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I Testimoni di Geova – Lezione 138

27 Gennaio 2015 | Filed under: Testimoni di Geova
     

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Il Quarto Vangelo

L’ERRORE
Presenza reale
1. – L’errore:
“Il pane rappresenta il corpo carnale di Gesù. Il calice rappresenta il versato sangue di Gesù. Pane e vino benedetti sono emblemi del corpo, e sangue di Cristo”.
La verità:
Il verbo è (greco estìn) usato dai tre evangelisti ha un significato reale, non simbolico. Significa essere, non rappresentare. Ricordiamo la giustificazione biblica di questa spiegazione.
a) San Paolo rimprovera i cristiani di Corinto di essere colpevoli verso il Corpo e il Sangue del Signore. Questo rimprovero seguito dalla punizione divina non avrebbe senso, se quel pane e quel vino dopo la consacrazione continuassero ad essere ancora sostanzialmente pane e vino comuni con un rivestimento esteriore di simbolo (cf 1 Corinzi 11, 27-29).
b) Nella stessa lettera ai Corinzi (1 Cor. 10,16) l’apostolo afferma che il calice è una comunione col Sangue di Cristo e il pane consacrato è una comunione col suo Corpo. Comunione vuol dire unione con qualcuno o con qualcosa realmente presente. Se nel pane e nel vino della Santa Cena Cristo non fosse realmente presente, Paolo non avrebbe potuto parlare di comunione col suo Corpo e col suo Sangue.
c) Nel discorso della promessa (cf. Giovanni 6, 48-66, supra, pp. 23-24) Gesù dichiarò che avrebbe dato in cibo la sua carne e in bevanda il suo sangue. I Giudei diedero alle parole di Gesù un significato troppo reale, cioè carnale. Gesù corresse la loro interpretazione carnale, ma non negò che bisognava intendere la sua dichiarazione in senso realistico, non emblematico.

2. – L’errore:
Nella Bibbia leggiamo spesso frasi come queste.- “lo sono la via” (Giovanni 14,6); “lo sono la porta”  (Giovanni 10,7); “lo sono la vite” (Giovanni 15,1); “lo sono la luce del mondo” (Giovanni 8,12). Così pure nel Vangelo è detto: “Il seme è la parola di Dio” (Luca 8,1 1). In tutti questi casi e in tanti altri simili il verbo è (greco estìn) equivale a significa, ha cioè un significato emblematico. La stessa cosa deve dirsi delle formule eucaristiche.
La verità:
a) Negli esempi citati e in altri simili, Gesù non ha detto:  Questa via o questa porta o questa vite ecc. sono io. Non si è riferito cioè a una via o porta o vite ecc. determinata, specifica, limitata, escludendo le altre. Egli ha usato un linguaggio generico e ha detto: la via, la porta, la vite ecc. Questo dice chiaramente che egli voleva indicare la via (= qualunque via) ecc. come simbolo o emblema della sua persona. Il verbo è (estìn) equivale a significa.
Se Gesù avesse detto: “Questa via o questa vite ecc. sono io”, indicando una via o vite ben determinata a esclusione di tutte le altre, si potrebbe giustamente pensare a una sua presenza di diversa natura in una via o vite specifica, particolare, ben determinata. Il verbo è (estìn) conserverebbe il suo significato fondamentale, reale, e non quello simbolico.
b) Questo appunto è il caso delle formule eucaristiche. Gesù ha detto: Questo, cioè il pane che ho nelle mani, a esclusione di altro pane, è il mio Corpo. E così del vino. Questo modo di esprimersi non può indicare altro che tra lui e quel pane (e vino) vi deve essere un rapporto unico, reale, sostanzialmente diverso da ogni altro pane e vino.

3. – L’errore:
Nella frase biblica: “Quella Roccia era Cristo” (1 Corinzi 10,4) il verbo era ha un significato simbolico ed equivale a “significa”. Lo stesso deve dirsi del verbo è delle formule eucaristiche.
La verità:
a) Nella Bibbia dell’Antico Testamento sono gli scrittori sacri a usare l’immagine o simbolo della roccia – di qualunque roccia – per indicare che Jahve è un sicuro fondamento e sostegno o luogo di rifugio per il suo popolo. Jahve mai ha detto: “Questa roccia sono io”. Quando perciò gli scrittori sacri dicono: “Jahve è roccia” (cf. Deuteronomio 32,4; 2 Samuele 22,3; 23,3 ecc.) usano un linguaggio simbolico. il verbo è equivale a “significa”.
b) In 1 Corinzi 10,4 san Paolo applica l’immagine della Roccia a Cristo. Le parole “quella roccia era Cristo” è lui che le dice, non Dio, non Cristo. E Paolo non aveva né il potere né l’ordine divino di cambiare una roccia nella Persona di Cristo.
Il verbo era della frase paolina, in questo contesto, non può non avere che un significato simbolico, come lo aveva negli scrittori dell’Antico Testamento, da cui Paolo prende il suo modo di esprimersi.

