DIALOGO DELLA DIVINA PROVVIDENZA AL NOME DI IESU CRISTO CROCIFIXO E DI MARIA DOLCE – SANTA CATERINA DA SIENA
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QUESTO LIBRO FECE LA VENERABILE VERGINE
CATERINA DA SIENA MANTELLATA DI SANCTO DOMENICO
LIBER DIVINE DOCTRINE DATE PER PERSONAM DEI PATRIS INTELLECTUI
LOQUENTIS GLORIOSE ET STANTE VIRGINI CATERINE DE SENIS PREDICATORUM
ORDINIS. CONSCRIPTUS IPSA DICTANTE LICET VULGARITER ET STANTE IN RAPTU
ACTUALITER ET AUDIENTE QUID IN EA LOQUERETUR
DOMINUS DEUS ET CORAM PLURIBUS REFERENTE
I. Come l’anima per orazione s’unisce con Dio, e come questa anima, de la quale qui si parla, essendo levata in contemplazione, faceva a Dio quattro petizioni.
Levandosi una anima ansietata di grandissimo desiderio verso l’onore di Dio e la salute de
l’anime; exercitandosi per alcuno spazio di tempo nella virtú, abituata e abitata nella cella del
cognoscimento di sé per meglio cognoscere la bontá di Dio in sé; perché al cognoscimento séguita
l’amore, amando cerca di seguitare e vestirsi della veritá. E perché in veruno modo gusta tanto ed è illuminata d’essa veritá quanto col mezzo de l’orazione umile e continua fondata nel conoscimento di sé e di Dio (però che l’orazione, exercitandola per lo modo decto, unisce l’anima in Dio, seguitando le vestigie di Cristo crocifixo), e cosí per desiderio e affecto e unione d’amore ne fa unaltro sé.
Questo parbe che dicesse Cristo quando disse: « Chi m’amará e servará la parola mia Io
manifestarò me medesimo a lui, e sarà una cosa con mero e Io con lui ». E in piú luoghi troviamo
simili parole, per le quali potiamo vedere che egli è la veritá che per affecto d’amore l’anima diventa un altro lui. E per vederlo piú chiaramente, ricòrdomi d’avere udito d’alcuna serva di Dio che essendo in orazione, levata con grande elevazione di mente, Dio non nascondeva a l’occhio de l’intellecto suo l’amore che aveva a’ servi suoi: anco el manifestava, e tra l’altre cose diceva: — Apre l’occhio de l’intellecto e mira in me, e vedrai la dignità e bellezza della mia creatura che ha in sé ragione. E tra la bellezza che io ho data a l’anima creandola a la imagine e similitudine mia,
raguarda costoro che sono vestiti del vestimento nupziale, cioè della carità, adornato di (4) molte
vere e reali virtú, uniti sonno con meco per amore. E però ti dico che se tu mi dimandassi : — Chi
sonno costoro? — Rispondarei — diceva il dolce e amoroso Verbo: — Sonno un altro me, perché
hanno perduta e annegata la propria volontà, e vestitisi, unitisi e conformatisi con la mia. —
Bene è dunque vero che l’anima s’unisce per affetto d’amore. Si che, volendo piú virilmente
cognoscere e seguitare la veritá, levando il desiderio suo, prima per se medesima (considerando che l’anima non può fare vera utilitá di dottrina, d’exemplo e d’orazione al proximo suo se prima non fa utilitá a sé, cioè d’avere e acquistare la virtú in sé) domandava al sommo ed etterno Padre quattro petizioni. La prima era per se medesima; la seconda per la reformazione della sancta Chiesa; la terza generale per tutto quanto il mondo, e singularmente per la pace dei cristiani e’ quali sonno ribelli con molta irreverenzia e persecuzione alla sancta Chiesa. Nella quarta dimandava la divina providenzia che provedesse in comune, e in particulare in alcuno caso che era adivenuto.
II. Come el desiderio di questa anima crebbe, essendole mostrato da Dio la
necessitá del mondo.
Questo desiderio era grande ed era continuo; ma molto maggiormente crebbe essendo
mostrato dalla prima Verità la necessità del mondo, e in quanta tempesta e offesa di Dio egli era. E
intesa aveva ancora una lettera, la quale aveva ricevuta dal padre de l’anima sua, dove egli mostrava
pena e dolore intollerabile de l’offesa di Dio e danno de l’anime e persecuzione della sancta Chiesa.
Tutto questo l’accendeva il fuoco del sancto desiderio, con dolore de l’offesa e con allegrezza d’una
speranza per la quale aspettava che Dio provedesse a tanti mali. E perché nella comunione l’anima
pare che piú dolcemente si strenga fra sé e Dio e meglio cognosca la sua veritá (l’anima (5) allora è
in Dio, e Dio ne l’anima, si come il pesce che sta nel mare, e il mare nel pesce); e per questo le
venne desiderio di giognere nella mactina per avere la messa; el quale di era il di di Maria. Venuta
la mactina e l’ora della messa, si pose con ansietato desiderio e con grande cognoscimento di sé,
vergognandosi della sua imperfeczione, parendole essere cagione del male che si faceva per tutto
quanto el mondo, concipendo uno odio e uno dispiacimento di sé con una giustizia sancta; nel quale
cognoscimento e odio e giustizia purificava le macchie che le pareva, ed era ne l’anima sua, di
colpa, dicendo: — O Padre etterno, io mi richiamo di me a te, che tu punisca l’offese mie in questo
tempo finito. E perché delle pene, che debba portare il proximo mio, io per li miei peccati ne so’
cagione, però ti prego benignamente che tu le punisca sopra di me.
III. Come l’operazioni finite non sono sufficienti a punire né a
remunerare senza l’affetto de la caritá continuo.
Alora la Verità etterna, rapendo e tirando a sé piú forte il desiderio suo, facendo come
faceva nel Testamento vecchio che quando facevano il sacrifizio a Dio veniva uno fuoco e tirava a
sé il sacrifizio che era accepto a lui, cosí faceva la dolce Verità a quella anima: che mandava il
fuoco della clemenzia dello Spirito sancto e rapiva il sacrifizio del desiderio che ella faceva di sé a
lui, dicendo: — Non sai tu, figliuola mia, che tutte le pene che sostiene o può sostenere l’anima in
questa vita non sonno sufficienti a punire una minima colpa? però che l’offesa che è fatta a me, che
so’ Bene infinito, richiede satisfaczione infinita. E però lo voglio che tu sappi che non tutte le pene
che sonno date in questa vita sonno date per punizione, ma per correczione, per gastigare il figliuolo
quando egli offende. Ma è vero questo: che col desiderio de l’anima si satisfa, cioè con (6) la vera
contrizione e dispiacimento del peccato. La vera contrizione satisfa a la colpa ed a la pena, non per
pena finita che sostenga, ma per desiderio infinito. Perché Dio, che è infinito, infinito amore e
infinito dolore vuole. Infinito dolore vuole in dite modi: l’uno è della propria offesa la quale ha
commessa contra ‘l suo Creatore; l’altro è de l’offesa che vede fare al proximo suo. Di questi cotali,
perché hanno desiderio infinito (cioè che sonno uniti per affecto d’amore in me, e però si dogliono
quando offendono o veggono offendere), ogni loro pena che sostengono, spirituale o corporale, da
qualunque lato ella viene, riceve infinito merito e satisfa a la colpa che meritava infinita pena:
poniamo che sieno state operazioni finite, facte in tempo finito; ma perché fu adoperata la virtú e
sostenuta la pena con desiderio e contrizione e dispiacimento della colpa infinito, però valse.
Questo dimostrò Paolo quando disse: «Se io avesse lingua angelica, sapesse le cose future,
desse il mio a’ poveri, e dessi el corpo mio ad ardere, e non avesse carità, nulla mi varrebbe ».
Mostra il glorioso apostolo che l’operazioni finite non sonno sufficienti né a punire né a remunerare
senza il condimento dell’affecto della caritá.
IV. Come el desiderio e la contriczione del cuore satisfa a la colpa e a la pena in
sé e in altrui, e come tale volta satisfa a la colpa e none a la pena.
— Hotti mostrato, carissima figliuola, come la colpa non si punisce in questo tempo finito
per veruna pena che si sostenga, puramente pur pena. E dico che si punisce con la pena che si
sostiene col desiderio, amore e contrizione del cuore: non per virtú della pena, ma per la virtú del
desiderio de l’anima. Si come il desiderio e ogni virtú vale ed ha in sé vita per Cristo crocifixo
unigenito mio Figliuolo in quanto l’anima ha tracto l’amore dallui e con virtú séguita le vestigie sue.
Per questo modo vagliono, e non per altro; e cosí le pene satisfanno a la colpa col dolce e
unitivo amore acquistato nel cognoscimento dolce della mia bontá, e amaritudine e contrizione di
cuore, cognoscendo se medesimo e le proprie colpe sue. El quale cognoscimento genera odio e
dispiacimento del peccato e della propria sensualità. Unde egli si reputa degno delle pene e indegno
del fructo. Si che — diceva la dolce Verità — vedi che, per la contrizione del cuore, con l’amore
della vera pazienzia e con vera umilità, reputandosi degni della pena e indegni del fructo, per
umilità portano con pazienzia. Si che vedi che satisfa per lo modo decto.
Tu mi chiedi pene acciò che si satisfacci a l’offese che sonno facte a me dalle mie creature, e
dimandi di volere cognoscere e amare me che so’ somma Verità. Questa è la via a volere venire a
perfecto cognoscimento e volere gustare me Verità etterna: che tu non esca mai del cognoscimento
di te; e abbassata che tu se’ nella valle de l’umilità, e tu cognosce me in te. Del quale cognoscimento
trarrai quello che t’è necessario. Neuna virtú può avere in sé vita se non dalla caritá. E l’umilità è
baglia e nutrice della caritá. Nel cognoscimento di te t’aumiliarai vedendo te per te non essere, e
l’essere tuo cognoscerai da me che v’ho amati prima che voi fuste; e per l’amore ineffabile che lo
v’ebbi, volendovi ricreare a grazia v’ho lavati e ricreati nel sangue de l’unigenito mio Figliuolo
sparto con tanto fuoco d’amore.
Questo sangue fa cognoscere la veritá a colui che s’ha levata la nuvila de l’amore proprio per
lo cognoscimento di sé; ché in altro modo non la cognoscerebbe. Allora l’anima s’accenderà in
questo cognoscimento di me con uno amore ineffabile; per lo quale amore sta in continua pena, non
pena afiliggitiva che affligga né disecchi l’anima, anco la ingrassa; ma perché ha cognosciuta la mia
veritá e la propria colpa sua e la ingratitudine e ciechità del proximo, ha pena intollerabile; e però si
duole perché m’ama, ché se ella non m’amasse non si dorrebbe.
Subbito che tu e gli altri servi miei avarete, per lo modo decto, cognosciuta la mia veritá, vi
converrà sostenere infine a la morte le molte tribolazioni e ingiurie e rimprovèri in decto e in facto
per gloria e loda del nome mio. Si che tu portarai e patirai pene.
Tu dunque e gli altri miei servi, portate con vera pazienzia, con dolore della colpa e amore
della virtú, per gloria e loda del nome mio. Facendo cosí, satisfarò le colpe tue e degli altri miei
servi, si che le pene che sosterrete saranno sufficienti, per la virtú della carità, a satisfare e a
remunerare in voi e in altrui. In voi ne ricevarete fructo di vita, spente le macchie delle vostre
ignoranzie, e Io non mi ricordarò che voi m’offendeste mai. In altrui satisfarò per la caritá e affecto
vostro, e donarò secondo la disposizione loro con la quale ricevaranno. In particulare a coloro che si
dispongono umilemente e con reverenzia a ricevere la doctrina de’ servi miei, lo’ perdonarò la colpa
e la pena. Come? che per questo verranno a questo vero cognoscimento e contrizione de’ peccati
loro. Si che con lo strumento de l’orazione e desiderio de’ servi miei riceveranno fructo di grazia,
ricevendo essi umilemente, come decto è, e meno e piú, secondo che vorranno exercitare con virtú
la grazia.
In generale, dico che per li desidèri vostri riceveranno remissione e donazione. Guarda giá
che non sia tanta la loro obstinazione che eglino vogliano essere riprovati da me per disperazione,
spregiando el Sangue che con tanta dolcezza gli ha ricomprati. Che frutto ricevono? el frutto è che
Io gli aspetto, costretto da l’orazioni de’ servi miei, e dollo’ lume, e follo’ destare il cane della
coscienzia, e follo’ sentire l’odore della virtú, e dilettargli della conversazione de’ miei servi. E
alcuna volta permetto che ‘l mondo lo’ mostri quello che egli è, sentendo variate e diverse passioni
acciò che cognoscano la poca fermezza del mondo e levino il desiderio a cercare la patria loro di
vita etterna. E cosí per questi e molti altri modi, e’ quali l’occhio non è sufficiente a vedere né la
lingua a narrare né il cuore a pensare quante sonno le vie e’ modi che Io tengo, solo per amore e per
riducerli a grazia, acciò che la mia veritá sia compita in loro.
Costrecto so’ di farlo da la inextimabile caritá mia con la quale lo li creai, e da l’orazioni e
desidèri e dolore de’ servi Iniei; perché non so’ spregiatore della lagrima, sudore e umile orazione
loro, anco gli accepto, però che lo so’ colui che gli fo amare e dolere del danno de l’anime. Ma non
lo’ dá satisfaczione di pena a questi cotali generali, ma si di colpa, perché non sonno disposti dalla
parte loro a pigliare con perfetto amore l’amore mio e de’ servi miei. Né non pigliano el loro dolore
con amaritudine e perfecta contrizione della colpa commessa; ma con amore e contrizione
imperfecta, e però non hanno né ricevono satisfaczione di pena come gli altri, ma si di colpa; perché
richiede disposizione da l’una parte e da l’altra, cioè da chi dá e da chi riceve. Perché sonno
imperfecti, imperfettamente ricevono la perfeczione de’ desidèri di coloro che con pena gli offerano
dinanzi da me per loro.
Perché ti dixi che ricevevano satisfaczione, e anco l’era donato. Cosí è la veritá, che per lo
modo che Io t’ho decto, per li strumenti di quello che di sopra contiammo (del lume della
coscienzia, e de l’altre cose), l’è satisfacto la colpa; cioè cominciandosi a ricognoscere, bomicano il
fracidume de’ peccati loro, e cosí ne ricevono dono di grazia.
Questi sonno coloro che stanno nella caritá comune. Se essi hanno ricevuto per correczione
quello che hanno avuto, e non hanno fatta resistenzia alla clemenzia dello Spirito sancto, ricévonne
vita di grazia estendo della colpa. Ma se essi, come ignoranti, sonno ingrati e scognoscenti verso di
me e verso le fadighe de’ servi miei, esso facto lo’ torna in ruina e a giudicio quello che era dato per
misericordia; non per difetto della misericordia né di colui che impetrava la misericordia per lo
ingrato, ma solo per la miseria e durizia sua, il quale ha posto, con la mano del libero arbitrio, in sul
cuore la pietra del diamante che, se non si rompe col Sangue, non si può rompere. Anco ti dico che,
non obstante la durizia sua, mentre che egli ha il tempo che può usare il libero arbitrio, chiedendo il
sangue del mio Figliuolo, con essa medesima mano e pongalo sopra la durizia del cuore suo, lo
spezzarà e riceverà il frutto del (10) Sangue che è pagato per lui. Ma se egli s’indugia, passato el
tempo, non ha rimedio veruno, perché non ha riportata la dota che gli fu data da me: dandoli la
memoria perché ritenesse i benefizi miei, e lo ‘ntellecto perché vedesse e cognoscesse la veritá, e
l’affecto perché egli amasse me, veritá etterna, la quale lo ‘ntellecto cognobbe.
Questa è la dota che io vi diei, la quale debba ritornare a me Padre. Avendola venduta e
sbaractata al demonio, el demonio con esso lui ne va e portane quello che in questa vita acquistò,
empiendo la memoria delle delizie e ricordamento di disonestà, superbia, avarizia e amore proprio
di sé; odio e dispiacimento del proximo, perseguitatore de’ miei servi. In queste miserie obfuscano
lo ‘ntellecto per la disordinata volontà; cosí ricevono, con le puzze loro, pena etternale, infinita
pena, perché non satisfecero a la colpa con la contrizione e dispiacimento del peccato.
Si che hai come la pena satisfa alla colpa per la perfecta contrizione del cuore, non per le
pene finite. E non tanto la colpa, ma la pena che séguita doppo la colpa, a questi che hanno questa
perfeczione. E a’ generali, come decto è, satisfa a la colpa, cioè che, privati del peccato mortale,
ricevono la grazia; e non avendo sufficiente contrizione e amore a satisfare a la pena, vanno alle
pene del purgatorio, passati dal secondo e ultimo mezzo.
Si che vedi che satisfa per lo desiderio de l’anima unito in me, che so’ infinito Bene; poco e
assai, secondo la misura del perfecto amore di colui che dá l’orazione e il desiderio e di colui che
riceve. Con quella medesima misura che colui dá a me e l’altro riceve in sé, con quella l’è misurato
dalla mia bontá. Si che cresce il fuoco del desiderio tuo, e non lassare punto di tempo che tu non
gridi con voce umile e con continua orazione dinanzi da me per loro. Cosí dico a te e al padre de
l’anima tua che Io t’ho dato in terra, che virilmente portiate, e morta sia ogni propria sensualità.
V. Come molto è piacevole a Dio el desiderio di volere portare per lui.
— Molto è piacevole a me il desiderio di volere portare ogni pena e fadiga infino a la morte
in salute de l’anime. Quanto piú sostiene, piú dimostra che m’ami; amandomi, piú cognosce della
mia veritá; e quanto piú cognosce, piú sente pena e dolore intollerabile de l’offesa mia.
Tu dimandavi di sostenere e di punire e’ difecti altrui sopra di te; e tu non t’avedevi che tu
dimandavi amore, lume e cognoscimento della veritá. Perché giá ti dixi che quanto era maggiore
l’amore, tanto cresce il dolore e la pena. A cui cresce amore, cresce dolore. Adunque lo vi dico che
voi dimandiate, e egli vi sarà dato. Io non denegarò a chi mi dimanderà in veritá. Pensa che egli è
tanto unito l’amore della divina carità, che è ne l’anima, con la perfecta pazienzia, che non si può
partire l’una che non si parta l’altra. E però debba l’anima, come elegge d’amare me, cosí elegga di
portare per me pene in qualunque modo, e di qualunque cosa lo le concedo. La pazienzia non si
pruova se non nelle pene, e la pazienzia è unita con la carità, come decto è. Adunque portate
virilmente, altrimenti non sareste né dimostrareste d’essere sposi della mia veritá e figliuoli fedeli,
né che voi fuste gustatori del mio onore né della salute de l’anime.
