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Il Purgatorio nella rivelazione dei Santi – 14°

6 Febbraio 2015 | Filed under: Purgatorio
     

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 Purgatorio

STATO SOPRANNATURALE

DELLE ANIME DEL PURGATORIO – III

 

Le anime del Purgatorio sono sante

Passando ora dall’ordine intellettuale a quello mo­rale, possiamo affermare che le anime del Purgatorio sono sante. « in Christo quiescunt », « dormiunt in sommo pacis ». Questo contro la tesi di Lutero, che voleva le anime del Purgatorio in stato di continuo peccato. E non solo esse sono sante, ma la loro san­tità è eternamente durevole, perché sono confermate in grazia e si trovano nella felice impotenza di peccare, potendo nello stesso tempo esercitare le più belle virtù cristiane. « Allorchè l’anima entra nel Purgatorio per la ragione che essa vi giunge in unione con Dio, ed oltre a ciò apprende per l’intelligenza imme­diatamente e in un colpo d’occhio i rapporti di tutte le cose col loro Creatore, aderisce irrevocabilmente a Dio e a tutto quello che di divino si riscontra nelle creature. Ella non può più non amare Iddio, non pre­ferire le virtù che conducono e piacciono a lui, non, accettare i suoi comandamenti, non amare in sè l’o­pera e la creatura di Dio, non amare il prossimo in cui è l’immagine di Dio » (Chollet, I nostri defunti, parte II, cap. III). Questo che andiamo affermando sembra paralizzare la libera volontà dell’anima umana ddpo la morte del corpo, dal momento che le è tolta ogni scelta tra bene e male, tra virtù e peccato, tra più perfetto e meno perfetto, tra la scelta di un mezzo a preferenza di un altro. Riflettiamo, e ogni dubbio sarà dissipato.

“La volontà è la facoltà del bene, nè può volere che il bene; e quando pure si volge al male lo ap­prende come bene e come vantaggio; che sebbene falso questo bene e questo vantaggio, e semplice­mente apparente, solo a motivo di questa sua appa­renza la volontà vi si attacca. Nel Purgatorio invece l’intelligenza è rischiarata e vede le cose tali quali sono; il male è male, il bene è bene davanti ad essa; ogni velo è strappato e le false apparenze del bene a quella luce si dileguano; la nebbia seduttrice che na­sconde il male che produce come una vertigine nello spirito, che fa cedere la volontà, è dissipata. La vo­lontà che di sua natura è facoltà di scegliere fra le varietà dei beni che le sono proposti, non può volgersi più a cose che sono fuori dell’orizzonte del be­ne; non può scegliere più il male, giacché non le si presenta ormai che come male».

«Dov’è dunque la diminuzione della libertà? Non è questa condizione piuttosto un miglioramento del libero arbitrio, un’elevazione della volontà, che è po­sta nella impossibilità di sbagliare? E’ forse più per­fetto l’occhio, perché può coprirsi con le palpebre e non veder più, ovvero perché può essere avvolto nel buio o paralizzato nella sua attività visiva?… Un oc­chio cui sia permesso di non vedere, è preferibile certamente a quello che può essere eclissato. Nello stesso modo la volontà che non può volere se non il bene vero, è più perfetta di quella che può attaccarsi al male e subire così delle fatali eclissi».

Del resto, Dio pure è libero, infinitamente libero, anzi è la libertà essenziale; e tuttavia tanto meno che alle anime del Purgatorio gli è possibile volere il male o l’imperfezione. Diciamo dunque che nel Purgatorio le anime godono di una libertà superiore, somiglian­te, nei limiti che convengono alla creatura a quella stessa di Dio. Questa libertà si esercita nella scelta dei beni reali, e fra gli atti d’amore verso Dio; nelle pa­role adatte a testificarglielo, negli slanci che confer­mano il pentimento, nelle grazie domandate per gli amici loro lasciati nell’esilio, che è dovere di soccor­rere. Vasto è il campo adunque che resta alla libertà, il cui pregio è conservato ed anzi moltiplicato » (Idem).

