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Il Vangelo, nelle visioni della mistica M.Valtorta

18 Luglio 2016 | Filed under: Rivelazioni private
     

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maria e marta

Dal “Poema dell’Uomo Dio”

di Maria Valtorta

Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta

Comprendo subito che si è ancora intorno alla figura della Maddalena, perché la vedo per prima cosa in una semplice ve­ste di un rosa lillà come è il fiore della malva. Nessun orna­mento prezioso, i capelli sono semplicemente raccolti in trecce sulla nuca. Sembra più giovane di quando era tutta un capola­voro di toletta. Non ha più l’occhio sfrontato di quando era la «peccatrice», e neppure lo sguardo avvilito di quando ascolta­va la parabola della pecorella, e quello vergognoso e lucido di pianto di quando era nella sala del fariseo… Ora ha un occhio quieto, tornato limpido come quello di un bambino, e un riso pacato vi risplende.

Ella è appoggiata ad un albero presso il confine della proprietà di Betania e guarda verso la via. Attende. Poi ha un gri­do di gioia. Si volge verso la casa e grida forte per essere udita, grida con la sua splendida voce vellutata e passionale, inconfondibile:

«Giunge!… Marta, ci hanno detto giusto. Il Rab­bi è qui!», e corre ad aprire il pesante cancello che stride.

Non dà tempo ai servi di farlo e esce sulla via a braccia tese, come fa un bambino verso la mamma, e con un grido di gioia amoro­sa:

«O Rabboni mio!», e si prostra ai piedi di Gesù, baciandoglieli fra la polvere della via.

«Pace a te, Maria. Vengo a riposare sotto il tuo tetto».

«O Maestro mio!», ripete Maria levando il volto con una espressione di riverenza e d’amore che dice tanto… È ringra­ziamento, è benedizione, è gioia, è invito ad entrare, è giubilo perché Egli entra…

Gesù le ha messo la mano sul capo e pare l’assolva ancora.

Maria si alza e, a fianco di Gesù, rientra nel recinto della proprietà. Sono corsi intanto servi e Marta. I servi con anfore e coppe. Marta col suo solo amore. Ma è tanto.

Gli apostoli, accaldati, bevono le fresche bevande che i servi mescono. Vorrebbero darla a Gesù per il primo. Ma Marta li ha prevenuti. Ha preso una coppa piena di latte e l’ha offerta a Gesù. Deve sapere che gli piace molto.

Dopo che i discepoli si sono ristorati, Gesù dice loro: «An­date ad avvertire i fedeli. A sera parlerò loro».

Gli apostoli si sparpagliano in diverse direzioni non appena fuori dal giardino.

Gesù inoltra fra Marta e Maria.

«Vieni, Maestro», dice Mar­ta. «Mentre giunge Lazzaro, riposa e prendi ristoro».

Mentre pongono piede in una fresca stanza che dà sul porti­co ombroso, ritorna Maria che si era allontanata a passo rapi­do. Torna con una brocca d’acqua, seguita da un servo che por­ta un bacile. Ma è Maria che vuole lavare i piedi di Gesù. Ne slaccia i sandali polverosi e li dà al servo, perché li riporti pu­liti insieme al mantello, pure dato perché fosse scosso dal pol­verume.

Poi immerge i piedi nell’acqua, che qualche aroma fa lievemente rosea, li asciuga, li bacia. Poi cambia l’acqua e ne offre di monda a Gesù, per le mani. E mentre attende il servo coi sandali, accoccolata sul tappeto ai piedi di Gesù, glieli ac­carezza e, prima di mettergli i sandali, li bacia ancora dicendo:

«Santi piedi che avete tanto camminato per cercarmi!».

Marta, più pratica nel suo amore, va all’utile umano e chie­de: «Maestro, oltre i tuoi discepoli chi verrà?».

E Gesù: «Non so ancora di preciso. Ma puoi preparare per altri cinque oltre gli apostoli».

Marta se ne va.

Gesù esce nel fresco giardino ombroso. Ha semplicemente la sua veste azzurro cupo. Il mantello, ripiegato con cura da Maria, resta su una cassapanca della stanza. Maria esce insie­me a Gesù.

Vanno per vialetti ben curati, fra aiuole fiorite, sin verso la peschiera che pare uno specchio caduto fra il verde. L’acqua limpidissima è appena rotta, qua e là, dal guizzo argenteo di qualche pesce e dalla pioggiolina dello zampillo esilissimo, al­to e centrale. Dei sedili sono presso l’ampia vasca che pare un laghetto e dalla quale partono piccoli canali di irrigazione. Credo anzi che uno sia quello che alimenta la peschiera e gli altri, più piccoli, quelli di scarico adibiti ad irrigare.

