Il Cardinale Tettamanzi scrive ai separati, divorziati e risposati. La Chiesa vi capisce e vi accoglie
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Questa lettera, spiega l’arcivescovo, “vuole essere semplice e familiare, quasi una richiesta di potermi sedere accanto a voi per un dialogo, che spero vi torni gradito e possa anche continuare nel tempo”. Certo, ammette Tettamanzi, “alcuni tra voi hanno fatto esperienza di qualche durezza nel rapporto con la realtà ecclesiale: non si sono sentiti compresi in una situazione già difficile e dolorosa; non hanno trovato, forse, qualcuno pronto ad ascoltare e aiutare; talvolta hanno sentito pronunciare parole che avevano il sapore di un giudizio senza misericordia o di una condanna senza appello. E hanno potuto nutrire il pensiero di essere stati abbandonati o rifiutati dalla Chiesa. La prima cosa che vorrei dirvi, sedendomi accanto a voi, è dunque questa: ‘La Chiesa non vi ha dimenticati! Tanto meno vi rifiuta o vi considera indegni”.
Una posizione perciò morbida, quella espressa dal cardinale, che non si discosta dì una virgola da ciò che i documenti pastorali delle Chiesa dicono in riferimento a questi casi “di sofferenza”. Non già una ulteriore apertura, quanto piuttosto la ripetizione di una “posizione” che la Chiesa, malgrado le durezze dì qualche pastore (a volte anche dettate da una certa qual “ignoranza pastorale”), ha sempre tenuto: vicinanza nei confronti dell’uomo e della donna che vivono situazioni famigliari di sofferenza, unita alla consapevolezza che l’impedimento nel ricevere la Comunione chiede di essere applicato con “precisione” e con consapevolezza.
Il Vescovo esprime così una vicinanza “vera” e non formale. ”In quanto cristiani sentiamo per voi un affetto particolare”, sottolinea, spiegando che ”la fine di un matrimonio è anche per la Chiesa motivo di sofferenza” perché ”voi avete chiesto di celebrare il vostro patto nuziale nella comunità cristiana, vivendolo come un sacramento”, e ”celebrando il vostro matrimonio la comunità cristiana ha riconosciuto in voi questa nuova realtà e ha invocato la grazia di Dio perché questo segno rimanesse come luce e annuncio gioioso per coloro che vi incontrano” e “quando questo legame si spezza la Chiesa si trova in un certo senso impoverita”.
Proprio partendo da questa consapevolezza, ”la Chiesa non vi guarda come estranei che hanno mancato a un patto, ma si sente partecipe di quel travaglio e di quelle domande che vi toccano così intimamente”. “Potrete allora comprendere, insieme ai vostri sentimenti, anche i nostri”, aggiunge il cardinale, e sottolinea: ”La scelta di interrompere la vita matrimoniale non può mai essere considerata una decisione facile e indolore. Questa vostra ferita anche la Chiesa la comprende”.
Al tempo stesso, ”anche la Chiesa sa che in certi casi può essere addirittura inevitabile prendere la decisione di una separazione: per difendere la dignità delle persone, per evitare traumi più profondi, per custodire la grandezza del matrimonio, che non può trasformarsi in un’insostenibile trafila di reciproche asprezze”. Davanti a una decisione così seria è importante, però, che non vincano la rassegnazione e la volontà di chiudere troppo rapidamente questa pagina”.
Nella Chiesa, perciò, c’è posto per questi nostri fratelli e sorelle? Certo che sì. Occorre però comprendere con serietà quali sono le giuste richieste della Chiesa, nel momento in cui, chiedendo coerenza, impedisce – di fatto – la celebrazione di un nuovo sacramento del matrimonio e – in certi casi – l’accostamento al sacramento dell’Eucaristia.
Un impedimento che – esso stesso – chiedi di essere ben compreso. Non una pura e semplice esclusione – nessuno è escluso dalla sovrabbondanza dell’amore di Dio – ma l’impossibilità di compiere il supremo atto della “comunione”, non essendo – in quanto viventi in una situazione di formale e sostanziale non coerenza con le prospettive della fede – in “perfetta comunione” nella Chiesa stessa.
Forse occorre perciò, di fronte ai numerosissimi casi di questo genere nei quali vivono anche ferventi cristiani, ricercare da parte ecclesiale una sempre maggiore umanità e correttezza nell’applicazione delle norme. Nello stesso tempo è anche doveroso “parlar chiaro” ai fedeli, all’interno di un “patto ecclesiale” che esige consapevolezza e chiarezza, al fine di vivere una fede davvero “vera” e coerente.
+ Dionigi Tettamanzi
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