VI. Come ogni virtú e ogni defecto si fa col mezzo del proximo.
— Ché io ti fo a sapere che ogni virtú si fa COI mezzo del prossimo, e ogni difecto. Chi sta
in odio di me fa danno al proximo e a se medesimo che è principale prossimo. Fagli (12) danno in
generale e in particolare. In generale è perché sète tenuti d’amare il prossimo vostro come voi
medesimi; amandolo dovete sovenirlo spiritualmente con l’orazione e con la parola, consigliandolo
e aitandolo spiritualmente e temporalmente secondo che fa bisogno alla sua necessità, almeno
volontariamente, non avendo altro. Non amando me, non ama lui; non amandolo, non el soviene;
offende innanzi se medesimo che si tolle la grazia, e offende il prossimo tollendoli, perché non gli
dá l’orazione e i dolci desidèri che è tenuto d’offerire dinanzi a me per lui. Ogni sovenire che egli fa
debba uscire della dileczione che egli gli ha per amore di me.
Cosí ogni male si fa per mezzo del prossimo, cioè che, non amando me, non è nella caritá
sua. E tucti e’ mali dependono perché l’anima è privata della caritá di me e del prossimo suo. Non
facendo bene, séguita che fa male; facendo male, verso cui el fa e dimostra? verso se medesimo in
prima e del proximo; non verso di me, ché a me non può fare danno se none in quanto Io reputo
facto a me quello che fa ad altrui. Fa danno a sé di colpa, la qual colpa el priva della grazia; peggio
non si può fare. Al proximo fa danno non dandoli el debito che gli debba dare della dileczione e
dell’amore, col quale amore il debba sovenire con l’orazione e sancto desiderio offerto a me per lui.
Questo è uno sovenimento generale che si debba fare a ogni creatura che ha in sé ragione.
Utilità particolari sonno quelle che si fanno a coloro che vi sonno piú da presso dinanzi agli occhi
vostri, de’ quali sète tenuti di sovenire l’uno a l’altro con la parola e doctrina e exemplo di buone
operazioni, e in tucte l’altre cose che si vede che egli abbi bisogno; consigliandolo schiectamente
come se medesimo e senza passione di proprio amore. Egli non el fa, perché giá è privato della
dileczione verso di lui. Si che vedi che, non facendolo, gli fa danno particolare; e non tanto che gli
facci danno non facendoli quel bene che egli può, ma e’ gli fa male e danno assiduamente. Come?
Per questo modo: el peccato si fa actuale e mentale; mentale è giá facto, ché ha conceputo piacere
del peccato e (13) odio della virtú, cioè del proprio amore sensitivo, il quale l’ha privato de l’affecto
della caritá el quale debba avere a me e al proximo suo. E poi che egli ha conceputo, gli parturisce
l’uno di po’ l’altro sopra del proximo, secondo che piace a la perversa volontà sensitiva, in diversi
modi: alcuna volta vediamo che parturisce una crudeltá e in generale e in particolare. Generale è di
vedere sé e le creature in dampnazione e in caso di morte per la privazione della grazia; ed è tanto
crudele che non si soviene, sé né altrui, de l’amore della virtú e odio del vizio; anco come crudele
distende actualmente piú la crudeltá sua, cioè che non tanto che egli dia exemplo di virtú, ma egli,
come malvagio, piglia l’officio delle dimonia, traendo, giusta’l suo potere, la creatura da la virtú e
conducendola nel vizio. Questa è crudeltá verso l’anima che s’è facto strumento a tollarle la vita e
darle la morte. Crudeltà corporale usa per cupidità, ché non tanto che egli sovenga il proximo del
suo, ma egli tolle l’altrui, robbando le poverelle, e alcuna volta per acto di signoria e alcuna volta
con inganno e con frode facendo ricomprare le cose del proximo e spesse volte la propria persona.
O crudeltá miserabile, la quale sarai privata della misericordia mia, se esso non torna a pietà e
benivolenzia verso di lui !
E alcuna volta parturisce parole ingiuriose, doppo le quali parole spesse volte séguita
l’omicidio. E alcuna volta parturisce disonestà nella persona del proximo, per la quale ne diventa
animale bruto, pieno di puzza; e non atosca né uno né due, ma chi se gli appressima con amore e
conversazione ne rimane atoscato.
In cui parturisce la superbia? solo nel proximo per propria reputazione di sé; unde ne traie
dispiacere del proximo suo, reputandosi maggiore di lui, e per questo modo gli fa ingiuria. Se egli
ha a tenere stato di signoria, parturisce ingiustizia e crudeltá ed è rivenditore delle carni degli
uomini.
O carissima figliuola, duolti de l’offesa mia e piagne sopra questi morti, acciò che con
l’orazione si distruga la morte loro! Or vedi che da qualunque lato, e di qualunque maniera di genti,
tu vedi tucti parturire i peccati sopra del proximo, e farli col (14) suo mezzo. In altro modo non
farebbe mai peccato neuno, né occulto né palese: occulto è quando non gli dá quello che gli debba
dare; palese è quando parturisce e’ vizi, si come lo ti dixi.
Adunque bene è la veritá che ogni offesa (acta a me si fa col mezzo del proximo.
VII. Come le virtú s’aoperano col mezzo del proximo, e perché le virtú sono
poste tanto differenti ne le creature.
— Detto t’ho come tutti e’ peccati si fanno col mezzo del proximo per lo principio che ti
posi, perché erano privati dell’affetto della carità, la quale caritá dá vita a ogni virtú; e cosí l’amore
proprio, il quale tolle la caritá e dileczione del proximo, è principio e fondamento d’ogni male. Tutti
gli scandali, e odio e crudeltá e ogni inconveniente procede da questa perversa radice de l’amore
proprio. Egli ha avelenato tutto quanto el mondo e infermato el corpo mistico della sancta Chiesa e
l’universale corpo della religione cristiana, perché lo ti dixi che nel proximo si fondavano tutte le
virtú, e cosí è la veritá.
Io si ti dixi che la caritá dava vita a tutte le virtú, e cosí è: che veruna virtú si può avere
senza la carità, cioè che la virtú s’acquisti per puro amore di me. Ché poi che l’anima ha cognosciuta
sé, come di sopra dicemmo, ha trovata umilità e odio della propria passione sensitiva, cognoscendo
la legge perversa che è legata nelle membra sue che sempre impugna contra lo spirito. E però s’è
levata con odio e dispiacimento d’essa sensualità, conculcandola sotto la ragione con grande
sollicitudine; e in sé ha trovata la larghezza della mia bontá per molti benefizi che ha ricevuti da me,
e’ quali tutti ritruova in se medesima. E il cognoscimento che ha trovato di sé il retribuisce a me per
umilità, cognoscendo che per grazia Io l’abbi tratto della tenebre e recato a lume di vero
cognoscimento.
E poi che ha cognosciuta la mia bontá, l’ama senza mezzo ed amala con mezzo: cioè senza
mezzo di sé e di sua propria utilitá; e amala col mezzo della virtú (la quale virtú ha conceputa per
amor di me), perché vede che in altro modo non sarebbe grato né accepto a me se non concepesse
l’odio del peccato e amore delle virtú. E poi che l’ha conceputa per affecto d’amore, subbito la
parturisce al proximo suo, ché in altro modo non sarebbe veritá che egli l’avesse conceputa in sé.
Ma come in veritá m’ama, cosí fa utilitá al proximo suo; e non può essere altrementi, perché l’amore
di me e del proximo è una medesima cosa, e tanto quanto l’anima ama me, tanto ama lui, perché
l’amore verso di lui esce di me.
Questo è quel mezzo che io v’ho posto acciò che exercitiate e proviate la virtú in voi: che,
non potendo fare utilitá a me, dovetela fare al proximo. Questo manifesta che voi aviate me per
grazia ne l’anima vostra; facendo frutto in lui di molte e sancte orazioni con dolce e amoroso
desiderio, cercando l’onore di me e la salute de l’anime. Non si ristà mai l’anima inamorata della mia
veritá di fare utilitá a tutto el mondo, in comune e in particulare, poco e assai, secondo la
disposizione di colui che riceve e de l’ardente desiderio di colui che dà, si come di sopra fu
manifestato quando ti dichiarai che pura la pena, senza il desiderio, non era sufficiente a punire la
colpa.
Poi che egli ha facto utilitá per l’amore unitivo che ha facto in me, per lo quale ama lui,
disteso l’affetto alla salute di tutto quanto il mondo, sovenendo alla sua necessità, ingegnasi (poi che
ha facto bene a sé per lo concipere la virtú, unde ha tratta la vita della grazia) di ponere l’occhio a la
necessità del proximo in particulare. Poi che mostrato l’ha generalmente a ogni creatura che ha in sé
ragione, per affecto di carità, come detto è, ed egli soviene quelli da presso, secondo diverse grazie
che lo gli ho date a ministrare: chi di dottrina, cioè con la parola consigliando schiettamente senza
alcuno rispetto; chi con exemplo di vita. E questo debba fare ogniuno, e dare edificazione al
proximo di sancta e onesta vita.
Queste sonno le virtú, e molte altre, le quali non potresti narrare, che si parturiscono nella
dileczione del proximo. Perché l’ho poste tanto differenti che lo non ho dato tucto a uno, anco a cui
ne do una, e a cui ne do un’altra particulare? poniamo che una non ne possa avere che tucte non
l’abbi, perché tucte le virtú sono legate insieme. Ma dolle molte, quasi come per capo di tucte l’altre
virtú; cioè che a cui darò principalmente la carità, e a cui la giustizia, e a cui l’umilità, e a cui una
fede viva; ad altri una prudenzia, una temperanzia, una pazienzia; ad altri una fortezza. Queste e
molte altre darò ne l’anima differentemente a molte creature: poniamo che l’una di queste sia posta
per uno principale obiecto di virtú ne l’anima, disponendosi piú a conversazione principale con essa
che con l’altre; e per questo affecto di questa virtú trae a sé tucte l’altre virtú, ché (come decto è) elle
sono tucte legate insieme ne l’affecto della caritá.
E cosí molti doni e grazie di virtú e d’altro, spiritualmente e corporalmente (corporalmente
dico per le cose necessarie per la vita de l’uomo), tucte l’ho date in tanta differenzia che non l’ho
poste tucte in uno, perché abbi materia, per forza, d’usare la caritá l’uno con l’altro. Ché ben potevo
fare gli uomini dotati di ciò che bisogna e secondo il corpo e secondo l’anima; ma Io volsi che l’uno
avesse bisogno de l’altro, e fussero miei ministri a ministrare le grazie e i doni che hannó ricevuti da
me. Ché voglia l’uomo o no, non può fare che per forza non usi facto della caritá. È vero che, se ella
non è facta e donata per amore di me, quello acto non gli vale quanto a grazia.
Si che vedi che acciò che essi usassero la virtú della carità, Io gli ho facti miei ministri e
posti in diversi stati e variati gradi. Questo vi mostra che nella Casa mia ha molte mansioni, e che Io
non voglio altro che amore. Però che ne l’amore di me compie l’amore del proximo; compito
l’amore del proximo, ha observata la legge: ciò che può fare d’utilitá, secondo lo stato suo, colui che
è legato in questa dileczione, si el fa.
VIII . Come le virtú si pruovano e fortificano per li loro contrari.
— Hotti decto come egli fa utilitá al proximo, nella quale utilitá mostra l’amore che ha a me.
Ora ti dico che nel proximo pruova in se medesimo la virtú della pazienzia nel tempo della ingiuria
che riceve da lui. E pruova l’umilità nel superbo, e pruova la fede ne l’infedele, e pruova la vera
speranza in colui che none spera, e la giustizia nello ingiusto, e la pietà nel crudele, e la
mansuetudine e benignità ne l’ iracundo.
Tucte le virtú si pruovano e parturiscono nel proximo, si come gl’ iniqui parturiscono ogni
vizio nel proximo loro. Se tu vedi bene, dumilità è provata nella superbia: cioè che l’umile spegne la
superbia, però che ‘l superbo non può fare danno a l’umile; né la infidelità dello iniquo uomo, che
non ama né spera in me, a colui che è fedele a me non diminuisce né la fede, né la speranza in colui
che l’ha conceputa in sé per amore di me: anco la fortifica e la pruova nella dileczione de l’amore
del proximo. Ché conciosiacosa che egli el vegga infedele e senza speranza in me e in lui (ché colui
che non ama me non può avere fede né speranza in me, anco la pone nella propria sensualità, la
quale egli ama), el servo fedele mio non lassa però che fedelmente non l’ami e che sempre con
esperanza non cerchi in me la salute sua. Si che vedi che nella loro infidelità e mancamento di
speranza pruova la virtú della fede. In questo e ne l’altre cose nelle quali è bisogno di provarla, egli
la pruova in sé e nel proximo suo.
E cosi la giustizia non diminuisce per le sue ingiustizie, anco dimostra di provare la
giustizia, cioè che dimostra che egli è giusto per la virtú della pazienzia; come la benignità e
mansuetudine nel tempo de l’ira si manifesta con la dolce pazienzia; e la invidia, dispiacimento e
odio con la dileczione della carità, fame e desiderio della salute de l’anime.
Anco ti dico che non tanto che si pruovi la virtú in coloro che rendono bene per male, ma Io
ti dico che spesse volte gictarà carboni accesi di fuoco di carità, ci quale dissolve e l’odio e il
rancore del cuore e della mente de l’ iracundo; e da odio torna spesse volte a benivolenzia. E questo
è per la virtú della caritá e perfecta pazienzia che è in colui che sostiene l’ira de l’iniquo, portando e
sopportando e’ difecti suoi.
Se tu raguardi la virtú della fortezza e perseveranzia, ella è provata nel molto sostenere, nelle
ingiurie e detraczioni degli uomini, e’ quali spesse volte, quando per ingiuria e quando con lusinghe,
il vogliono ritrare da seguitare la via e doctrina della veritá, in tucto è forte e perseverante se la virtú
della fortezza è dentro conceputa; alora la pruova nel proximo, come decto t’ho. E se ella, al tempo
che è provata con molti contrari, non facesse buona pruova, non sarebbe virtú in veritá fondata.
DE LA DISCREZIONE
IX. Qui comincia el trattato de la discrezione. E prima, come l’affetto non si die
ponere principalmente ne la penitenzia ma ne le virtú. E come la discrezione
riceve vita da l’umilita, e come rende ad ciascuno el debito suo.
— Queste sonno le sancte e dolci operazioni che io richieggio da’ servi miei: ciò sonno
queste virtú intrinseche de l’anima, provate come detto ho; non solamente quelle virtú che si fanno
con lo strumento del corpo, cioè con atto di fuore o con diverse e varie penitenzie, le quali sonno
strumento di virtú, ma non virtú. Ché se solo fusse questo, senza le virtú di sopra contiate, poco
sarebbe piacevole a me: anco, spesse volte, se l’anima non facesse la penitenzia sua discretamente,
cioè che l’affetto suo fusse principalmente posto nella penitenzia cominciata, impedirebbe la sua
perfeczione. Ma debbalo ponere ne l’affetto de l’amore, con odio sancto di sé, e con vera umilità e
perfetta pazienzia, e ne l’altre virtú intrinseche de l’anima, con fame e desiderio del mio onore e
salute de l’anime. Le quali virtú dimostrano che la volontà sia morta, e continuamente s’uccide
sensualmente per affetto d’amore di virtú.
Con questa discrezione debba fare la penitenzia sua: cioè di pònare il principale affetto nelle virtú
piú che nella penitenzia. La penitenzia die fare come strumento per augmentare la virtú, secondo
che è bisogno e che si vede di potere fare secondo la misura della sua possibilità. In altro modo,
cioè facendo il fondamento sopra la penitenzia, impedirebbe la sua perfeczione, perché non sarebbe
fatta con lume di cognoscimento di sé e della mia bontá discretamente. E non pigliarebbe la veritá
mia, ma indiscretamente farebbe, non amando quello (22) che Io piú amo e odiando quello che Io
piú odio. Ché « discrezione» non è altro che uno vero cognoscimento che l’anima debba avere di sé
e di me; in questo cognoscimento tiene le sue radici.
Ella è uno figliuolo che è innestato e unito con la caritá. È vero che ha molti figliuoli, si
come uno arbore che abbi molti rami; ma quello che dá vita a l’arbore e a’ rami è la radice se ella è
piantata nella terra de l’umilità (la quale è balia e nutrice della carità), dove egli sta innestato questo
figliuolo e arbore della discrezione. Ché altrementi non sarebbe virtú di discrezione e non
producerebbe fructo di vita, se ella non fusse piantata nella virtú de l’umilità, perché l’umilità
procede dal cognoscimento che l’anima ha di sé. E giá ti dixi che la radice della discrezione era uno
vero cognoscimento di sé e della mia bontá; unde subbito rende a ogniuno discretamente il debito
suo.
E principalmente il rende a me, rendendo gloria e loda al nome mio; e retribuisce a me le
grazie e i doni che vede e cognosce avere ricevuti da me. E a sé rende quello che si vede avere
meritato, cognoscendo sé non essere; e l’essere suo, el quale ha, cognosce avere avuto per grazia da
me; e ogni altra grazia, che ha ricevuta sopra l’essere, la retribuisce a me e non a sé. Parle essere
ingrata a tanti benefizi e negligente in non avere exercitato il tempo e le grazie ricevute, e però le
pare essere degna delle pene. Alora si rende odio e dispiacimento nelle colpe sue.
E questo fa la virtú della discrezione, fondata nel cognoscimento di sé con vera umilità. Ché
se questa umilità non fusse ne l’anima (come decto è), sarebbe indiscreta e non discreta. La quale
indiscrezione sarebbe posta nella superbia, come la discrezione è posta ne l’umilità. E però
indiscretamente, si come ladro, furarebbe l’onore a me e darebbelo a sé per propria reputazione; e
quello che è suo porrebbe a me, lagnandosi e mormorando de’ misteri miei e’ quali Io adoperasse in
lui o ne l’altre mie creature; d’ogni cosa si scandelizzarebbe in me e nel proximo suo.
El contrario che fanno coloro che hanno la virtú della discrezione: che, poi che hanno
renduto il debito che detto è a me e a loro, rendono poi al proximo il principale debito de l’affecto
della caritá e de l’umile e continua orazione. El quale debba rendere ciascuno l’uno a l’altro; e
rendeli debito di doctrina, di sancta e onesta vita per exemplo, consigliandolo e aitandolo secondo
che gli è di bisogno a la salute sua, come di sopra ti dixi.
