I Testimoni di Geova – Lezione N° 158
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I Dodici nella Chiesa primitiva
La scelta dei Dodici fatta da Gesù e la cura particolare che egli ebbe nei loro riguardi spiegano e giustificano il ruolo che i Dodici ebbero nella Chiesa dei primi tempi. I primi cristiani ricevettero la fede non da uno scritto, ma dalla viva voce dei Dodici e dei loro collaboratori.
1 – I Dodici insegnano e presiedono nella comunità di Gerusalemme (cfr. Atti 2, 42-43). Con grande coraggio attestano la risurrezione del Signore e riscuotono grande simpatia (cfr. Atti 4, 33), ma anche avversità e persecuzioni (cfr. Atti 5, 17-18). S’interessano dei beni della comunità (cfr. Atti 4, 34-35; 5, 2). Parlano in nome di Gesù e sempre in suo nome compiono segni e miracoli (cfr. Atti 5, 12 e 5, 40). Riservandosi il servizio della Parola, autorizzano altri ad aver cura della distribuzione dei beni (cfr. Atti 6, 2-6).Si riuniscono a Gerusalemme insieme agli anziani per decidere, sotto la guida dello Spirito Santo, che cosa bisogna esigere dai cristiani provenienti dal paganesimo (cfr. Atti 15, 2-22).
2 – A conferma di questo ruolo direttivo dei Dodici nella Chiesa primitiva vale quanto sugli Apostoli, ossia sui Dodici, dice san Paolo nelle sue Lettere.
Scrivendo ai cristiani di Corinto afferma che nell’organismo ecclesiale, oltre alla basilare uguaglianza di tutti come membra di Cristo, vi sono diversità di funzioni volute da Dio:
“Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni però Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli” (1 Corinzi 12, 27-28).
E altrove:
“E’ lui (Cristo) che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti” (Efesini 4, 11).
Commentando queste parole dell’Apostolo la Traduzione Ecumenica della Bibbia osserva:
“La Lettera pone l’accento sull’iniziativa del Signore che dà alla Chiesa gli uomini necessari per la propria edificazione. In questa lista di ministri si nota il primato degli apostoli”.
*Significato d’una scelta
1 – Nella Chiesa primitiva i Dodici, oltre al ruolo di annunciare la Parola e dirigere le comunità, ebbero anche la preoccupazione di assicurare che queste due funzioni fossero partecipate e continuate mediante persone qualificate ad essi intimamente legate.
Il primo esempio di questa preoccupazione fu l’elezione di Mattia per occupare il posto lasciato vuoto dal traditore. Siamo alle origini della Chiesa. Il Vangelo doveva essere annunziato da testimoni oculari e auricolari della vita e della risurrezione del Signore. Mattia era uno di quelli che fin dal battesimo di Gesù era stato in loro compagnia, e lo fu fino alla fine. In questo modo era qualificato a diventare testimone della sua risurrezione e ascensione (cfr. Atti 1, 21-22).
2 – Neppure Saulo, divenuto Paolo, era del numero dei Dodici scelti da Gesù durante la sua vita terrena. Tuttavia egli fu riconosciuto Apostolo a pieno titolo. Egli considera la sua missione come un incarico ricevuto direttamente dal Signore (cfr. Atti 9, 15; Galati 2, 7-10; 1 Corinzi 9, 1). Anche a lui era apparso il Risorto (cfr. Atti 9, 3-5; 1 Corinzi 15, 8).Paolo poteva dire di essere Apostolo “non per volere di uomo né per tramite d’uomo, ma per opera di Gesù Cristo e di Dio Padre” (Ga- lati 1, 1; cfr. 1 Timoteo 2, 7; 2 Timoteo 1, 11; Tito 1, 1; 1 Tessalonicesi 2, 7).
3 – In seguito, nella misura in cui la fede si diffondeva anche fuori la Palestina, e i testimoni oculari diminuivano sempre più, non vi fu la preoccupazione di conservare il numero dei Dodici. L’essenziale era la continuità della missione apostolica. Nessuno prese il posto dell’Apostolo Giacomo, uno dei Dodici, fatto decapitare da Erode (cfr. Atti 12, 2); ma molti dentro e fuori la Palestina continuarono la sua missione in stretta collaborazione con gli Apostoli.
Nelle nuove comunità furono costituiti maestri e guide qualificate ed autorevoli col compito di continuare ed estendere nel tempo e nello spazio la testimonianza e la funzione dei Dodici. Comincia così la catena dei collaboratori prima, e dei successori poi. Non più condizionamento di numero, ma compito di annunciare la Parola, di guidare le comunità e di presiedere l’Eucaristia. La catena non si è mai interrotta attraverso i secoli. In questo modo comincia ad attuarsi quella nota caratteristica della vera Chiesa di Cristo, che è la sua apostolicità mediante la successione.