Le virtù teologali sono naturalmente praticate dalle anime del Purgatorio, e in grado eminente. Praticano la fede, non essendo ancor giunte a quel termine, nel quale le ombre della fede si dissipano alla chiarezza dell’eterna luce. Hanno la virtù della speranza, anzi essa possiamo chiamarla virtù del Purgatorio per ec­cellenza. Prive attualmente del cielo, anelano di pos­sederlo al più presto, attendono con santa impazienza il giorno in cui vedranno schiudersi le porte del Pa­radiso. Conoscendo poi a perfezione le gioie della ca­rità, come non potrebbero non amare Dio di tutto cuore? Chi potrà dire gli atti di amore purissimo che in ogni istante si sollevano da quelle fiamme, e che compensano ampiamente per la gloria di Dio le grida di rabbia, che di continuo emettono i dannati nell’in­ferno? Un’anima del Purgatorio rivelò un giorno a un santo religioso esser solita di fare continuamente i tre seguenti atti di amore:

– O mio Dio, datemi l’amore di cui bruciano i Serafini!

Datemi ancor di più: l’amore, cioè, di cui avvampa il cuore della SS. Vergine!

O mio Dio, fate che io possa amarvi di quell’amore di cui voi amate voi stesso!

Ma ascoltiamo a questo proposito gli ammirabili insegnamenti di S. Caterina da Genova. «Io rilevo, essa dice, una conformità così grande fra Dio e l’ani­ma del Purgatorio, che per ricondurre questa alla sua purezza originale il Signore le imprime un movimen­to d’infocato amore attrattivo, sufficiente per annichi­lirla se non fosse immortale. Quest’amore e quest’at­trazione unitiva agiscono continuamente e potente­mente su di lei, tanto che se essa potesse scoprire un altro Purgatorio più terribile di quello in cui si trova, vi si precipiterebbe volentieri, spinta vivamente dalla impetuosità di quell’amore, e questo affine di liberarsi più presto da tutto ciò che la separa dal sommo Be­ne » (Tratt. del Purg., capo 9).

Possiamo quindi ritenere che le anime del Purgatorio praticano le virtù della fede, della speranza e della carità in grado eminente: il che per noi poveri peccatori così tiepidi e fiacchi, deve riuscire di grande consolazione.

Quanto abbiamo detto delle virtù teologali, si può ripetere delle virtù morali: rassegnazione alla divina volontà, gratitudine, spirito di orazione, amore del prossimo, pazienza, umiltà, ecc.

A proposito della rassegnazione alla divina volon­tà, S. Caterina da Genova scrive: «Queste anime vi­vono così intimamente unite alla volontà di Dio, e sì completamente trasformate in essa, che sono sempre soddisfattissime di quanto da lei è sapientemente di­sposto».

«Le anime del Purgatorio non hanno elezione pro­pria; esse possono volere e disvolere solo quello che Dio vuole o non vuole. Esse accettano di buon grado tutto ciò che Dio loro dà, e né i piaceri nè le pene fanno loro esaminare come vengano e perchè venga­no» (Tratt. del Purgatorio, capi 13 e I4).

Questa completa ed eroica rassegnazione alla vo­lontà di Dio, la quale pena non esclude in esse una continua e perfetta contrizione per le offese fatte ad un Signore sì grande e buono, va unita per solito alla più profonda umiltà. Il P. Faber dice che sebbene molti Santi abbiano avuto in questo mondo più amore per Iddio che non molti Beati del cielo, il più gran santo della terra pera non è mai arrivato al grado di umiltà delle anime del Purgatorio.