In ogni stato che l’uomo è, o signore o prelato o subdito, se egli ha questa virtú, ogni cosa
che fa e rende al proximo suo fa discretamente e con affecto di carità, perché elle sonno legate e
innestate insieme e piantate nella terra della vera umilità, la quale esce del cognoscimento di sé.
X. Similitudine come la canta, l’umilita e la discrezione sono unite insieme; a la
quale similitudine l’anima si debba conformare.
— Sai come stanno queste tre virtú? come se tu avessi uno cerchio tondo posto sopra la
terra; e nel mezzo del cerchio escisse uno arbore con uno figliuolo dallato unito con lui. L’arbore si
notrica nella terra che contiene la larghezza del cerchio, ché se egli fusse fuore della terra, l’arbore
sarebbe morto e non darebbe fructo infino che non fusse piantato nella terra.
Or cosí ti pensa che l’anima è uno arbore facto per amore, e però non può vivere altro che
d’amore. È vero che, se ella non ha amore divino di perfecta carità, non produce fructo di vita ma di
morte. Conviensi che la radice di questo arbore, cioè l’affecto de l’anima, stia e non esca del cerchio
del vero cognoscimento di sé; el quale cognoscimento di sé è unito in me che non ho né principio né
fine, si come el cerchio che è tondo; ché quanto tu ti vai ravollendo dentro nel cerchio, non truovi
né fine né principio; e pure dentro vi ti truovi. Questo cognoscimento di sé e di me in sé, truova e
sta sopra (24) la terra della vera umilità; la quale è tanto grande quanto la larghezza del cerchio,
cioè il cognoscimento che ha avuto di sé,. unito in me come decto è. Ché altrimenti non sarebbe
cerchio senza fine né senza principio: anco avarebbe principio, avendo cominciato a cognoscere sé,
e finirebbe nella confusione se questo cognoscimento non fusse unito in me.
Alora l’arbore della caritá si nutrica ne l’umilità, mectendo il figliuolo dallato della vera
discrezione per lo modo che decto t’ho. El mirollo de l’arbore, cioè de l’affecto della caritá che è ne
l’anima, è la pazienzia; la quale è uno segno dimostrativo che dimostra me essere ne l’anima e
l’anima unita in me. Questo arbore cosí dolcemente piantato gicta fiori odoriferi di virtú, con molti e
divariati sapori; egli rende fructo di grazia a l’anima e fructo d’utilitá al proximo secondo la
sollicitudine di chi vorrà ricevere de’ fructi de’ servi miei. A me rende odore di gloria e loda al nome
mio; e cosí fa quello per che Io el creai, e da questo giogne al termine suo, cioè me, che so’ vita
durabile che non gli posso essere tolto se egli non vuole.
Tucti quanti e’ fructi che escono de l’arbore sonno conditi con la discrezione, perché sonno
uniti insieme, come detto t’ho.
XI. Come la penitenzia e gli altri exercizi corporali si debbono prendere per
strumento da venire a virtú e non per principale affecto. E del lume de la
discrezione in diversi altri modi e operazioni.
— Questi sonno e’ fructi e l’operazioni che Io richieggio da l’anima: la pruova delle virtú al
tempo del bisogno. E però ti dixi, se bene ti ricorda giá cotanto tempo, quando desideravi di fare
grande penitenzia per me, dicendo: — Che potrei io fare che io sostenesse pena per te? — E Io ti
risposi nella mente tua, dicendo: — Io so’ colui che mi dilecto di poche parole e di molte
operazioni; — per dimostrarti che non colui che solamente mi chiamará col suono della parola: —
Signore, Signore, io vorrei fare (25) cuna cosa per te; — né colui che per me desidera e vuole
mortificare il corpo con le molte penitenzie, senza uccidere la propria volontà, m’era molto a grado.
Ma Io volevo le molte operazioni del sostenere virilmente e con pazienzia, e l’altre virtú che
contiate t’ ho, intrinseche de l’anima, le quali tucte sonno operative, che aduoperano fructo di grazia.
Ogni altra operazione, posta in altro principio che questo, Io le reputo essere chiamare solo
con la parola, perché elle sonno operazioni finite. E Io, che so’ infinito, richieggio infinite
operazioni, cioè infinito affecto d’amore. Voglio che l’operazioni di penitenzia e d’altri exercizi, e’
quali sonno corporali, siano posti per strumento e non per principale affecto. Ché se fusse posto el
principale affecto ine, mi sarebbe data `cosa finita, e farebbe come la parola che, escita che è fuore
della bocca, non è piú; se giá la parola non escisse con l’affecto de l’anima, il quale concipe e
parturisce in veritá la virtú; cioè che l’operazione finita (la quale t’ho chiamata «parola ») fusse unita
con l’affecto della caritá. Alora sarebbe grata e piacevole a me, perché non sarebbe sola ma
accompagnata con la vera discrezione, usando l’operazioni corporali per strumento e non per
principale capo.
Non sarebbe convenevole che principio e capo si facesse solo nella penitenzia o in
qualunque acto di fuore corporale, ché giá ti dixi che elle erano operazioni finite. E finite sonno: si
perché elle sonno facte in tempo finito, e si perché alcuna volta si conviene che la creatura le lassi, o
che elle gli sieno facte lassare. Quando le lassa per necessità di non potere fare quello acto che ha
cominciato, per diversi accidenti che gli vengono, o per obbedienzia che sarà comandato dal prelato
suo, che facendole, non tanto che egli meritasse, ma egli offendarebbe. Si che vedi che elle sonno
finite. Debba dunque pigliare per uso e non per principio; ché, pigliandole per principio, di bisogno
è che in alcuno tempo le lassi, e l’anima alora rimane vòta.
E questo vi mostrò il glorioso Pavolo mio banditore quando dixe nella epistola sua che voi
mortificaste il corpo e uccideste (26) la propria volontà: cioè sapere tenere a freno il corpo,
macerando la carne, quando volesse inpugnare contra lo spirito; ma la volontà vuole essere in tutto
morta e abnegata e sottoposta a la volontà mia. La quale volontà s’uccide con quello debito che Io ti
dixi che la virtú della discrezione rendeva a l’anima: cioè odio e dispiacimento de l’offese e della
propria sensualità, il quale acquistò nel cognoscimento di sé.
Questo è quello coltello che uccide e taglia ogni proprio amore fondato nella propria
volontà. Or costoro sonno quegli che non mi dànno solamente parole ma molte operazioni. Dicendo
« molte» non ti pongo numero, perché l’affetto de l’anima fondato in carità, che dá vita a tutte le
virtú, debba giognere in infinito. E none schifo però la parola, ma dixi ch’ Io volevo poche parole,
mostrandoti che ogni operazione actuale era finita, e però le chiamai « poche»; ma pure mi
piacciono quando sonno poste per strumento di virtú e non per principale virtú.
E però non debba veruno dare giudicio di ponere maggiore perfeczione nel grande penitente,
che si dá molto a uccidere il corpo suo, che in colui che ne fa meno; però che, come Io t’ho detto,
none sta ine la virtú né il merito loro; però che male ne starebbe chi non può fare, per legiptime
cagioni, operazione e penitenzia actuale; ma sta solo nella virtú della carità, condita col lume della
vera discrezione, però che altrimenti non varrebbe. E questo amore la discrezione il dá senza fine e
senza modo verso di me, però che so’ somma e etterna veritá; non pone legge né termine a l’amore
col quale egli ama me, ma bene il pone con, modo e con caritá ordinata verso ci proximo suo.
El lume della discrezione, la quale esce della carità, come detto t’ho, dá al proximo amore
ordinato, cioè con ordinata caritá che non fa danno di colpa a sé per fare utilitá al proximo. Ché se
uno solo peccato facesse per campare tutto il mondo de lo ‘nferno, a per adoperare una grande virtú,
non sarebbe caritá ordinata con discrezione: anco sarebbe indiscreta, perché licito non è di fare una
grande virtú e utilitá al proximo con colpa di peccato. Ma la discrezione sancta è ordinata in questo
(27) modo: che l’anima tutte le potenzie sue dirizza a servire me virilmente con ogni sollicitudine, e
il proximo ama con affetto
D’amore ponendo la vita del corpo per salute de l’anime, se fusse possibile, mille volte;
sostenendo pene e tormenti perché abbi vita di grazia. E la substanzia sua temporale pone in utilitá
ed in sovenimento del corpo del proximo suo.
Questo fa el lume della discrezione che esce della caritá. Si che vedi che discretamente rende
e debba rendere, ogni anima che vuole la grazia, a me amore infinito e senza modo, e al proximo
(col mio amore infinito) amare lui con modo e caritá ordinata, come detto t’ho, non rendendo male
di colpa a sé per utilitá altrui. E di questo v’amuní sancto Pavolo quando disse che la carita si debba
prima muovere da sé; altrimenti non sarebbe utilitá altrui d’utilitá perfetta. Ché quando la
perfeczione non è ne l’anima, ogni cosa è imperfetta: e ciò che aduopera e in sé e in altrui. Non
sarebbe cosa convenevole che per salvare le creature, che sonno finite e create da me, fussi offeso
lo, che so’ Bene infinito; piú sarebbe grave solo quella colpa, e grande, che non sarebbe il frutto che
farebbe per quella colpa.
Si che colpa di peccato in veruno modo tu non debbi fare; la vera caritá il cognosce, perché
ella porta seco ci lume della sancta discrezione. Ella è quello lume che dissolve ogni tenebre, e tolle
la ignoranzia, e ogni virtú condisce; e ogni strumento di virtú actuale è condito dá lei. Ella ha una
prudenzia che non può essere ingannata; ella ha una fortezza che non può essere venta; ella ha una
perseveranzia grande infino al fine che tiene dal cielo a la terra, cioè dal cognoscimento di me al
cognoscimento di sé; da la caritá mia a la caritá del proximo. Con vera umilità campa e passa tutti e’
lacciuoli del dimonio e delle creature con la prudenzia sua. Con la mano disarmata, cioè col molto
sostenere, ha sconfitto ci dimonio e la carne con questo dolce e glorioso lume, perché con esso
cognobbe la sua fragilità, e cognoscendola le rende il debito de l’odio. Ha conculcato ci mondo e
messoselo sotto e’ piei de l’affetto. Spregiandolo e tenendolo a vile n’è facto signore, facendosene
beffe.
E però gli uomini del mondo non possono tollere le virtu de l’anima; ma tutte le loro
persecuzioni sonno acrescimento e provamento della virtú. La quale prima è conceputa per affetto
d’amore, come detto è, e poi si pruova nel proximo e si parturisce sopra di lui. E cosí t’ho mostrato
che, se ella non si vedesse e rendesse lume al tempo della pruova dinanzi da l’uomo, non sarebbe
veritá che la virtú fusse conceputa. Perché giá ti dixi e hotti manifestato che virtú non può essere,
che sia perfetta, che dia frutto, senza el mezzo del proximo. Se non come la donna che ha conceputo
in sé il figliuolo, che se ella non il parturisce che venga dinanzi a l’occhio della creatura, non si
reputa lo sposo d’avere figliuolo; cosí lo che so’ sposo de l’anima, se ella non parturisce il figliuolo
della virtú nella caritá del proximo, mostrandolo, secondo che è di bisogno, in comune e in
particulare, si come Io ti dixi; dico che in veritá non avara conceputa la virtú in sé. E tosi dico el
vizio che tutti si commettono col mezzo del proximo.
XII. Repetizione d’alcune cose gia dette, e come Dio promette refrigerio a’ servi
suoi e la reformazione de la sancta Chiesa col mezzo del molto sostenere.
— Ora hai veduto che Io, Verità, t’ho mostrata la veritá e la dottrina per la quale tu venga e
conservi la grande perfeczione. E anco t’ho dichiarato in che modo si satisfa la colpa e la pena, in te
e nel proximo tuo, dicendoti che la pena che sostiene la creatura mentre che è nel corpo mortale,
non è sofficiente la pena in se sola a satisfare la colpa e la pena, se giá ella non fusse unita con
l’affetto della caritá e con la vera contrizione e dispiacimento del peccato, come detto t’ho.
Ma la pena alora satisfa quando è unita la pena con la carità: non per virtú di veruna pena
attuale che si sobstenga, ma per virtú della caritá e dolore della colpa commessa. La quale (29)
caritá è acquistata col lume de l’intelletto, con cuore schietto e liberale raguardando in me, obietto,
che so’ essa caritá. Tucto questo t’ho mostrato perché tu mi dimandavi di volere portare. Rottelo
mostrato acciò che tu e gli altri servi miei sappiate in che modo e come dovete fare sacrifizio di voi
a me. Sacrifizio, dico, attuale e mentale unito insieme, si come è unito el vasello con l’acqua che si
presenta al Signore: ché l’acqua senza il vasello non si potrebbe presentare; el vaso senza l’acqua,
portandolo, non sarebbe piacevole a lui. Cosí vi dico che voi dovete offerire a me il vasello delle
molte fadighe attuali per qualunque modo lo ve le concedo; non eleggendo voi né luogo né tempo
né fadighe a modo vostro, ma a mio. Ma questo vasello debba essere pieno, cioè portandole tutte
con affetto d’amore e con vera pazienzia; portando e sopportando e’ difectí del proximo vostro con
odio e dispiacimento del peccato. Alora si truovano queste fadighe (le quali t’ho poste per uno
vasello) piene de l’acqua della grazia mia, la quale dà vita a l’anima; alora lo ricevo questo presente
da le dolci spose mie, cioè da ogni anima che mi serve. Ricevo, dico, da loro gli anxietati desidèri,
lagrime e sospiri loro, umili e continue orazioni; le quali cose sono tutte uno mezzo che, per l’amore
che lo l’ho, placano l’ira mia sopra e’ nemici miei de gl’ iniqui uomini che tanto m’offendono.
Si che sostiene virilmente infino alla morte; e questo mi sarà segno che voi in verità
m’amiate. E non dovete vòllere il capo indietro a mirare l’aratro per timore di veruna creatura né per
tribolazioni: anco nelle tribolazioni godete. El mondo si rallegra facendovi molta ingiuria, e voi sète
contristati nel mondo per le ingiurie e offese che mi vedete fare, per le quali offendendo me
offendono voi; e offendendo voi offendono me, perché so’facto una cosa con voi. Ben vedi tu che
avendovi data la imagine e similitudine mia, e perdendo voi la grazia per lo peccato, per réndarvi la
vita della grazia unii la mia natura in voi, velandola della vostra umanità. E cosí, essendo voi
imagine mia, presi la imagine vostra, prendendo forma umana.
Si che Io so’ una cosa con voi, se giá l’anima non si diparte da me per la colpa del peccato
mortale. Ma chi m’ama sta in me, e Io in lui; e però el mondo il perseguita, perché ‘l mondo non ha
conformità con meco; e però perseguitò l’unigenito mio Figliuolo infino a l’obrobriosa morte della
croce. E cosí fa a voi: egli vi perseguita e perseguitarà in fino a la morte perché me non ama; ché se
‘l mondo avesse amato me, e voi amarebbe. Ma rallegratevi, ché l’allegrezza vostra sarà piena in
celo.
Anco ti dico che quanto ora abondarà piú la tribolazione nel corpo mistico della sancta
Chiesa, tanto abondarà piú in dolcezza ed in consolazione. E questa sarà la dolcezza sua: la
reformazione de’ sancai e buoni pastori, e’ quali sonno fiori di gloria, cioè che rendono gloria e loda
al nome mio, rendendomi odore di virtú fondate in veritá. E questa è la reformazione de’ fiori
odoriferi dei miei ministri e pastori. Non che abbi bisogno il frutto di questa sposa d’essere
riformato, perché non diminuisce né si guasta mai per li difetti de’ ministri. Si che rallegratevi, tu e’l
padre de l’anima tua e gli altri miei servi, ne l’amaritudine; ché Io, Verità etterna, v’ho promesso di
darvi refrigerio, e doppo l’amaritudine vi darò consolazione (col molto sostenere) nella
reformazione della sancta Chiesa.
XIII. Come questa anima per la responsione divina crebbe insiememente e
manca in amaritudine; e come fa orazione a Dio per la Chiesa sancta sua e per lo
popolo suo.
Alora l’anima anxietata e affocata di grandissimo desiderio, conceputo ineffabile amore nella
grande bontá di Dio, cognoscendo e vedendo la larghezza della sua caritá che con tanta dolcezza
aveva degnato di rispondere a la sua petizione, e di satisfare dandole speranza a l’amaritudine, la
quale aveva conceputa per l’offesa di Dio e danno della sancta Chiesa e miseria (31) sua propria (la
quale vedeva per cognoscimento di sé), mitigava l’amaritudine, e cresceva l’amaritudine; perché
avendole il sommo ed etterno Padre manifestata la via della perfeczione e nuovamente le mostrava
l’offesa sua e il danno de l’anime, si come di sotto dirò piú distesamente.
Perché nel cognoscimento che l’anima fa di sé, cognosce meglio Dio, cognoscendo la bontá
di Dio in sé; e nello specchio dolce di Dio cognosce la dignità e la indegnità sua medesima: cioè la
dignità della creazione, vedendo sé essere imagine di Dio e datole per grazia e non per debito. E
nello specchio della bontá di Dio dico che cognosce l’anima la sua indegnità nella quale è venuta
per la colpa sua. Però che come nello specchio meglio si vede la macula della faccia de l’uomo
specchiandosi dentro nello specchio, cosí l’anima che, con vero cognoscimento di sé, si leva per
desiderio con l’occhio de l’intelletto a raguardarsi nello specchio dolce di Dio, per la purità, che
vede in lui, meglio cognosce la macula della faccia sua.
E perché el lume e il cognoscimento era maggiore in quella anima per lo modo detto, era
cresciuta una dolce amaritudine, ed era scemata l’amaritudine. Era scemata per la speranza che le
die’ la prima Verità; e si come il fuoco cresce quando gli è data la materia, cosí crebbe il fuoco in
quella anima per sí facto modo che possibile non era a corpo umano a potere sostenere che l’anima
non si partisse dal corpo. Unde, se non che era cerchiata di fortezza da Colui che è somma fortezza,
non l’era possibile di camparne mai.
Purificata l’anima dal fuoco della divina carità, la quale trovò nel cognoscimento di sé e di
Dio, e cresciuta la fame con la speranza della salute di tutto quanto el mondo e della reformazione
della sancta Chiesa, si levò con una sicurtà dinanzi al sommo Padre, avendole mostrato la lebbra
della sancta Chiesa e la miseria del mondo, quasi con la parola di Moisé dicendo:
— Signore mio, vòlle l’occhio della tua misericordia sopra el popolo tuo e sopra el corpo
mistico della sancta Chiesa; però che piú sarai tu gloriato di perdonare a tante creature e dar lo’
lume di cognoscimento (ché tutte ti rendarebbero laude (32) vedendosi campare per la tua infinita
bontá da la tenebre del peccato mortale e da l’etterna dampnazione) che tu non sarai Solamente di
me miserabile che tanto t’ ho offeso e la quale so’ cagione e strumento d’ogni male. E però ti prego,
divina etterna carità, che tu facci vendetta di me e facci misericordia al popolo tuo. Mai dinanzi ala
presenzia tua non mi partirò infino che io vedrò che tu lo’ facci misericordia.