Gesù siede su un sedile messo proprio contro il margine del­la vasca. Maria gli si siede ai piedi, sull’erba verde e ben cura­ta. In principio non parlano. Gesù gode visibilmente del silen­zio e del riposo nel fresco del giardino. Maria si bea di guar­darlo.

Gesù gioca con l’acqua limpida della vasca. Vi immerge le dita, la pettina separandola in tante piccole scie e poi lascia che tutta la mano sia immersa in quella pura freschezza. «Co­me è bella quest’acqua limpida!», dice.

E Maria: «Tanto ti piace, Maestro?».

«Sì, Maria. Perché è tanto limpida. Guarda. Non ha una traccia di fango. Vi è acqua, ma è tanto pura che pare non vi sia nulla, quasi non fosse elemento ma spirito. Possiamo legge­re sul fondo le parole che si dicono i pesciolini…».

«Come si legge in fondo alle anime pure. Non è vero, Mae­stro?», e Maria sospira con un rimpianto segreto.

Gesù sente il sospiro represso e legge il rimpianto velato da un sorriso, e medica subito la pena di Maria.

«Le anime pure dove le abbiamo, Maria? È più facile che un monte cammini che non una creatura sappia mantenersi pura delle tre purità. Troppe cose intorno ad un adulto si agitano e fermentano. E non sempre si può impedire che penetrino nell’interno.

Non vi sono che i bambini che abbiano l’anima angelica, l’anima preservata, dalla loro innocenza, dalle cogni­zioni che possono mutarsi in fango. Per questo li amo tanto. Vedo in loro un riflesso della Purezza infinita. Sono gli unici che portino seco questo ricordo dei Cieli.

La Mamma mia è la Donna dall’anima di bambino. Più an­cora. Ella è la Donna dall’anima di Angelo. Quale era Eva usci­ta dalle mani del Padre.

Lo pensi, Maria, cosa sarà stato il pri­mo giglio fiorito nel terrestre giardino? Tanto belli anche que­sti che fanno guida a quest’acqua. Ma il primo, uscito dalle mani del Creatore! Era fiore o era diamante? Erano petali o fo­gli d’argento purissimo?

Eppure mia Madre è più pura di que­sto primo giglio che ha profumato i venti. E il suo profumo di Vergine inviolata empie Cielo e Terra, e dietro ad esso andran­no i buoni nei secoli dei secoli. 

Il Paradiso è luce, profumo e armonia. Ma se in esso non si beasse il Padre nel contemplare la Tutta Bella che fa della Terra un paradiso, ma se il Paradiso dovesse in futuro non avere il Giglio vivo nel cui seno sono i tre pistilli di fuoco della divina Trinità, luce, profumo e armo­nia, letizia del Paradiso, sarebbero menomati della metà. La purezza della Madre sarà la gemma del Paradiso.

Ma è sconfinato il Paradiso! Che diresti di un re che avesse una gemma sola nel suo tesoro? Anche fosse la Gemma per ec­cellenza? Quando Io avrò aperto le porte del Regno dei Cieli… -non sospirare, Maria, per questo Io son venuto- molte ani­me di giusti e di pargoli entreranno, scia di candore, dietro alla porpora del Redentore. Ma saranno ancora pochi per popolare di gemme i Cieli e formare i cittadini della Gerusalemme eter­na.

E dopo… dopo che la Dottrina di verità e santificazione sarà conosciuta dagli uomini, dopo che la mia Morte avrà rida­to la Grazia agli uomini, come potrebbero gli adulti conquista­re i Cieli, se la povera vita umana è continuo fango che rende impuri?

Sarà dunque allora il mio Paradiso solo dei pargoli? Oh! no! Come pargoli occorre saper divenire. Ma anche agli adulti è aperto il Regno. Come pargoli… Ecco la purezza.

Vedi quest’acqua? Pare tanto limpida. Ma osserva: basta che Io con questo giunco ne smuova il fondale che ecco si intorbida. Detriti e fango affiorano. Il suo cristallo si fa giallognolo e nes­suno ne berrebbe più. Ma se Io levo il giunco, la pace ritorna e l’acqua torna poco a poco limpida e bella. Il giunco: il peccato. Così delle anime. Il pentimento, credilo, è ciò che depura…».

Sopraggiunge Marta affannata: «Ancora qui sei, Maria? Ed io che mi affanno tanto! L’ora passa. I convitati presto ver­ranno e vi è tanto da fare. Le serve sono al pane, i servi scuoia­no e cuociono le carni. Io preparo stoviglie, mense e bevande. Ma ancora sono da cogliere le frutta e preparare l’acqua di menta e miele…».

Maria ascolta sì e no le lamentele della sorella. Con un sor­riso beato continua a guardare Gesù, senza muoversi dalla sua posizione.

