Il dono del discernimento
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L’amore è anche e soprattutto un processo di crescita continua, non uno stadio che si raggiunge una volta per tutte, certificato dall’aver superato un esame ed essersi iscritti all’albo delle famiglie.
Ci troviamo di fronte a una dinamica che mette in gioco la libertà delle persone. Non può rimanere affidata allo slancio di una spontaneità ingenua quanto precaria, ma nemmeno essere indirizzata su un binario predeterminato: in entrambi i casi si contraddirebbe il senso profondo della libertà. Secondo la Amoris Laetitia lo strumento per procedere in questo cammino senza perdere la rotta è il discernimento, che «è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno» (n. 303).
Ovunque è in gioco la libertà, si apre lo spazio del discernimento, anche nel rapporto con Dio: «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano» (n. 304).
Ma appunto, di che cosa si tratta quando si parla di discernimento? È un termine chiave per la comprensione dell’esortazione e più in generale del modo di procedere che papa Francesco adotta e propone alla Chiesa. A giudicare dalle reazioni a caldo, è anche uno dei termini più fraintesi, probabilmente perché meno conosciuto.
Vale dunque la pena provare a mettere a fuoco il significato di questo termine chiave. Francesco non lo usa nell’accezione ordinaria di “buon senso”, “capacità di giudizio assennato”, affine alla virtù classica della prudenza, ma nel senso tecnico più specifico, proprio ad esempio della spiritualità: il discernimento è la capacità di esercitare la propria libertà nel prendere decisioni, in particolare quelle che riguardano l’identificazione dei mezzi per raggiungere il fine che ci si è proposti.
Il discernimento presuppone dunque chiarezza in ordine al fine, che per il credente è compiere la volontà di Dio, e incertezza in ordine al mezzo. È lo strumento per dare risposta alla domanda, talvolta angosciosa, talvolta formulata a stento, su che cosa fare per vivere la buona notizia del Vangelo. La AL si rivolge a coloro che si pongono in questo orizzonte: per loro risulterà al tempo stesso sfidante e liberante.
Per il credente la pratica del discernimento si nutre della familiarità con il Vangelo e il modo di fare del Signore, attraverso la preghiera, con un orientamento pratico: richiede imprescindibilmente il passaggio all’azione, “uscendo” dai propri pensieri e assumendo il rischio di compiere dei passi. La prova della realtà aiuterà a capire la bontà della decisione presa ed eventualmente aggiustarla.
Nella sua concretezza, il discernimento è radicato anche in un’altra esperienza, senza la quale risulta incomprensibile: sentirsi spinti o attirati in direzioni diverse, sperimentare l’incertezza tra alternative che suscitano una varietà di «desideri, sentimenti, emozioni» (n. 143).
Provarli «non è qualcosa di moralmente buono o cattivo per sé stesso» (n. 145): la sfida del discernimento è muoversi attraverso queste passioni, utilizzandole come strumento per identificare non quello che è sufficientemente buono (l’aurea mediocritas), ma quello che è meglio. I nn. 143-146 della AL sono estremamente suggestivi per la lettura del mondo delle emozioni all’interno della vita familiare.
Questa è ricca di situazioni in cui applicare il discernimento, dalla scelta dello stile di vita e delle modalità di educazione dei figli, fino alle decisioni sul modo di vivere la sessualità e l’esercizio della paternità responsabile, che «non è “procreazione illimitata o mancanza di consapevolezza circa il significato di allevare figli, ma piuttosto la possibilità data alle coppie di utilizzare la loro inviolabile libertà saggiamente e responsabilmente, tenendo presente le realtà sociali e demografiche così come la propria situazione e i legittimi desideri”» (n. 167, con riferimento al magistero di Giovanni Paolo II).
Scopriamo così un altro presupposto del discernimento: la libertà non si esercita in un astratto iperuranio, ma in circostanze concrete, che pongono vincoli e condizionamenti di cui essere consapevoli. Per questo «ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma» (n. 304).
Le norme mantengono inalterato il loro valore e rappresentano l’orizzonte al cui interno il discernimento si compie, completandole e specificandole nella situazione concreta, poiché «nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari» (ivi). Correttamente intesi, discernimento e norma rimandano sempre l’uno all’altra.
Il discernimento non è dunque un sistema per trovare giustificazioni, pretesti o escamotage per depotenziare le esigenze della norma che indica il bene. La parola può certo essere utilizzata per coprire questo tentativo, ma questo ne rappresenta una perversione.
Anzi, il discernimento si rivela persino più esigente della norma, perché richiede di passare dalla logica legalistica del minimo indispensabile a quella del massimo possibile, nella consapevolezza del proprio limite e della possibilità di spostarlo ogni giorno un poco più avanti, senza accontentarsi di una misura soddisfacente o tarare il proprio obiettivo sulle potenzialità della media: il discernimento punta a valorizzare al meglio le possibilità di ciascuno.
P.Giacomo Costa sj
Sperare per tutti
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