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I Testimoni di Geova – Lezione 149

20 Marzo 2015 | Filed under: Testimoni di Geova
     

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IL PARADISO DI ADAMO

Il giardino dell’Eden

Appena il discorso cade sul paradiso il pensiero corre istintivamente al secondo capitolo della Genesi. Riportiamo almeno in parte il testo biblico:
“Poi Jahve -Dio piantò un giardino (paradiso) nell’Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva modellato. Jahve Dio fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e buoni a mangiare, l’albero della vita in mezzo al giardino (paradiso) e l’albero della conoscenza del bene e del male. C’era un fiume che usciva ad irrigare il giardino (paradiso), poi si divideva e veniva a formare quattro bracci…” (Genesi 2, 8-10, Garofalo).
 
Osservazioni:
1 – La parola “paradiso”, che nel testo riportato ricorre tre volte e altre due nel resto del capitolo, corrisponde all’ebraico “gan”. Nella Bibbia greca dei Settanta “gan” fu tradotto col termine “paradèisos” (greco), che deriva dal persiano pari-daiza o paridezza. In italiano diventa “paradiso” e voci analoghe in altre lingue moderne.
Letteralmente “paradèisos” significa “muro di cinta” di un parco o giardino. Poi venne a significare lo stesso parco o giardino. Stando dunque alla lettera, l’autore sacro afferma che Jahve pose la prima coppia umana in un pezzo di terra recintata, con più esattezza in una “villa”, provvista di tutti i conforti, di cui godevano le ville dei re e dei nobili orientali al tempo in cui l’autore sacro mise in iscritto il racconto delle origini dell’uomo.
 
2 – La villa-paradiso era collocata nell’Eden. Che cosa bisogna intendere per Eden?
a) Il grande biblista san Girolamo (347-420 d.C.) definiva l’Eden “orto di delizie” (hortus voluptatum), una terra cioè amenissima, che poteva rendere felice l’uomo. L’ubicazione geografica passava in second’ordine. L’autore sacro intendeva mettere in evidenza la piena felicità dell’uomo e della donna ai primordi dell’umanità, prima del peccato. La determinazione esatta del luogo contava poco o nulla. L’essenziale era far sapere che Adamo ed Eva vivevano un’esistenza esente da qualsiasi dolore e colma di felicità.
b) Tuttavia non pochi autori moderni pensano che Eden indichi una località. I pareri sono molti e diversi. Alcuni hanno voluto identificarla con l’antica Bit Adini, ricordata in 2 Re 19, 12 e in Ezechiele 27, 23. Altri hanno collocato l’Eden a sud della celebre Babilonia, dove l’Eufrate si dirama in vari fiumi o canali. Altri a nord di Babilonia, vicino all’odierna città di Bagdad, nell’Irak. Vi sono alcuni che vanno più a nord, nella regione dell’Armenia, verso l’Ararat. Per questi ultimi il gran fiume, di cui in Genesi 2, 10, indicherebbe la gran massa d’acqua che dai monti dell’Armenia si riversa nella pianura dando origine a molti fiumi. Tra questi l’Eufrate e il Tigri erano i meglio conosciuti.
c) Oggi sono molti gli studiosi della Bibbia che ritengono impossibile (e anche inutile) localizzare l’Eden e il paradiso di Adamo. La preistoria non ha potuto finora stabilire in quale parte del nostro pianeta l’uomo abbia iniziata la sua avventura terrena.
 
