Il pensiero e la parola
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Mens concordet voci
Questo asciutto aforisma, che leggiamo nella Regola di san Benedetto da Norcia per i suoi monaci, riferisce alla preghiera dei salmi: “La mente deve accordarsi con la voce”, deve andar dietro alle parole. Il motto benedettino merita un’attenta riflessione perché abitualmente, quando si parla, avviene il contrario: non è la mente che segue la parola, ma è la parola si accorda con il pensiero. È la riflessione, possibilmente ponderata, che deve precedere la comunicazione. Questa è la regola del discorso tra persone normali anche se, di fatto, viene spesso disattesa, come recita un noto adagio: “i saggi dicono ciò che pensano, mentre gli stolti dicono quello che sanno”.
Nella preghiera liturgica invece, come ricorda san Benedetto, siamo noi chiamati ad entrare dentro il testo, a metterci in sintonia con le parole che pronunciamo. Il contenuto di ciò che le labbra pronunciano, quello deve entrare in ogni angolo della nostra vita.
È la Parola che ci precede, perché viene da Dio; ed è questa Parola che deve plasmare l’essere e l’agire. Lo insegna anche la costituzione Sacrosanctum Conciliimi sulla liturgia: “È necessario che i fedeli (…) pongano la propria anima in consonanza con la propria voce” (n. 11).
Lex orandi, lex credendi, come tutti sappiamo: la legge della preghiera stabilisce la legge della fede. Ovvero, la Chiesa crede -vive!- come prega. Ma è così nella realtà, o è solo uno slogan?
È scritto e diciamo, ad esempio:
• “quanto è buono e dolce che i fratelli vivano insieme” (Salmo 133,1). Ma le piccole “comunità di vita” tra preti della medesima unità pastorale continuano ad essere come come l’Araba Fenice;
• “pregando non sprecate parole…” (Mt 6,7). Ma come non detto, per i redattori deWOrazionale ove le preghiere dei fedeli sono tante ed anche prolisse;
• “non accumulate per voi tesori sulla terra” (Mt 6,19). Ma gli sconcertanti lasciti economici, alla morte di qualche membro del clero, lasciano di stucco;
• “se tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo” (Mt 18,15). Metti però in conto di sentirti dire: “pensa a te stesso ! “;
• “allargano i loro filatteri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore …” (Mt 23,5-6). Ma i mondani “segni del potere” continuano ancora a prevalere sul “potere dei segni” richiesti della sobrietà evangelica, e dallo stesso Concilio.
Gli esempi potrebbero continuare. Non ha però senso fare mea culpa battendo il pugno sul petto altrui. Ciascuno è chiamato, specie in questo tempo quaresimale, a compiere una rigorosa e personale verifica, alla luce dell’iniziale motto benedettino, oltre che del Vangelo.
Vittorio Peri
Presid. Naz. UAC
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