Il Vangelo nelle visioni della mistica M. Valtorta
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Dal “Poema dell’Uomo Dio”
di Maria Valtorta
Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.
A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente acciò l’acqua non stagni in palude. L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso S. Miniato-Empoli : direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare. Pure è d’un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e arenoso di quanto gli si stende avanti.
Quella voce intima che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio il chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano e lo spazio desolato, che osservo alla mia destra, è il deserto di Giuda.
Se dire deserto per dire luogo dove non sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena.
In lontananza, delle colline. Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. E’ un luogo che pare ricordarsi di voli d’angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.
Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni paiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.
In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni « i figli del tuono ». Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire.
Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. E’ un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.
Mentre lo ascolto —e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli Evangelisti, ma amplificate in irruenza— vedo avanzarsi lungo una stradicciola, che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnata dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorsa per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall’altro lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda.
Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare e per prepararsi ad esser mondi per la venuta del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.
Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell’emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dal gruppo appoggiandosi al fusto di un albero.
Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, sono l’antitesi l’uno dell’altro. Alti tutti e due — è l’unica somiglianza — sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto d’un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall’abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero nella barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo dì cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall’aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.
Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante, esclama : « Ecco l’Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore? »
Gesù risponde placido : « Per compiere il rito di penitenza. »
« Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per èssere santificato, e Tu vieni a me? »
E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s’era curvato davanti a Gesù, risponde : « Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo» ~
Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell’acqua dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l’acqua del fiume, presa con una specie di tazza che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.
Gesù è proprio l’Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.
Mentre Gesù risale la riva e dopo essersi vestito si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, testimoniando d’averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore.
Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta presente che questa figura di luce contro il verde della sponda.
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