4 – Nella scelta dei Dodici possiamo e dobbiamo perciò distinguere due aspetti o componenti.
Una personale, quindi irripetibile, finita con la morte dei Dodici. I Dodici furono testimoni della risurrezione del Signore e fonte diretta della Rivelazione da lui fatta all’umanità. Fin dal tempo degli Apostoli la Lettera di Giuda esortava a combattere per la fede, “che fu trasmessa ai credenti una volta per sempre” (Giuda 3).
L’altro aspetto o componente della scelta dei Dodici è la funzione che essi hanno trasmesso ai loro successori: il compito di annunciare il Vangelo, di guidare la comunità, di santificare i credenti coi sacramenti.
L’una e l’altra cosa ci danno il vero significato di quella scelta.
*I primi collaboratori dei Dodici
Ma vediamo come sono andate le cose seguendo fedelmente la Bibbia e le più antiche testimonianze. Il Nuovo Testamento ci fa assistere fin dall’età apostolica al sorgere e costituirsi d’una gerarchia di governo che prolunga nel tempo la funzione degli Apostoli.
1 – A Gerusalemme, uno dei più noti collaboratori dei Dodici fu Giacomo, detto il minore (cfr. Marco 15, 40). Lo vediamo a capo della comunità di Gerusalemme forse anche a motivo della sua parentela con Gesù. Era infatti figlio di quell’altra Maria (cfr. Matteo 27, 56; Marco 15, 40), sorella o cugina della Madre di Gesù (cfr. Giovanni 19, 25). E’ detto, assieme a Cefa (= Pietro) e Giovanni, “colonna della Chiesa” (Galati 2, 9). Al concilio di Gerusalemme formulò le decisioni da prendere dopo che Pietro, parlando per prime>, ebbe esposto la questione (cfr. Atti 15, 6-21). Giacomo è comunemente conosciuto come il primo Vescovo di Gerusalemme. Fu infatti capo di quella chiesa dopo che Pietro fu costretto ad andare altrove (cfr. Atti 12, 17).
2 – Un caso tipico è quello di Barnaba. Non era del numero dei Dodici né ebbe una vocazione miracolosa come Paolo. Fu uno tra i primi convertiti al Vangelo e, dopo questa scelta, si dedicò al servizio del Signore a tempo pieno (cfr. Atti 4, 36-37). Ebbe perciò incarichi di prim’ordine da parte degli Apostoli.
Barnaba fu inviato ad Antiochia in forma ufficiale, quale delegato di Pietro e di Giovanni, per rendersi conto, approvare e incoraggiare la nascita e la crescita di quella comunità: “Vi fu inviato Barnaba. Arrivò, vide quel gran dono di Dio e ne gioì. Poi si diede a esortarli a restar fedeli a Gesù con tutto lo slancio. Era un uomo virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede, e una grande moltitudine fu così guadagnata a Gesù” (Atti 11, 22-24).
*Episcopi e presbiteri
Nell’opera degli Apostoli avente lo scopo di prolungare nel tempo la loro funzione, accanto alle grandi figure di Giacomo e di Barnaba, appaiono fin dalle origini gli episcopi e i presbiteri.
1 – Gli episcopi erano dei sorveglianti come indica la parola (greco episkopein = sorvegliare). Ad essi vengono attribuite le funzioni di pascere il gregge di Dio (cfr. Atti 20, 28; 1 Pietro 5, 1-3), presiedere le assemblee (cfr. 1 Timoteo 3, 5; 5, 17), esercitare il ministero della Parola con autorità (cfr. 1 Timoteo 5, 17; Tito 1, 9).
2 – I presbiteri erano persone anziane chiamate a compiere varie funzioni in seno alle comunità dei cristiani. A Gerusalemme ricevono ed amministrano gli aiuti mandati dai fratelli di Antiochia ai fratelli della Palestina (cfr. Atti 11, 29-30). Sempre a Gerusalemme gli anziani prendono parte al concilio, assieme agli Apostoli e a Giacomo (cfr. Atti 15, 6.21-28).
Fuori della Palestina, nelle chiese fondate da Paolo, i presbiteri o anziani sono incaricati di guidare le comunità locali (cfr. Atti 14, 23). Scrivendo a Tito, Paolo lo esorta a stabilire presbiteri in ogni città (cfr. Tito 1, 5).