E che sarebbe a me che io vedesse me avere vita e il popolo tuo la morte? e che la tenebre si
levasse nella sposa tua, che è essa luce, principalmente per li miei difetti e de l’altre
tue creature? Voglio dunque, e per grazia tel dimando, che abbi misericordia al popolo tuo per la
caritá increata che mosse te medesimo a creare l’uomo a la imagine e similitudine tua dicendo:
«Facciamo l’uomo a la imagine e similitudine nostra ». E questo facesti volendo tu, Trinitá etterna,
che l’uomo participasse tutto te, alta, etterna Trinitá. Unde gli desti la memoria perché ritenesse i
benefizi tuoi, nella quale participa la potenzia di te, Padre etterno; e destili l’intelletto acciò che
cognoscesse, vedendo, la tua bontá e participasse la sapienzia de l’unigenito tuo Figliuolo; e destili
la volontà acciò che potesse amare quello che lo ‘ntellecto vide e cognobbe de la tua veritá
participando la clemenzia dello Spirito sancto.
Chi ne fu cagione che tu ponessi l’uomo in tanta dignità? L’amore inextimabile col quale
raguardasti in te medesimo la tua creatura e inamorastiti di lei, e però la creasti per amore e destile
l’essere acciò che ella gustasse e godesse il tuo etterno bene. Vego che per lo peccato commesso
perdette la dignità nella quale tu la ponesti; per la rebellione che fece a te cadde in guerra con la
clemenzia tua, cioè che diventammo nemici tuoi. Tu, mosso da quel medesimo fuoco con che tu ci
creasti, volesti ponere il mezzo a reconciliare l’umana generazione che era caduta nella grande
guerra, acciò che della guerra si facesse la grande pace. E destici el Verbo de l’unigenito tuo
Figliuolo, il quale fu tramezzatore fra noi e te.
Egli fu nostra giustizia che sopra di sé puní le nostre ingiustizie; e fece l’obbedienzia tua,
Padre etterno, la quale gli (33) ponesti quando el vestisti della nostra umanità, pigliando la natura e
imagine nostra umana. Oh abisso di carità! qual cuore si può difendere che non scoppi a vedere
l’altezza discesa a tanta bassezza quanta è la nostra umanità? Noi siamo imagine tua, e tu imagine
nostra per l’unione che hai fatta ne l’uomo, velando la Deitá etterna con la miserabile nuvila e massa
corrocta d’Adam. Chi n’è cagione? L’amore. Tu, Dio, se’ facto uomo, e l’uomo è facto Dio. Per
questo amore ineffabile ti costringo e prego che facci misericordia a le tue creature.
XIV. Come Dio si lamenta del popolo cristiano, e singularmente de’ ministri
suoi, toccando alcuna cosa del sacramento del Corpo di Cristo e del benefizio de
la Incarnazione.
Alora Dio, vollendo l’occhio della sua misericordia verso di lei, lassandosi costrignere a le
lagrime e lassandosi legare a la fune del sancto desiderio suo, lagnandosi diceva:
— Figliuola dolcissima, la lagrima mi costrigne perché è unita con la mia caritá ed è gittata
per amore di me; e léganomi e’ penosi desidèri vostri. Ma mira e vede come la sposa mia ha lordata
la faccia sua; come è lebbrosa per immondizia e amore proprio e infiata superbia e avarizia di
coloro che si pascono al petto suo, cioè la religione cristiana, corpo universale; e anco il corpo
mistico della sancta Chiesa; ciò dico de’ miei ministri, e’ quali sonno quelli che si pascono e stanno
alle mamelle sue. E non tanto che essi si pascano, ma essi hanno a pascere e tenere a queste
mamelle l’universale corpo del popolo cristiano e di qualunque altro volesse levarsi dalla tenebre
della infedelità e legarsi come membro nella Chiesa mia.
Vedi con quanta ignoranzia e con quanta tenebre e con quanta ingratitudine è ministrato, e
con mani inmonde, questo glorioso latte e Sangue di questa sposa? e con quanta presumpzione e
inreverenzia è ricevuto? E però quella cosa che dá (34) vita, spesse volte, per loro difecto, loro dá
morte, cioè il prezioso sangue de l’unigenito mio Figliuolo, el quale tolse la morte e la tènabre e
donò la luce e la veritá, e confuse la bugia.
Ogni cosa donò questo sangue e adoperò intorno a la salute e a compire la perfeczione ne
l’uomo, a chi si dispone a ricévare; ché, come dá vita e dota l’anima d’ogni grazia (poco e assai,
secondo la disposizione e affecto di colui che riceve), cosí dá morte a colui che iniquamente vive. Si
che da la parte di colui che riceve, ricevendolo indegnamente con la tenebre del peccato mortale, a
costui gli dá morte e non vita. Non per difecto del Sangue, né per difecto del ministro che fusse in
quello medesimo male o maggiore: però che’l suo male non guasta né lorda il Sangue, né
diminuisce la grazia e virtú sua, e però non fa male a colui a cui egli el dà; ma a se medesimo fa
male di colpa, alla quale gli séguita la pena se esso non si corregge con vera contrizione e
dispiacimento della colpa sua.
Dico dunque che fa danno a colui che ‘l riceve indegnamente, non per difecto del Sangue né
del ministro (come detto è), ma per la sua mala disposizione e difecto suo, che con tanta miseria e
immondizia ha lordata la mente e il corpo suo e tanta crudeltá ha avuta a sé e al proximo suo. A sé
l’ebbe tollendosi la grazia, conculcando sotto e’ piei de l’affetto suo el frutto del Sangue che trasse
del sancto baptesmo, essendoli giá tolta per virtú del Sangue la macchia del peccato originale, la
quale macchia trasse quando fu conceputo dal padre e dalla madre sua. E però donai el Verbo de
l’unigenito mio Figliuolo perché la massa de l’umana generazione era corrocta per lo peccato del
primo uomo Adam, e però tutti voi, vaselli fatti di questa massa, eravate corrotti e non disposti ad
avere vita etterna.
Unde per questo lo, altezza, unii me con la bassezza della vostra umanità: per remediare a la
corruczione e morte de l’umana generazione, e per restituirla a grazia, la quale per lo peccato perdé.
Non potendo Io sostenere pena (e della colpa voleva la divina mia giustizia che n’escisse la pena) e
non essendo sufficiente pure uomo a satisfare, che se egli avesse pure in alcuna (35) cosa satisfacto,
non satisfaceva altro che per sé e non per l’ altre creature che hanno in loro ragione (benché di
questa colpa né per sé né per altrui poteva egli satisfare, perché la colpa era facta contra me che so’
infinita bontá); volendo Io pure restituire l’uomo, el quale era indebilito e non poteva satisfare perla
cagione detta e perché era molto indebilito, mandai el Verbo del mio Figliuolo vestito di questa
medesima natura che voi, massa corrocta d’ Adam, acciò che sostenesse pena in quella natura
medesima che aveva offeso e, sostenendo sopra del corpo suo infino a l’obrobriosa morte della
croce, placasse l’ira mia.
E cosí satisfeci a la mia giustizia e saziai la divina mia misericordia, la quale misericordia
volse satisfare a la colpa de l’uomo e disponerlo a quel bene per lo quale lo l’avevo creato. Si che la
natura umana, unita con la natura divina, fu sufficiente a satisfare per tucta l’umana generazione,
non solo per la pena che sostenne nella natura finita, cioè della massa d’Adam, ma per la virtú della
Deitá etterna, natura divina infinita. Unita l’una natura ne l’altra, ricevecti e acceptai el sacrifizio del
sangue de l’unigenito mio Figliuolo, intriso e impastato con la natura divina col fuoco della divina
carità, la quale fu quello legame che ‘l tenne confitto e chiavellato in croce.
Or per questo modo fu sufficiente a satisfare la colpa la natura umana: solo per virtú della
natura divina. Per questo modo fu tolta la marcia del peccato d’ Adam, e rimase solo el segno, cioè
inchinamento al peccato e ogni difecto corporale. Si come la margine che rimane quando l’uomo è
guarito della piaga, cosí la colpa d’Adam la quale menò marcia mortale. Venuto el grande medico
de l’unigenito mio Figliuolo, curò questo infermo beiendo la medicina amara, la quale l’uomo bere
non poteva perché era molto indebilito. Egli fece come la baglia che piglia la medicina in persona
del figliuolo, perché ella è grande e forte, e il fanciullo non è forte a potere portare l’amaritudine. Si
che egli fu baglia, portando con la grandezza e fortezza della Deitá, unita con la natura vostra,
l’amara medicina della penosa morte della croce per sanare e dare vita a voi, fanciulli indebiliti per
la colpa.
Solo il segno rimase del peccato originale, el quale peccato contraete dal padre e dalla madre
quando sète concepirti da loro. Il quale segno si tolle da l’anima, benché nona tutto;
e questo si fa nel sancto baptesmo, el quale baptesmo ha virtú e dá vita di grazia in virtú di questo
glorioso e prezioso sangue. Subbito che l’anima ha ricevuto il sancto baptesmo, l’è tolto il peccato
originale ed èlle infusa la grazia. E lo inchinamento al peccato (che è la margine che rimane del
peccato originale, come detto è) indebilisce, e può l’anima rifrenarlo se ella vuole.
Alora el vasello de l’anima è disposto a ricévare e aumentare in sé la grazia, assai e poco,
secondo che piacerà a lei di volere disponere se medesima con affetto e desiderio di
volere amare e servire me. Cosí si può disponere al male come al bene, non obstante che egli abbi
ricevuta la grazia nel sancto baptesmo. Unde venuto el tempo de la discrezione, per lo libero arbitrio
può usare il bene e il male secondo che piace a la volontà sua. Ed è tanta la libertà che ha l’uomo, e
tanto è facto forte per la virtú di questo glorioso sangue, che né df lonfo egli né creatura il può
costregnere a una minima colpa piú che si voglia. Tolta gli fu la servitudine e facto libero, acciò che
signoreggiasse la sua propria sensualità e avesse il fine per lo quale era stato creato.
Oh miserabile uomo che si diletta nel loto come fa l’animale, e non ricognosce tanto
benefizio quanto ha ricevuto da me; piú non poteva ricevere la miserabile creatura piena di tanta
ignoranzia!
XV. Come la colpa è piú gravemente punita doppo la passione di Cristo che
prima, e come Dio promette di fare misericordia al mondo e a la sancta Chiesa
col mezzo dell’orazione e del patire de’ servi suoi.
— Voglio che tu sappi, figliuola mia, che per la grazia che hanno ricevuta avendoli ricreati
nel sangue de l’unigenito mio Figliuolo, e restituita a grazia l’umana generazione (si come detto
t’ho), non ricognoscendola, ma andando sempre di male (37) in peggio e di colpa in colpa, sempre
perseguitandomi con molte ingiurie e tenendo tanto a vile le grazie che Io l’ho fatte e fo, che non
tanto che essi se la rechino a grazia, ma e’ lo’ pare ricevere alcuna volta da me ingiuria, né piú né
meno come se lo volesse altro che la loro sanctificazione; dico che lo’ sarà piú duro, e degni saranno
di maggiore punizione. E cosí saranno piú puniti ora, poi che hanno ricevuta la redempzione del
sangue del mio Figliuolo, che innanzi la redempzione, cioè innanzi che fusse tolta via la marcia del
peccato d’Adam. Cosa ragionevole è che chi piú riceve, piú renda e piú sia tenuto a colui da cui egli
riceve.
Molto era tenuto l’uomo a me per l’essere che Io gli avevo dato, creandolo a la imagine e
similitudine mia. Era tenuto di rendermi gloria, ed egli me la tolse e volsela dare a sé; per la qual
cosa trapassò l’obedienzia mia imposta a lui e diventommi nemico. Ed Io con l’umilità destruxi la
superbia sua, umiliando la natura divina e pigliando la vostra umanità; cavandovi dalla servitudine
del dimonio, fecivi liberi; e non tanto che Io vi desse libertà, ma, se tu vedi bene, l’uomo è facto
Dio, e Dio è facto uomo per l’unione della natura divina nella natura umana.
Questo è uno debito il quale hanno ricevuto, cioè il tesoro del Sangue, dove essi sonno
ricreati a grazia. Si che vedi quanto essi sono piú obligati a rendere a me doppo la redempzione che
inanzi la redempzione. Sonno tenuti di rendere gloria e loda a me, seguitando le vestigie della
Parola incarnata de l’unigenito mio Figliuolo, e alora mi rendono debito d’amore di me e dileczione
del proxitno con vere e reali virtú, si come di sopra ti dixi. Non facendolo (perché molto mi
debbono amare), caggiono in maggiore offesa; e però Io per divina giustizia lo’ rendo piú gravezza
di pena dando lo’ l’esterna dampnazione. Unde molto ha piú pena uno falso cristiano che uno
pagano; e piú el consuma el fuoco senza consumare, per divina giustizia, cioè affigge, e affliggendo
si sentono consumare col vermine della coscienzia e nondimeno non consuma, perché i dampnati
non perdono l’essere per veruno tormento che ricevano. Onde lo ti dico che essi dimandano la morte
e non la (38) possono avere, perché non possono perdere l’essere. Perdéro l’essere della grazia per la
colpa loro; ma l’essere no. Si che la colpa è molto piú punita doppo la redempzione del Sangue che
prima, perché hanno piú ricevuto; e non pare che se n’aveggano né si sentano de’ mali loro. Essi mi
sonno fatti nemici, avendoli reconciliati col mezzo del sangue del mio Figliuolo.
Uno rimedio ci ha, col quale lo placarò l’ira mia: cioè col mezzo de’ servi miei, se solliciti
saranno di costrignermi con la lagrima e legarmi col legame del desiderio. Tu vedi che con questo
legame tu m’hai legato; il quale legame lo ti diei perché volevo fare misericordia al mondo. E però
do Io fame e desiderio ne’ servi miei verso l’onore di me e la salute de l’anime, acciò che, costretto
da le lagrime loro, mitighi el furore della divina mia giustizia.
Tolle dunque le lagrime e il sudore tuo e tra’ le della fontana della divina mia caritá tu e gli
altri servi miei; e con esse lavate la faccia a la sposa mia, ché Io ti prometto che con questo
mezzo le sarà renduta la bellezza sua. Non con coltello né con guerra né con crudeltá riavarà la
bellezza sua; ma con la pace ed umili e continue orazioni, sudori e lagrime, gittate con anxietato
desiderio de’ servi miei. E cosí adempirò el desiderio tuo con molto sostenere, gictando lume la
pazienzia vostra nella tenebre degl’iniqui uomini del mondo. E non temete perché ‘l mondo vi
perseguiti, ché lo sarò per voi, e in veruna cosa vi mancarà la mia providenzia.
XVI. Come questa anima cognoscendo piú de la divina bontá, non rimaneva
contenta di pregare solamente per lo popolo cristiano e per la sancta Chiesa, ma
pregava per tutto quanto el mondo.
Alora quella anima levandosi con maggiore cognoscimento, e con grandissima allegrezza e
conforto stando dinanzi a la divina Maestà, si per la speranza che ella avea presa della divina (39)
misericordia, e si per l’amore ineffabile il quale gustava vedendo che, per amore e desiderio che Dio
aveva di fare misericordia a l’uomo non obstante che fussero suoi nemici, avea dato il modo e la via
a’ servi suoi come potessero costregnere la sua bontá e placare l’ira sua, si rallegrava, perdendo ogni
timore nelle persecuzioni del mondo, vedendo che Dio fusse per lei. E cresceva forte il fuoco del
sancto desiderio, intanto che none stava contenta ma con sicurtà sancta dimandava per tutto quanto
el mondo.
E poniamo che nella seconda petizione si conteneva el bene e l’utilitá de’ cristiani e degli
infedeli, cioè nella reformazione della sancta Chiesa; nondimeno, come affamata, si stendea
l’orazione sua a tutto quanto el mondo (si come egli stesso la faceva dimandare), gridando: —
Misericordia, Idio etterno, verso le tue pecorelle, si come pastore buono che tu se’. Non indugiare a
fare misericordia al mondo, però che giá quasi pare che egli non possa .piú, perché al tutto pare
privato de l’unione della caritá inverso di te, Verità etterna, e verso di loro medesimi : cioè di non
amarsi insieme d’amore fondato in te.
XVII. Come Dio si lamenta de le sue creature razionali e maximamente per
l’amore proprio che regna in loro, confortando la predetta anima ad orazione e
lagrime.
Alora Dio, come ebbro d’amore verso la salute nostra, teneva modo d’accendere maggiore
amore e dolore in quella anima in questo modo: mostrando con quanto amore aveva creato l’uomo,
(si come di sopra alcuna cosa dicemmo), e diceva: — Or non vedi tu che ognituto mi percuote; e Io
gli ho creati con tanto fuoco d’amore e dotatigli di grazia; e molti, quasi infiniti doni ho dati a loro
per grazia e non per debito? Or vedi, figliuola, con quanti e diversi peccati essi mi percuotono, e
spezialmente col miserabile e abominevole amore proprio di loro medesimi, unde (40) procede ogni
male. Con questo amore hanno avelenato tutto quanto il mondo, però che come l’amore di me tiene
in sé ogni virtú parturita nel proximo (si com’ Io ti dimostrai), cosí l’amore proprio sensitivo, perché
procede da la superbia (come il mio procede da carità), contiene in sé ogni male. E questo male
fanno col mezzo della creatura, separati e divisi da la caritá del proximo, perché me non hanno
amato, né il proximo non amano, però che sonno uniti l’uno e l’altro insieme. E però ti dissi che ogni
bene e ogni male era facto col mezzo del proximo, si come lo, di sopra, questa parola ti spianai.
Molto mi posso lagnare de l’uomo che da me non ha ricevuto altro che bene, e a me dá odio
facendo ogni male. Perché Io ti dissi che con le lagrime de’ servi miei mitigarei l’ira mia; e cosí ti
ridico. Voi, servi miei, paratevi dinanzi con le molte orazioni e ansietati desidèri e dolore de l’offesa
che è facta a me, e della dannazione loro; e cosí mitigarete l’ira mia del divino giudicio.
XVIII. Come neuno può uscire de le mani di Dio, però che o egli vi sta per
misericordia o elli vi sta per giustizia.