A Dole, nella Franca-Contea, nel 1629 un’anima del Purgatorio, apparsa ad un malato per 40 giorni continui, si pose al suo servizio, venendo due volte il giorno a visitarlo e prestandogli tutte quelle cure che il più fido domestico gli avrebbe potuto prodigare. Un giorno l’infermo commosso e riconoscente per tanta bontà le domanda chi ella fosse, che sì caritate­volmente lo assisteva. – Io sono, rispose quella, la tua defunta zia Leonarda Colin che morì 17 anni fa lasciandoti erede del suo patrimonio. Per misericor­dia di Dio e per grazia della SS. Vergine, verso la quale ebbi in vita una tenera divozione, mi trovo in luogo di salute. Il Signore mi ha ora permesso di venire presso di te a servirti per 40 giorni, dopo i quali io sarò liberata dalle mie pene se tu farai tre pellegrinaggi a tre diversi santuari di Maria Santis­sima. – Il malato dubitando della realtà dell’appari­zione volle consultarne il confessore, e dietro il con­siglio di questo, dopo avere inutilmente sperimentato le invocazioni e gli esorcismi della Chiesa, fece alla defunta quest’obbiezione: – Come è possibile che voi siate la mia zia Leonarda, la quale in vita era irascibile e severa, mentre vi veggo così mite, così compiacente e piena di pazienza? – Ah! mio caro nipote, rispose l’anima, diciassette anni di Purgato­rio son più che adatti ad insegnare la pazienza, la dolcezza e la tolleranza dei difetti del prossimo! E poi non siamo noi confermate in grazia e contrassegnate coll’impronta degli eletti, e quindi incapaci di più peccare? (V. Teofilo Raynaud, Heterocliti spiritus, pars II, sect. III, cap. 5).

E siccome la carità verso Dio va sempre accompa­gnata all’amore del prossimo, le anime del Purgato­rio godono del bene degli altri, nè, per esempio, provano invidia per la sorte di quelle loro compagne che, più felici di loro, stanno per finire il tempo della prova, ma anzi se ne rallegrano e fanno festa quando le vedono salire al cielo. Specialmente poi verso  viventi esse esercitano la bella virtù della carità. San­ta Caterina da Bologna quando voleva ottenere qual­che grazia speciale si rivolgeva alle anime del Pur­gatorio, sicura di esserne esaudita, e diceva anzi che molte grazie che dai Santi del Paradiso aveva implo­rato invano, le ricevette poi sempre per intercessione delle anime del Purgatorio. Racconta il Baronio che un tale, il quale in vita era stato devotissimo di quelle anime, assalito in punto di morte da forti tentazioni, e ormai disperato della sua eterna salute, vide com­parirsi davanti buon numero di spiriti celesti, i quali gli dichiararono di essere venuti a liberarlo da quel pericolo e condurlo in cielo per gratitudine della de­vozione da lui avuta verso di loro mentre erano in Purgatorio.

«Or sono circa 20 anni (il libro da cui togliamo il racconto fu stampato nel 1929), così racconta un pio e dotto gesúita, già Professore dell’Università di Georgetown in Columbia, io accompagnavo un certo numero di membri molto ragguardevoli della nostra Compagnia. I Padri portavano preziosi documenti, il denaro per il viaggio, l’obolo di S. Pietro e preziosi doni per le opere della Compagnia. Noi dovevamo valicare gli Appennini e non ignorando come le gole di quei monti fossero infestate da banditi, avevamo avuto cura di scegliere un cocchiere onesto. Prima di partire era stato stabilito che ci saremmo messi sotto la protezione delle Anime del Purgatorio, recitando ogni ora un «De Profundis». Luigi, il cocchiere, aveva ricevuto la consegna di battere, in caso di pe­ricolo, tre colpi distinti sull’imperiale della vettura, col manico della frusta.

«Per tutto il giorno viaggiammo tranquillamente, non soffermandoci se non per prendere, noi e i nostri cavalli, il necessario nutrimento. Al crepuscolo erava­mo giunti sulla vetta di un’atta montagna. Assorti nella contemplazione della bella e selvaggia natura,  fummo chiamati alla realtà da tre colpi sulla coper­tura della carrozza. Prima che avessimo avuto il tempo di interrogare Luigi, questi aveva somministrato ai cavalli delle frustate così vigorose, che i medesimi precipitandosi con vertiginosa rapidità, po­co mancò che non ci gettassero fuori della vettura. Demmo un’occhiata all’infuori e con meraviglia, non scevra di orrore, scorgemmo sui due lati della via una dozzina di banditi armati di fucili in atto di tirare. Ma, caso strano, li vedemmo altresì restare immobili nel loro minaccioso atteggiamento, al pari di statue, sino a che non apparvero più ai nostri occhi che quale punto impercettibile sull’orizzonte.

