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Il Vangelo nelle visioni della mistica M. Valtorta

16 Luglio 2017 | Filed under: Rivelazioni private
     

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Dal “Poema dell’Uomo Dio

di Maria Valtorta

Perchè Gesù parla in parabole

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a Lui tanta folla che Egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del Regno dei Cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice:

“Udrete, sì, ma non comprenderete,

guarderete, sì, ma non vedrete.

Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,

sono diventati duri di orecchi

e hanno chiuso gli occhi,

perché non vedano con gli occhi,

non ascoltino con gli orecchi

e non comprendano con il cuore

e non si convertano e io li guarisca!”.

Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità Io vi dico: molti Profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 3 – Capitolo 179 – pagina 152

 Mi dice Gesù mostrandomi il corso del Giordano, meglio, lo sbocco del Giordano nel lago di Tiberiade, là dove è stesa la città di Betsaida sulla riva destra del fiume, rispetto a chi guarda il nord: «Ora la città non sembra più sulle rive del lago, ma un poco in dentro nel retroterra. E ciò sconcerta gli studio­si. La spiegazione si deve cercare nell’interramento del lago da questa parte, dovuto a venti secoli di terriccio depositato dal fiume e ad alluvioni e frane scese dai colli di Betsaida. Allora la città era proprio all’imbocco del fiume nel lago, e anzi le barche più piccole, e nelle stagioni più ricche d’acque, risali­vano per un buon tratto, fino a quasi l’altezza di Corozim, il fiume stesso, che serviva però sempre da porto e ricovero sulle sue rive alle barche di Betsaida nei giorni di burrasca del lago. Questo non per te, alla quale poco importa, ma per i dottori difficili. E ora va’ avanti».

Le barche degli apostoli, fatto il breve tratto di lago che se­para Cafarnao da Betsaida, ammarrano in questa città. Ma al­tre barche le hanno seguite e molti ne smontano unendosi su­bito a quelli di Betsaida venuti a salutare il Maestro, che entra nella casa di Pietro dove… è da capo la moglie, che suppongo abbia preferito la solitudine al vivere fra i continui lagni della madre verso suo marito.

La gente, fuori, reclama a gran voce il Maestro, cosa che fa inquietare non poco Pietro, che sale sulla terrazza e arringa cittadini o meno, dicendo che ci vuole rispetto ed educazione. Lui, il suo Maestro, se lo vorrebbe godere un poco in pace, ora che l’ha nella sua casa, e invece non ha tempo e soddisfazione di offrirgli neppure un poco di acqua e miele fra le molte cose che ha detto alla moglie di portare, e brontola.

Gesù lo guarda sorridendo e crolla il capo dicendo: «Sem­bra che tu non mi veda mai e che sia un caso essere insieme!».

«Ma è così! Quando siamo per il mondo siamo forse io e Te? Nemmeno per sogno! Fra Te e me c’è il mondo coi suoi malati, coi suoi afflitti, coi suoi ascoltatori, coi suoi curiosi, coi suoi calunniatori, coi suoi nemici, e noi non siamo mai io e Te. Qui invece Tu sei con me, in casa mia, e dovrebbero capirlo!».

È proprio inquieto.

«Ma non vedo diversità, Simone. Il mio amore è uguale, la mia parola è la stessa. Che Io te la dica a te in privato, o che la dica per tutti, non è lo stesso?».

Pietro confessa allora la sua grande pena: «È che io sono zuccone e mi distraggo con facilità. Quando Tu parli su una piazza, su un monte, fra tanta folla, io, non so perché, capisco tutto, ma poi non ricordo nulla. L’ho detto anche ai compagni e mi hanno dato ragione. Gli altri, voglio dire il popolo che ti ascolta, ti capisce e ricorda quello che dici.

Quante volte ab­biamo sentito confessare da uno: “Non ho più fatto questo per­ché Tu lo hai detto”, oppure: “Sono venuto perché una volta ti ho sentito dire quest’altro e mi ha ferito il pensiero”.

Noi inve­ce… uhm! è come un corso d’acqua che passa e non si ferma. La sponda non l’ha più quell’acqua che è passata. Ne viene dell’altra, sì, sempre altra, e sempre tanta. Ma passa, passa, passa… E io penso con terrore che, se come Tu dici sarà, che verrà il momento che Tu non sarai più a fare la parte del fiume e… e io… Che avrò da dare a chi ha sete, se non serbo neppure una goccia del tanto che mi dai?».

