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I Testimoni di Geova – Lezione 87

22 Luglio 2014 | Filed under: Testimoni di Geova
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PIETRO NON MUORE

Verità da ricordare

I. – Capo della Chiesa è Cristo. Questa è stata la perenne fede dei cattolici con piena fedeltà alla Bibbia che dice. “Egli (Cristo) è il Capo del corpo, cioè della Chiesa” (Colossesi, 1, 18). “Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo hacostituito su tutte le cose a capo della Chiesa” (Efesini 1, 22; 4, 15; 5, 23). Recentemente questa dottrina è stata riaffermata più volte dal Concilio Vaticano II: “Capo di questo Corpo (= la Chiesa) è Cristo”.

Insinuare che secondo l’insegnamento cattolico il Papa e non Cristo sia Capo della Chiesa, equi- vale a insinuare l’errore, a ingannare la gente.

2. – Cristo non ha successori. “Egli è, il Primo e l’ultimo, e il Vivente” (Apocalisse 1, 17-18; cf. 22, 13). Il Vivente non muore mai. E’ sempre presente. Non lascia mai il posto vuoto perché sia occupato da altri. “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Matteo 28, 20).

Il Papa non è successore di Cristo, ma suovicario o rappresentante.

3. – Cristo ha nella Chiesa rappresentanti qualificati.

Dopo la sua Ascensione il Vivente è invisibile. Un giorno riapparire (cf. Atti 1, 9-11). Nel tempo della presenza invisibile, che è il tempo della Chiesa pellegrina sulla terra, Cristo ha voluto che ci fossero suoi rappresentanti qualificati. Non successori, ma rappresentanti.

A quest’ufficio Cristo ha destinato uomini, non angeli. I primi furono scelti da lui direttamente perché “stessero con lui e per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Marco 3, 14-15). Li chiamò Apostoli (cf. Luca, 6, 13), cioè inviati.

Gli Apostoli sono perciò rappresentanti qualificati di Cristo, Capo della Chiesa. San Paolo li chiama “collaboratori di Dio” (I Corinzi 3, 9) e suoi ambasciatori “Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro” (2 Corinzi 5, 20).

La successione apostolica

Si domanda:

La rappresentanza qualificata di Cristo nella Chiesa doveva finire con la morte dei Dodici?

a) Leggendo attentamente la Bibbia la risposta deve essere negativa. San Paolo ci ricorda che Cri- sto, “ascendendo in cielo (…) ha distribuito doni agli uomini (…). E’- lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo (= la Chiesa)” (Efesini 4, 7-13). Questa struttura, data alla Chiesa dal suo divin Fondatore, non può cambiare. Deve durare fino alla fine dei tempi, fino cioè alla seconda venuta del Signore.

b) Gli apostoli capirono bene questa volontà del loro Maestro. Non solo perciò si circondarono di collaboratori, ai quali affidarono le loro responsabilità (cf. Atti 6, 2-6; 11, 30; 14, 23 ecc.), ma diedero disposizioni che alla loro morte altri uomini qualificati prendessero il loro posto.

Le notizie più dettagliate le abbiamo da san Paolo.

Dovendosi assestare dalle chiese da lui fondate lascia alla loro guida persone ben provate e di fi- ducia: Timoteo ad Efeso (Cf. 1 Timoteo 1, 2), Tito a Creta (Cf. Tito 1, 5). Egli vuole che le persone poste alla guida delle comunità  siano  trattate con molto rispetto e carità a motivo del loro lavoro                      (Cf. 1 Tessalonicesi 5, 12-14).

Più tardi, prevedendo prossima la morte (Cf. 2 Timoteo 4, 6-8), san Paolo dà chiare disposizioni affinché il ministero qualificato continui ininterrottamente. Scrive a Timoteo: “Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo e le cose che hai udito da me trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare altri a loro volta” (2 Timoteo 2, 1-2).

c) Che le cose siano andate proprio così ce l’assicura Clemente Romano, morto a Roma nel 95 d.C. durante la persecuzione di Traiano. Egli era stato alla scuola dei santi Pietro e Paolo e verso la fine dei primo secolo scrisse una Lettera alla Chiesa di Corinto dov’è detto tra l’altro:

“Gli Apostoli furono mandati a portare la Buona Novella dal Signore Gesù. Gesù Cristo fu mandato da Dio. Ricevuto il loro mandato andarono ad annunziare la Buona Novella. Predicando per le campagne e per le città sceglievano ottime persone tra i primi convertiti e le costituivano vescovi e diaconi (… ) e diedero ordine che quando costoro fossero morti altri uomini provati succedessero nel loro ministero”.