Marta invoca l’aiuto di Gesù: «Maestro, guarda come sono accaldata. Ti pare giusto che sia io sola a sfaccendare? Dille Tu che mi aiuti». Marta è veramente inquieta.

Gesù la guarda con un sorriso per metà dolce e per metà un poco ironico, meglio, scherzoso.

Marta ci si inquieta un poco: «Dico sul serio, Maestro. Guardala come ozia mentre io lavoro. Ed è qui che vede…».

Gesù si fa più serio: «Non è ozio, Marta. È amore. L’ozio era prima. E tu hai tanto pianto per quell’ozio indegno. Il tuo pianto ha messo ancor più ala al mio andare per salvarmela e rendertela al tuo onesto affetto. Vorresti tu contenderla di amare il suo Salvatore? La preferiresti allora lontana di qui per non vederti lavorare, ma lontana anche da Me?

Marta, Marta! Devo dunque dire che costei (e Gesù le pone la mano sul capo), venuta da tanto lontano, ti ha sorpassata nell’amore? Devo dunque dire che costei, che non sapeva una parola di be­ne, è ora dotta nella scienza dell’amore?

Lasciala alla sua pa­ce! È stata tanto malata! Ora è una convalescente che guarisce bevendo le bevande che la fortificano. È stata tanto tormenta­ta… Ora, uscita dall’incubo, guarda intorno a sé e in sé, e si scopre nuova e scopre un mondo nuovo. Lascia che se ne faccia sicura. Con questo suo “nuovo” deve dimenticare il passato e conquistarsi l’eterno…

Non sarà conquistato questo unica­mente col lavoro, ma anche con l’adorazione. Avrà ricompensa chi avrà dato un pane all’apostolo e al profeta. Ma doppia ne avrà chi avrà dimenticato anche di cibarsi per amarmi, perché più grande della carne avrà avuto lo spirito, il quale avrà avu­to voci più forti di quelle degli anche leciti bisogni umani.

Tu ti affanni di troppe cose, Marta. Costei di una sola. Ma è quella che basta al suo spirito e soprattutto al suo e tuo Signore. La­scia cadere le cose inutili. Imita tua sorella. Maria ha scelto la parte migliore. Quella che non le sarà mai più tolta. 

Quando tutte le virtù saranno superate, perché non più necessarie ai cittadini del Regno, unica resterà la carità. Essa resterà sem­pre. Unica. Sovrana. Ella, Maria, ha scelto questa, e questa si è presa per suo scudo e bordone. Con questa, come su ali d’Ange­lo, verrà nel mio Cielo».

Marta abbassa la testa mortificata e se ne va.

«Mia sorella ti ama molto e si cruccia per farti onore…», dice Maria per scusarla.

«Lo so, e ne sarà ricompensata. Ma ha bisogno di esser depurata, come si è depurata quest’acqua, del suo pensare uma­no. Guarda, mentre parlavamo, come è tornata limpida. Marta si depurerà per le parole che le ho detto. Tu… tu per la since­rità del tuo pentimento…».

«No, per il tuo perdono, Maestro. Non bastava il mio pentirmi a lavare il mio grande peccato…».

«Bastava e basterà alle tue sorelle che ti imiteranno. A tutti i poveri infermi dello spirito. Il pentimento sincero è filtro che depura; l’amore, poi, è sostanza che preserva da ogni nuova in­quinazione. Ecco perciò che coloro che la vita fa adulti e pec­catori potranno tornare innocenti come pargoli ed entrare co­me essi nel Regno mio. Andiamo ora alla casa. Che Marta non resti troppo nel suo dolore. Portiamole il nostro sorriso di Ami­co e di sorella».

 Dice Gesù:

«Il commento non occorre. La parabola dell’acqua è com­mento all’operazione del pentimento nei cuori.

Hai così il ciclo della Maddalena completo. Dalla morte alla Vita. È la più grande risorta del mio Vangelo. È risorta da sette morti. È rinata. L’hai vista, come pianta da fiore, alzare dal fango lo stelo del suo nuovo fiore sempre più in alto, e poi fio­rire per Me, olezzare per Me, morire per Me.

L’hai vista pecca­trice, poi assetata che si accosta alla Fonte, poi pentita, poi perdonata, poi amante, poi pietosa sul Corpo ucciso del suo Si­gnore, poi serva della Madre, che ama perché Madre mia; infi­ne penitente sulle soglie del suo Paradiso.

Anime che temete, imparate a non temere di Me leggendo la vita di Maria di Magdala. Anime che amate, imparate da lei ad amare con serafico ardore. Anime che avete errato, imparate da lei la scienza che rende pronti al Cielo.

Vi benedico tutti per darvi aiuti a salire. Va’ in pace».


     

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