Anche gli altri appoggiano i lamenti di Pietro, lamentando­si di non ritrovare mai niente di tutto quello che sentono, quando vorrebbero trovarlo per rispondere ai molti che li in­terrogano.

Gesù sorride e risponde: «Ma non mi pare. La gente è molto contenta anche di voi…».

«Oh! sì! Per quello che facciamo! Farti largo, e dare delle gomitate per questo, portare i malati, raccogliere gli oboli, e dire: “Sì, il Maestro è quello!”. Bella roba, in verità!».

«Non ti denigrare troppo, Simone».

«Non mi denigro. Mi conosco».

«È la più difficile delle sapienze. Ma Io ti voglio levare que­sta grande paura. Quando Io ho parlato, e voi non avete potuto tutto comprendere e ritenere, domandate senza timore di ap­parire noiosi o di sconfortarmi. Abbiamo sempre delle ore di intimità. In queste apritemi il cuore. Do tanto a tanti. E che non darei a voi che amo come più non potrebbe Iddio?

Hai parlato di onda che va e nulla resta alla riva. Verrà un giorno in cui ti accorgerai che ogni onda ti ha deposto un seme, e che ogni seme ha fatto pianta. Ti troverai davanti fiori e piante per tutti i casi, ti stupirai di te stesso dicendo: “Ma che mi ha fatto il Signore?”, perché tu allora sarai redento dalla schiavitù del peccato e le tue virtù attuali si saranno perfezionate a grande altezza».

«Tu lo dici, Signore, ed io mi riposo in questa tua parola».

«Ora andiamo da chi ci attende. Venite. Pace a te, donna. Sarò tuo ospite questa sera».

Escono e Gesù si dirige al lago per non essere oppresso dal­la calca. Pietro è sollecito a staccare la barca di pochi metri dalla riva di modo che la voce di Gesù sia udita da tutti, ma che uno spazio sia fra Lui e gli ascoltatori.

«Da Cafarnao a qua Io ho pensato quale parola dirvi. E ho trovato indicazione nei fatti del mattino.

Voi avete visto tre uomini venire a Me. L’uno spontanea­mente, l’altro perché da Me sollecitato, il terzo per subito en­tusiasmo. E avete anche visto che, di questi, due soli Io ne ho presi. Perché? Ho forse visto nel terzo un traditore? No, in ve­rità. Ma un impreparato. All’apparenza pareva più imprepara­to questo che ora è al mio fianco, diretto prima a seppellire suo padre. Invece il più impreparato era il terzo. Questo era tanto preparato, a sua stessa insaputa, che ha saputo compiere un ben eroico sacrificio.

L’eroismo nel seguire Iddio è sempre prova di forte prepara­zione spirituale. Questo spiega certi sorprendenti fatti che av­vengono intorno a Me. I più preparati a ricevere il Cristo, qua­le che sia la loro casta e la loro cultura, vengono a Me con una prontezza e una Fede assoluta.

I meno preparati mi osservano come un uomo che esce dal consueto, oppure mi studiano con diffidenza e curiosità, oppure ancora mi attaccano e mi deni­grano accusandomi in vari modi. Le diverse maniere di agire sono in proporzione della impreparazione degli spiriti.

Nel popolo eletto si dovrebbero trovare da per tutto spiriti pronti a ricevere questo Messia nella cui attesa si sono consu­mati d’ansia i Patriarchi e i Profeti, questo Messia venuto finalmente, preceduto e accompagnato da tutti i segni profetiz­zati, questo Messia la cui figura spirituale si delinea sempre più chiara attraverso i miracoli visibili sulle membra e sugli elementi, e i miracoli invisibili sulle coscienze che si convertono e sui gentili che si volgono al Dio vero. Invece così non è.

E la prontezza nel seguire il Messia è fortemente ostacolata pro­prio nei figli di questo popolo e, doloroso a dirsi, lo è tanto più quanto più si sale nelle classi più alte di esso. Non dico questo per scandalizzarvi. È per indurvi a pregare ed a riflettere.