La successione nel Primato

Anche Pietro ebbe i suoi successori nella funzione di pascere tutto il gregge di Cristo (cf. Giovanni 21, 15-17). Non poteva essere diversamente.

a) Cristo aveva promesso di edificare la sua Chiesa sull’uomo-roccia, ossia su Pietro (cf. Matteo 16, 18). Anche dopo la morte di Pietro, Cristo continua ad edificare la sua Chiesa. Vi deve essere dunque qualcuno che continui la funzione di fondamento visibile affidata a Simone, l’uomo-roccia.

Pietro come persona fisica è morto (cf. Giovanni, 21, 19). Ma è volontà di Cristo che come fondamento visibile della vera Chiesa Pietro continui a vivere in coloro che hanno ereditato la sua funzione primaziale. Il Primato di Pietro continua nei suoi successori.

b) Chi sono? La risposta è sicura. Sono coloro i quali hanno raccolto il mantello di Pietro come Eliseo quello di Elia (cf. 2 Re 2, 13), vale a dire i Vescovi di Roma, che per divina disposizione hanno ereditato la missione e la funzione qualificata di Pietro.

Cefa, il Primo degli Apostoli, colui al quale Cristo affidò la cura di tutto il suo gregge, finì i suoi giorni a Roma con un glorioso martirio. Fu Dio a disporre che la vita della sua Chiesa prendesse questa svolta. Il Vescovo di Roma dunque succede a Pietro anche nella guida di tutta la Chiesa. Il Primato petrino si perpetua nel Primato romano.

Pietro a Roma

La venuta di Pietro a Roma e soprattutto il suo martirio in quella città costituiscono le ragioni del Primato romano. Se Pietro non fosse venuto a Roma e non avesse finito lì i suoi giorni, avremmo avuto il Primato, ma non il Primato romano.

Oggi nessuno studioso di qualche valore mette in dubbio la storicità della venuta di Pietro a Roma e del suo martirio sotto Nerone’. Fanno eccezione alcune minoranze tenacemente legate ad antichi preconcetti. Tra questi i tdG.

La Bibbia.

a) Si sente ancora dire da qualche accanito avversario del Primato romano che la Bibbia ci parla solo del viaggio di Paolo a Roma. Dunque Pietro non è stato a Roma.

Questo modo di ragionare è proprio di alcuni settari, che vorrebbero trovare nella Bibbia la risposta a ogni problema. No! La Bibbia non è un trattato di storia e tanto meno di scienze naturali.

Per quanto riguarda la venuta di Pietro a Roma, se nella Bibbia vi è un racconto particolareggiato ed esplicito solo del viaggio di Paolo, è illogico dedurre che Pietro non sia stato a Roma. Vi sono altri documenti, altre fonti per accertarsi.

b) Tuttavia abbiamo nella Bibbia una prova irrefragabile della presenza di Pietro a Roma, di cui sono convinti la maggior parte degli studiosi biblici di diversa estrazione e scuola. Tale prova è data dalle parole con cui lo stesso Pietro chiude la sua Prima Lettera:

“Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia” (1 Pietro 5, 13).

Babilonia indica la località dove Pietro scrisse la sua lettera. Qual’è questa località?

Questa località è Roma perché il nome di Babilonia sta al posto di quello di Roma. Questo modo di chiamare Roma era corrente presso i Giudei al tempo in cui san Pietro scrisse la sua Lettera. In effetti, dopo la conquista romana della Palestina (63 a.C.), Roma era diventata per i Giudei il simbolo della città che si erge contro Dio come l’antica Babilonia di Nabucodonosor (2 Re, cap. 25). Allora nel mondo giudaico si cominciò a chiamare Roma Babilonia. I cristiani seguivano questa terminologia.

Una conferma ci è data dall’Apocalisse, dove l’autore parla spesso di Babilonia la grande (cf. 14, 8;,16, 19; 17, 5; 18, 2), la città-donna “ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù” (179 6), seduta sui sette colli (cf. 17, 9). Tutti ammettono che col nome di Babilonia Giovanni voglia indicare Roma “la città grande, che regna su tutti i re della terra” (17, 18).

c) Né d’altra parte è possibile pensare all’antica Babilonia di Nabucodonosor. E questo per due motivi principalmente.

Non vi è anzitutto la minima traccia nella Bibbia e nella storia che Pietro sia stato in Mesopotamia, nell’antico impero di Nabucodonosor. Al contrario, abbiamo chiari segni nella Bibbia dei suoi spostamenti verso Occidente (cf. 1 Corinzi 1, 12; 9, 5). Roma era il centro propulsore della vita del mondo. Come Paolo (cf. Romani 1, 15-17), Pietro capiva che a Roma bisognava consolidare il Vangelo .

