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I Testimoni di Geova – Lezione 114

12 Novembre 2014 | Filed under: Testimoni di Geova
     

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TESTIMONIANZE BIBLICHE

1 – GESU’ CRISTO
Rendete a Cesare ciò che è di Cesare (Mc. 12,17)
Il pensiero di Gesù sui rapporti tra i suoi discepoli e le autorità civili ci è abbastanza noto da ciò che egli ha detto. Significativa a questo riguardo è la risposta di Gesù circa il tributo a Cesare. L’episodio è narrato da tutti e tre i sinottici.
“Gli mandarono alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel discorso. E venuti, quelli gli dissero: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. E’ lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?”. Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse: “Perché mi tentate? Portatemi un denaro perché io lo veda”. Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: “Di chi è questa immagine e l’iscrizione?”. Gli risposero: “Di Cesare”. Gesù disse loro: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. E rimasero ammirati di lui”. (Marco 12,13-17; cf. Matteo 22,15-22; Luca 20,20-26).
Spiegazione:
1. – La domanda: “E’ lecito o no dare il tributo a Cesare?” mirava a mettere Gesù in una situazione pericolosa. Se avesse risposto di no, avrebbe attirato su di sé l’ostilità dei Romani, la potenza straniera d’occupazione. Se avesse detto di sì, si sarebbe reso odioso al popolo e in particolare agli zeloti, il partito armato contro Roma. Gesù disarma gli uni e gli altri, ed esprime con chiarezza il suo pensiero sui rapporti tra i suoi discepoli e le autorità civili.
Qual è questo pensiero?
2. – Va rigettata anzitutto l’interpretazione di alcuni che spiegano le parole di Gesù come se egli avesse messo sullo stesso piano Dio e Cesare. Gesù non poteva assolutamente pensare come un pagano, esaltare cioè un uomo al rango di Dio. Egli sapeva ed insegnava che Jahvè è il Signore (cf. Marco 12,29). Nessuno merita uguale amore e servizio. Uno Stato laico ad oltranza, che vuol essere arbitro assoluto del destino dei sudditi, esula dall’insegnamento di Gesù.

3. – Al contrario, il Maestro ammonisce che, anche nell’ambito della convivenza civile, il primato spetta a Dio. Il cristiano deve amare e servire Dio “con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza” (Marco 12,30) senza anteporre la volontà degli uomini a quella di Dio (cf. Atti 4,19; 5,29).

4. – Entro questi limiti Gesù non condanna la cooperazione con lo Stato, anche se pagano. Il tributo, di cui fa obbligo, è il simbolo d’una cooperazione attiva, perché assicura allo Stato i mezzi necessari a compiere la sua funzione, che è quella di garantire ai sudditi “una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità”.(1 Timoteo 2,2).Col tributo dei cittadini lo Stato finanzia i servizi sociali, non ultimo quello della tutela dei buoni contro i malvagi, mediante funzionari bene addestrati ed equipaggiati (cf. Romani 13, 3-4; infra).

5. – Alla luce di questo insegnamento appare chiaro che Gesù Cristo, anche se si mostrò neutrale verso le contese politiche del giorno, non considerò lo Stato come il governo e il potere di satana; altrimenti, facendo obbligo di pagare il tributo, avrebbe cooperato col maligno. La sua neutralità non fu assoluta, ma relativa in vista del bene comune, salvi sempre i diritti di Dio.
L’esempio di Gesù

Ma vi è di più. Gesù Cristo non si interessò direttamente di politica, ma neppure si disinteressò , lasciando la vita pubblica in balia delleforze del male. Nel Vangelo non mancano esempi di un positivo intervento di Cristo presso le autorità costituite al fine di redimerle dal male ed indirizzarle alla funzione assegnata loro da Dio.

1. – Con Erode Gesù prende un atteggiamento quasi di sfida, anche se non violento. Lo chiama “volpe” sia per mettere a nudo il suo gioco politico, che mirava al proprio interesse più che a quello della nazione, sia anche per la sua codardìa, che lo rendeva incapace di prendere una posizione nei riguardi di Gesù di Nazareth (cf. Luca 13, 31-33).
In un’altra circostanza, ossia durante il processo che si concluderà con la sua condanna a morte, quando un atteggiamento meno critico avrebbe potuto salvargli la vita, Gesù non si mostra affatto arrendevole con l’indegno reuccio di provincia: neppure una parola! Erode “lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla” (Luca 23,9).

2. – Più noto è il rapporto diretto di Gesù con Pilato, il governatore romano della Giudea. Gesù riconosce come data da Dio (non dal diavolo) l’autorità di cui Pilato era rivestito, anche se rappresentante d’un governo straniero e pagano: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto” (Giovanni 19, 11).
Tuttavia anche in quella circostanza tragica Gesù non rimane neutrale: benché in catene e a rischio di peggiorare la propria posizione, rimprovera con coraggio l’abuso di potere che il governatore romano stava per compiere: gli rinfaccia la sua colpevolezza, anche se minore rispetto a quella dei Giudei: “Chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande” (Giovanni 19, 11).
Con questo gesto Gesù mostra chiaramente che i suoi fedeli discepoli devono uscire da una comoda neutralità e rinfacciare a quelli che detengono il potere le loro colpe, ossia la loro politica egoistica e crudele, anche a rischio della propria vita.