— Sappi che veruno può escire delle mie mani: però che Io so’ Colui che so’; e voi non sète
per voi medesimi se non quanto sète fatti da me, il quale so’ Creatore di tutte le cose
che participano essere, excepto che del peccato che non è, e però non è facto da me e, perché non è
in me, non è degno d’essere amato. E però offende la creatura: perché ama quel che non debba
amare, cioè il peccato; e odia me che è tenuto e obligato d’amarmi, che so’ sommamente buono e
hogli dato l’essere con tanto fuoco d’amore. Ma di me non possono escire: o eglino ci stanno per
giustizia per le colpe loro, o essi ci stanno per misericordia. Apre dunque l’occhio de l’intelletto e
mira nella mia mano, e vedrai che egli è la veritá quel ch’ Io t’ho detto. —
Alora ella, levando l’occhio per obedire al sommo Padre, vedeva nel pugno suo rinchiuso
tucto l’universo mondo, dicendo Dio: — Figliuola mia, or vedi e sappi che veruno me ne può essere
tolto, però che tucti ci stanno o per giustizia o per misericordia, come decto è, perché sonno miei e
creati da me, e angoli ineffabilemente. E però, non obstanti le iniquità loro, Io lo’ farò misericordia
col mezzo de’ servi miei, e adempirò la petizione tua, che con tanto amore e dolore me l’hai
adimandata.
XIX. Come questa anima crescendo nell’amoroso fuoco desiderava di sudare di
sudore di sangue; e reprendendo se medesima faceva singulare orazione per lo
padre dell’anima sua.
Alora quella anima come ebbra e quasi fuore di sé, crescendo el fuoco del sancto desiderio,
stava quasi beata e dolorosa. Beata stava per l’unione che aveva facta in Dio, gustando la larghezza
e bontá sua, tucta annegata nella sua misericordia: e dolorosa era vedendo offendere tanta bontá. E
rendeva grazie a la divina Maiestà, quasi cognoscendo che Dio avesse manifestato e’ difecti delle
creature perché fusse costrecta a levarsi con piú sollicitudine e maggiore desiderio.
Sentendosi rinnovare il sentimento de l’anima nella Deitá etterna, crebbe tanto el sancto e
amoroso fuoco che il sudore de l’acqua, el quale ella gictava per la forza che l’anima faceva al corpo
(perché era piú perfetta l’unione che quella anima aveva fatta in Dio, che non era l’unione fra
l’anima e il corpo, e però sudava per forza e caldo d’amore), ella lo spregiava per grande desiderio
che aveva di vedere escire del corpo suo sudore di sangue; dicendo a se medesima: — O anima mia,
oimè ! tutto il tempo della vita tua hai perduto, e però sonno venuti tanti danni e mali nel mondo e
nella sancta Chiesa; molti, in comune e in particulare. E però lo voglio che tu ora rimedisca col
sudore del sangue. —
Veramente questa anima aveva bene tenuta a mente la dottrina che le die’ la Verità: di
sempre cognoscere sé e la bontá di Dio in sé; e il remedio che si voleva a rimediare tutto quanto el
mondo, a placare l’ira e il divino giudicio, cioè con umili, continue e sancte orazioni.
Alora questa anima, speronata dal sancto desiderio, si levava molto maggiormente aprendo
l’occhio de l’intelletto, e speculavasi nella divina carità, dove vedeva e gustava quanto siamo
tenuti d’amare e di cercare la gloria e loda del nome di Dio nella salute de l’anime. A questo vedeva
chiamati e’ servi di Dio. E singularmente chiamava ed eleggeva la Verità etterna ci padre de l’anima
sua, ci quale ella portava dinanzi a la divina bontá, pregandola che infondesse in lui uno lume di
grazia acciò che in veritá seguitasse essa Verità.
XX. Come senza tribolazioni portate con pazienzia non si può piacere a Dio; e
però Dio conforta lei e il padre suo a portare con vera pazienzia.
Alora Dio, rispondendo a la terza petizione, cioè della fame della salute sua, diceva:
— Figliuola, questo voglio: che egli cerchi di piacere a me, Verità, nella fame della salute de
l’anime, con ogni sollicitudine. Ma questo non potrebbe né egli né tu né veruno altro avere senza le
molte persecuzioni, sí come Io ti dixi di sopra, secondo ch’io ve le concedarò.
Si come voi desiderate di vedere il mio onore nella sancta Chiesa, cosí dovete concipere
amore a volere sostenere con vera pazienzia. E a questo m’avedrò, che egli e tu e gli altri miei servi
cercarete il mio onore in veritá. Alora sarà egli ci carissimo mio figliuolo, e riposarassi, egli e gli
altri, sopra ci petto de l’unigenito mio Figliuolo, del quale lo ho facto ponte perché tutti potiate
giognere al fine vostro e ricevere il frutto d’ogni vostra fadiga che avarete sostenuta per lo mio
amore. Si che portate virilemente.
XXI. Come, essendo rotta la strada d’andare al cielo per la disobedienzia
d’Adam, Dio fece del suo Figliuolo ponte per lo quale si potesse passare.
— E perché Io ti dixi che del Verbo de l’unigenito mio Figliuolo avevo facto ponte, e cosí è
la veritá, voglio che sappiate, figliuoli miei, che la strada si ruppe, per lo peccato e disobedienzia
d’Adam, per si facto modo che neuno potea giognere a vita durabile; e non mi rendevano gloria per
quel modo che dovevano, non participando quel bene per lo quale Io gli avevo creati a la imagine e
similitudine mia. E non avendolo, non s’adempiva la mia veritá. Questa veritá è che Io l’avevo
creato perché egli avesse vita etterna, e participasse me e gustasse la somma ed etterna dolcezza e
bontá mia. Per lo peccato suo non giogneva a questo termine, e questa veritá non s’adempiva. E
questo era però che la colpa aveva serrato ci cielo e la porta della misericordia mia.
Questa colpa germinò spine e tribolazioni con molte molestie; la creatura trovò ribellione a
se medesima subbito che ebbe ribellato a me; esso medesimo si fu ribello.
La carne impugnò subbito contra lo spirito, perdendo lo stato della innocenzia, e diventò animale
immondo. E tutte le cose create gli furono ribelle, dove in prima gli sarebbero state obedienti se egli
si fusse conservato nello stato dove Io el posi. Non conservandosi, trapassò l’obedienzia mia, e
meritò morte etternale ne l’anima e nel corpo.
E corse, disúbbito che ebbe peccato, uno fiume tempestoso che sempre ci percuote con
fonde sue, portando fadighe e molestie da sé, e molestie dal dimonio e dal mondo. Tutti annegavate,
perché veruno, con tutte le sue giustizie, non poteva giognere a vita etterna. E però Io, volendo
rimediare a tanti vostri mali, v’ho dato il ponte del mio Figliuolo, acciò che passando ci fiume non
annegaste. EI quale fiume è il mare tempestoso di questa tenebrosa vita.
Vedi quanto è tenuta la creatura a me! e quanto è ignorante a volersi pure annegare e non
pigliare il remedio ch’ Io l’ho dato!
XXII. Come Dio induce la predecta anima a raguardare la grandezza d’esso
ponte, cioè per che modo tiene da la terra al cielo.
— Apre l’occhio de l’intellecto e vedrai gli acciecati e ignoranti. E vedrai gl’ imperfecti e i
perfecti che in veritá seguitano me, acciò che tu ti doglia della dannazione degl’ignoranti e rallegriti
della perfeczione de’ dilecti figliuoli miei. Ancora vedrai che modo tengono quelli che vanno a lume
e quelli che vanno a tenebre. Ma innanzi voglio che raguardi el ponte de l’unigenito mio Figliuolo, e
vede la grandezza sua che tiene dal cielo a la terra, cioè raguarda che è unita con la grandezza della
Deitá la terra della vostra umanità. E però dico che tiene dal cielo a la terra, cioè per l’unione che Io
ho facta ne l’uomo.
Questo fu di necessità a volere rifare la via che era rocta, si come lo ti dixi, acciò che
giogneste a vita e passaste l’amaritudine del mondo. Pure, di terra non si poteva fare di tanta
grandezza che fusse sufficiente a passare il fiume e darvi vita etterna, cioè che pure la terra della
natura de l’uomo non era sufficiente a satisfare la colpa e tollere via la marcia del peccato d’Adam,
la quale marcia corruppe tucta l’umana generazione e trasse puzza da lei, si come di sopra ti dixi.
Convennesi dunque unire con l’altezza della natura mia, Deitá etterna, acciò che fusse sufficiente a
satisfare a tucta l’umana generazione: la natura umana sostenesse la pena, e la natura divina unita
con essa natura umana acceptasse il sacrifizio del mio Figliuolo, offerto a me per voi per tòllarvi la
morte e darvi la vita.
Si che l’altezza s’aumiliò a la terra, e della vostra umanità unita l’una con l’altra se ne fece
ponte, e rifece la strada. Perché si fece via? acciò che in veritá veniste a godere con (45) la natura
angelica; e non bastarebbe a voi ad avere la vita perché ‘l Figliuolo mio vi sia facto ponte, se voi
non teneste per esso.
XXIII. Come tutti siamo lavoratori messi da Dio a lavorare ne la vigna de la
sancta Chiesa. E come ciascuno ha la vigna propria da se medesimo; e come noi
tralci ci conviene essere uniti ne la vera vite del Figliuolo di Dio.
Qui mostrava la Verità etterna che elli ci aveva creati senza noi, ma non ci salvarà senza noi;
ma vuole che noi ci mettiamo la volontà libera, col libero arbitrio exercitando ci tempo con le vere
virtú. E però subgionse a mano a mano dicendo:
— Tucti vi conviene tenere per questo ponte, cercando la gloria e loda del nome mio nella
salute de l’anime, con pena sostenendo le molte fadighe, seguitando le vestigie di questo dolce ed
amoroso Verbo. In altro modo non potreste venire a me.
Voi sète miei lavoratori che v’ho messi a lavorare nella vigna della sancta Chiesa. Voi
lavorate nel corpo universale della religione cristiana; messi da me per grazia, avendovi Io dato ci
lume del sancto baptesmo. El quale baptesmo aveste nel corpo mistico della sancta Chiesa per le
mani de’ ministri, e’ quali lo ho messi a lavorare con voi.
Voi sète nel corpo universale, ed essi sonno nel corpo mistico, posti a pascere l’anime vostre,
ministrandovi ci Sangue ne’ sacramenti che ricevete da .lei, traendone essi le spine de’ peccati
mortali e piantandovi la grazia. Essi sonno miei lavoratori nella vigna de l’anime vostre, legati nella
vigna della sancta Chiesa.
Ogni creatura che ha in sé ragione ha la vigna per se medesima, cioè la vigna de l’anima sua;
della quale la volontà col libero arbitrio nel tempo n’è facto lavoratore, cioè mentre che elli vive. Ma
poi che è passato ci tempo, neuno lavorio può fare, né buono né gattivo; ma mentre che elli vive
può lavorare la vigna sua, nella quale Io l’ho messo. E ha ricevuta (46) tanta fortezza questo
lavoratore de l’anima che né dimonio né altra creatura gli ‘l può tollere se egli non vuole; però che
ricevendo el sancto baptesmo si fortificò e fugli dato un coltello d’amore di virtú, e odio del peccato.
El quale amore e odio truova nel Sangue, però che per amore di voi e odio del peccato mori
l’unigenito mio Figliuolo, dandovi el Sangue, per lo quale Sangue aveste vita nel sancto baptesmo.
Si che avete il coltello, el quale dovete usare col libero arbitrio, mentre che avete il tempo,
per divellere le spine de’ peccati mortali e piantare le virtú; però che in altro modo da essi lavoratori
che Io ho messi nella sancta Chiesa (de’ quali ti dixi che tollevano el peccato mortale della vigna de
l’anima e davanvi la grazia, ministrandovi el Sangue ne’ sacramenti che ordinati sonno nella sancta
Chiesa) non ricevareste el frutto del Sangue.
Conviensi dunque che prima vi leviate con la contrizione del cuore e dispiacimento del
peccato e amore della virtú; e alora ricevarete il frutto d’esso Sangue. Ma in altro modo noi potreste
ricevere, non disponendovi da la parte vostra come tralci uniti nella vite de l’unigenito mio
Figliuolo, el quale dixe: «Io so’ vite vera; el Padre mio è il lavoratore, e voi sète i tralci ». E cosí è la
veritá: che lo so’ il lavoratore, però che ogni cosa che ha essere è uscito ed esce di me. La potenzia
mia è inextimabile, e con la mia potenzia e virtú governo tutto l’universo mondo. Veruna cosa è
fatta o governata senza me. Si che Io so’ el lavoratore che piantai la vite vera de l’unigenito mio
Figliuolo nella terra della vostra umanità, acciò che voi, tralci uniti con la vite, faceste frutto.
E però chi non farà frutto di sancte e buone operazioni sarà tagliato da questa vite, e
seccarassi. Però che separato da essa vite perde la vita della grazia ed è messo nel fuoco etternale, sí
come il tralcio che non fa frutto, che è tagliato subbito dalla vite ed è messo nel fuoco perché non è
buono ad altro. Or cosí questi cotali tagliati per l’offese loro, morendo nella colpa del peccato
mortale, la divina giustizia (non essendo buoni ad altro) gli mette nel fuoco el quale dura
etternalmente.
Costoro non hanno lavorata la vigna loro; anco l’hanno disfatta, e la loro e l’altrui. Non solo
che ci abbino messa alcuna pianta buona di virtú; ma essi n’hanno tratto il seme della grazia, el
quale avevano ricevuto nel lume del sancto baptesmo, participando el sangue del mio Figliuolo, el
quale fu el vino che vi porse questa vite vera. Ma essi ne l’hanno tratto, questo seme, e datolo a
mangiare agli animali, cioè a diversi e molti peccati, e messolo sotto e’ piei del disordinato affetto,
col quale affetto hanno offeso me e facto danno a loro e al proximo.
Ma e’ servi miei non fanno cosí ; e cosí dovete fare voi, cioè essere uniti e innestati in questa
vite. E alora riportarete molto frutto, perché participarete de l’umore della vite. E stando nel Verbo
del mio Figliuolo state in me, perché lo so’ una cosa con lui ed egli con meco; stando in lui
seguitarete la dottrina sua; seguitando la sua dottrina participate della sustanzia di questo Verbo,
cioè participate della Deitá etterna unita ne l’umanità, traendone voi uno amore divino dove l’anima
s’ inebbria. E però ti dixi che participate della sustanzia della vite.
XXIV. Per che modo Dio pota i tralci uniti con la predetta vite, cioè i servi suoi,
e come la vigna di ciascuno è tanto unita con quella del proximo, che neuno può
lavorare o guastare la sua che non lavori o guasti quella del proximo.
— Sai che modo Io tengo poi ch’ e’ servi miei sonno uniti in seguitare la dottrina del dolce
ed amoroso Verbo? Io gli poto, acciò che faccino molto frutto, e il frutto loro sia provato e non
insalvatichisca. Si come il tralcio che sta nella vite, che il lavoratore il pota perché facci migliore
vino e piú; e quello che non fa frutto taglia e mette nel fuoco. E cosí fo lo lavoratore vero: e’ servi
miei che stanno in me lo gli poto con le molte tribolazioni, acciò che faccino piú frutto e migliore,
(48) e sia provata in loro la virtú. E quegli che non fanno fructo sono tagliati e messi al fuoco, come
detto t’ho.
Questi cotali sonno lavoratori veri, e lavorano bene l’anima loro, traendone ogni amore
proprio, rivoltando la terra de l’affecto loro in me. E nutricano e crescono ci seme della grazia, ci
quale ebbero nel sancto baptesmo. Lavorando la loro, lavorano quella del proximo, e non possono
lavorare l’una senza l’altra; e giá sai ch’ Io ti dixi che ogni male si faceva col mezzo del proximo e
ogni bene. Si che voi sète miei lavoratori, esciti di me, sommo ed etterno lavoratore, il quale v’ho
uniti e innestati nella vite per l’unione che lo ho fatta con voi.
Tiene a mente che tutte le creature che hanno in loro ragione hanno la vigna loro di per sé.
La quale è unita senza veruno mezzo col proximo loro, cioè l’uno con l’altro. E sonno tanto uniti che
veruno può fare bene a sé che noi facci al proximo suo, né male che non il faccia a lui. Di tutti
quanti voi è fatta una vigna universale, cioè di tutta la congregazione cristiana, e’ quali sète uniti
nella vigna del corpo mistico della sancta Chiesa, unde traete la vita.
Nella quale vigna è piantata questa vite de l’unigenito mio Figliuolo, in cui dovete essere
innestati. Non essendo voi innestati in lui, sète subito ribelli a la sancta Chiesa e sète come membri
tagliati dal corpo che subito imputridisce. È vero che, mentre che avete il tempo, vi potete levare da
la puzza del peccato col vero dispiacimento e ricórrire a’ miei ministri, e’ quali sonno lavoratori che
tengono , te chiavi del vino, cioè del Sangue uscito di questa vite. El quale Sangue è si facto e di
tanta perfeczione che, per veruno difetto del ministro, non vi può essere tolto ci fructo d’esso
Sangue.
El legame della caritá è quello che gli lega con vera umilità, acquistata nel vero
cognoscimento di sé e di me. Si che vedi che tutti v’ho messi per lavoratori. E ora di nuovo v’invito,
perché’l mondo giá viene meno, tanto sonno multiplicate le spine che hanno affogato ci seme, in
tanto che veruno fructo ai grazia vogliono fare.
Voglio dunque che siate lavoratori veri, che con molta sollicitudine aitiate a lavorare l’anime
nel corpo mistico della sancta Chiesa. A questo v’eleggo, perch’ Io voglio fare misericordia al
Inondo, per lo quale tu tanto mi preghi.
XXV. Come la predetta anima, doppo alcune laude rendute a Dio, el prega che le
mostri coloro che vanno per lo ponte predetto e quelli che non vi vanno.
Alora l’anima con ansietato amore diceva: — O inextimabile dolcissima carità, chi non
s’accende a tanto amore? Qual cuore si può difendere che non venga meno? Tu, abisso di carità,
pare che impazzi delle tue creature, come tu senza loro non potessi vivere, con ciò sia cosa che tu
sia lo Dio nostro che non hai bisogno di noi. Del nostro bene a te non cresce grandezza, però che tu
se’ immobile; del nostro male a te non è danno, però che tu se’ somma ed etterna bontá. Chi ti
muove a fare tanta misericordia? L’amore; e non debito né bisogno che tu abbi di noi, però che noi
siamo rei e malvagi debitori.