Perché avviene questo? Perché i gentili e i peccatori fanno più strada sulla via mia? Perché essi accolgono quanto Io dico, e gli altri no? Perché i figli d’Israele sono ancorati, anzi, sono incrostati come ostriche perlifere al banco su cui sono nate.

Perché sono saturati, ricolmati, obesi della loro sapienza, e non sanno fare largo alla mia col gettare il superfluo per fare posto al necessario.

Gli altri non hanno questa schiavitù. Sono poveri pagani, o poveri peccatori, disancorati come nave alla deri­va, sono dei poveri che non hanno tesori propri ma solo fardel­li di errori o di peccati, dei quali si spogliano con gioia non ap­pena riescono a comprendere cosa è la Buona Novella e sento­no il suo miele corroborante ben diverso dal disgustoso miscu­glio dei loro peccati.

Udite, e forse capirete meglio come possono esservi diversi frutti ad una stessa opera.

Un seminatore andò a seminare. I suoi campi erano molti e di diversa razza. Ce ne erano alcuni che egli aveva ereditati dal padre, sui quali la sua sbadataggine aveva lasciato proliferare piante spinose. Altri erano un suo acquisto, li aveva comperati così come erano da un negligente e tali li aveva lasciati.

Altri ancora erano stati intersecati da strade, perché l’uomo era un grande comodista e non voleva fare molta strada per andare da un luogo all’altro. Infine ce ne erano alcuni, i più prossimi alla casa, sui quali egli aveva vegliato per avere un aspetto piace­vole davanti alla dimora. Questi erano ben mondi di sassaia, di spine, di gramigne e così via.

L’uomo dunque prese il suo sacchetto di grano da seme, il migliore dei grani, e iniziò la semina. Il seme cadde nel buon terreno soffice, arato, mondato, concimato dei campi prossimi alla casa. Cadde nei campi intersecati da vie e viette, che li spezzettavano tutti portando inoltre bruttura di polvere arida sulla terra fertile.

Altro seme cadde sui campi dove l’inettitu­dine dell’uomo aveva lasciato proliferare le piante spinose. Ora l’aratro le aveva travolte, pareva non ci fossero più, ma c’era­no, perché solo il fuoco, la radicale distruzione delle male piante, impedisce il loro rinascere.

L’ultimo seme cadde sui campi comperati da poco e che egli aveva lasciati così come erano, senza dissodarli in profondità e mondarli da tutte le pietre sprofondate nel suolo a fare un pavimento duro sul qua­le non avevano presa le tenere radici. E poi, sparso tutto il suo seme, se ne tornò a casa e disse: “Oh! bene! Ora non c’è che da attendere la raccolta”.

E si beava perché, col passare dei mesi, vedeva spuntare fit­to il grano nei campi davanti alla casa, e crescere… oh! che sof­fice tappeto! e spighire… oh! che mare! e imbiondire e cantare, battendo spiga a spiga, l’osanna al sole. L’uomo diceva: “Come questi campi, tutti! Prepariamo la falce e i granai. Quanto pa­ne! Quanto oro!”. E si beava…

Segò il grano dei campi più vi­cini e poi passò a quelli ereditati dal padre, ma lasciati inselvatichire. E restò di stucco. Grano e grano era nato, perché i cam­pi erano buoni e la terra bonificata dal padre era grassa e ferti­le. Ma la sua stessa fertilità aveva agito anche sulle piante spi­nose, travolte ma non sterilite. Esse erano rinate ed avevano fatto un vero soffitto di ramaglie irte di rovi, attraverso le qua­li il grano non aveva potuto emergere che con le rare spighe ed era morto soffocato quasi tutto.

L’uomo disse: “Sono stato negligente in questo posto. Ma altrove non erano rovi, e andrà meglio”. E passò ai campi di recente acquisto. Il suo stupore crebbe in pena. Sottili, e ormai disseccate, foglie di grano giacevano come fieno secco sparse per ogni dove. Fieno secco.

“Ma come? Ma come?”, gemeva l’uomo. “Eppure qui non sono spine! Eppure il grano era lo stesso! Eppure era nato folto e bello. Lo si vede dalle foglie ben formate e numerose. Perché allora tutto è morto senza fare spiga?”. E con dolore si dette a scavare il suolo per vedere se trovava nidi di talpe o altri flagelli. Insetti e roditori no, non ce ne erano. Ma quanti, quanti sassi! Una petraia! I campi erano letteralmente selciati da scaglie di pietra e la poca terra che li copriva era un inganno.

