I Testimoni di Geova – Lezione N° 153
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Il Paradiso
Apocalisse 2, 7
“Chi ha orecchio ascolti ciò che lo spirito dice alle Chiese. “A colui che vince, gli darò a mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio” (Apocalisse 2, 7, Garofalo).
Spiegazione:
1 – Il Paradiso, che appare qui la terza volta .nel Nuovo Testamento, è presentato come il premio dei vittoriosi, di tutti coloro che rimangono fedeli a Cristo fino alla morte (cf. Apocalisse 2, 10.’17. 26; 3,5.12.21). Unica dunque sarà la ricompensa di quanti seguiranno Cristo in questa vita. La Bibbia non fa distinzione tra alcuni destinati al cielo e altri alla terra.
2 – Questo Paradiso consiste nel dono di mangiare dell’albero della vita. Questa espressione ricorda Genesi 2, 9, (cf. supra p. 9), dove l’albero della vita è simbolo d’immortalità. Paradiso dunque significa uno stato d’immortalità, una condizione opposta a tutto ciò che non è vita. Chi ha la pienezza della vita, non ha bisogno di cibi succulenti e di vini prelibati!
3 – Come nella visione di Paolo (cf. 2 Corinzi 12, 3-4), questo Paradiso non è limitato alla nostra terra. E’ detto infatti “paradiso di Dio”. E’ la dimora di Dio con gli uomini (cf. Apocalisse 21, 4). Dio si trova dovunque, ma la sua dimora appropriata è nei cieli come sarà spiegato. Questo vuol dire che il vero Paradiso consiste nella piena comunione con Dio, non nell’abbondanza di beni materiali, come sperano i tdG.
Felicità subito dopo la morte
Come già abbiamo accennato, vi sono numerosi altri testi nel Nuovo Testamento dov’è contenuta la dottrina del Paradiso dei veri cristiani, anche se non ricorre la parola “paradiso”. Sono quei testi biblici dov’è affermato senza il minimo dubbio che per i discepoli di Cristo subito dopo la morte vi é uno stato di felicità. Ne esaminiamo solo alcuni.
1 – Nella parabola di Lazzaro povero e buono, e del ricco egoista Gesù dice: “Or accadde che il mendìco morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo” (Luca 16, 22).
L’espressione “seno di Abramo” ricorda il banchetto celeste, che rappresenta la felicità dei giusti come diremo. Abramo è presentato come il capotavola perché padre di tutti i credenti (cf. Genesi 17, 1-8; Luca 19, 9; Romani 4, 11-12). Partecipare al banchetto di Abramo significa godere della stessa felicità di cui gode Abramo. A Lazzaro povero, ma virtuoso e giusto, viene assegnato un posto d’onore, vicino al capotavola (cf. Giovanni 13, 23,).
In questa parabola Gesù insegna chiaramente che ai giusti è riservato uno stato di felicità subito dopo la morte. Nulla vieta di chiamare Paradiso questo stato di felicità.
2 – Alla stessa conclusione si arriva analizzando correttamente le parole di san Paolo ai Filippesi (1, 21-23):
“Per me, infatti, il vivere è Cristo, e il morire un guadagno (…). Ho desiderio di andarmene per essere con Cristo, che è cosa di gran lunga migliore” (Filippesi 1, 21-13, Garofalo).
Spiegazione:
a) Qui san Paolo parla certamente di morte (greco apothnesco = morire) Il ed afferma che egli considera la sua morte come un guadagno, ossia come un modo di essere migliore rispetto alla vita presente. Poi ribadisce e spiega il suo pensiero dicendo che “desidera andarsene per essere con Cristo”, “che è cosa assai migliore”, rispetto alla vita presente (cf. 2 Timoteo 4, 6). La parola “andarsene” (greco analysai) equivale a “essere disciolto dal corpo”, cioè “morire” (cf. 2 Corinzi 5, 8).
“Il verbo greco analysai, usato qui da san Paolo, nel Nuovo Testamento significa “andarsene” e designa la morte, velandone delicatamente l’aspetto orribile; in questo caso equivale a “decedere”, cioè morire. Lo stesso significato ha in 2 Timoteo 4, 6, dove Paolo parla della sua partenza verso il porto sospirato del cielo, cioè della morte e riunione con Cristo”.
b) Paolo sa che dopo la morte desiderata sarà con Cristo. La morte infatti non potrà separarlo da Cristo (cf. Romani 8, 38). Egli dunque afferma che quelli che muoiono nel Signore ottengono subito dopo la morte un modo di essere che è un guadagno, cioè un modo di essere assai migliore, rispetto a questa vita. Subito dopo la morte il discepolo di Cristo ottiene una più intima e più gioiosa comunione di vita col suo Maestro e Redentore (cf. Luca 213, 43). E’ il Paradiso, di cui lo stesso Paolo ebbe un saggio durante la sua vita terrena (cf. 2 Corinzi 12, 1-4).
c) E’ bene notare che qui Paolo non parla di risurrezione. Egli parla solo di fine di questa vita, cioè della sua morte. Tra la morte dunque e la futura risurrezione, in cui Paolo credeva (cf. Atti 24, 1’5), vi è un modo di essere preferibile alla vita presente. Questo insegna chiaramente san Paolo in Filippesi 1, 21-25.