Se io veggo bene, somma, ed etterna Verità, io so’ ci ladro e tu se’ lo ‘npiccato per me;
perché veggo ci Verbo tuo Figliuolo confitto e chiavellato in croce, del quale m’hai facto ponte,
secondo che hai manifestato a me, miserabile tua serva. Per la quale cosa ci cuore scoppia, e non
può scoppiare per la fame e desiderio che è conceputo in te. Ricordomi che tu volevi mostrare chi
sono coloro che vanno per lo ponte, e chi non vi va. E però, se piacesse a la bontá tua di
manifestarlo, volontieri ci vedrei e l’udirei da te.
XXVI. Come questo benedetto ponte ha tre scaloni, per li quali si significano tre
stati dell’anima. E come questo ponte, essendo levato in alto, non é pera separato
da la terra. E come s’intende quella parola che Cristo dixe: “Se Io sarò levato in
alto, ogni cosa trarrò a me”.
Alora Dio etterno per fare piú inamorare e inanimare quella anima verso la salute de l’anime,
le rispose e dixe: — Prima ch’ Io ti mostri quel ch’Io ti voglio mostrare e di che tu mi dimandi, ti
voglio dire come il ponte sta.
Decto t’ho che egli tiene dal cielo a la terra: cioè per l’unione che Io ho fatta ne l’uomo, el
quale Io formai del limo della terra. Questo ponte, unigenito mio Figliuolo, ha in sé tre scaloni;
delle quali le due furono fabricate in sul legno della sanctissima croce, e la terza anco senti la
grande amaritudine quando gli fu dato bere fiele ed aceto.
In questi tre scaloni cognoscerai tre stati de l’anima, e’ quali Io ti dichiararò di sotto.
El primo scalone sonno e’ piei, e’ qualì significano l’affetto; però che come i piei portano el
corpo, cosí l’affetto porta l’anima. E’ piei confitti ti sonno scalone acciò che tu possa giognere al
costato, il quale ti manifesta el segreto del cuore. Però che salito in su’ piei de l’affetto, l’anima
comincia a gustare l’affetto del cuore, ponendo l’occhio de l’intelletto nel cuore aperto del mio
Figliuolo, dove truova consumato e ineffabile amore.
Consumato, dico, ché non v’ama per propria utilitá, però che utilitá a lui non potete fare,
però che egli è una cosa con meco. Alora l’anima s’empie d’amore, vedendosi tanto amare. Salito el
secondo, giogne al terzo, cioè a la bocca, dove truova la pace della grande guerra che prima aveva
avuta per le colpe sue.
Per lo primo scalone, levando e’ piei de l’affetto dalla terra, si spoglia del vizio; nel secondo
s’empí d’amore con virtú, e nel terzo gustò la pace.
Si che il ponte ha tre scaloni acciò che, salendo el primo e il secondo, potiate giognere a
l’ultimo. Ed è levato in alto si che, correndo l’acqua, non l’offende, però che in lui non fu veleno di
peccato.
Questo ponte è levato in alto, e non è separato però dalla terra. Sai quando si levò in alto?
Quando fu levato in sul legno della sanctissima croce, non separandosi però la natura divina dalla
bassezza della terra della vostra umanità; e però ti dixi che, essendo levato in alto, non era levato
dalla terra, perché ella era unita e impastata con essa. Non era veruno che sopra el ponte potesse
andare infino che egli non fu levato in alto; e però dixe egli: «Se Io sarò levato in alto, ogni cosa
tirarò a me ».
Vedendo la mia bontá che in altro modo non potavate essere tratti, manda’ lo perché fusse
levato in alto in sul legno della croce, facendone una ancudine dove si fabricasse il figliuolo de
l’umana generazione, per tollergli la morte e rivestirlo a la vita della grazia.
E però trasse ogni cosa a sé per questo modo, per dimostrare l’amore ineffabile che v’aveva,
perché’l cuore de l’uomo è sempre tratto per amore. Maggiore amore mostrare non vi poteva che
dare la vita per voi. Per forza dunque è tratto da l’amore, se giá l’uomo ignorante non fa resistenzia
in non lassarsi trare. Dixe dunque che, essendo levato in alto, ogni cosa trarrebbe a sé; e cosí è la
veritá.
E questo s’intende in due modi. L’uno si è che, tratto il cuore de l’uomo per affetto d’amore,
come detto t’ho, è tratto con tutte le potenzie de l’anima, cioè la memoria, l’ intelletto e la volontà.
Acordate queste tre potenzie e congregate nel nome mio, tutte l’altre operazioni che egli fa, attuali e
mentali, sonno traete piacevoli e unite in me per affetto d’amore, perché s’è levato in alto seguitando
l’amore crociato. Si che ben dixe veritá la mia Verità dicendo: «Se Io sarò levato in alto ogni cosa
trarrò a me », cioè che, tratto il cuore e le potenzie de l’anima, saranno tratte tutte le sue operazioni.
L’altro modo si è perché ogni cosa è creata in servigio dell’uomo. Le cose create sonno fatte
perché servano e sovengano (52) a la necessità delle creature; e non la creatura, che ha in sé
ragione, è fatta per loro: anco per me, acciò che mi serva con tutto el cuore e con tutto l’affetto suo.
Si che vedi che, essendo tratto l’uomo, ogni cosa è tratta, perché ogni cosa è fatta per lui.
Fu dunque di bisogno che ‘l ponte fusse levato in alto, e abbi le scale, acciò che si possa
salire con piú agevolezza.
XXVII. Come questo ponte é murato di pietre, le quali significano le vere e reali
virtú, e come in sul ponte è una bottiga, dove sì dú el cibo a’ viandanti; e come
chi tiene per lo ponte va ad vita, ma chi tiene di sotto per lo fiume, va ad
perdizione e ad morte.
— Questo ponte si ha le pietre murate acciò che, venendo la piova, non impedisca
l’andatore. Sai quali pietre sonno queste? sonno le pietre delle vere e reali virtú. Le quali pietre non
erano murate innanzi alla passione di questo mio Figliuolo, e però erano impediti che neuno poteva
giognere al termine suo, quantunque essi andassero per la via delle virtú. Non era ancora diserrato el
cielo con la chiave del Sangue, e la piova della giustizia non gli lassava passare.
Ma, poi che le pietre furono fatte e fabricate sopra el Corpo del Verbo del dolce mio
Figliuolo (di cui Io t’ho detto che è ponte), egli le mura e intride la calcina, per murarle, col Sangue
suo; cioè che ‘l Sangue è intriso con la calcina della Deitá e con la forza e fuoco della caritá.
Con la potenzia mia murate sonno le pietre delle virtú sopra lui medesimo, però che neuna
virtú è che nonísia provata in lui, e da lui hanno vita tutte le virtú. E però veruno può avere virtú,
che dia vita di grazia, se non da lui, cioè seguitando le vestigie e la dottrina sua. Egli ha maturate le
virtú, ed egli l’ha piantate come pietre vive, murate col Sangue suo, acciò che ogni fedele possa
andare expeditamente e senza veruno timore servile (53) piova della divina giustizia, perché è
ricoperto con misericordia. La quale misericordia discese di cielo nella Incarnazione di questo mio
Figliuolo. Con che s’aperse? con la chiave del sangue suo.
Si che vedi che ‘l ponte è murato, ed è ricoperto con la misericordia, e su v’è la bottiga del
giardino della sancta Chiesa, la quale tiene e ministra el Pane della vita, e dá bere il Sangue, acciò
ch’e’ viandanti peregrini delle mie creature, stanchi, non vengano meno nella via. E per questo ha
ordinato la mia caritá che vi sia ministrato el Sangue e ‘l Corpo de l’unigenito mio Figliuolo tutto
Dio e tutto uomo.
E passato el ponte, si giogne a la porta, la quale porta è esso ponte, per la quale tutti vi
conviene intrare. E però disse Egli: « Io so’ via, veritá e vita. Chi va per me non va per la tenebre,
ma per la luce ». E in uno altro luogo disse la mia Verità: che neuno poteva venire a me, se non per
lui; e cosí è la veritá.
E, se bene ti ricorda, cosí ti dixi e mostrato te l’ho, volendoti fare vedere la via. Unde, se Egli
dice che è via, egli è la veritá. E giá te l’ho mostrato che Egli è via in forma d’uno ponte. E dice che
è veritá, e cosí è, perciò che Egli è unito con meco che so’ veritá, e chi el séguita va per la veritá. Ed
è vita; e chi séguita questa vita riceve la vita della grazia e non può perire di fame, perché la Verità
vi s’è facto cibo.
Né può cadere in tenebre, perché Egli è luce, privato della bugia: anco con la veritá confuse
e destrusse la bugia del dimonio, la quale elli dixe ad Eva. La quale bugia ruppe la strada del cielo;
e la Verità l’ha racconcia e murata col Sangue. Quegli che seguiranno questa via sonno figliuoli
della Verità, perché seguitano la Verità, e passano per la porta della Verità, e truovansi in me unito
con la porta e via del mio Figliuolo, Verità etterna, mare pacifico. Ma chi non tiene per questa via,
tiene di sotto per lo fiume, la quale è via non posta con pietre, ma con acqua. E perché l’acqua non
ha ritegno veruno, nessuno vi può andare che non annieghi. Cosí sonno fatti e’ dilecti e gli stati del
mondo. E perché l’affetto non è posto sopra (54) la pietra, ma è posto con disordinato amore nelle
creature e nelle cose create, amandole e tenendole fuore di me, ed elle sonno fatte come l’acqua che
continuamente corre; cosí corre l’uomo come elleno, benché a lui pare che corrano le cose create
che egli ama, ed egli è pur elli che continuamente corre verso il termine della morte. Vorrebbe
tenere sé, cioè la vita sua e le cose che egli ama, che non corrissero venendoli meno o per la morte
che egli lassi loro, o per mia dispensazione che le cose create sieno tolte dinanzi alle creature.
Costoro seguitano la bugia tenendo per la via della bugia, e sonno figliuoli del dimonio, el quale è
padre delle bugie. E’ perché passano per la porta della bugia, ricevono etterna dannazione.
Si che vedi ch’ Io t’ho mostrata la veritá e mostrata la bugia: cioè la via mia che è veritá e
quella del dimonio che è bugia.
XXVIII. Come per ciascuna di queste due strade si va con fadiga, cioè per lo
ponte e per lo fiume. E del dilecto che l’anima sente in andare per lo ponte.
— Queste sonno due strade, e per ciascuna si passa con fadiga. Mira quanta è l’ignoranzia e
ciechità dell’uomo, che, essendoli fatta la via, vuole tenere per l’acqua. La quale via è di tanto
dilecto a coloro che vanno per essa, che ogni amaritudine lo’ diventa dolce e ogni grande peso lo’
diventa leggero. Essendo nella tenebre del corpo, truovano la luce; ed essendo mortali, truovano la
vita immortale, gustando per affetto d’amore, col lume della fede, la veritá etterna che promette di
dare refrigerio a chi s’affadiga per me, che so’ grato e cognoscenté, e so’ giusto, che a ogniuno rendo
giustamente secondo che merita; unde ogni bene è remunerato e ogni colpa punita.
El dilecto che ha colui che va per questa via non sarebbe la lingua tua sufficiente a poterlo
narrare, né l’orecchia a poterlo udire, né l’occhio a poterlo vedere; però che in questa vita gusta e
participa di quel bene che gli è apparecchiato nella (55) vita durabile. Bene è dunque macto colui
che schifa tanto bene, ed elegge innanzi, di gustare in questa vita l’arra de l’inferno, tenendo per la
via di sotto, dove va con molte fadighe e senza neuno refrigerio e senza veruno bene; però che per
lo peccato loro sonno privati di me che so’ sommo ed etterno Bene.
Bene hai dunque ragione di dolerti, e voglio che tu e gli altri servi miei stiate in continua
amaritudine de l’offesa mia compassione de l’ ignoranzia e danno loro, con la quale e
ignoranzia m’offendono.
Or hai veduto e udito del ponte come egli sta; e questo ho detto per dichiarare quello ch’ Io ti
dissi, che era ponte l’unigenito mio Figliuolo (e cosí vedi che è la veritá), facto per lo modo che Io
t’ho detto, cioè unita l’altezza con la bassezza.
XXIX. Come questo ponte, essendo salito al cielo el di de la Ascensione, non si
parti però di terra.
— Poi che l’unigenito mio Figliuolo ritornò a me, doppo la resurrexione quaranta di, questo
ponte si levò da la terra, cioè dalla conversazione degli uomini, e salse in cielo per la virtú della
natura mia divina, e siede da la mano dricta di me, Padre etterno. Si come disse l’angelo a’ discepoli
el di de l’Ascensione, stando quasi come morti perché i cuori loro erano levati in alto e saliti in celo
con la sapienzia del mio Figliuolo. Disse: «Non state piú qui, ché elli siede da la mano dricta del
Padre ».
Levato in alto e tornato a me Padre, lo mandai el Maestro, cioè lo Spirito sancto, el quale
venne con la potenzia mia e con la sapienzia del mio Figliuolo e con la clemenzia sua, d’esso Spirito
sancto. Egli è una cosa con meco Padre e col Figliuolo mio, unde fortificò la via della dottrina che
lassò la mia Verità nel mondo; e però, partendosi la presenzia, non si parti (56) la doctrina né le
virtú, vere pietre fondate sopra questa doctrina, la quale è la via che v’ha facto questo dolce e
glorioso ponte. Prima adoparò Egli, e con le sue operazioni fece la via, dando la doctrina a voi per
exemplo piú che per parole: anco prima fece che Egli dicesse.
Questa doctrina certificò la clemenzia dello Spirito sancto, fortificando le menti de’ discepoli
a confessare la veritá ed annunziare questa via, cioè la doctrina di Cristo crocifixo, ripren. dendo per
mezzo di loro el mondo delle ingiustizie e de’ falsi giudici. Delle quali ingiustizie e giudicio, di
socto piú distesamente ti narrarò.
Hocti decto questo acciò che ne le menti di chi ode non potesse cadere veruna tenebre che
obfuscasse la mente; cioè che volessero dire che di questo Corpo di Cristo se ne fece
ponte per l’unione della natura divina unita con la natura umana. Questo veggo che egli è la veritá.
Ma questo ponte si parti da noi salendo in celo. Egli ci era una via che c’insegnava la veritá vedendo
l’exemplo e i costumi suoi. Ora che ci è rimaso? e dove truovo la via? Dicotelo, cioè dico a coloro a
cui cadesse questa ignoranzia.
La via della doctrina sua, la quale Io t’ho decta, confermata dagli appostoli e dichiarata nel
sangue de’ martiri, illuminata con lume de’ doctori e confessata per li confessori, e tractane
la carta per li evangelisti, e’ quali stanno tucti come testimoni a confessare la veritá nel corpo
mistico della sancta Chiesa. Egli sonno come lucerna posta in sul candelabro, per mostrare la via
della veritá, la quale conduce a vita con perfecto lume, come decto t’ho. E come te la dicono? per
pruova: perché l’hanno provata in loro medesimi. Si che ogni persona è illuminata in conoscere la
veritá, se egli vuole (cioè che egli non si voglia tollere il lume della ragione col proprio disordinato
amore). Si che egli è veritá che la doctrina sua è vera, ed è rimasa come navicella a trare l’anima
fuore del mare tempestoso e conducerla ad porto di salute.
Si che in prima Io vi feci el ponte del mio Figliuolo, actuale, come decto ho, conversando
con gli uomini; e levato el ponte (57) actuale, rimase il ponte e la via della doctrina, come decto è,
essendo la doctrina unita con la potenzia mia, con la sapienzia
del Figliuolo e con la clemenzia dello Spirito sancto. Questa potenzia dá virtú di fortezza a chi
séguita questa via; la sapienzia gli dá lume che in essa via cognosce la veritá; lo Spirito sancto gli
dá amore, el quale consuma e tolle ogni amore proprio sensitivo fuore de l’anima, e solo gli rimane
l’amore delle virtú.
Si che in ogni modo, o actuale o per doctrina, Egli è via e veritá e vita. La quale via è il
ponte che vi conduce a l’altezza del cielo. Questo volse dire quando Egli dixe: « Io venni dal Padre,
e ritorno al Padre, e tornarò ad voi ». Cioè a dire: — El Padre mio mi mandò a voi, e hammi facto
vostro ponte, acciò che esciate del fiume e potiate giognere a la vita. — Poi dice: « E tornarò a voi.
Io non vi lassarò orfani, ma mandarovi el Paraclito ». Quasi dicesse la mia Verità: — lo n’andarò al
Padre e tornarò; cioè che, venendo lo Spirito sancto, il quale è decto Paraclito, vi mostrarà piú
chiaramente e vi confermatà me, via di veritá, cioè la doctrina che Io v’ho data. —
Dixe che tornarebbe, e Egli tornò, perché lo Spirito sancto non venne solo, ma venne con la
potenzia di me Padre, con la sapienzia del Figliuolo e con essa clemenzia di Spirito sancto. Vedi
dunque che torna: non actuale ma con la virtú, come decto è, fortificando la strada della doctrina; la
quale via e strada non può venire meno né essere tolta a colui che la vuole seguitare, perché ella è
ferma e stabile e procede da me che non mi muovo.
Adunque virilmente dovete seguitare la via, e senza alcuna nuvila ma col lume della fede, la
quale v’è data per principale vestimento nel sancto baptesmo.
Ora t’ho mostrato apieno e dichiarato el ponte actuale e la doctrina, la quale è una cosa
insieme col ponte. E ho mostrato a l’ignorante chi gli manifesta questa via che ella è veritá, e dove
stanno coloro che la ‘nsegnano; e dixi che erano gli appostoli, evangelisti, martiri e confessori e i
sancti doctori, posti nel luogo della sancta Chiesa come lucerna.
E hocti detto e mostrato come, venendo a me, egli tornò a voi, non presenzialmente ma con
la virtú, come detto t’ho, cioè venendo lo Spirito sancto sopra e’ discepoli. Però che presenzialmente
non tornarà se non ne l’ultimo di del giudicio, quando verrà con la mia maiestà e potenzia divina a
giudicare il mondo e a rendere bene a’ buoni e remunerarli delle loro fadighe, l’anima e il corpo
insieme, e rendere male di pena etternale a coloro che iniquamente sonno vissuti nel mondo.
Ora ti voglio dire quello che lo veritá ti promissi, cioè di mostrarti quegli che vanno
imperfettamente, e quegli che vanno perfettamente, e altri con la grande perfeczione, e ili che modo
vanno; e gli iniqui che con le iniquità loro s’aniegano nel fiume, giognendo a’ crociati tormenti.
