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Il Vangelo nelle visioni della mistica M. Valtorta

16 Gennaio 2016 | Filed under: Rivelazioni private
     

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Nozze di Cana 2

Dal “Poema dell’Uomo Dio”

di Maria Valtorta

 

Le nozze di Cana

Vedo una casa. Una caratteristica casa orientale -un cubo bianco, più largo che alto, con rade aperture  sormontata da una terrazza che fa da tetto, recinta da un muretto alto circa un metro e ombreggiata da una pergola di vite, che si arrampica fin là e stende i suoi rami su oltre metà di questa assolata terrazza. Una scala esterna sale lungo la facciata sino all’altezza di una porta, che si apre a metà altezza della facciata. Sotto ci sono, al terreno, delle porte basse e rade, non più di due per lato, che mettono in stanze basse e scure.

La casa sorge in mezzo ad una specie di aia, più spiazzo erbo­so che aia, che ha al centro un pozzo. Vi sono delle piante di fico e di melo. La casa guarda verso la strada, ma non è sulla strada. È un poco in dentro, e un viottolo fra l’erba l’unisce alla via che sembra una via maestra.

Si direbbe che la casa è alla periferia di Cana: casa di proprietari contadini, i quali vivono in mez­zo al loro poderetto. La campagna si stende oltre la casa con le sue lontananze verdi e placide. Vi è un bel sole e un azzurro tersissimo di cielo. In principio non vedo altro. La casa è sola.

Poi vedo due donne, con lunghe vesti e un manto che fa anche da velo, avanzarsi sulla via e da questa sul sentiero. Una è più anziana, sui cinquant’anni, e veste di scuro, un color bigio-marrone come di lana naturale. L’altra è vestita più in chiaro, una veste di un giallo pallido e manto azzurro, e sembra avere un trentacinque anni. È molto bella, snella, e ha un portamento pieno di dignità, per quanto sia tutta gentilezza e umiltà. Quando è più vicina, noto il color pallido del volto, gli occhi az­zurri e i capelli biondi che appaiono sotto il velo sulla fronte.

Riconosco Maria Santissima. Chi sia l’altra, che è bruna e più anziana, non so. Parlano fra loro e la Madonna sorride. Quando sono prossime alla casa, qualcuno, certamente messo a guardia degli arrivi, dà l’avviso, ed incontro alle due vengono uomini e donne tutti vestiti a festa, i quali fanno molte feste alle due e specie a Maria Santissima.

L’ora pare mattutina, direi verso le nove, forse prima, perché la campagna ha ancora quell’aspet­to fresco delle prime ore del giorno, nella rugiada che fa più verde l’erba e nell’aria non ancora offu­scata da polvere. La stagione mi pare primaverile, perché i prati sono con erba non arsa dall’estate e i campi hanno il grano ancor giovane e senza spiga, tutto verde. Le foglie del fico e del melo sono verdi e ancora tenere, e così quelle della vite.

Ma non vedo fiori sul melo e non vedo frutta né sul melo, né sul fico, né sulla vite. Segno che il melo ha già fiorito, ma da poco, e i frutticini non si vedo­no ancora. Maria, molto festeggiata e fiancheggiata da un anziano che pare il padrone di casa, sale la scala esterna ed entra in un’ampia sala che pare tenere tutta o buona parte del piano sopraelevato.

Mi pare di capire che gli ambienti al terreno sono le vere e proprie stanze di abitazione, le dispen­se, i ripostigli e le cantine, e questa sia l’ambiente riservato a usi speciali, come feste eccezionali, o a lavori che richiedano molto spazio, o anche a distensione di derrate agricole.

Nelle feste lo svuota­no da ogni impiccio e lo ornano, come è oggi, di rami verdi, di stuoie, di tavole imbandite. Al centro ve ne è una molto ricca, con sopra già delle anfore e piatti colmi di frutta. Lungo la parete di destra, rispetto a me che guardo, un’altra tavola imbandita, ma meno riccamente. Lungo quella di sinistra, una specie di lunga credenza, con sopra piatti con formaggi e altri cibi che mi paiono focacce coperte di miele e dolciumi. In terra, sempre presso questa parete, altre anfore e tre grossi vasi in forma di brocca di rame (su per giù). Le chiamerei giare.

Maria ascolta benignamente quanto tutti Le dicono, poi con bontà si leva il manto ed aiuta a finire i preparativi della mensa. La vedo andare e venire aggiustando i letti-sedili, raddrizzando le ghirlan­de di fiori, dando migliore aspetto alle fruttiere, osservando che nelle lampade vi sia l’olio.

Sorride e parla pochissimo e a voce molto bassa. Ascolta invece molto e con tanta pazienza.

Un grande rumore di strumenti musicali (poco armonici in verità) si ode sulla via. Tutti, meno Maria, corrono fuori. Vedo entrare la sposa, tutta agghindata e felice, circondata dai parenti e dagli amici, a fianco dello sposo che le è corso incontro per primo.