Oh! se avesse approfondito l’aratro quando era tempo! Oh! se avesse scavato, prima di accettare quei campi e comperarli per buoni! Oh! se almeno, dopo lo sbaglio fatto di acquistare quanto gli veniva proposto senza persuadersi della sua bontà, li avesse resi buoni a fatica di re­ni! Ma ormai era tardi ed era inutile il rammarichio.

L’uomo si alzò in piedi avvilito e andò ai campi intersecati di stradette per sua comodità… E si strappò le vesti dal dolore. Qui non c’era nulla, assolutamente nulla… La terra scura del campo era coperta da un leggero strato di polvere bianca…

L’uomo si accasciò al suolo gemendo: “Ma qui perché? Qui non spine e non sassi perché questi sono campi nostri. L’avo, il pa­dre, io, li abbiamo sempre avuti e in lustri e lustri li abbiamo fatti fertili. Io vi ho aperto le strade, avrò levato del terreno al campo, ma ciò non può averlo fatto sterile così…”.

Piangeva ancora quando ebbe risposta al suo dolore da un fitto sciame d’uccelli che si accanivano dai sentieri sul campo e da questo ai sentieri per cercare, cercare, cercare semi, semi, semi… Il campo, divenuto una rete di stradette sui bordi delle quali era caduto del grano, aveva attirato molti uccelli, e questi prima avevano mangiato il grano caduto sulla via e poi quello del campo, fino all’ultimo chicco.

Così il seme, uguale per tutti i campi, aveva dato dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta, dove il nulla. Chi ha orecchie da intendere intenda. Il seme è la Parola: uguale per tutti. I luoghi dove cade il seme: i vostri cuori. Ognuno appli­chi e comprenda. La pace sia con voi».

E poi, rivolgendosi a Pietro, dice: «Risali finché puoi e poi ammarra dall’altro lato».

E mentre le due barche fanno poca via sul fiume per poi fermarsi presso la sponda, Gesù si siede chiedendo al discepolo novello: «Chi resta, ora, a casa tua?».

«Mia madre col fratello maggiore, sposato da cinque anni. Le sorelle sono sparse per la regione. Mio padre era molto buono. E mia madre lo piange desolatamente».

Il giovane si arresta bru­scamente, perché sente che un singhiozzo gli monta dal cuore.

Gesù lo afferra per una mano e dice: «Ho conosciuto Io pure questo dolore ed ho visto piangere mia Madre. Ti capisco per­ciò…».

Lo sfregare della barca sul greto fa sì che il discorso si interrompa per permettere di scendere a terra. Qui non sono più i colli bassi di Betsaida che quasi tuffano il muso nel lago, ma una pianura ricca di messi si stende da questa sponda, opposta a Betsaida, verso il nord.

«Andiamo a Meron?», chiede Pietro.

«No. Prendiamo questo sentiero fra i campi».

I campi, belli e ben tenuti, mostrano le spighe ancora tenere ma già formate; tutte alla stessa altezza, e col lieve ondeggiare che imprime loro il vento fresco che viene dal nord, sembrano un altro piccolo lago al quale fanno da vele gli alberi che si drizzano qua e là, pieni di zirli d’uccelli.

«Questi campi non sono come quelli della parabola», osser­va il cugino Giacomo.

«No, davvero! Gli uccelli non li hanno devastati, non ci so­no spine e non sassi. Un bel grano! Fra un mese sarà già bion­do… e fra due sarà pronto alla falce e al granaio», dice Giuda Iscariota.

«Maestro… io ti ricordo ciò che hai detto in casa mia. Tu hai parlato tanto bene. Ma io comincio ad avere nella testa delle nuvole scompigliate come quelle lassù…», dice Pietro.

«Questa sera te lo spiegherò. Ora siamo in vista di Corozim». E Gesù guarda fisso il neo discepolo, dicendo:

«A chi dà è dato. E l’avere non leva il merito del donativo. Conducimi al sepolcro vostro e alla casa di tua madre».

Il giovane si inginocchia baciando fra le lacrime la mano di Gesù.