In secondo luogo, quando Pietro scriveva la sua Prima Lettera, la Babilonia di Nabucodonosor non esisteva più. Nell’anno 275 avanti Cristo gli abitanti dell’antica città erano stati trasferiti altrove, a Seleucia, le mura e le fortezze di Babilonia smantellate, la sua vita ridotta agli estremi. Un secolo e mezzo dopo si ebbe il colpo di grazia. I resti di quella che era stata la grande Babilonia furono rasi al suolo per opera di Parti nel 126 avanti Cristo. La rovina fu completa.

Si era avverata la volontà di Jahve che aveva preannunciata la rovina totale di quella città (cf. Geremia 25, 12; Isaia 21, 9-10).

2. – La tradizione.

La prova biblica della presenza di Pietro a Roma è più che convincente. Se dovesse rimanere qualche dubbio, le numerose e chiare testimonianze della tradizione valgono ad eliminarlo.

La tradizione! ? La pronuncia di questa parola provoca un sorriso di scherno nei tdG. Essi accusano altezzosamente la Chiesa Cattolica di aver sostituito la tradizione cioè insegnamenti umani, alla Parola di Dio. Fate come i farisei – ci dicono – contro i quali si scagliò Cristo perché seguivano le loro tradizioni “an- nullando la Parola di Dio” (Marco 7, 13) .

L’accusa dei geovisti è superficiale e settaria. Perciò, a beneficio di quanti vogliono conoscere la verità, crediamo opportuno fare alcune precisazioni sulla tradizione.

Che cos’è la tradizione?

a) Non è certamente quel che Cristo a ragione rimproverava ad alcuni scribi e farisei  (cf. Matteo 15, 1-6; Marco 7, 1-13), sostituire cioè insegnamenti umani alla Parola di Dio. Questa non è tradizione, ma profanazione degli insegnamenti divini. Quando i tdG affermano che la Chiesa Cattolica segue questo tipo di tradizione, dicono una cosa non vera, faziosa, atta a creare pregiudizi e odio contro i cattolici.b) Tradizione vuol dire trasmettere a viva voce parole e fatti, della cui storicità non vi può essere un ragionevole dubbio. In questo senso, i detti e i fatti di Gesù furono tradizione, furono cioè trasmessi a viva voce prima di essere messi in iscritto e diventare Bibbia (cf. 1 Corinzi 11, 23; 15, 3; Lúca 1, 1-2). In questo senso san Paolo raccomandava ai cristiani di Tessalonica di mantenere “le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” (2 Tessalonicesi 2, 15). Nessuno oserebbe dire che con la parola tradizione san Paolo intendesse riferirsi a insegnamenti umani contrari alla Parola di Dio. Egli parlava di detti e fatti trasmessi da lui prima a viva voce e poi per iscritto.

c) Ciò che dice san Paolo ai Tessalonicesi ci aiuta a capire meglio il concetto di tradizione, che vuol dire trasmettere a viva voce per un certo periodo di tempo e poi per iscritto. Sarebbe perciò sbagliato pensare che tradizione equivalga a trasmissione orale. Ciò che prima era trasmissione orale si fissa poi in documenti scritti o dì altra natura diversa dalla viva voce (monumenti ecc.). In questo modo la tradizione è diventata Scrittura, in questo modo diventa pure storia.

Analizzando la tradizione che diventa storia, abbiamo che alcuni fatti o detti a principio sono tra- smessi a viva voce da testimoni oculari o auricolari degni di fede. Poi, a distanza anche molto ravvicinata, sono fissati in qualche altra forma non soggetta alla caducità della memoria (lettere private, iscrizioni, monumenti ecc.). Verrà poi lo storico di professione che vaglierà criticamente questi documenti occasionali e farà della vera storia.

d) E’ questo il caso della tradizione attestante la presenza di san Pietro a Roma e il suo martirio sotto Nerone.

Certo noi non abbiamo il registro anagrafico attestante l’arrivo e il domicilio d’un oscuro galileo nella capitale dell’impero. E neppure abbiamo il verbale della sua incarcerazione, processo, condanna a morte, esecuzione e sepoltura.

Ma è innegabile che non poche persone – i cristiani di Roma – abbiano visto e udito Pietro nella città dei Cesari. Alcuni certamente hanno potuto seguire le vicende della sua gloriosa fine. Ne hanno curato la sepoltura come permetteva la legge del tempo e venerata la tomba con amore e fedeltà.

Questi fatti con l’indicazione del tempo (anni, mesi, giorni) dovettero senza dubbio rimanere vivi nella memoria di quei testimoni. Certamente ne hanno parlato spesso tra loro e con i cristiani di altre comunità vicine e lontane. Li hanno narrato ai loro figli e ne scrissero anche nelle loro lettere.

Sono testimonianze occasionali, ma degne di fede. Non c’è motivo di dubitare che quei cristiani non dicessero la verità. Si può dire perciò che quel- la tradizione, passata a breve distanza di tempo in documenti scritti pervenuti fino a noi, ci dia la certezza storica.

 

Padre Nicola Tornese s.j.


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