«Nessuno di noi aveva fiatato, ma tutti ci eravamo internamente raccomandati all’Onnipotente. Alla fine il cocchiere potè fermare i cavalli, bianchi di schiuma e così ansanti, che ci parve impossibile di vederli riprender lena.

«Un miracolo! – esclamò Luigi, – facendosi il se­gno della croce. – Che Iddio e la Madonna ne siano lodati! Ve lo assicuro, Padri miei, è un miracolo se non siamo morti!

« – È vero, disse il Superiore, siamo stati oggetto di una particolare protezione della Divina Provviden­za, e ne dobbiamo ringraziare Iddio con tutto il no­stro cuore.

« – Ve lo garantisco, rispose bruscamente Luigi erano uomini terribili! Non ho mai visto sguardi più feroci.

« – Allora, interruppe il Superiore, sarà bene di proseguire il viaggio appena i cavalli potranno cam­minare. Dovrete poi cambiarli prima di giungere al luogo ove dobbiamo fermarci ?

« – Non occorre; e poiché i banditici sono alle cal­cagna, il meglio che ci resti da fare è quello di avan­zarli quanto più s.i può

« – Ebbene, disse il Superiore rivolto a noi nel mentre riprendevamo posto nella vettura; domani ognuno di noi celebrerà la Messa in rendimento di grazie. – Tutti acconsentimmo ben volentieri.

«Due anni dopo, trovandomi al Collegio Romano, fui chiamato per disporre alla morte un povero con­dannato. Visitai il detenuto molte volte… Per meglio guadagnarlo a Dio feci sembiante di ascoltare con interesse gli aneddoti della sua vita di brigantaggio: Un giorno nel quale mi parlava dei suoi ultimi anni, fui non poco meravigliato, udendo raccontare l’epi­sodio medesimo, che forma il soggetto di questa sto­ria. Nel riandare il fatto da me narrato, ei mi spiegò come sul punto d’impadronirsi della nostra vettura, tanto egli che i suoi compirci si sentirono rattenere le  braccia da una forza invisibile e irresistibile. Allora svelai al mio penitente come io fossi uno di quelli cui la Provvidenza aveva sottratto a quel pericolo e gli partecipai la nostra promessa di recitare ogni ora un « De profundis » per le anime del Purgatorio, le quali certamente compensarono in tal guisa la nostra carità a loro riguardo. Egli cadde ginocchioni, pianse a lun­go amaramente, e in fine mi chiese perdono.

Lo preparai alla sorte spaventevole che lo atten­deva, ed ho quasi la certezza ch’egli morisse in pace con Dio. Mi concesse volentieri, su mia richiesta, il permesso di raccontare i particolari di questa ultima parte della mia storia.

«Così il pio Gesuita, che non lasciò occasione di narrare questo prodigio delle Anime Sante del Pur­gatorio ». (Mons. Alfredo Vitali, Il Mese di Novern­ bre, Roma 1929)..

Tali sono le virtù praticate in Purgatorio, tale è lo stato di quelle anime confermate in grazia, incapaci di peccare, adorne delle più belle virtù in grado sl sublime, a cui pochi Santi sono arrivati durante la loro vita. Dice il P. Faber, che se il dolore soppor­tato in silenzio, con rassegnazione e dolcezza è spet­tacolo ammirabile sulla terra, in quella regione deso­lata e penante della Chiesa dovrà essere mille volte più edificante e meraviglioso, poichè laggiù ciascuno è muto e silenzioso nei suoi patimenti, non emette un grido, nè una mormorazione, come Gesù nella sua passione divina.

L’amore verso Iddio e verso Maria si manifesta in quelle anime con tali trasporti inau­diti di rassegnazione, che il trono della Vergine sem­bra brillare in quelle tenebre come l’astro della notte, e diffondere la sua luce dolcissima su quella plaga del dolore; gli angeli fanno scintillare per quell’aere buio le loro ali d’argento, e la faccia divina e soavis­sima di Gesù, quantunque materialmente invisibile, è sempre presente all’intelletto di quelle eroine.

Can. Luigi Coccolo


     

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