Gesù a 12 anni…visto con gli occhi di Maria – IV
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Quando tornai a Nazaret, dopo tutte le vicende che avevano cambiato la mia vita, che emozione rivedere la mia piccola casa! I nostri parenti l’avevano custodita e protetta dai ladri: ma … che potevano rubare?
Mi sembrava che tra quelle povere pareti ci fosse ancora il profumo dell’angelo e mi sembrava di sentire ancora le sue incredibili parole: “Sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo”.
Gesù era piccolo! E cresceva come ogni altro bambino. Giuseppe e io eravamo come delle sentinelle … in attesa che spuntasse la luce.
Un giorno, mentre stavo lavorando al telaio, con l’occhio seguivo Gesù, che già muoveva i primi passi. Dentro di me, esclamai: “Bambino mio, dove andrà la tua strada? Dove? Ma … costi quel che costi … io sarò sempre accanto a te!”.
Mi sembrò che Gesù avesse sentito i miei pensieri. Lo vidi correre… verso di me e, per la prima volta, balbettò: “Immà … mamma!” e mi tese le sue mani innocenti.
Fu un attimo e avvertii il vento di Dio come nel giorno dell’incontro con Elisabetta. E mi parve di risentire intimamente le parole di mia cugina: “Beata te, perchè hai creduto nel compimento delle parole del Signore”:
E, come portata dal vento, vidi la storia dall’alto: vidi le edicole, le statue, gli altari, le cappelle, le chiese a me dedicate; mi apparve anche una catena sterminata di mani che stringevano il santo rosario, mentre voci di tutte le lingue si rivolgevano a me e dicevano:
Ave, Maria, piena di grazia!
Madre di Dio, prega per noi peccatori,
ora e nell’ora della nostra morte.
Fu un attimo di emozione intensissima, fu come un lampo improvviso: abbassai gi occhi e vidi il piccolo Gesù, che mi guardava felice e ripeteva: “Immà… mamma!”.
Era il Figlio dell’Altissimo divenuto figlio mio… per potermi chiamare mamma!
Quando Giuseppe ritornò dalla bottega, era stanco ed amareggiato perchè aveva raccolto ben poco dalla fatica di un intero giorno.
Pensai di consolarlo dicendogli: “Giuseppe, oggi ho avuto una gioia grande: Gesù per la prima volta mi ha chiamato… mamma!”.
Giuseppe si fece pensoso; e poi mi fissò intensamente e sottovoce disse: “Tu sei mamma! Ma io? Io non sono uno sposo vero… io non sono un padre vero! Io… chi sono? Chi sono…io?”.
Mi sentii ferita da queste parole e cercavo dentro di me le espressioni giuste per aiutare Giuseppe a capire la grandezza della sua missione.
Ma … Gesù si aggrappò alla veste logora di Giuseppe e lo costrinse a girarsi. E improvvisamente gli disse: “Abbà, papà!”.
Giuseppe ebbe un sussulto: non si aspettava una simile tenerezza. Abbracciò il bambino… e me… e poi esclamò: “Mi basta questo! Essere chiamato papà … da questo bambino venuto dal cielo… è la più grande gioia che possa avere un uomo sulla terra!”.
E sorridemmo… e mangiammo la cena dei poveri e chiudemmo la giornata con una gioia così grande da riempirci totalmente l’anima.
Passarono dodici primavere dalla nascita di Gesù. E, come ogni anno, salimmo a Gerusalemme per la Pasqua: per festeggiare la liberazione della schiavitù dell’Egitto, una schiavitù e una liberazione che noi avevamo provato in prima persona!
Durante il viaggio, la comitivita divenne sempre più numerosa, mentre i campi della Galilea e della Samaria si trasmettevano la gioia della primavera.
Fu spontaneo per tutti pregare così:
“Signore, tu visiti la terra e la disseti:
la ricolmi delle sue ricchezze.
Il fiume di Dio è gonfio di acque;
tu fai crescere il frumento per gli uomini.
Così prepari la terra:
ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle,
la bagni con le piogge
e benedici i suoi germogli.
Coroni l’anno con i tuoi benefici,
al tuo passaggio stilla l’abbondanza.
Stillano i pascoli nel deserto
e le colline si cingono di esultanza.
I prati si coprono di greggi,
le valli si ammantano di grano;
tutto canta e grida di gioia”
(Sal 65, 10-14)
Al canto silenzioso dei prati e delle valli si univa il canto dei pellegrini verso la Città Santa: era uno spettacolo meraviglioso.
Arrivati a Gerusalemme, ci sembrava che un fiume di volti si muovessero tra le vie e andasse verso il mare del tempio.
Che emozione la preghiera nel tempio!
C’ero stata da bambina, c’ero stata da mamma e lì avevo sentito le misteriose parole di Simeone: “Questo bambino spaccherà la storia: o con lui o contro di lui! E… una spada è preparata per te, mamma!”.
A Gerusalemme vidi gli agnelli sgozzati per la cena pasquale… e vidi tanto sangue … ed ebbi paura.
Ricordavo che il profeta Isaia aveva parlato di un servo obbediente che, maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca (Is 53,7).
Guardai gli agnelli sgozzati e istintivamente strinsi la mano di Gesù: per sentirlo vicino, per proteggerlo, per difendermi da un presentimento che mi attraversava l’anima.
Terminato il pellegrinaggio, riprendemmo la strada del ritorno.
La comitiva degli uomini era divisa da quella delle donne, mentre i bambini si spostavano liberamente da un gruppo all’altro: giunta la sera, le due comitive si ricongiungevano e si organizzavano per passare la notte all’aperto.
