i miei stessi discepoli non tutti giungeranno ad avere somma di meriti in uguale misura, e alcuno fra essi non solo non avrà somma ma perderà anche l’unica sua moneta: la sua anima».

«Come? A chi più è dato più resterà. I tuoi discepoli, meglio i tuoi apostoli, ti seguono nella tua missione e sono al corrente dei tuoi modi, hanno avuto moltissimo; molto hanno avuto i di­scepoli effettivi, meno i discepoli solo di nome, nulla quelli che, come me, non ti ascoltano che per accidente. È ovvio che mol­tissimo avranno in Cielo gli apostoli, molto i discepoli effettivi, meno i discepoli di nome, nulla quelli che sono come me».

«Umanamente è ovvio, e male anche umanamente. Perché non tutti sono capaci di far fruttare i beni avuti. Odi questa parabola e perdona se troppo a lungo qui insegno. Ma Io sono la rondine di passaggio, e non sosto che per poco nella Casa del Padre, essendo venuto per tutto il mondo e non volendo, que­sto piccolo mondo che è il Tempio di Gerusalemme, permetter­mi di raccogliere il volo e rimanere là dove la gloria del Signo­re mi chiama».

«Perché dici così?».

«Perché è verità».

Lo scriba si guarda intorno e poi china la testa. Che sia ve­rità lo vede scritto su troppi volti di sinedristi, rabbi e farisei che sono andati sempre più ingrossando l’assembramento che è intorno a Gesù.

Volti verdi di bile o porpurei d’ira, sguardi che equivalgono a parole di maledizione e a sputi di veleno, ranco­re che lievita da ogni parte, desiderio di malmenare il Cristo, che resta desiderio solo per paura dei molti che circondano il Maestro con devozione e che sono pronti a tutto per difenderlo, paura forse anche di punizioni da parte di Roma che ha beni­gnità verso il mite Maestro galileo.


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