Don Giò – Amico e fratello
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Don Giovanni Bertocchi è un Sacerdote che ha lasciato una forte orma del suo passaggio sulla terra. Il suo grande amico, Don Alessandro, lo ha presentato così, durante la messa in Memoria del giovane prete tragicamente scomparso.
Quando don Arturo mi ha telefonato per chiedermi di presiedere la Messa in memoria di don Giò, ho accettato con entusiasmo ma non nascondo una certa emozione e anche un senso di “indegnità” nel dover parlare di un prete cosi prete, così fedele alla sua missione e cosi innamorato di Gesù Cristo.
Ma ci provo. So di essere davanti a gente che ha conosciuto benissimo don Giò. innanzitutto i suoi genitori che saluto calorosamente, i suoi familiari, i suoi amici, don Arturo, i suoi ragazzi e tutta la gente in mezzo alla quale lui è stato pastore.
E proprio in questi giorni la liturgia della Parola ci presenta insistentemente questa figura di educatore: il Pastore. Una professione ormai rara dalle nostre parti, più sviluppata sui monti, quasi sconosciuta. Eppure ai tempi di Gesù, nella Palestina di due millenni fa, l’immagine del pastore delineava una missione che non era per tutti.
Il terreno della Giudea era costituito da un altopiano aspro e sassoso, più adatto alla pastorizia che all’agricoltura. L’erba era scarsa e il gregge doveva spostarsi continuamente; non c’erano recinti, e numerosi i pericoli in agguato. Questo richiedeva la costante attenzione del pastore, vera immagine di colui che investe la sua vita per il bene del suo gregge. Non tutti avevano la vocazione ad essere pastori: costava sacrificio, attenzione, personalità sveglia, motivazione, passione e quasi “innamoramento” per le pecore.
Ora ritorniamo al 2007. Qualche settimana fa don Arturo, con la concessione di papà Pietro e mamma Mema, mi ha mandato le pagine del diario, del quaderno spirituale di don Giò. Uno strumento che dal suo primo ingresso in seminario al giorno del suo ingresso in Paradiso, lo ha sempre accompagnato, imprimendo sulle sue pagine la crescita umana, spirituale e vocazionale di un giovane che folgorato dall’immagine di Gesù, ha deciso di costruire tutta la sua vita, il suo modo di pensare. di vedere la gente, di leggere la storia, di guardare al futuro. di affrontare le difficoltà, tutte appoggiate su un’unica pietra angolare: Gesù Cristo.
Gesù, I’uomo in mezzo agli uomini, che non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma ha spogliato sé stesso, si é fatto piccolo, si è fatto servo, si è fatto amore. Si è fatto compagno di viaggio in mezzo ai drammi della gente; è stato luce per chi viveva nel buio, gioia per chi era nel pianto, vita per chi era nella morte. Questo Gesù ha preso il cuore di don Giò sin da bambino. Voglio diventare sacerdote! Questa la frase ricorrente nelle pagine di quel diario, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà e prova. Voglio diventare sacerdote! Non vi era nient’altro. E’ stato bello, commovente leggere un Giovanni adolescente con gli occhi e il cuore puntato sui propri coetanei, sui ragazzi di Clusone, sui bambini ai quali faceva catechismo. Occhi e cuore aperti sulle loro fatiche, sulle loro illusioni, sui loro sogni. Già da giovane ragazzo, Giò, aveva la stoffa del pastore. Il suo pensiero era sempre rivolto agli altri. Nel suo cuore la preoccupazione che gli altri stessero bene. Costante il pensiero ai genitori e alla famiglia che sentiva come un grande dono di Dio. Sempre attento al dialogo e ai bisogni dei propri compagni e seminaristi, a Giò stava molto a cuore la costruzione di amicizie sincere, attraverso la sua semplicità, affabilità, mitezza e dolcezza: sfruttando ogni occasione della vita comunitaria, nello studio, preghiera, nello sport e attraverso la musica.
(Continua)
Don Alessandro Gipponi
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