Al termine del primo giorno andai incontro a Giuseppe pensando di trovare Gesù con lui: Gesù non c’era! Ebbi un colpo al cuore. Mille domande, come lampi, mi attraversavano la mente: e dov’è? E cosa è accaduto? E come è stato possibile? E perchè? Perchè?
Passai la notte con il cuore che sembrava un mare in tempesta.
Non potei chiudere occhio. Pregai, ma la trepidazione mi annebbiava i pensieri e quasi bloccava le parole sul nascere. Solo una mamma può capire ciò che prova una mamma…quando si accorge che il figlio, il suo figlio, non c’è più: è sparito nel nulla, nel vuoto, nell’incognito.
Appena spuntarono i primi raggi di sole, ritornammo a Gerusalemme: ci sembrava di rivivere la dolorosa storia di Betlemme, quando affannosamente cercavamo un luogo… per far nascere il bambino.
Ma ora era lui… il bambino… che si faceva cercare. Perchè?
Passarono la seconda terribile e il secondo faticoso giorno; vennero la terza interminabile notte e il terzo faticoso giorno; credevo di morire … talmente era grande il mio dolore!
Camminando per le vie di Gerusalemme, guardavo attentamente tutti i ragazzi dell’età di Gesù. Ogni tanto mi sembrava di riconoscerlo, correvo avanti, fissavo il volto … e non era lui.
“Scusatemi! – Sto cercando mio figlio! Avete, per caso, visto un ragazzo di dodici anni… con il volto bellissimo… che domanda notizie dei suoi genitori?”.
Mi guardavano ed esclamavano: “Hai perso il figlio? E come avete fatto? E come fate a ritrovarlo in mezzo a questa confusione! Speriamo che non sia finito in mano a qualche mercante: se fosse così … addio!”.
No, non era possibile! Giuseppe ed io decidemmo di andare nel tempio… per cercare luce in Dio: chi, se non Lui solo, poteva spiegarci che cosa era accaduto?
Pregammo intensamente così:
“Pietà di me, Signore: vengo meno;
risanami, Signore: tremano le mie ossa.
L’anima mia è tutta sconvolta,
ma tu, Signore, fino a quando …”
(Sal 6,3-4)
Fino a quando? Erano passati tre giorni … senza vedere il volto di Gesù!
Continuammo a pregare:
“Signore, non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato…”
(Sal 27, 9-10)
Noi, noi non avevamo abbandonato il figlio: noi … eravamo stati abbandonati dal figlio.
Perchè?
Mentre camminavamo nel portico del tempio con passo stanco (tre giorni erano passati!), vedemmo un gruppo di persone sedute attente; ci accostammo …. e, cosa da non credere, Gesù era in mezzo a loro.
Era lui, proprio lui!
Volevo correre ad abbracciarlo, stavo per gridare … Ma fui trattenuta dallo spettacolo di quegli uomini anziani, che ascoltavano il mio bambino con attenzione e con evidente stupore.
Ma, ad un certo punto, il cuore ebbe il sopravvento e gridai: “Figlio mio, perchè ci hai fatto questo? Perchè? Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2,48)
Tesi le braccia per riprendere Gesù, per riappropriarmi di mio figlio… Ma egli mi guardò con occhio tranquillo, e con voce serena mi disse: “Perchè mi cercavate?” (Lc 2,49).
Come? Non dovevamo cercarti?
Ma tu sei mio figlio! Come può una madre non cercare il proprio figlio?
Ma non feci in tempo a raccogliere un pensiero, un’emozione… che Gesù mi disse: “Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49)
Fu un autentico fulmine! Capii che mio figlio non mi apparteneva … non ci apparteneva. Capii che una missione occupava la sua anima, sentii che l’infinito lo separava da me e da Giuseppe, avvertii uno strappo … ma subito, stringendo la mano di Giuseppe, dissi: “Sì, devi occuparti delle cose del Padre tuo! E noi siamo qui per obbedire a te, per obbedire con te!”.
Tornammo a Nazaret: e i giorni si fecero sereni… e le notti ritornarono tranquille.
Ogni tanto, però, mi svegliavo di soprassalto e ascoltavo il respiro di Gesù e accendevo la lampada per vedere il suo volto: era ancora lì, accanto a me, nel silenzio di un mistero più grande di me.
Fino a quando?
Sentivo che, prima o poi, sarebbe accaduto qualcosa… che non riuscivo a immaginare: sapevo soltanto che una spada era preparata per me!
E per lui?
E, intanto, passarono i giorni e passarono gli anni>>.
PREGHIERA DAVANTI ALL’UMILTA’ DI BETLEMME
O Signore,
mentre il tempo logora tutte le speranze,
Tu rimani l’unica speranza!
Mentre si consumano i secoli
e anche i millenni,
Tu resti perennemente giovane.
Mentre le ricchezze svelano sempre di più
il volto fragile e deludente,
Tu stupisci ancora e attiri
con la sola, con la pura, con la totale
povertà di Betlemme.
Tu, povero di Betlemme,
sei la risposta che noi non sentiamo,
Tu, povero di Betlemme,
sei la ricchezza che noi non capiamo;
Tu, povero di Betlemme,
sei la pace che drammaticamente ci manca.
Signore, nato a Betlemme,
la città della nostra povertà
e della nostra piccolezza,
noi ci accostiamo a Maria
per guardarti con il suo sguardo
e amarti con il suo cuore
ed essere finalmente felici con te,
povero di Betlemme,
unico capace di farci sorridere ancora!
Amen!
+ Card. Angelo Comastri
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