II digiuno e l’astinenza nell’esperienza storica della Chiesa – III
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II digiuno nell’esempio e nella parola di Gesù
Il digiuno dei cristiani trova il suo mo¬dello e il suo significato nuovo e origina¬le in Gesù.
E vero che il Maestro non impone in modo esplicito ai discepoli nessuna pratica particolare di digiuno e di astinenza. Ma ricorda la necessità del digiuno per lottare contro il maligno e durante tutta la sua vita, in alcuni momenti particolarmente significativi, ne mette in luce l’importanza e ne indica lo spirito e lo stile secondo cui viverlo. Quaranta giorni di digiuno precedono il combattimento spirituale delle “tentazioni”, che Gesù affronta nel deserto e che supera con la ferma adesione alla parola di Dio: «Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”» (Mt 4,4). Con il suo digiuno Gesù si prepara a compiere la sua missione di salvezza in filiale obbedienza al Padre e in servizio d’amore agli uomi¬ni.
Riprendendo la pratica e il valore del digiuno in uso presso il popolo di Israele, Gesù ne afferma con forza il significato es¬senzialmente interiore e religioso, e rifiuta pertanto gli atteggiamenti puramente este¬riori e “ipocriti” (cf Mt 6,1-6.16-18): digiuno, preghiera ed elemosina sono un atto di offerta e di amore al Padre «che è nel segreto» e «che vede nel segreto» (Mt 6,18). Sono un aspetto essenziale della sequela di Cristo da parte dei discepoli.
Quando gli viene domandato per quale motivo i suoi discepoli non praticano le forme di digiuno che sono in uso presso taluni ambienti del giudaismo del tempo, Gesù risponde: «Finché [gli invitati alle noz¬ze] hanno lo sposo con loro, non possono digiunare» (Mc 2,19). La pratica penitenziale del digiuno non è adatta a manifestare la gioia della comunione sponsale dei discepo¬li con Gesù. Ma egli subito aggiunge: «Ver¬ranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno» (Mc 2,20). In queste parole la Chiesa trova il fondamento dell’in¬vito al digiuno come segno di partecipazione dei discepoli all’evento doloroso della passione e della morte del Signore, e come forma di culto spirituale e di vigilante attesa, che si fa particolarmente intensa nella cele¬brazione del Triduo della Santa Pasqua.
Il riferimento a Cristo e alla sua morte e risurrezione è essenziale e decisivo per defi-nire il senso cristiano del digiuno e dell’asti¬nenza, come di ogni altra forma di mortifi-cazione: «Se qualcuno vuoi venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). È infatti nella sequela di Cristo e nella conformità con la sua croce gloriosa che il cristiano trova la propria identità e la forza per accogliere e vivere con frutto la penitenza.
la prassi penitenziale nell’Antico Testamento
La pratica del digiuno, così come quella dell’elemosina e della preghiera, non è una novità portata da Gesù: egli rimanda all’esperienza religiosa del popolo d’Israele, dove il digiuno è praticato come momento di professione di fede nell’unico vero Dio, fonte di ogni bene, e come elemento neces¬sario per superare le prove alle quali sono sottoposte la fede e la fiducia nel Signore. Mosè ed Elia si astengono dal cibo per prepararsi all’incontro con Dio. La co¬scienza del peccato, il dolore e il pentimen¬to, la conversione e l’espiazione, pur mani¬festandosi in molteplici modi, trovano nel digiuno la loro espressione più naturale e immediata . Le celebrazioni penitenziali, in tempo di gravi calamità e nei momenti decisivi dell’Alleanza fra Dio e il suo popolo, comportano anche l’indizione di un solenne digiuno per l’intera comunità. A rendere più intensa l’implorazione della preghiera, Israele ricorre alla prostrazione fisica che segue alla rinuncia del cibo. Privandosi del cibo, alcuni protagonisti della storia del popolo d’Israele riconoscono i limiti della loro forza umana e si appellano alla forza di Dio, che solo li può salvare.
E tuttavia anche nelle pratiche di digiuno, come in ogni espressione della religiosità, si possono annidare molte insidie: l’autocom¬piacimento, la pretesa di rivendicare diritti di fronte a Dio, l’illusione di esimersi con un dovere cultuale dai più stringenti doveri verso il prossimo. Per questo il profeta de¬nuncia la falsità del formalismo e predica il vero digiuno che il Signore vuole: «Scioglie¬re le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spez¬zare ogni giogo… Dividere il pane con l’affa-mato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire uno che vedi nudo» (Is 58,6-7). C’è dunque un intimo legame fra il digiu¬no e la conversione della vita, il pentimento dei peccati, la preghiera umile e fiduciosa, l’esercizio della carità fraterna e la lotta con¬tro l’ingiustizia: «Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina con là giustizia» (Tob 12,8).
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