Il nostro quotidiano rapporto con i morti
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Qual è il rapporti degli uomini che ancora vivono nella vita presente con le anime che vivono nell’al di là?.
L’al di là implicherebbe un andare oltre il tempo, nell’eternità. Il mondo futuro conosce soltanto l’inferno e il paradiso, perchè il purgatorio fa parte di questo mondo. Il purgatorio è come un’appendice della terra, un vestibolo del cielo; nelle antiche basiliche il vestibolo è sempre una corte aperta verso il cielo.
Anche se per le anime vi è una purificazione che deve finire, e perciò un tempo, e vi è ancora un’economia di fede e di speranza come per coloro che vivono nella vita presente, tuttavia per alcuni aspetti il purgatorio appartiene al mondo futuro: infatti, in esso vi è la certezza assoluta della visione beatifica, di non peccare mai più e di non perdere più la grazia divina.
La virtù teologale della speranza non è come comunemente la intendono gli uomini, ma è la certezza assoluta di un bene che tu non possiedi ancora, ma che nessuno potrebbe sottrarti, altro che il tuo peccato.
C’è dunque qualche cosa nelle anime del purgatorio che le fa vivere sul medesimo piano nostro e qualche cosa che le fa vivere su di un piano diverso. Comunque si può dire che il purgatorio non è una parte del cielo, ma piuttosto della terra.
Quale dunque il rapporto che noi abbiamo con loro?
Effettivamente, non avendo più un corpo, sul piano naturale sembra ben difficile per loro una comunione con noi, perchè è attraverso il corpo che noi comunichiamo fra noi e col mondo. In che misura appartengono a questo mondo e in quale modo possono comunicare con noi e noi con loro è estremamente difficile dirlo.
Una cosa rimane certa, fuori di ogni ipotesi: per noi cristiani il rapporto coi defunti è assicurato non solo dall’insegnamento, ma dalla vita stessa della Chiesa che ci chiede preghiera per loro ed applica essa stessa il frutto della propria preghiera, della propria adorazione per i morti, indipendentemente anche da una nostra intenzione particolare di suffragarli.
D’altra parte la Chiesa ci insegna che alcuni santi o alcune persone particolari hanno avuto una comunione con queste anime estremamente viva, grande, che però non rivelava una partecipazione alla vita del cielo, ma il senso che fosse più o meno la continuazione, su un piano di grazia, di un rapporto così come lo avevano vissuto quando erano quaggiù sulla terra.
Del resto, che l’esperienza delle anime purganti sia simile alla nostra lo dimostra anche il trattato migliore sul purgatorio, scritto da santa Caterina da Genova, che è una deduzione su cosa sia la condizione delle anime purganti a partire dalla riflessione sulla sua esperienza chiarissima di quella che è la vita delle anime dopo la morte, in forza di quello che ella soffre nella sua purificazione interiore durante la vita terrena: è un’esperienza di gioia, di tormento, di pena; è un’esperienza di fede e di speranza, di umiltà e di pace, di abbandono.
Ma quello che differenzia la vita dell’anima purgante dalla nostra è che la nostra vita interiore non può sottrarsi alla continua sollecitazione, al continuo arricchirsi o impoverirsi per un contatto, per un’impressione che giunge all’anima dal mondo esteriore, mediante il corpo. L’anima, invece, che ha perduto il corpo è ormai chiusa nella sua vita interiore: nei ricordi, in tutto ciò che l’anima ha ricevuto mediante il suo corpo. Ma ha solo quella vita, nessun’altra. Nella misura in cui viviamo una vita interiore, noi viviamo la vita che vivono anche queste anime.
La loro vita interiore – siccome sono morti in grazia di Dio – ormai è preservata da nuove cadute, cioè essenzialmente la loro rimane una vita di grazia, perchè non possono commettere altri peccati. Nulla dall’esterno può cambiare la loro vita interiore. Può essere che la loro vita interiore sia assai povera di fede, che esse al momento della morte abbiano una speranza più debole di quella che io ho ora. Non è detto che debbano avere una fede e una speranza pura e perfetta e che con la perdita del corpo di per sè le virtù debbano crescere: restano quelle che sono al momento della morte, però, non ricevendo dall’esterno sollecitazioni al male, la grazia lentamente fa sì che la poca fede e la poca speranza siano purificate.
La speranza non rimane incerta, perchè l’incertezza dipende da un nostro peccato di incredulità.
Così la fede, per il fatto che ora l’anima non ha corpo, non diverrà più luminosa, non vedrà più chiaramente Dio, ma sarà purificata nel senso che tu sarai sottratto ad un giudizio errato riguardo all’oggetto della tua fede; però la fede, nel suo elemento positivo, nella capacità di percepire Dio, rimane quella che è arrivata ad essere al momento del trapasso, nulla di più. E la fede, purificando, si trasformerà per l’anima nella visione beatifica, ma senza aumentare di grado, e sarà una visione di occhi cisposi per un’anima che ha posseduto poca fede e poca carità. E non potrà neppure crescere nella carità: non si aggiunge nulla, è una purificazione soltanto. La grazia ha la capacità di impadronirsi dell’anima in tal modo che, come in un processo chimico, tutto quello che è imperfetto, impuro, peccaminoso, lentamente cade e rimangono le virtù proprie del cristiano nel loro elemento positivo, in quel grado che l’anima ha raggiunto nella vita presente. La teologia cattolica ci dice che con la morte l’anima rimane fissata per sempre in quel grado positivo di grazia che ha raggiunto. Rendiamoci conto, dunque, dell’importanza che ha la vita presente!
Indubbiamente la nostra vita può essere veramente una grande comunione d’amore con le anime purganti, ma questo non implica per sè che l’anima purgante sia ad un livello più elevato del nostro, ma essa può ottenerci la stabilità di un certo grado positivo di verità, di giustizia, di grazia, di amore.
Don Divo Barsotti
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