4. – L’errore:
Se il pane e il vino consacrati diventano carne e sangue di Cristo, Gesù faceva anche in modo che i suoi fedeli apostoli si rendessero cannibali mangiando letterale carne umana e bevendo letterale sangue umano, questo in violazione della legge che Dio aveva dato ai Giudei contro il bere o mangiar sangue. (Levitico 17:10.11).
La verità:
a) “Non c’è niente di nuovo sotto il sole” (,Qoèlet 1,9). I testimoni di Geova, accusando i veri cristiani di cannibalismo, ripetono la stessa grossolana calunnia dei pagani contro i cristiani dei primi secoli. La mentalità pagana, carnale e grossolana, non poteva elevarsi alla sublimità dei riti cristiani. Essi perciò, con chiara allusione alla Cena del Signore celebrata dai cristiani, fantasticavano calunniosamente di cannibalismo, di sacrifici umani ecc. I testimoni di Geova vanno collocati tra le file degli antichi pagani ignoranti e denigratori.
b) L’errore dei geovisti ripete pure l’errore dei Giudei di Cafarnao, a cui fu lo stesso Gesù a dare la risposta appropriata (cf. pp. 23-24). Egli li ammonì di non dare alle sue parole un significato letterale e carnale; ma non ritrattò ciò che aveva affermato, vale adire che la sua Carne è vero cibo e il suo Sangue vera bevanda (cf. Giovanni 6,55).
Il Signore non può ingannare anche se i sensi non aiutano a capire. Solo il coraggio della fede accetta ciò che dice il Signore. Simon Pietro e con lui moltissimi altri hanno protestato e protestano la loro fede nella Parola del Figlio di Dio (cf. Giovanni 6,68).

5. – L’errore:
a)  “Gesù non poteva né voleva dire che il pane diventasse suo corpo perché il corpo di Gesù supera di molto, le dimensioni della pagnotta del pane, che egli aveva nelle mani”.
La verità:
a) Gesù non disse che avrebbe dato in cibo il suo Corpo con le dimensioni naturali di un uomo adulto o di un bambino. La parola “corpo” non indica le dimensioni, ma la “persona”; e non sono le dimensioni che costituiscono la persona. L’uomo è persona, qualunque siano le sue dimensioni anche se minime come quelle di un neo-concepito. La formula “Questo è  il  mio Corpo” equivale a: “Questo sono io”. Gesù voleva dire: “Con questo pane consacrato io do me stesso”.
b) Qualche immagine ci aiuta a capire. Il pane che noi mangiamo è sempre pane sia che ne prendiamo un boccone sia che ne consumiamo un intero filone. L’oro è sempre oro, qualunque siano le sue dimensioni. E’ vero che nel caso dell’oro la quantità accresce il valore. Ma l’essere oro rimane identico, malgrado la quantità. E così pure nel caso del pane.
Nell’Eucaristia il valore salvifico – la nostra comunione col Corpo e col Sangue di Cristo (cf. 1 Corinzi 10,16) – non dipende dalla quantità del pane e del vino. Cristo dà tutto se stesso qualunque siano le dimensioni del pane e del vino.

6. – L’errore:
In Matteo 26,29 Gesù dice: “D’ora innanzi non berrò più di questo succo della vite, fino a quel giorno in cui lo berrò con voi, nuovo, nel regno del Padre mio”. Queste parole indicano che Gesù  si  riferì al  contenuto  del calice  come a “questo succo della vite”, e ciò dopo aver detto “questo è il mio sangue”.
La verità:
a) Bisogna sapere o ricordare che nella Cena pasquale celebrata da Gesù secondo il rituale giudaico erano serviti quattro bicchieri o calici di vino. Gli evangelisti ne ricordano solo uno, – il secondo con precisione – sul quale Gesù disse le parole: “Questo è il mio sangue”. Di tutta la celebrazione pasquale gli evangelisti non dicono altro.
b) Descritto o ricordato solo quel gesto di Gesù, cioè la consacrazione del secondo calice, gli evangelisti ricordano qualche altra espressione di Gesù. Questa espressione, estranea alla Cena, sono appunto le parole ricordate in Matteo 26,29: “Non berrò ecc.”.
Queste parole non si riferiscono al vino del secondo calice consacrato, ma sono un riferimento a tutta la Cena. Finita la Cena, Gesù, mentre forse era fuori la sala, dice: “Non berrò ecc.”, cioè non celebrerò più con voi questo tipo di banchetto pasquale; infatti celebreremo insieme la nuova Pasqua, ossia staremo insieme nella gioia del Regno di Dio. La Cena pasquale, e in generale il banchetto, è un simbolo della gioia del paradiso o Regno di Dio (cf. Matteo 8,11; Luca 13,29; 22,30).
Anziché dire: Non celebrerò più questo tipo di Pasqua, Gesù dice: Non berrò più di questo succo della vite. il vino infatti era un elemento o componente essenziale della Cena.
c) A conferma di quanto detto finora sta il fatto che Luca ricorda questo particolare prima della Cena, cioè senza riferimento al vino del calice consacrato: “Venuta l’ora, Gesù si mise a tavola con gli apostoli e disse loro: Ho ardentemente desiderato di mangiare questa pasqua con voi, prima del mio patire. Vi dico infatti, che non la mangerò più finché essa non sì compia nel Regno di Dio” (Luca 22,14-15).
Luca non parla di succo della vite, ma di banchetto pasquale, e colloca le parole di Gesù prima della consacrazione del vino. Quindi le parole di Gesù: “non berrò ecc.” oppure “Non mangerò questa pasqua ecc.”, non si riferiscono al vino del calice consacrato, ma a tutto il festino pasquale, simbolo e prefigurazione del festino eterno, cioè del paradiso.
Padre Nicola Tornese


     

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