Il – SAN PAOLO
Ciascuno sia sottomesso alle autorità (Rom. 13, 1)
In un testo ben noto della Lettera ai Romani san Paolo ha esposto il suo pensiero sui rapporti tra cristiani e autorità costituite. Scrive l’apostolo:
“Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fai il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per il timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questa, compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto” (Romani 13,1-7; cf. Tito 3, 1).

Osservazioni:
l. – In modo esplicito san Paolo afferma che il potere civile, anche se pagano, ha origine da Dia, in piena armonia con l’insegnamento del Maestro (cf. Giovanni 19, 1 1). Non è dunque il diavolo il governatore dei popoli secondo l’ordine stabilito da Dio.
2. – Dio dà origine alle autorità civili con lo scopo di far trionfare il bene e reprimere il male. Al potere civile si deve perciò sottomissione non meramente esteriore, ma per motivi di coscienza. Dio vuole che l’etica cristiana penetri e trasformi la stessa vita sociale. Se fosse il diavolo a governare il mondo, Dio esigerebbe sottomissione al maligno, a cui invece bisogna resistere (cf. Giacomo 4,7).
3. – La sottomissione va intesa nei limiti delle competenze dello Stato: l’apostolo menziona tributi, tasse, timore, rispetto. Certo Paolo non intende dire che il discepolo di Cristo debba essere sempre, in tutto e per tutto, succube al volere delle autorità civili. Al contrario, anche per motivi di coscienza, il cristiano deve prendere un atteggiamento critico di contestazione, non di neutralità, sempre che il potere civile interferisce con le libertà cristiane. Non mancano esempi anche nella vita di Paolo:
– Contro la pretesa dell’imperatore romano che voleva essere riconosciuto signore, Paolo afferma con vigore che il cristiano riconosce ed adora un solo Signore, Gesù il Cristo (Cf. Romani 10,9; 1 Corinzi 8, 5-6).
– Paolo si sarebbe opposto vigorosamente se il potere civile avesse voluto designare i titolari dei vari servizi o ministeri in seno alla comunità cristiana. Questa è opera dello Spirito Santo (Cf. I Corinzi 12, 4-1 1; Efesini 4, 1 1; Atti 14, 23; 20, 28).
Due pesi e due misure

I tdG abusano del testo di san Paolo ai Romani 13,1-7 per accusare sdegnosamente “i sistemi religiosi della cristianità perché sono stati vergognosamente colpevoli d’aver violato ciò che l’ispirato apostolo Paolo qui ebbe a dire”. A loro avviso, un esempio rimarchevole di questa vergognosa violazione sarebbe stato dato da papa Gregorio VII, reo di aver negata la dovuta sottomissione come ad autorità superiore, a Enrico IV, imperatore di Germania.
I geovisti c’informano che, avendo Enrico IV usurpato il potere d’investire i vescovi dell’insegna spirituale dell’incarico, papa Gregorio contestò questa usurpazione e scomunicò Enrico, lo dichiarò cioè dissociato dalla Chiesa Cattolica.

E commentano:
“Fu tale arrogante azione del capo religioso della cristianità in armonia con la regola cristiana stabilita dall’apostolo Paolo che i cristiani siano sottomessi alle “autorità superiori?”. No”.
La nostra risposta:
a) Preghiamo i nostri lettori di consultare il libro geovista Vita eterna nella libertà dei figli di Dio, da noi già citato più d’una volta. Poche pagine dopo l’altezzosa accusa di vergognosa colpevolezza contro papa Gregorio, per essersi opposto a Enrico IV che voleva eleggere i vescovi, ci vien detto proprio dai tdG che la sottomissione cristiana alle “autorità superiori”, insegnata dall’ispìrato Paolo, non è assoluta, ma relativa. E spiegano affermando che ““le autorità .superiori” sono superiori fuori della congregazione, perché dentro la congregazione Dio è supremo. I sorveglianti (episkopoi) e i servitori di ministero (diàkonoi) dentro la congregazione sarebbero quelli che Geova Dio, il grande Teocrate, vuole nell’incarico, e non quelli che il dittatore politico o il governatore politico comunista totalitario vuole nell’incarico come ancelle dello Stato”.
b) Stando così le cose, papa Gregorio avrebbe violato vergognosamente la Parola ispirata perché non si sottomise all’imperatore che voleva assegnare l’incarico di epìskopoi nella Chiesa, ma i tdG, sempre in base alla stessa Parola ispirata, cioè a Romani 13,1-7, non tollererebbero che un dittatore politico stabilisse nell’incarico epìskopoi e diàkonoì entro la loro congregazione
Vi può essere contraddizione più stridente e sfruttamento più settario della Parola di Dio? In effetti, si verifica ciò che dice la Scrittura: “Hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi (..) e non intendere con il cuore e convertirsi” (Matteo 13, 15; cf. Giovanni 12,40; Isaia 6,9-10).
Padre Nicola Tornese s.j.


     

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