Ora dico a voi, carissimi figliuoli miei, che voi teniate sopra el ponte e non di sotto, però che
quella non è la via della veritá: anco è quella della bugia, dove vanno gl’ iniqui peccatori, de’ quali
Io ora ti dirò. Questi sonno quegli peccatori, per li quali lo vi prego che voi mi preghiate e per li
quali Io vi richieggio lagrime e sudori acciò che da me ricevano misericordia.
XXX. Come questa anima, maravigliandosi de la misericordia di Dio, raconta
molti doni e grazie procedute da essa divina misericordia ad l’umana
generazione.
Alora quella anima, quasi come ebbra, non si poteva tenere; ma quasi stando nel cospetto di
Dio, diceva: — O etterna misericordia, la quale ricuopri e’ difetti delle tue creature, non mi
maraviglio che tu dica di coloro che escono del peccato mortale e tornano a te: « lo non mi
ricordarò che tu m’offendessi mai ». O misericordia ineffabile, non mi maraviglio che tu dica questo
a coloro che escono del peccato, quando tu dici di coloro che ti perseguitano: « Io voglio che mi
preghiate per loro, acciò che Io lo’ facci misericordia ».
O misericordia la quale esce della Deitá tua, Padre etterno, la quale governa con la tua
potenzia tutto quanto el mondo! Nella misericordia tua fummo creati: nella misericordia tua fummo
ricreati nel sangue del tuo Figliuolo. La misericordia tua ci conserva, la misericordia tua fece
giocare in sul legno della croce el Figliuolo tuo alle braccia, giocando la morte con la vita e la vita
con la morte. E alora la vita sconfisse la morte della colpa nostra, e la morte della colpa tolse la vita
corporale allo immaculato Agnello. Chi rimase vinto? la morte. Chi ne fu cagione? la misericordia
tua.
La tua misericordia dá vita. Ella dá lume per lo quale si conosce la tua clemenzia in ogni
creatura: ne’ giusti e ne’ peccatori. Ne l’altezza del cielo riluce la tua misericordia, cioè ne’ sancai
tuoi. Se io mi vollo a la terra, ella abonda della tua misericordia. Nella tenebre de l’inferno riluce la
tua misericordia, non dando tanta pena a’ dannati quanta meritano.
Con la misericordia tua mitighi la giustizia; per misericordia ci hai lavati nel Sangue; per
misericordia volesti conversare con le tue creature. O pazzo d’amore! non ti bastò d’incarnare, che
anco volesti morire? Non bastò la morte, che anco discendesti a lo ‘nferno traendone i santi padri,
per adempire la tua veritá e misericordia in loro? Però che la tua bontá promette bene a coloro che ti
servono in veritá. Imperò discendesti a limbo, per trare di pena chi t’aveva servito e rendar lo’ el
frutto delle loro fadighe.
La misericordia tua vego che ti costrinse a dare anco piú a l’uomo, cioè lassandoti in cibo,
acciò che noi, debili, avessimo conforto, e gl’ignoranti smemorati non perdessero la ricordanza de’
benefizi tuoi. E però el dài ogni di a l’uomo, rapresentandoti nel Sacramento de l’altare nel corpo
mistico della sancta Chiesa. Questo chi l’ha facto? la misericordia tua.
O misericordia, el cuore ci s’affoga a pensare di te, ché dovunque io mi vollo a pensare, non
truovo altro che misericordia, O Padre etterno, perdona a l’ ignoranzia mia che ho presumpto di
favellare innanzi a te; ma l’amore della tua misericordia me ne scusi dinanzi alla benignità tua.
XXXI. De la indignita di quelli che passano per lo fiume, di sotto al ponte decto;
e come l’anima, che passa di sotto, Dio la chiama arbore di morte, el quale tiene
le radici sue principalmente in quatro vizi.
Poi che quella anima col verbo della parola ebbe un poco dilatato el cuore nella misericordia
di Dio, umilemente aspectava che la promessa le fusse actenuta. E ripigliando Dio le sue parole
dicea: — Carissima figliuola, tu hai narrato dinanzi da me della misericordia mia, perché Io te la déi
a gustare e a vedere nella parola ch’ Io ti dissi, dicendo: « Costoro sonno coloro per li quali Io vi
prego che mi preghiate ». Ma sappi che, senza veruna comparazione, è piú la misericordia mia
verso di voi che tu non vedi, però che ‘l tuo vedere è imperfecto e finito, e la misericordia mia è
perfecta e infinita. Si che comparazione non ci si può ponere se non quella che è da la cosa finita a
la infinita.
Ho voluto che l’abbi gustata questa misericordia, e anco la dignità de l’uomo (la quale di
sopra ti mostrai), acciò che tu meglio conosca la crudeltá e la indegnità degl’ iniqui uomini che
tengono per la via di socto. Apre l’occhio de l’intelletto, e mira costoro che volontariamente
s’anniegano, e mira in quanta indegnità essi sonno caduti per le colpe loro.
Prima è che essi sonno diventati infermi: e questo si è quando conciepéro el peccato mortale
nelle menti loro, poi el parturiscono e perdono la vita della grazia. E come il morto, che veruno
sentimento può adoperare, né si muove da se medesimo se non quanto egli è levato da altrui, cosí
costoro, che sonno annegati nel fiume de l’amore disordinato del mondo, sonno morti a grazia. E
perché egli son morti, la memoria non ritiene il ricordamento della mia misericordia; l’occhio de
l’intelletto non vede né cognosce la mia veritá, perché ‘l sentimento è morto, cioè che lo ‘ntellecto
non s’ha posto dinanzi altro che sé, con (61) hanlore morto della propria sensualità. E però la
volontà ancora è morta a la volontà mia, perché non ama altro che cose morte. Essendo morte
queste tre potenzie, tutte l’operazioni sue e actuali e mentali sonno morte quanto che a grazia, e giá
non si può difendere da’ nemici suoi, né aitarsi per se medesimo se non quanto è aitato da me.
Bene è vero che ogni volta che questo morto, nel quale è rimaso solo el libero arbitrio,
mentre che egli è nel corpo mortale, dimanda l’aiutorio mio, el può avere; ma per sé non potrà mai.
Egli è facto incomportabile a se medesimo e, volendo signoreggiare il mondo, egli è signoreggiato
da quella cosa che non è, cioè dal peccato. El peccato è non cavelle, ed essi sonno facti servi e
schiavi del peccato.
Io gli feci arbori d’amore con vita di grazia, la quale ebbero nel sancto baptesmo; ed essi
sonno facti arbori di morte, perché sonno morti, come decto t’ho. Sai dove egli tiene la radice questo
arbore? ne l’altezza della superbia, la quale l’amore sensitivo proprio di loro medesimi notrica; el
suo merollo è la impazienzia, el suo figliuolo è la indiscrezione. Questi sonno quattro principali
vizi, che uccidono l’anima di colui el quale ti dixi che era arbore di morte, perché non hanno tracta
la vita della grazia. Dentro da l’arbore si notrica uno vermine di coscienzia; el quale, mentre che
l’uomo vive in peccato mortale, è acciecato dal proprio amore, e però poco el sente.
E’ fructi di questo arbore sonno mortali, perché hanno tracto l’umore dalla radice della
superbia; la tapinella anima è piena d’ingratitudine, unde le procede ogni male. E se ella fusse grata
de’ benefizi ricevuti, cognoscerebbe me; e cognoscendo me, cognoscerebbe sé; e cosí starebbe nella
mia dileczione. Ma ella, come cieca, si va attaccando pur per lo fiume, e non vede che l’acqua non
l’aspecta.
XXXII. Come e’ fructi di questo arbore tanto sono diversi quanto sono diversi e’
peccati. E prima del peccato de la carnalitade.
— Tanto sonno diversi e’ fructi di questo arbore che dànno morte, quanto sonno diversi e’
peccati. Alcuni ne vedi che sonno cibo da bestie, e questi sonno quegli che immondamente vivono,
facendo del corpo e della mente loro come il porco che s’ involle nel loto: cosí s’ invollono nel loto
della carnalità. O anima brucia, dove hai lassata la tua dignità? Tu eri fatta sorella degli angeli, ora
se’ fatta animale bruto, in tanta miseria che non tanto che sieno sostenuti da me, che so’ somma
purità, ma le dimonia, di cui essi sonno fatti amici e servi, non possono vedere commettere tanta
immondizia.
Veruno peccato è che tanto sia abominevole e tanto tolga el lume de l’intelletto, quanto
questo. Questo cognobbero e’ filosofi, non per lume di grazia, perché non l’avevano; ma la natura lo’
porgeva quello lume: cioè che questo peccato obfuscava lo ‘ntellecto; e però si conservavano nella
continenzia per meglio studiare. E anco le ricchezze le gictavano da loro, acciò che ‘l pensiere delle
ricchezze non l’occupasse il cuore. Non fa cosí lo ignorante falso cristiano, el quale ha perduta la
grazia per la colpa sua.
XXXIII. Come el frutto d’alcuni altri è l’avarizia. E de’ mali che procedono da
essa.
— Alcuni altri el frutto loro è di terra. Questi sonno e’ cupidi avari, e’ quali fanno come la
talpa che sempre si notrica della terra infino a la morte; e gionti a la morte non hanno rimedio.
Costoro con l’avarizia loro spregiano la mia larghezza, vendendo el tempo al proximo loro. Questi
sonno gli usurai che diventano crudeli e robbatori del proximo, perché nella memoria loro non
hanno el ricordamento della mia misericordia. Ché se essi l’ avesheroavuto, non sarebbero crudeli
né verso di loro né verso del o’ anco usarebbero pietà e misericordia a se medesimi, operando le
virtú, ‘e al proximo, sovenendolo caritativamente. Oh quanti sonno e’ mali che per questo maladecto
peccato vengono! Quanti omicidii e furti e rapine, con molti guadagni inliciti e crudeltá di morte e
ingiustizia del proximo 1 Uccide l’anima e falla diventare schiava delle ricchezze, unde non si cura
d’observare i comandamenti miei. Costui non ama persona se non per propria utilitá.
Questo vizio procede da la superbia e notrica la superbia. L’uno procede da l’altro, perché
porta sempre seco la propria reputazione, si che subbito giogne ne l’altro vizio, e cosí va di male in
peggio per la miserabile superbia, la quale è piena di pareri, ed è uno fuoco che sempre germina
fummo di vanagloria e di vanità. di cuore, gloriandosi di quello che non è loro; ed è una radice che
ha molti rami. El principale è la propria reputazione, unde esce il volere essere maggiore che ‘l
proximo suo, e parturisce il cuore fitto e none schietto né liberale, ma doppio che mostra una in
lingua e un’altra ha in cuore; e occulta la veritá, e dice la bugia per utilitá sua propria; e germina una
invidia, la quale è uno vermine che sempre rode e non gli lassa avere bene del suo bene proprio né
de l’ altrui.
Come daranno questi iniqui, posti in tanta miseria, della sustanzia loro a’ povarelli, quando
essi tolgono l’altrui? Come traranno la immonda anima della immondizia, quando essi ve la
mettono? che alcuna volta sonno tanto animali che le figliuole e i congionti loro non riguardano, ma
con essi caggiono in molta miseria. E nondimeno la mia misericordia gli sostiene, e non comando a
la terra che gl’inghiottisca, acciò che si ravegano delle colpe loro. Come dunque daranno la vita per
la salute de l’anime, quando non dànno la substanzia? come daranno la dileczione, quando essi si
rodono per invidia?
Oh miserabili vizi, e’ quali aterrano il cielo de l’anima! «Cielo » la chiamo, perch’ lo la feci
cielo, dove lo abitavo per (64) grazia celandomi dentro da lei, e facendo mansione per affetto
d’amore. Ora .s’è partita da me si come adultera, amando sé e le creature e le cose create piú che me:
anco di sé s’ha facto Dio, e me perseguita con molti e diversi peccati. E tutto questo fa perché non
ripensa el benefizio del Sangue sparto con tanto fuoco d’amore.
XXXIV. Come d’alcuni altri, e’ quali tengono stato di signoria, el loro fructo è
ingiustizia.
— Altri sonno e’ quali tengono el capo alto per signoria; nella quale signoria portano la
‘nsegna della ingiustizia, ingiustizia adoperando verso di me, Dio, e del proximo, e ingiustizia verso
di loro. Verso di loro non si rendono el debito della virtú, e inverso di me non mi rendono el debito
de l’onore, rendendo loda e gloria al nome mio, el quale sonno tenuti di rendere. Anco, come ladri,
furano quello che è mio e dannolo a la serva della propria sensualità, si che commette ingiustizia
verso di me e verso di sé, come aciecato e ignorante, non cognoscendo me in sé. Tutto è per l’amore
proprio, si come fecero e’ giuderi e ministri della Legge, che per la invidia e amore proprio
s’accecarono, e però non cognobbero la veritá de l’unigenito mio Figliuolo; e però non rendevano il
debito di cognoscere vita etterna che era fra loro, come dixe la mia Verità dicendo: « El regno di
Dio è tra voi ». Ma essi nol cognoscevano: perché? però che, per lo modo detto, aveano perduto el
lume della ragione, e per questo modo non rendevano il debito di rendere onore e gloria a me e a lui
che era una cosa con meco; e però, come ciechi, commissero la ingiustizia, perseguitandolo con
molti obrobri infino a la morte della croce.
Cosí questi cotali rendono ingiustizia a loro e a me, e anco al proximo loro, ingiustamente
rivendendo le carni de’ subditi loro e di qualunque altra persona a mano lo’ viene.
XXXV. Come per questi e per altri defecti si cade nel falso giudicio. E de la
indignità ne la quale perciò si viene.
— E per questo e altri difecti caggiono nel falso giudicio, si come di sotto ti distendarò.
Sempre si scandalizzano nelle mie operazioni, le quali tucte sonno giuste e in veritá tucte facte per
amore e misericordia.
Con questo falso giudicio, col veleno della invidia e della superbia erano calunniate e
giudicate ingiustamente l’operazioni del mio Figliuolo, con false bugie dicendo: « Costui el fa in
virtú di Belzebub ». Cosí costoro, iniqui, posti ne l’amore proprio, nella immondizia, nella superbia,
ne l’avarizia, in una invidia, fondati nella perversa indiscrezione, con una impazienzia e con molti
altri mali che si commettono, sempre si scandalizzano in me e ne’ servi miei, giudicando che
fictivamente aduoparino la virtú. Perché ‘l cuore loro è fracido e hanno guasto el gusto, però le cose
buone lo’ paiono gactive, e le gactive, cioè el disordinato vivere, lo’ pare buono.
O ciechità umana, che non guardi la tua dignità! ché di grande se’ facto piccolo, di signore
se’ facto servo della piú vile signoria che possa avere, però che tu se’ facto servo e schiavo del
peccato, e tale diventi quale è quella cosa che tu servi. El peccato non è tavelle: adunque tu se’
tornato non tavelle. Hassi tolta la vita e data la morte.
Questa vita e questa signoria vi fu data per lo Verbo unigenito mio Figliuolo e glorioso
ponte; essendo servi del dimonio, vi trasse della servitudine sua; feci lui servo per tollervi la
servitudine, e posili l’obbedienzia per consumare la disobbedienzia d’Adam, umiliandosi esso a
l’obbrobriosa morte della croce per confondere la superbia. Tutti e’ vizi destruxe con la morte sua
acciò che neuno potesse dire: — Il cotale vizio rimase che non fusse punito e fabricato con pene, —
si come ti (66) dixi di sopra, dicendo che del corpo suo aveva facto ancudine. Tutti e’ rimedi sonno
posti per camparli della morte etternale, ed essi spregiano il Sangue e hannolo conculcato co’ piei
del disordinato affecto.
E questa è la ingiustizia e il falso giudicio de’ quali è ripreso el mondo e sarà ripreso ne
l’ultimo di del giudicio. E questo volse dire la mia Verità quando dixe: « Io mandarò el Paraclito che
riprendarà el mondo della ingiustizia e del falso giudicio ». Alora fu ripreso quando mandai lo
Spirito sancto sopra gli appostoli.
XXXVI. Qui parla sopra quella parola che dixe Cristo quando dixe: « Io mandarò el Paraclito
che riprendere el mondo de la ingiustizia e del falso giudicio ». E qui dice come una di queste
reprensioni è continua.
— Tre riprensioni sonno: l’una fu data quando lo Spirito sancto venne sopra e’ discepoli,
come detto è; e’ quali, fortificati dalla potenzia mia, illuminati dalla sapienzia del Figliuolo mio
diletto, tutto ricevettero nella plenitudine dello Spirito sancto. Alora lo Spirito sancto, che è una
cosa con meco e col Figliuolo mio, riprendeste il mondo per la bocca de’ discepoli con la doctrina
della mia Verità. Eglino e tutti gli altri che sonno discesi da loro seguitando la veritá, la quale
intesero per mezzo di loro, riprendono el mondo. Questa è quella continua riprensione che Io fo al
mondo col mezzo della sancta Scriptura e de’ servi miei, ponendosi lo Spirito sancto nelle lingue
loro anunziando la mia veritá; si come el dimonio si pone in su la lingua de’ servi suoi, cioè di
coloro che passano per lo fiume iniquamente.
Questa è quella dolce reprensione posta continua, per lo modo detto, per grandissimo affecto
d’amore che Io ho a la salute de l’anime. E non possono dire: — Io non ebbi chi mi riprendesse; —
però che giá l’è mostrata la veritá, mostrando lo’ el vizio e la virtú, e facto lo’ vedere il frutto della
virtú (67) e il danno del vizio, per dar lo’ amore e timore sancto con odio del vizio e amore della
virtú. E giá non l’è stata mostrata questa doctrina e veritá per angelo, acciò che non possano dire: —
L’angelo è spirito beato e non può offendere, e non sente le molestie della carne come noi, né la
gravezza del corpo nostro. — Questo l’è tolto, che nol possono dire; perché ella è stata data dalla
mia Verità, Verbo incarnato con la carne vostra mortale.
Chi sonno stati gli altri che hanno seguitato questo Verbo? Creature mortali e passibili come
voi, con la impugnazione della carne contra lo spirito, si come ebbe il glorioso Pavolo mio
banditore; e cosí di molti altri sancoi e’ quali, chi da una cosa e chi da un’altra, sonno stati
passionati. Le quali passioni lo permettevo e permetto per acrescimento di grazia e per aumentare la
virtú ne l’anime loro: e cosí nacquero di peccato come voi, e notricati d’uno medesimo cibo; e cosí
so’ lo Dio ora come alora; non è infermata né può infermare la mia potenzia. Si che Io posso
sovenire e voglio, e so sovenire a chi vuole essere sovenuto da me. Alora vuole essere sovenuto da
me, quando esce del fiume e va per lo ponte seguitando la doctrina della mia Verità.