3 – Per la maggior parte dei biblisti la spiegazione che più s’impone è la seguente:
a) L’agiografo non ha voluto né potuto indicare  con esattezza il luogo o regione del paradiso primordiale. Si può ritenere che al tempo in cui scriveva, il sito esatto era sconosciuto. Egli prese il suo racconto dalla tradizione popolare e lo trasmise come quella tradizione lo immaginava. Da alcune caratteristiche proprie del racconto.
b) Per la fertilità d’un giardino, specie nel vicino Oriente, c’è bisogno di molta acqua. Questo spiega la presenza di un grande fiume, che nella immaginazione popolare del tempo doveva avere rapporto coi grandi fiumi allora meglio conosciuti, quali erano il Tigri e l’Eufrate, ed altri ancora.
Per abbellire un giardino, oltre all’abbondanza d’acqua, sono necessari molti alberi, che diano ombra e fresco e frutti da rendere amena la vita degli abitanti. Tutto questo costituiva l’ideale della felicità per gli antichi popoli del vicino Oriente.
c) Si può perciò ritenere che la descrizione del giardino-paradiso e delle sue delizie non sia reale e storica, ma piuttosto ideale conforme alla mentalità e alla immaginazione del popolo del tempo. Più che dati storici e geografici nel senso come noi oggi l’intendiamo, l’autore sacro ha voluto trasmettere un insegnamento, ha voluto farci conoscere lo stato di felicità dei nostri progenitori. Questa è certamente storia, ma non nel senso oggi comunemente inteso.
Riassumendo possiamo dire che, a parere della maggior parte degli studiosi moderni, la descrizione del giardino-paradiso, di cui in Genesi 2, 8-10, non ha come scopo indicare una regione geografica determinata, una parte o anche tutto il nostro pianeta. L’autore sacro voleva dare un’idea esatta della condizione o stato di vita di Adamo ed Eva prima del peccato. La localizzazione geografica aveva ed ha un’importanza molto relativa, anche se è fuor di dubbio che la vita dei nostri progenitori, prima del peccato, fosse in perfetta sintonia col nostro pianeta, anzi con tutto il creato (cf. Genesi 1, 28; 2, 19-20; Romani 8, 19-22).
Eden come simbolo di felicità
Una conferma che la descrizione dell’Eden è simbolica e non reale, ci viene da non pochi testi biblici. Sempre che gli autori sacri parlano dell’Eden, pensano meno o affatto a qualche regione del nostro pianeta o a tutta la terra, quanto piuttosto a uno stato di felicità.
I – Già lo stesso autore della Genesi, per dare un’idea della bellezza della valle del Giordano e quindi della felicità di Lot, che l’aveva scelto come sua dimora, paragona quella valle al “giardino di Dio”, ossia al paradiso di Adamo.
“Allora Lot alzò gli occhi e vide la valle del Giordano, ma quale, prima che Jahve distruggesse Sodoma e Gomorra, era tutta un luogo irrigato, fin verso Zoar, come il giardino di Jahve, come la terra d’Egitto” (Genesi 13, 10 Garofalo).
E’ scontato che la valle del Giordano non era stata la dimora della prima coppia umana. Ma la sua bellezza con abbondanza d’acqua, d’ombra, di fresco, d’alberi da frutta… richiamava alla immaginazione il “giardino di Dio”, che nessuno aveva mai visto.
2 – Identico linguaggio simbolico in Ezechiele. Per descrivere la condizione felice del re di Tiro prima che fosse colpito dal castigo di Dio, il profeta così si esprime:
“Tu eri un suggello di perfezione, pieno di saggezza e di perfetta bellezza. Tu eri nell’Eden, giardino di Dio, ricoperto d’ogni specie di pietre preziose, rubino, topazio, diaspro…” (Ezechiele 28, 12, Garofalo).
In modo simile è descritta la condizione del faraone prima della sua caduta:
“Lo avevo formato maestoso per il numero dei suoi rami; lo invidiavano perfino tutti gli alberi dell’Eden, che erano nel giardino di Dio (…). A chi, dunque, sei simile? Per splendore e grandezza sei in tutto come uno degli alberi dell’Eden! Ebbene sei precipitato con gli alberi dell’Eden nella regione sotterranea” (Ezechiele 31, 9.16, Garofalo).
L’albero della vita e della conoscenza
Nella descrizione della villa-paradiso, di cui in Genesi 2, 8-10, si fa menzione esplicita dell’albero della vita in mezzo al giardino e dell’albero della conoscenza del bene e del male (cf. Genesi 2, 9). Qual è il significato di queste parole?
1 – Alcuni biblisti ritengono che l’autore sacro avesse in mente due alberi reali. Jahve Dio avrebbe dato ai loro frutti il potere di assicurare una vita senza fine e la conoscenza del bene e del male a chi se ne fosse cibato. Altri, invece, con più ragione, sono del parere che si tratti di alberi simbolici.
a) L’albero della vita serve a indicare il potere di vivere per sempre. L’uomo infatti è, per sua natura, mortale (cf. Genesi 3, 19 e 22). Ma Dio gli aveva dato il dono dell’immortalità, ossia l’esenzione dalla morte quale noi la sperimentiamo. Qui non c’entra il problema della sopravvivenza dell’uomo subito dopo la morte, ossia dell’immortalità dell’anima. L’autore sacro non sì pone questo problema. Sarà risolto in seguito, alla luce di tutta la rivelazione cristiana.
“I progenitori erano sottratti all’impero della morte, non nel senso che già possedessero l’immortalità per costituzione, com’è proprio dei puri spiriti, ma nel senso che avevano la possibilità di non morire.
E quale sarebbe stata la sorte finale loro e dei discendenti, in caso che la fedeltà a Dio li avesse preservati dal tremendo castigo? Possiamo pensare, per analogia con la dottrina della risurrezione (1 Corinzi 15, 35-38), che, dopo un certo numero di anni, il corpo di ogni singolo uomo sarebbe stato sottratto alte leggi biologiche mediante una trasformazione, e trasferito in un mondo migliore”.
b) L’albero della conoscenza del bene e del male è simbolo della facoltà o potere di decidere da se stessi ciò che è bene e ciò che è male. Dio solo ha questo potere E’ un attributo divino. Con la sua disubbidienza Adamo ha tentato di usurpare questa prerogativa divina. Il suo peccato fu perciò un attentato alla sovranità di Dio, un peccato di orgoglio .

Padre Nicola Tornese s.j.


     

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