E qui la visione ha un mutamento. Vedo, invece della casa, un paese. Non so se sia Cana o altra borgata vicina. E vedo Gesù con Giovanni ed un altro che mi pare Giuda Taddeo, ma potrei, su que­sto secondo, sbagliare. Per Giovanni non sbaglio. Gesù è vestito di bianco ed ha un manto azzurro cupo.

Sentendo il rumore degli strumenti, il compagno di Gesù chiede qualcosa ad un popolano e riferisce a Gesù.

«Andiamo a far felice mia Madre», dice allora Gesù sorridendo.

E si incammina attraverso ai cam­pi, coi due compagni, alla volta della casa. Mi sono dimenticata di dire che ho l’impressione che Ma­ria sia o parente o molto amica dei parenti dello sposo, perché si vede che è in confidenza.

Quando Gesù arriva, il solito messo di sentinella, avvisa gli altri. Il padrone di casa, insieme al fi­glio sposo ed a Maria, scende incontro a Gesù e Lo saluta rispettosamente. Saluta anche gli altri due, e lo sposo fa lo stesso.

Ma quello che mi piace è il saluto pieno di amore e di rispetto di Maria al Figlio e viceversa.

Non espansioni, ma uno sguardo tale accompagna la parola di saluto: «La pace è con te» e un tale sor­riso che vale cento abbracci e cento baci. Il bacio tremola sulle labbra di Maria, ma non viene dato. Soltanto Ella pone la sua mano bianca e piccina sulla spalla di Gesù e gli sfiora un ricciolo della sua lunga capigliatura. Una carezza da innamorata pudica.

Gesù sale a fianco della Madre e seguito dai discepoli e dai padroni, ed entra nella sala del con­vito, dove le donne si danno da fare ad aggiungere sedili e stoviglie per i tre ospiti, inaspettati, mi sembra. Direi che era incerta la venuta di Gesù e assolutamente impreveduta quella dei suoi compa­gni.

Odo distintamente la voce piena, virile, dolcissima del Maestro dire, nel porre piede nella sala: «La pace sia in questa casa e la benedizione di Dio su voi tutti». Saluto cumulativo a tutti i presenti e pieno di maestà.

Gesù domina col suo aspetto e con la sua statura tutti quanti. È l’ospite, e fortuito, ma pare il re del convito, più dello sposo, più del padrone di casa. Per quanto sia umile e condiscendente, è Colui che si impone.

Gesù prende posto alla tavola di centro con lo sposo, la sposa, i parenti degli sposi e gli amici più influenti. I due discepoli, per rispetto al Maestro, vengono fatti sedere alla stessa tavola.

Gesù ha le spalle voltate alla parete dove sono le giare e le credenze. Non le vede perciò, e non vede neppure l’affaccendarsi del maggiordomo intorno ai piatti di arrosti, che vengono portati da una porticina che si apre presso le credenze.

Osservo una cosa. Meno le rispettive madri degli sposi e meno Maria, nessuna donna siede a quel tavolo. Tutte le donne sono, e fanno baccano per cento, all’altra tavola contro la parete, e vengono servite dopo che sono stati serviti gli sposi e gli ospiti di riguardo. Gesù è presso il padrone di casa ed ha di fronte Maria, la quale siede a fianco della sposa.

Il convito comincia. E assicuro che l’appetito non manca e neanche la sete. Quelli che lasciano poco il segno sono Gesù e sua Madre, la quale, anche, parla pochissimo. Gesù parla un poco di più. Ma, per quanto sia parco, non è, nel suo scarso parlare, né accigliato né sdegnoso.

È un Uomo cor­tese ma non ciarliero.

Interrogato risponde, se gli parlano si interessa, espone il suo parere, ma poi si raccoglie in Sé come uno abituato a meditare.

Sorride, non ride mai.

E, se sente qualche scherzo troppo avventato, mostra di non udire. Maria si ciba della contemplazione del suo Gesù, e così Gio­vanni, che è verso il fondo della tavola e pende dalle labbra del suo Maestro.

Maria si accorge che i servi parlottano col maggiordomo e che questo è impacciato, e capisce cosa c’è di spiacevole.

«Figlio», dice piano, richiamando l’attenzione di Gesù con quella parola.

«Figlio, non hanno più vino».

«Donna, che vi è più fra Me e te?».

Gesù, nel dirle questa frase, sorride ancor più dolcemente, e sorride Maria, come due che sanno una verità che è Loro gioioso segreto, ignorata da tutti gli altri.

Gesù mi spiega il significato della frase.

«Quel “più”, che molti traduttori omettono, è la chiave della frase e la spiega nel suo vero signifi­cato.

Ero il Figlio soggetto alla Madre sino al momento in cui la volontà del Padre mio mi indicò esser venuta l’ora di essere il Maestro. Dal momento che la mia missione ebbe inizio, non ero più il Figlio soggetto alla Madre, ma il Servo di Dio. Rotti i legami morali verso la mia Genitrice. Essi si erano mutati in altri più alti, si erano rifugiati tutti nello Spirito.