«Alzati. Andiamo. Il mio spirito ha sentito il tuo pianto. Vo­glio fortificarti nell’eroismo con il mio Amore».

«Mi aveva raccontato Isacco l’Adulto quanto Tu eri buono. Isacco, sai? Quello al quale Tu hai risanato la figlia. È stato il mio apostolo. Ma vedo che la tua bontà è ancora più grande di quanto mi era stato detto».

«Saluteremo anche l’Adulto per ringraziarlo di avermi dato un discepolo».

Corozim è raggiunta ed è proprio la casa di Isacco la prima che si trova. Il vecchio, che sta tornando in casa, quando vede il gruppo di Gesù coi suoi, e fra essi il giovane di Corozim, alza le braccia, col suo bastoncello in mano, e resta senza fiato, a bocca aperta. Gesù sorride e il suo sorriso rende voce al vec­chione.

«Dio ti benedica, Maestro! Ma come a me quest’onore?».

«Per dirti “grazie”».

«Ma di che, mio Dio? Io devo dirtela questa parola. Entra, entra. Oh! che dolore che mia figlia sia lontana per assistere la suocera! Perché si è sposata, lo sai? Tutte le benedizioni dopo che ti ho incontrato! Lei guarita, e subito dopo quel ricco pa­rente tornato da lontano, vedovo, con quei piccoli bisognosi di una madre… Oh! ma te le ho già dette queste cose! La mia te­sta è vecchia! Perdona».

«La tua testa è saggia e dimentica anche di gloriarsi del be­ne che fa per il suo Maestro. Dimenticarsi del bene fatto è sag­gezza. Dimostra umiltà e fiducia in Dio».

«Ma io… non saprei…».

«E questo discepolo non l’ho per te?».

«Oh!… Ma non ho fatto nulla, sai? Solo ho detto la verità… e sono contento che Elia sia con Te». Si volge a questo Elia e dice: «Tua madre, dopo il primo momento di stupore, ebbe ra­sciugato il pianto nel saperti del Maestro. Tuo padre ebbe un degno cordoglio, però. Da poco è nel sepolcro».

«E mio fratello?».

«Tace… Sai… gli è stato un po’ duro vederti assente… per il paese… Lui pensa ancora così…».

Il giovane si volge a Gesù: «Tu lo hai detto. Ma io non vorrei che egli fosse morto… Fa che divenga vivo come me, e al tuo servizio».

Gli altri non capiscono e guardano interrogativamente, ma Gesù risponde: «Non disperare e persevera».

Poi benedice Isac­co e se ne va, nonostante ogni pressione.

Sostano prima presso il sepolcro chiuso e pregano. Poi, at­traverso un vigneto ancora semispoglio, vanno alla casa di Elia.

L’incontro fra fratelli è piuttosto sostenuto. Il maggiore si sente offeso e lo vuole far rilevare. Il minore si sente umana­mente colpevole e non reagisce. Ma l’arrivo della madre, che senza parole si prostra e bacia l’orlo della veste di Gesù, rasse­rena l’ambiente e gli animi. Tanto che si vuole fare onore al Maestro.

Il quale però non accetta nulla, ma solo dice: «Siano giusti i vostri cuori, l’uno verso l’altro, come giusto era colui che pian­gete. Non date impronta umana al sovrumano: la morte e l’ele­zione ad una missione. L’anima del giusto non si è agitata nel vedere che il figlio mancava alla sepoltura del suo cadavere. Ma si è anzi messa quieta, nella sicurezza sul futuro del suo Elia.

Il pensiero del mondo non turbi la Grazia dell’elezione. Se il mondo ha potuto stupire di non vedere costui presso il fere­tro paterno, gli Angeli hanno esultato nel vederlo a fianco del Messia. Siate giusti. E tu, madre, sii consolata da questo. Hai educato con saggezza, e tuo figlio è stato chiamato dalla Sa­pienza. Vi benedico tutti. La pace sia con voi ora e sempre».

Tornano sulla via che riprendono per andare al fiume e da qui a Betsaida. L’uomo, Elia, neppure si è attardato un istante sulla soglia paterna. Dopo il bacio di addio alla madre ha se­guito il Maestro con la semplicità con cui un bambino segue il suo vero padre.

 


     

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