I poveri non ci lasceranno dormire
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… Wangoi, una ragazzina di diciotto anni: ha perso la sorella, poco più grande di lei, stroncata dall’AIDS dopo una lunga Via Crucis di indicibile sofferenza. Ho assistito a questa morte, ed è stata un’esperienza sconvolgente, è stata soprattutto un’esperienza di preghiera: ricordo commosso il suo battesimo, gli intensi momenti di Eucarestia, la sua preghiera sul letto di morte, insieme al suo bimbo: e mai, vi dico, ho sentito un bimbo di nove anni pregare così PAbbà, «Ba-Ba», perché salvasse la sua «Ma-Ma». E spirata fra le nostre braccia.
Ricordo le lacrime di Wangoi il giorno della sepoltura della sorella. L’ho accompagnata per dirle la mia solidarietà, l’ho accompagnata per starle vicino. Piangeva disperatamente. Era rimasta sola, a diciotto anni, con cinque bimbi a carico: due suoi, tre della ragazza morta. Ha tentato di sopravvivere con il vecchio mestiere della sorella, vendendo changaa, liquore. Ma venderlo era proibito e, per i continui interventi della polizia, tutto è durato lo spazio di una stagione. Conseguenza: la fame!
I bimbi iniziarono a fuggire di casa, cercando la fortuna in città, e un giorno vidi Wangoi arrivare tutta agitata: «Non ce la faccio più, Alex! – mi disse tra le lacrime – anche oggi i miei figli sono andati in città per elemosinare. Hanno trovato una signora che ha dato loro cento scellini a condizione che le lasciassero il bimbo più piccolo. Diceva che l’avrebbero preso al ritorno!». Cento scellini: poco meno di quattro euro. Ma quando tornarono sui loro passi, i figli di Wangoi non trovarono né la signora, né il fratellino, che non si è più visto. A Nairobi c’è un grosso mercato di bambini.
Wangoi tentò poi di sopravvivere vendendo carta ai negozietti di Korogocho: andava in città a comperare dei fogli e li rivendeva nella baraccopoli, da usare come imballaggi. C’è riuscita per qualche mese, dopo è crollata, non ha avuto più soldi. Unica via che le restava: andare in città a prostituirsi negli hotel.
«Cosa hai da ridire?», borbottò un giorno quando vide la mia reazione. Ricordo ancora il suo sguardo mentre me lo diceva: è bastato per farmi tacere. «Io, dimmi, come posso vivere?»: sentii quanto fosse borghese la mia moralità! Forse lei che andava a prostituirsi era peggiore di noi che la obblighiamo a prostituirsi? Certo, sono solo domande, ma io non capisco più nulla, davanti a questi poveri rileggo tutto in un altro modo.
Pochi mesi dopo, quando anche il più piccolo dei figli della sorella era morto di AIDS, Wangoi ritornò incinta. «Voglio abortire — mi disse – non riesco neanche a sfamare i quattro che ho, non posso permettermene un altro!». Parlava e piangeva, piangeva e parlava.
«Pure Tu, Signore, hai contato i passi del mio triste vagare – lamenta il Salmo 56 -; di mie lacrime, l’otre tuo riempi».
In seguito passai per la baracca di Wangoi, e con fierezza mi mise tra le mani un batuffolino: un bimbo stupendo, dai lineamenti misti, probabilmente nato da una relazione con un turista. Lo cullo a lungo, pensando a quel versetto del poeta indiano Tagore: «Finché nasce un bimbo, Dio non si è ancora stufato dell’uomo!».
P. Alex Zanotelli
Ed. Monti
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