Le funzioni o compiti dei presbiteri erano diverse: presiedevano alle comunità in qualità di pastori (cfr. Atti 20, 28), di amministratori (cfr. Tito 1, 6-9; 1 Timoteo 3, 1-7; Atti 11, 29-30), di maestri, cf. Atti 20, 28.32; 1 Timoteo 5, 17; Tito 1, 9). Ad essi spettava pure l’esercizio di determinati riti liturgici come l’unzione degli infermi (cfr. Giacomo 5, 14). Dai più antichi documenti sappiamo che i presbiteri presiedevano alla “celebrazione del sacrificio eucaristico”.
3 – Episcopi e presbiteri spesso coincidono. In Atti 20, 18 sono detti presbiteri quelli che poco dopo Paolo chiama episcopi. Agli uni e agli altri vengono spesso attribuite le stesse funzioni (cfr. Atti 20, 28; 1 Pietro 5, 1-3; 1 Timoteo 3, 5; 5, 17; Tito 1, 9).
Tuttavia è da notare che nelle Lettere Pastorali il titolo di episcopo appare solo al singolare e con l’articolo determinativo. Paolo esorta Tito a stabilire presbiteri nelle singole città; poi, subito dopo, dà istruzioni riguardanti l’episcopo (ton episkopon) al singolare.
All’inizio pare che i termini presbiteri ed episcopi siano equivalenti, nel senso che indicano gli anziani che guidano le comunità. Con l’andare del tempo invece i compiti si specificano come appare dalle Lettere Pastorali, e l’episcopo assume la direzione della chiesa locale.
*I grandi rappresentanti dell’Apostolo
Come nella Chiesa Madre di Gerusalemme, dove accanto alla figura di Pietro e di Giovanni appare quella di Giacomo, così pure nelle chiese fondate da Paolo emergono figure, il cui ruolo supera di molto quello di un semplice responsabile locale. Tali sono soprattutto Timoteo e Tito.
1 – Timoteo era nato da padre pagano e da madre giudea convertita al cristianesimo (cfr. Atti 16, 1; 2 Timoteo 1, 5).Fu compagno di Paolo nel secondo e terzo viaggio missionario (cfr. Atti 17, 14 ss.; 18, 5; 19, 22; 20, 4). A lui Paolo diede incarichi speciali di grande fiducia (cfr. Atti 19, 22; 1 Corinzi 4, 17; 16, 10; 2 Corinzi 1, 9; 1 Tessalonicesi 3, 2-6).Segno di questa stretta collaborazione sono le due Lettere indirizzate da Paolo a Timoteo, oltre a quelle indirizzate dall’Apostolo alle varie chiese anche in nome di Timoteo (cfr. Filippesi 1, 1; Colossesi 1, 1; 1 e 2 Tessalonicesi, esordio).
A un dato momento della sua vita, quasi certamente verso gli ultimi anni, Paolo, prevedendo prossima la sua morte, affida a Timoteo la cura o governo della Chiesa di Efeso:
“Quando partii per andare in Macedonia ti raccomandai di rimanere a Efeso. Restaci ancora, ti prego, perché vi sono alcuni che insegnano false dottrine e tu devi ordinare che la smettano” (i Timoteo 1, 3).
Le parole usate da Paolo hanno tutto il sapore di un affidamento più che di una semplice e ordinaria collaborazione. E’ qui indicato chiaramente un caso di successione apostolica, cioè di trasmissione di poteri apostolica per la continuità dell’annuncio genuino del Vangelo conforme alla struttura della Chiesa voluta esplicitamente dal Signore Gesù.
2 – Tito fu pure un immediato collaboratore di Paolo, che lo chiama “mio vero figlio riguardo alla fede comune” (Tito 1, 4). Paolo lo aveva generato in Cristo essendo stato lui lo strumento, di cui Cristo si era servito, per dare a Tito la nuova vita nella fede (cfr. Galati 4, 19; 1 Corinzi 4, 14-1 5; 2 Corinzi 6, 13).
Tito ebbe dall’Apostolo vari incarichi anche delicati (cfr. 2 Corinzi 2, 13; 7, 6; 8, 6-17; 12, 18; Romani 15, 26). In modo analogo a quanto aveva fatto con Timoteo, Paolo affida a Tito la cura della Chiesa di Creta coi potere di continuare l’opera sua.
“A Creta ti lasciai per questo scopo: perché tu dia l’ultima mano a ciò che resta da fare e faccia in modo che in ogni città ci sia qualche presbitero, secondo le disposizioni che ti ho dato” (Tito 1, 5).
E’ chiaro che Tito riceve da Paolo la consegna della sua stessa missione, che comportava non solo la vigilanza e la testimonianza della sana dottrina, ma anche la scelta delle guide o pastori che partecipassero e continuassero la stessa missione.
Abbiamo qui un altro caso di successione apostolica analogo a quello di Timoteo.
Padre Nicola Tornese S.J.
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