La spiegazione settaria dei tdG
L’errore: Il cervello della setta geovista è del parere che “in nessun modo l’apostolo dice qui che alla pro- pria morte sarebbe immediatamente mutato in spirito per essere eternamente con Cristo”. In Filippesi 1, 21-25 Paolo farebbe riferimento al ritorno di Cristo quando Paolo sarebbe liberato.
La verità. Siamo in presenza d’una manipolazione aberrante o farnetica della Parola di Dio ai fini di speculazioni prestamene settarie. Ecco alcune ragioni:
a) Paolo parla espressamente di morte, della sua morte, come abbiamo dimostrato. Ora è dottrina biblica che al ritorno di Cristo i vivi non morranno. E’ Paolo stesso a dircelo (cf. 1 Tessalonicesi 4, 17). Con la sua assurda spiegazione il cervello della setta geovista attribuisce a Paolo una stridente contraddizione: morire e non morire al ritorno di Cristo!
b) Se si trattasse del ritorno del Signore, diventa incomprensibile quanto Paolo aggiunge subito dopo, cioè “il rimanere nella carne è più necessario per riguardo a voi” (Filippesi 1, 24). Infatti, dopo il ritorno del Signore, non ci sarà più bisogno che qualcuno, fosse pure l’apostolo Paolo, rimanga su questa terra per aiutare gli altri a salvarsi. Infatti, dopo il ritorno del Signore, tutti i discepoli di Cristo saranno con Lui (cf. 1 Tessalonicesi 4, 17).
c) A conferma che Paolo parla della morte e non del ritorno del Signore vale il fatto che mentre egli scrive è in prigione e sotto processo, che poteva concludersi con una sentenza di morte. Paolo è sereno perché sa che qualunque cosa succeda “Cristo sarà glorificato nel mio corpo sia per la vita sia per la morte” (Filippesi 1, 20). Egli dunque parla di morte, non di ‘ritorno del Signore.
d) Concludiamo con tre testimonianze di grandi biblisti:
“L’essere con Cristo presuppone un immediato congiungimento con Lui dopo la morte e ancora prima della risurrezione dei corpi e del giudizio universale. Altrimenti non si vede come Paolo avrebbe preferito morire subito”.
“Le espressioni usate qui da san Paolo dimostrano chiaramente che il cristiano morendo in Cristo non deve attendere il giudizio finale per salire al Cielo.
“Questo testo prova chiaramente che Paolo non considerava l’unione con Cristo nell’altra vita come differita fino al tempo del ritorno di Cristo alla fine del mondo (fino alla parusìa): le anime dei giusti, che muoiono prima del glorioso ritorno del Signore, possono prendere presto possesso della beatitudine. Identico insegnamento in 2 Corinzi 5, 6-8”.
L’esilio e la patria
Sì, identico insegnamento in 2 Corinzi 5, 6-8:
“Facciamoci dunque coraggio e, consci che, dimorando in questo corpo, siamo esuli, .lontani dal Signore – camminiamo infatti al luce della fede e non della visione – facciamoci coraggio e preferiamo piuttosto sloggiare da questo corpo per andare nella patria, presso il Signore”.
Spiegazione:
a) San Paolo poco prima del testo riportato (versi 2 e 4) esprime il desiderio che il ritorno del Signore (la parusìa) lo trovi ancora in questa vita. Tuttavia non esclude che la parusìa sia ritardata ed egli morrà prima. Questo pensiero in qualche modo lo rattrista perché la morte spoglia l’uomo di qualcosa che lo completa, cioè della dimora o tenda terrestre, che è il corpo (verso 4).
b) Ma che cosa avverrà se la morte sopraggiunge prima della parusìa? Paolo afferma che la morte, di per sé non desiderabile, pone tuttavia termine all’esilio terreno e dà inizio alla nostra dimora presso il Signore (verso 8). Per questo motivo la morte può essere anche desiderata: “Preferiamo piuttosto sloggiare da questo corpo per andare nella patria, presso il Signore”.
c) Non vi può essere dubbio che qui san Paolo insegna in modo chiaro che subito dopo la morte l’anima è introdotta nella visione di Dio: vivrà di visione non più di fede. Se così non fosse, sarebbe irrazionale il desiderio di Paolo di esulare dal corpo, cioè morire. In effetti non si desidera mai uno stato peggiore, ma sempre uno migliore.
“Il senso è che le anime dei giusti, subito dopo la morte, senza aspettare la parusìa, saranno ammesse alla presenza di Dio e alla sua visione, dalla quale avranno una felicità totale. Questa concezione supera quella ebraica dello Sceol, dove le anime sarebbero rimaste fino alla risurrezione finale”.
E’ questo il Paradiso dei veri cristiani.
d) Si noti infine che qui Paolo non parla solo di sé, ma di tutti quelli che dimorano nel corpo, che sono ancora esuli dal Signore, che camminano per fede. Raccomanda perciò a tutti di vivere sempre in modo da essere bene accetti al Signore, “poiché tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno raccolga, in ragione delle azioni compiute, ciò che ha meritato quand’era nel corpo, o il bene o il male” (2 Corinzi 5, 10).
Padre Nicola Tornese s.j.
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