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Il Purgatorio Nella rivelazione di Santi – 9°

9 Gennaio 2014 | Filed under: Purgatorio and tagged with: P. Pietro Louvet, purgatorio
     

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LE PENE DEL PURGATORIO E IL LORO RIGORE

Pena del danno e pena del senso

Dopo la divina sentenza, supposto che l’anima sia condannata al Purgatorio, il desiderio di purificazione invade l’anima stessa, che nella pena che le è riservata vede la via che la condurrà più presto in Paradiso. S. Caterina da Genova, nel suo meraviglioso Trattato del Purgatorio, dice che l’anima corre a precipitarsi in Purgatorio, tanto è grande l’orrore che concepisce dei suoi falli dinanzi alla purezza e alla santità di Dio e tanto è impaziente di purificarsi dalle sue sozzure. Ecco le parole della Santa :

« Siccome lo spirito mondo e purificato non trova luogo, eccetto Dio, per suo riposo, essendo stato creato a questo fine; così l’anima in peccato, altro luogo non trova adatto, salvo l’Inferno, avendole ordinato Iddio quel luogo per fine suo: perciò in quell’istante in cui lo spirito è separato dal corpo, l’anima corre verso l’ordinato suo luogo, senz’altra guida che la natura del peccato, quando l’anima parte dal corpo in peccato mortale. E se l’anima non trovasse in quel punto quell’ordinazione (procedente dalla giustizia di Dio) rimarrebbe in un maggiore inferno; perciò non tro­vando luogo conveniente, né di meno male per lei, per l’ordinazione di Dio vi si getta dentro, come ne} suo proprio luogo.

« Così a proposito del Purgatorio, l’anima separata dal corpo, non trovandosi in quella purezza nella qua­le fu creata, e vedendo in sé l’impedimento che non le può essere levato se non per mezzo del Purgatorio, presto vi si getta dentro, e volentieri ; e se non trovas­se questa ordinazione, atta a levarle quell’impaccio, in quell’istante in lei si genererebbe un vero inferno, vedendo di non potere accostarsi (per l’impedimento) al suo fine, che è Dio, il quale le è tanto a cuore, che in comparazione al Purgatorio è da stimarsi nulla, benché, come si è detto, sia simile all’Inferno (cap. 7)».

Le rivelazioni dei Santi confermano quanto dice S. Caterina da Genova. Leggiamo in S. Geltrude come una religiosa del suo monastero, nota per le sue austere virtù, essendo morta ancor giovane con senti­menti di edificante pietà, si manifestasse alla Santa, mentre questa stava pregando per lei. La defunta fu vista innanzi al trono dell’Altissimo circondata da una brillante aureola e ricoperta di ricche vesti ; tuttavia sembrava triste in volto e pensierosa, e teneva gli oc­chi bassi quasi si vergognasse di comparire innanzi a Dio.

Sorpresa Geltrude, domandò al divino Sposo delle vergini la causa di quella tristezza e di quel ti­more, e lo pregò di invitare quella sua sposa presso di lui. Allora Gesù, fatto cenno a quella buona religiosa di avvicinarsi, le sorrideva con amore; ma ella sempre più  turbata ed esitante, dopo aver fatto un grande inchino alla Maestà di Dio, si allontanò. San­ta Geltrude, più che mai stupita, rivolgendosi diretta­mente a quell’anima, le disse : “Figlia mia, perché esiti e ti allontani, mentre il Salvatore t’invita? Hai sempre desiderato questa suprema felicità durante la vita terrena, ed ora che sei chiamata a goderne, te ne rimani così fredda e impassibile? Non vedi forse che il buon Gesù ti aspetta?

Ma quell’anima rispose: Ah ! madre mia, io non sono ancora degna di com­parire innanzi all’Agnello immacolato, poiché mi re­stano ancora alcune macchie da purificare. Per potersi avvicinare al Sole di Giustizia bisogna essere più puri della luce stessa ; ed io non ho ancora questa perfetta purezza che egli brama di contemplare nei suoi Santi. Anche se le porte del ciclo fossero spalancate dinanzi a me e da me sola dipendesse il varcarle, non oserei giammai di farlo prima di essere intieramente purifi­cata dalle più piccole colpe ; mi sembrerebbe che il coro delle Vergini, che seguono di continuo l’Agnello divino,  mi dovesse scacciare lontano da lui per non esserne degna.

Ma come può esser ciò che mi dici, rispose la Santa, se io ti vedo, o mia figlia, circon­data di luce e di gloria ?- Quanto voi vedete, rispose quella,  non è che la frangia delle vesti sublimi del­l’immortalità. Ben altra cosa è il vedere Iddio, il vi­vere in lui e possederlo per sempre ! Per conseguire però questa grazia è necessario che l’anima non abbia in sé la più piccola macchia di colpa.

Così, dopo il giudizio,   si   inizia   la   purificazione, hanno inizio le pene. E quali pene ! Vicino alla bara di un nostro caro, che le sofferenze hanno consumato, ci confortiamo ordinariamente dicendo : -Almeno ha finito di patire!… – Oh! finissero veramente, col fi­nire della vita presente, le nostre pene ! Il corpo cessa di soffrire, ma le sofferenze dell’anima possono conti­nuare, possono accrescersi, e continuano e crescono generalmente.

Infatti secondo quello che insegnano i Dottori, i patimenti del Purgatorio non solo son riservati a quasi tutte le creature umane, ma per la loro intensità nep­pure sono da paragonarsi ai patimenti della vita pre­sente. Secondo S. Tommaso, il quale del resto non fa che riferire l’unanime insegnamento dei Padri, le pene del Purgatorio in nulla differiscono dalle pene dell’In­ferno, eccetto che nella durata. Altrettanto asseriscono i mistici. Ecco quel che leggiamo in S. Caterina da Genova :

« Le anime purganti provano un tal tormento, che lingua umana non può riferire, né alcuna intelligenza darne la più piccola nozione, a meno che Iddio non lo facesse conoscere per grazia speciale (Tratt. del Purg., cap. 2). « V’i è nel Purgatorio, come nell’Inferno, doppia pe­na, quella del danno, che consiste nella privazione di Dio, e quella del senso. La pena del danno è senza paragone più grande, ed è tanto più intensa in quan-tochè quelle anime vivendo nell’amicizia di Dio, sen­tono più forte il bisogno di unirsi a lui » (Id.).

La Chiesa non si è mai pronunziata sulla natura della pena del senso. Nel Concilio di Firenze fu lungamente dibattuta anche questa questione fra i Greci e i Latini, ma per non porre ostacolo alla desiderata unione delle due Chiese, nulla venne deciso. Però sic­come tutti i teologi insegnano che questa pena è quella del fuoco, come pei dannati, sarebbe temerità allon­tanarsi da tale opinione. Secondo S. Gregorio Magno, S. Agostino e S. Tommaso, questo fuoco è sostan­zialmente uguale a quello dell’Inferno: la differenza consiste solo nella durata.

 

P. Pietro Louvet


     

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