Quello chiamava sempre “Mamma” Maria, la mia Santa. L’amore non conobbe soste, né intiepidimento, anzi non fu mai tanto perfetto come quando, separato da Lei come per una seconda figliazione, Ella mi dette al mondo per il mondo, co­me Messia, come Evangelizzatore.

La sua terza sublime mistica maternità fu quando, nello strazio del Golgota, mi partorì alla Croce facendo di Me il Redentore del mondo.

“Che vi è più fra Me e te?”. Prima ero tuo, unicamente tuo. Tu mi comandavi, Io ti ubbidivo. Ti ero “soggetto”. Ora sono della mia missione.

Non l’ho forse detto? “Chi, messa la mano all’aratro, si volge indietro a salutare chi resta, non è adatto al Regno di Dio”.

Io avevo posto la mano all’aratro per aprire col vomere non le glebe, ma i cuori, e seminarvi la Parola di Dio. Avrei levato quella mano solo quando me l’avrebbero strappata di là per inchiodarmela alla croce ed aprire con il mio torturante chiodo il cuore del Padre mio, facendo­ne uscire il perdono per l’umanità.

Quel “più”, dimenticato dai più, voleva dire questo:

“Tutto mi sei stata, o Madre, finché fui unica­mente il Gesù di Maria di Nazareth, e tutto mi sei nel mio Spirito; ma, da quando sono il Messia atte­so, sono del Padre mio. Attendi un poco ancora e, finita la missione, sarò da capo tutto tuo; mi riavrai ancora sulle braccia come quand’ero Bambino, e nessuno Te lo contenderà più, questo tuo Figlio, considerato un obbrobrio dell’umanità, che te ne getterà la spoglia per coprire Te pure dell’obbrobrio d’esser Madre di un reo.

E poi mi avrai di nuovo, trionfante, e poi mi avrai per sempre, trionfante tu pure in Cielo. Ma ora sono di tutti questi uomini. E sono del Padre che mi ha mandato ad essi”.

Ecco quel che vuol dire quel piccolo e così denso di significato “più”».

Maria ordina ai servi: «Fate quello che Egli vi dirà».

Maria ha letto negli occhi sorridenti del Figlio l’assenso, velato dal grande insegnamento a tutti i “vocati”. E ai servi: «Riempite d’acqua le idrie», ordina Gesù.

Vedo i servi empire le giare di acqua portata dal pozzo (odo stridere la carrucola che porta su e giù il secchio gocciolante). Vedo il maggiordomo mescersi un poco di quel liquido con occhi di stupo­re, assaggiarlo con atti di ancor più vivo stupore, gustarlo e parlare al padrone di casa e allo sposo (erano vicini).

Maria guarda ancora il Figlio e sorride; poi, raccolto un sorriso di Lui, china il capo arrossendo lie­vemente. È beata.

Nella sala passa un sussurrio, le teste si volgono tutte verso Gesù e Maria, c’è chi si alza per ve­dere meglio, chi va alle giare. Un silenzio, e poi un coro di lodi a Gesù. Ma Egli si alza e dice una parola:

«Ringraziate Maria», e poi si sottrae al convito. I discepoli Lo seguono.

Sulla soglia ripete: «La pace sia a questa casa e la benedizione di Dio su voi», e aggiunge: «Madre, Ti saluto».

La visione cessa.

 Gesù mi istruisce così:

«Quando dissi ai discepoli: “Andiamo a far felice mia Madre”, avevo dato alla frase un senso più alto di quello che pareva. Non la felicità di vedermi, ma di essere Lei l’iniziatrice della mia attività di miracolo e la prima benefattrice dell’umanità. Ricordatevelo sempre. Il mio primo miracolo è avve­nuto per Maria. Il primo.

Simbolo che è Maria la chiave del miracolo.

Io non ricuso nulla alla Madre mia, e per sua preghiera anticipo anche il tempo della Grazia. Io conosco mia Madre, la seconda in bontà dopo Dio. So che farvi Grazia è farla felice, poiché è la Tutta Amore.

Ecco perché dissi, Io che sapevo: “Andiamo a farla felice”.

Inoltre ho voluto rendere manifesta la sua potenza al mondo insieme alla mia.

Destinata ad es­sere a Me congiunta nella Carne -poiché fummo una carne: Io in Lei, Lei intorno a Me, come petali di giglio intorno al pistillo odoroso e colmo di vita- congiunta a Me nel dolore, poiché fummo sulla Croce Io con la Carne e Lei col suo Spirito, così come il giglio odora e colla corolla e coll’essenza tratta da essa, era giusto fosse congiunta a Me nella potenza che si mostra al mondo.

Dico a voi ciò che dissi a quei convitati:

“Ringraziate Maria. È per Lei che avete avuto il Padrone del miracolo e che avete le mie Grazie, e specie quelle di perdono”.

Riposa in pace. Noi siamo con te».


     

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