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Il nichilismo, la scuola e la gioventù di oggi

29 Gennaio 2013 | Filed under: Chiesa
     

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La scuola dovrebbe essere il luogo dove

 il giovane vive per prepararsi al futuro.
Il tema che i nostri vescovi della CEI ci hanno dato per il decennio in corso, l’educazione, passa trasversalmente per tutte le istituzioni della nostra società, anche attraverso la scuola. È vero che c’è emergenza nella tematica educativa, ma a noi piace avere di essa sempre una visione positiva. Diciamo che c’è emergenza perché i giovani, con all’attivo una maggiore libertà, sono messi di fronte abitualmente, non solo in alcuni momenti della loro vita, a un numero di scelte maggiori.

Inoltre viviamo anche una sorta di delegittimazione dell’autorità. Non esiste processo educativo che non abbia bisogno del contributo di un’autorevolezza di chi è capace di valutare e orientarli anche dicendo dei no, cioè approfondendo le ragioni delle scelte. E poi in questo periodo storico sono in crisi le istituzioni e vanno quindi ripensate, e sarebbe ingenuo “credere che si possa educare se le istituzioni e gli uomini che le rappresentano non vengono riconosciuti come importanti nei processi di scelta che riguardano la vita personale, sociale, culturale e spirituale” (Diotallevi).

Ogni persona ha il diritto di poter portare a compimento la propria vocazione e ha bisogno non solo di trasmissione di conoscenze, ma di un processo, di una capacità di valutare con retta coscienza, accogliere la verità e rispondere con responsabilità alla sua vocazione, così il giovane.

Al’’interno di questa problematica ci facciamo una domanda: la fede in Gesù Cristo morto e risorto, centro della vita e della comunità cristiana come deve dare il suo contributo indispensabile all’emergenza educativa? Si interessa di altro o aiuta l’uomo a fare quelle scelte di libertà che sono indispensabili per la pienezza della sua vita e per il bene della società? Come aiuta il giovane a fare le scelte giuste nell’aumento vertiginoso delle opportunità, degli stili di vita, nelle impostazioni del proprio esistere all’interno delle istituzioni educative? Tutta la catechesi che si fa nelle parrocchie, la preparazione ai sacramenti, le celebrazioni liturgiche come possono dare risposte a questa emergenza educativa?

Dalla pedagogia sappiamo che l’adolescente nulla acquisisce se non per canali emotivi (lo aveva detto anche Platone), non si arriva alla conoscenza se non per amore, e questo non è possibile nella nostra scuola così come è concepita. Se non riusciamo ad affascinarlo, non riusciremo mai ad educarlo! Non faremo mai educazione, ma solo istruzione. E con le classi di 35 ragazzi è un disastro.

Altro problema. Oggi è il tempo della tecnoscienza, se non si conosce inglese ed informatica, come possiamo non investire nella conoscenza? Come possiamo votare su cellule staminali e inseminazione eterologa se non abbiamo mai sentito parlare di scienze genetiche? “Se nelle scuole all’inglese si preferisce il dialetto … siamo a posto” (Galimberti).

Oggi a scuola il giovane dovrebbe prepararsi al futuro: e servono lezioni ma anche eventi, discussioni, occasioni di confronto, musica, sperimentazioni di autogestione. “Dovrebbero essere aperte dalle 8 a mezzanotte se non oltre, allora sì che non servirebbero happy-hour ediscoteche” (Galimberti).

La comunità cristiana (Chiesa, parrocchia, famiglia …) ha il mandato da Cristo di educare, tradirebbe se stessa e impoverirebbe l’umanità se si adattasse a educare un uomo che non ponga come determinante della sua struttura di personalità la figura di Gesù.

L’educazione cristiana ben fatta deve portare alla sintesi tra vita e parola di Dio, tra liturgia e testimonianza. Attraverso il processo educativo, nelle sue varie forme e competenze, il cristiano è chiamato a conformarsi a Cristo. Nel suo esercizio è in gioco la possibilità del cristiano di stare con dignità nel consesso umano, di sentirsi uomo fino in fondo, e di essere cristiano fino alla santità.

Per realizzare questi obiettivi occorre rifarsi al pilastro della vita della chiesa: la centralità del mistero di Cristo, celebrato e vissuto nell’esperienza liturgica, nell’eucaristia e nei sacramenti, doni indispensabili per la vita del cristiano anche nella sua essenziale dimensione di carità.

Già il Vaticano II, di fronte a una società che tende ad una scristianizzazione veloce e ad un mondo cattolico che dimentica gli elementi essenziali della sua fede, mette davanti a tutti, credenti e non, la figura di Cristo come uomo perfetto, riuscito, esaltato nella sua dignità, nella pienezza delle sue realizzazioni (Gaudium et spes).

Ogni intervento formativo non deve dare per scontata l’adesione di fede, ma deve continuamente renderla incandescente, perché così lo esige la nostra vita e la complessità della nostra società. “La fede è aiutare l’uomo a farsi accogliente di un mondo altro che illumina il suo, e ‘Altro’ che lo aiuta a dare senso al suo presente. Fede è seguire l’uomo perché l’annuncio cristiano non si trasformi in propaganda, l’impegno di testimonianza non perda il suo vero sapore e la preghiera non degeneri in evasione” (Sigalini).



Giovanni Basile

     

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