Il Vangelo nelle visioni della mistica M. Valtorta
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Dal “Poema dell’Uomo Dio”
di Maria Valtorta
Gesù cammina sulle acque
È tarda sera, quasi notte, perché ci si vede appena sul sentiero che si inerpica su un poggio su cui sono sparse delle piante che mi paiono di ulivo. Ma, data la luce, non posso assicurare. Insomma sono piante non troppo alte, fronzute e contorte come di solito sono gli ulivi.
Gesù è solo. Vestito di bianco e col suo manto azzurro cupo. Sale e si interna fra le piante. Cammina di un passo lungo e sicuro. Non sveltamente, ma per la lunghezza del passo fa molta strada anche andando senza fretta. Cammina sinché giunge ad una specie di balcone naturale, dal quale ci si affaccia sul lago tutto quieto sotto al lume delle stelle, che ormai gremiscono il cielo coi loro occhi di luce.
Il silenzio avvolge Gesù col suo abbraccio riposante e lo stacca e smemora dalle folle e dalla terra congiungendolo al cielo, che pare scendere più basso per adorare il Verbo di Dio e carezzarlo con la luce dei suoi astri.
Gesù prega nella sua posa abituale: in piedi e con le braccia aperte a croce. Ha dietro alle sue spalle un ulivo e pare già crocifisso su questo tronco scuro. Le fronde Lo sovrastano di poco, alto come è, e sostituiscono con una parola consona al Cristo il cartello della Croce. Là: Re dei Giudei. Qui: Principe della pace. Il pacifico ulivo dice giusto a chi sa intendere.
Prega a lungo. Poi si siede sulla balza che fa base all’ulivo, su un radicone che sporge, e prende la sua attitudine solita, con le mani intrecciate e i gomiti posati sui ginocchi. Medita. Chissà quale divina conversazione Egli intreccia col Padre e lo Spirito in quest’ora in cui è solo e può esser tutto di Dio. Dio con Dio!
Mi pare che molte ore passino così, perché vedo che le stelle cambiano zona e molte già sono tramontate ad occidente. Proprio mentre una larva di luce, anzi di luminosità, perché non si può ancora chiamare luce, si disegna all’estremo orizzonte dell’est, un brivido di vento scuote l’ulivo. Poi calma. Poi riprende più forte. A pause sincopate e sempre più violente. La luce dell’alba, appena appena iniziata, stenta a farsi strada per un accumulo di nubi scure che vengono ad occupare il cielo, spinte da raffiche di vento sempre più forte.
Anche il lago non è più quieto. Ma, anzi, mi pare che stia mettendo insieme una burrasca come quella già vista nella visione della tempesta. Il rumore delle fronde e il brontolio delle acque empiono ora lo spazio, poco prima tanto quieto.
Gesù si scuote della sua meditazione. Si alza. Guarda il lago. Cerca su esso alla luce delle superstiti stelle e della povera alba malata, e vede la barca di Pietro che arranca faticosamente verso la sponda opposta, ma che non ce la fa. Gesù si avvolge strettamente nel mantello sollevando il lembo, che cade e che gli darebbe noia nello scendere, sul capo come fosse un cappuccio, e scende di corsa, non per la strada già fatta ma per un sentierucolo rapido che va direttamente al lago. Va così velocemente che pare che voli.
Giunto sulla riva schiaffeggiata dalle acque, che fanno sul greto un orlo di spuma sonante e fioccosa, prosegue il suo cammino veloce come non camminasse su un elemento liquido e tutto in movimento, ma sul più liscio e solido pavimento della terra. Ora diventa Egli luce. Sembra che tutta la poca luce, che ancora viene dalle rare e morenti stelle e dall’alba burrascosa, si converga su di Lui e ne venga raccolta come fosforescenza intorno al suo corpo slanciato. Vola sulle onde, sulle creste spumose, nelle pieghe scure fra onda e onda, a braccia tese in avanti, col manto che si gonfia intorno alle sue gote e che svolazza, per quanto può, così stretto come è al corpo, con un palpito d’ala.
Gli apostoli Lo vedono e gettano un grido di paura che il vento porta verso Gesù.
«Non temete. Sono Io».
La voce di Gesù, per quanto abbia il vento contrario, si spande sul lago senza fatica.
«Sei proprio Tu, Maestro?» chiede Pietro. «Se sei Tu, dimmi di venirti incontro camminando come Te sulle acque».
Gesù sorride: «Vieni» dice semplicemente, come fosse la cosa più naturale del modo camminare sull’acqua.
E Pietro, seminudo come è, ossia con una tunichella corta e senza maniche, fa un salto soprabordo e va verso Gesù.
Ma, quando è lontano una cinquantina di metri dalla barca e quasi altrettanto da Gesù, viene preso dalla paura. Fin lì l’ha sorretto il suo impulso d’amore. Ora l’umanità lo soverchia e… trema per la propria pelle. Come uno messo su un suolo scivoloso, o meglio su una sabbia mobile, egli comincia a traballare, ad annaspare, a sprofondare. E più annaspa e ha paura, e più sprofonda.
Gesù si è fermato e lo guarda. Serio. Attende. Ma non stende neppure una mano, che ha anzi conserte al petto, e non fa più passo o parola.
Pietro sprofonda. Scompaiono i malleoli, gli stinchi, i ginocchi. Le acque son quasi all’inguine, lo superano, montano verso la cintura. E il terrore è sul suo viso. Un terrore che lo paralizza anche nel pensiero.
Non è più che una carne che ha paura di affogare. Non pensa neppure di gettarsi a nuoto. Nulla. È inebetito dalla paura.
Finalmente si decide a guardare Gesù. E basta che Lo guardi perché la sua mente cominci a ragionare, a capire dove è la salvezza.
«Maestro, Signore, salvami».
Gesù disserra le braccia e, quasi portato dal vento o dall’onda, si precipita verso l’apostolo e gli tende la mano dicendo:
«Oh, che uomo di poca fede! Perché hai dubitato di Me? Perché hai voluto fare da te?».
Pietro, che si è afferrato convulsamente alla mano di Gesù, non risponde. Lo guarda soltanto per vedere se è in collera, Lo guarda con un misto di restante paura e di sorgente di pentimento.
Ma Gesù sorride e lo tiene ben stretto per il polso, sino a che, raggiunta la barca, ne scavalcano il bordo e vi entrano.
E Gesù comanda: «Andate a riva. Costui è tutto bagnato».
E sorride guardando l’umiliato discepolo.
Le onde si spianano per facilitare l’approdo, e la città, vista altra volta dall’alto di una collina, si delinea oltre la riva. La visione mi cessa qui.
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