Si che non hanno scusa però che sonno ripresi, ed è llo’ mostrata la verita continuamente.
Unde, se essi non si correggeranno mentre che essi hanno ci tempo, saranno condennati nella
seconda reprensione, la quale si farà ne l’ultima extremità della morte, dove grida la mia giustizia
dicendo: « Surgite, mortui; venite ad iudicium »; cioè: tu che se’ morto a grazia e morto giogni a la
morte corporale, lévati su, e viene dinanzi al sommo Giudice con la ingiustizia e falso giudicio tuo e
col lume spento della fede. El quale lume traesti acceso del sancto baptesmo, e tu lo spegnesti col
vento della superbia e vanità del cuore, del quale facevi vela a’ venti che erano contrari a la salute
tua; e’l vento della propria reputazione notricavi con la vela de l’amore proprio. Unde corrivi per lo
fiume delle delizie e stati del mondo con la propria volontà, seguitando la fragile carne e le molestie
e temptazioni del dimonio. Il quale (68) dimonio con la vela della tua propria volontà t’ha menato
per la via di socto, la quale è uno fiume corrente; unde t’ha condocto con lui insieme a l’etterna
dannazione.
XXXVII. De la seconda reprensione, ne la quale si riprende de la ingiustizia e
del falso giudicio in generale e in particulare.
— Questa seconda reprensione, carissima figliuola, è in facto, perché è gionto a l’ultimo
dove non può avere rimedio, perché s’è condocto a la extremità della morte, dove il vermine della
coscienzia (del quale Io ti dixi che era aciecato per lo proprio amore che egli aveva di sé), ora, nel
tempo della morte, perché vede sé non potere escire delle mie mani, questo vermine comincia a
vedere, e però rode con reprensione se medesimo, vedendo che per suo difecto è condocto in tanto
male. Se essa anima avesse lume che cognoscesse, e dolessesi della colpa sua non per la pena de
l’inferno che ne le séguita, ma per me che m’ha offeso che so’ somma ed etterna bontá, anco
trovarebbe misericordia. Ma se passa el ponto della morte senza lume, e solo col vermine della
coscienzia, e senza la speranza del Sangue; o con propria passione, dolendosi del danno suo piú che
de l’offesa mia; egli giogne a l’etterna dannazione.
E alora è ripreso crudelmente dalla mia giustizia, ed è ripreso della ingiustizia e del falso giudicio. E
non tanto della ingiustizia e giudicio generale, il quale ha usato nel mondo generalmente in tucte le
sue operazioni; ma molto maggiormente sarà ripreso della ingiustizia e giudicio particulare, il quale
ha usato ne l’ultimo, cioè d’avere posta, giudicando, maggiore la miseria sua che la misericordia
mia. Questo è quello peccato che non è perdonato né di qua né di là, perché non ha voluto,
spregiando, la mia misericordia; però che piú m’è grave questo che tucti gli altri peccati che egli ha
commessi. Unde la disperazione di Giuda mi spiacque piú e fu piú grave al moi (69) Figliuolo che
non fu el tradimento che egli gli fece. Si che sonno ripresi di questo falso giudicio: d’avere posto
maggiore il peccato loro che la misericordia mia, e però sonno puniti con le dimonia e crociati
etternalmente con loro.
E sonno ripresi della ingiustizia: e questo è quando si dogliono piú del danno loro che de
l’offesa mia. Alora commectono ingiustizia, perché non rendono a me quello che è mio ed a loro
quello che è loro: a me debbono rendere amore e amaritudine con la contrizione del cuore, e
offerirla dinanzi a me per l’offesa che m’hanno facta; ed egli fanno el contrario, ché dànno a loro
amore compassionevole di loro medesimi e dolore della pena che per la colpa loro aspectano. Si che
vedi che commectono ingiustizia, e però sonno puniti dell’uno e de l’altro insieme, avendo essi
dispregiata la misericordia mia. E lo, con giustizia, gli mando insieme con la serva loro crudele
della sensualità, col crudele tiranno del dimonio, di cui si fecero servi col mezzo d’essa serva della
propria sensualità loro, ché insieme siano puniti e tormentati, come insieme m’hanno offeso.
Tormentati, dico, da’ miei ministri dimoni, e’ quali ha messi la mia giustizia a rendere tormento a
chi ha facto male.
XXXVIII. Di quattro principali tormenti de’ danpnati; a’ quali seguitano tucti
gli altri e in singularita della ladiezza del demonio.
— Figliuola, la lingua non è sufficiente a narrare la pena di queste tapinelle anime. Come
sono tre principali vizi, cioè l’amore proprio di sé; unde esce il secondo, cioè la propria reputazione;
e da la reputazione procede il terzo, cioè la superbia, con falsa ingiustizia e crudeltá e con altri
immondi e iniqui peccati che doppo questi seguitano: cosí ti dico che ne lo ‘nferno egli hanno
quattro tormenti principali, a’ quali seguitano tucti gli altri tormenti.
El primo si è che si vegono privati della mia visione; el quale l’è tanta pena che, se possibile
lo’ fusse, eleggerebbero piuttosto el fuoco e i crociati tormenti e vedere me che stare fuore delle
pene e non vedermi. Questa pena lo’ rinfresca la seconda del vermine della coscienzia, el quale
sempre rode, vedendosi privato di me e della conversazione degli angeli per loro difetto, e fattisi
degni della conversazione delle dimonia e visione loro. El quale vedere del dimonio (che è la terza
pena) gli raddoppia ogni sua fadiga.
Unde, come nella visione di me e’ sancti sempre exultano, rinfrescandosi con allegrezza il
frutto delle loro fadighe che essi hanno portate per me, con tanta abondanza d’amore e
dispiacimento di loro medesimi; cosí, in contrario, questi tapinelli si rinfrescano ne’ tormenti nella
visione delle dimonia, però che nel vedere loro cognoscono piú sé, cioè cognoscono che per loro
difetto se ne sonno fatti degni. E per questo modo il vermine piú rode, e non ristà mai el fuoco di
questa coscienzia d’ardere.
Ancora l’è piú pena, perché’l vegono nella propria figura sua, la quale è tanto orribile che
non è cuore d’uomo che ‘l potesse imaginare. E, se ben ti ricorda, sai che, mostrandolo a te nella
forma sua in piccolo spazio di tempo (che sai che quasi fu uno punto), tu eleggevi, poi che tornasti a
te, prima di volere andare per una strada di fuoco, se dovesse durare infino a l’ultimo di del giudicio,
e andare sopra esso, innanzi che vederlo piú. Con tutto questo che tu vedesti, arco non sai bene
quanto egli è orribile; però che si mostra, per divina giustizia, piú orribile ne l’anima che è privata di
me, e piú e meno secondo la gravezza delle colpe loro.
El quarto tormento si è il fuoco. Questo fuoco arde e non consuma, però che l’anima non si
può consumare l’essere suo; e non è cosa materiale, la quale materia el fuoco la consumasse, però
che ella è incorporea. Ma Io per divina giustizia ho permesso che’l fuoco gli arda aliggitivamente,
che gli affligge e non gli consuma. E afliiggeli e ardeli con grandissime pene, in diversi modi,
secondo la diversità de’ peccati; chi piú e chi meno, secondo la gravezza della colpa.
Sopra questi quattro tormenti escono tutti quanti gli altri: con freddo e caldo e stridore di
denti. Or cosí miserabilemente, doppo la riprensione che lo’ fu fatta del giudicio e della ingiustizia
nella vita loro, e non si corressero in questa prima riprensione, come detto è di sopra; e nella
seconda, cioè nella morte, non volsero sperare né dolersi de l’offesa mia ma si della pena loro;
hanno ricevuto morte etterna.
XXXIX. De la terza reprensione, la quale si farà nel di del giudicio.
— Ora ti resto a dire della terza riprensione, cioè de l’ultimo di del giudicio. Già t’ho detto
delle due: ora, acciò che tu vegga bene quanto l’uomo s’inganna, ti dirò della terza, cioè del giudicio
generale, nel quale a l’anima tapinella sarà rinfrescata e cresciuta la pena, per l’unione che l’anima
farà col corpo, con una riprensione intollerabile, la quale le genererà confusione e vergogna.
Sappi che ne l’ultimo di del giudicio, quando verrà il Verbo mio Figliuolo con la divina mia
Maiestà a riprendere il mondo con la potenzia divina, egli non verrà come povarello, si come
quando egli nacque venendo nel ventre della Vergine e nascendo nella stalla fra gli animali, e poi
morendo in mezzo fra due ladroni. Alora lo nascosi la potenzia mia in lui, lassandolo sostenere pene
e tormenti come uomo: non che la natura mia divina fusse però separata da la natura umana; ma
lassa’ lo patire come uomo per satisfare a le colpe vostre.
Non verrà cosí ora in questo ultimo punto; ma verrà con potenzia a riprendere egli con la
propria persona. E non sarà alcuna creatura che non riceva tremore, e renderà a ogniuno il debito
suo.
A’ dannati miserabili lo’ darà tanto tormento l’àspecto suo e tanto terrore che la lingua non
sarebbe sufficiente a narrarlo; (72) a’ giusti darà timore di reverenzia con grande giocondità. Non
che egli si muti la faccia sua, però che egli è immutabile, perché è una cosa con meco, secondo la
natura divina. E secondo la natura umana, la faccia sua anco è immutabile, poi che prese la gloria
della resurrexione. Ma a l’occhio del dannato se gli mostrarrà cotale, però che, con quello occhio
terribile e obscuro che egli ha in se medesimo, con quello el vedrà. Si come l’occhio infermo che del
sole, che è cosí lucido, non vede altro che tenebre; e l’occhio sano vede la luce. E questo non è per
difecto della luce che si muti piú al cieco che a l’alluminato, ma è per difecto de l’occhio che è
infermo. Cosí e’ dannati el veggono in tenebre, in confusione e in odio, non per difecto della divina
mia Maiestà con la quale egli verrà a giudicare il mondo, ma per difecto loro.
XL. Come i danpnati non possono desiderare alcuno bene.
— Egli è tanto l’odio che essi hanno, che non possono volere né desiderare veruno bene, ma
sempre mi bastemmiano. E sai perché eglino non possono desiderare il bene? però che, finita la vita
dell’uomo, è legato el libero arbitrio; per la qual cosa non possono meritare, perduto che essi hanno
el tempo.
Se eglino finiscono in odio con la colpa del peccato mortale, sempre per divina giustizia sta
legata l’anima col legame de l’odio e sempre sta obstinata in quel male che ella ha, rodendosi in se
medesima, e accrescele sempre pene, e spezialmente delle pene d’alcuni in particolare de’ quali ella
fosse stata cagione della dannazione loro. Si come vi dimostrò quello ricco dannato quando
chiedeva di grazia che Lazzaro andasse a’ suoi frategli, e’ quali erano rimasi nel mondo, ad
anunziare le pene sue. Questo giá non faceva per caritá né per compassione de’ frategli, però che
egli era privato della caritá e non poteva desiderare bene né in onore di me né in salute loro; perché
(73) giá t’ho decto che non possono fare alcuno bene nel proximo e me bastemmiano, perché la vita
loro fini ne l’odio di me e della virtú. Ma perché dunque il faceva? però che egli era stato el
maggiore e avevali notricati nelle miserie nelle quali egli era vissuto, si che egli era cagione della
dannazione loro. Per la quale cagione se ne vedeva seguitare pena, giognendo eglino al crociato
tormento, con lui insieme, dove sempre in odio si rodono, perché ne l’odio fini la vita loro.
XLI. De la gloria de’ beati.
— Cosí l’anima giusta, che finisce in affetto di caritá e legata in amore, non può crescere in
virtú venuto meno el tempo, ma può sempre amare con quella dileczione che egli viene a me; e con
quella misura gli è misurato. Sempre desidera me, e sempre m’ha; unde il ‘suo desiderio non è votio,
ma avendo fame è saziato; e saziato si ha fame; e dilonga è il fastidio dalla sazietà, e dilonga è la
pena dalla fame.
Ne l’amore godono ne l’etterna mia visione, participandó quel bene che lo ho in me
medesimo, ognuno secondo la misura sua; cioè con quella misura de l’amore che essi sono venuti a
me, con quella l’è misurato, perché sonno stati nella caritá mia e in quella del proximo, e uniti
insieme con la caritá comune e con la particolare che esce pure d’una medesima caritá.
Godono ed exultano participando l’uno el bene de l’altro con l’affetto della carità, oltre al
bene universale che essi hanno tutti insieme. E con la natura angelica godono ed exultano, co’ quali
e’ sancti sonno collocati, secondo le diverse e varie virtú le quali principalmente ebbero nel mondo,
essendo legati tutti nel legame della caritá. Hanno una singulare participazione con coloro co’ quali
strettamente d’amore singulare (74) s’amavano nel mondo. Col quale amore crescevano in grazia
aumentando la virtú. L’uno era cagione a l’altro di manifestare la gloria e loda del nome mio in loro
e nel proximo. Si che poi nella vita durabile non l’hanno perduto; anco l’hanno, participando
strettamente e con piú abondanzia l’uno con l’altro, aggiontolo a l’universale bene.
E non vorrei però che tu credessi che questo bene particulare, il quale Io t’ho detto che egli
hanno, l’avessero solo per loro, però che non è cosí; ma è participato da tueti quanti e’ gustatori
cittadini e diletti miei figliuoli e da tutta la natura angelica. Unde, quando l’anima giogne a vita
etterna, tutti participano el bene di quella anima, e l’anima del bene loro. Non che ‘l vasello suo né il
loro possa crescere, né che abbi bisogno d’empirsi, però che egli è pieno e però non può crescere;
ma hanno una exultazione, una giocundità, uno giubilo, una allegrezza, la quale si rinfresca in loro
per lo cognoscimento il quale hanno trovato in quella anima. Vegono che per mia misericordia ella
è levata dalla terra con la plenitudine della grazia, e cosí exultano in me nel bene di quella anima el
quale ha ricevuto per la mia bontá.
E quella anima gode in me e ne l’anime e negli spiriti beati, vedendo in loro e gustando la
bellezza e dolcezza della mia caritá. E’ loro desidèri sempre gridano dinanzi a me per la salvazione
di tutto quanto el mondo. Perché la vita loro fini nella caritá del proximo, non l’hanno lassata; anco
con essa passarono per la porta de l’unigenito mio Figliuolo per lo modo che lo di sotto ti contiarò.
Si che vedi che con quello legame de l’amore in che fini la vita loro, con quello permangono; e dura
sempre etternalmente.
Essi sonno tanto conformati con la mia volontà che essi non possono volere se non quello
ch’ Io voglio; perché l’arbitrio loro è legato nel legame della caritá per si facto modo che, venendo
meno el tempo a la creatura che ha in sé ragione, morendo in stato di grazia, non può piú peccare. E
in tanto è unita la sua volontà con la mia che, vedendo il padre o la madre il figliuolo ne l’inferno, o
il figliuolo la madre, non se ne (75) curano; anco sonno contenti di vederli puniti come nemici miei.
In neuna cosa si scordano da me: e’ desidèri loro sonno pieni.
El desiderio de’ beati è di vedere l’ onore mio in voi viandanti, e’ quali sète peregrini che
sempre corrite verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore desiderano la salute vostra,
e però sempre mi pregano per voi. El quale desiderio è adempito da me da la parte mia, colà dove
voi ignoranti non ricalcitraste a la mia misericordia. Hanno desiderio ancora di riavere la dota del
corpo loro; e questo desiderio non gli affligge non avendolo attualmente, ma godono gustando per
certezza che egli hanno d’avere il loro desiderio pieno; non gli affligge però che non avendolo non
lo’ manca beatitudine, e però non lo’ dá pena.
E non ti pensare che la beatitudine del corpo doppo la resurrexione dia piú beatitudine a
l’anima. Ché se questo fusse, seguitarebbe che infine che non avessero il corpo avarebbero
beatitudine imperfetta; la qual cosa non può essere, però che in loro non manca alcuna perfeczione.
Si che non è il corpo che dia beatitudine a l’anima, ma l’anima darà beatitudine al corpo: darà de l’
abondanzia sua, rivestita ne l’ultimo di del giudicio del vestimento della propria carne la quale lassò.
Come l’anima è fatta immortale, fermata e stabilita in me; cosí el corpo in quella unione
diventa immortale, perduta la gravezza e facto sottile e leggiero. Unde sappi che ‘l corpo glorificato
passarebbe per lo mezzo del muro. Né il fuoco né l’acqua non l’offendarebbe, non per virtú sua ma
per virtú de l’anima. La quale virtú è mia, data a lei per grazia e per amore ineffabile col quale lo la
creai a la imagine e similitudine mia. L’occhio de l’intelletto tuo non è sufficiente a vedere, né
l’orecchia a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare il bene loro.
Oh quanto diletto hanno in vedere me che so’ ogni bene i oh quanto diletto avaranno essendo
col corpo glorificato! El quale bene ora non avendo, di qui al giudicio generale non hanno pena,
perché non lo’ manca beatitudine, però che l’anima è piena in sé. La quale beatitudine participarà col
corpo, come detto (76) t’ho. Dicevoti del bene che avarebbe il corpo glorificato ne l’umanità
glorificata de l’unigenito mio Figliuolo, la quale vi dá certezza della vostra resurrexione. Ine
exultano nelle piaghe sue, le quali sonno rimase fresche, riservate le cicatrici nel corpo suo, le quali
gridano continuamente misericordia per voi a me sommo ed etterno Padre. Tutti si conformaranno
con lui in gaudio e in giocundità; occhio con occhio e mano con mano e con tutto quanto el corpo
del dolce Verbo mio Figliuolo tutti vi conformarete. Stando in me, starete in lui, perch’egli è una
cosa con meco. Ma l’occhio del corpo vostro, come detto t’ho, si dilectarà ne l’umanità glorificata
del Verbo unigenito mio Figliuolo. Questo perché? però che la vita loro fini nella dileczione della
mia carità, e però lo’ dura etternalmente.
Non che possano adoperare alcuno bene, ma godonsi quel che essi hanno portato, cioè che
non possono fare veruno atto meritorio per lo quale essi possano meritare. Però che solo in questa
vita si merita e pecca, secondo che piace a la propria volontà col libero arbitrio. Costoro none
aspectano con timore il divino giudicio, ma con allegrezza. E non lo’ parrà, la faccia del Figliuolo
mio, terribile né piena d’odio, perché e’ sonno finiti in caritá e in dileczione di me e benivolenzia del
proximo. Si che vedi che la mutazione della faccia non sarà in lui quando verrà a giudicare con la
Maiestà mia, ma in coloro che saranno giudicati da lui. A’ dannati aparrà con odio e con giustizia;
ne’ salvati con amore e misericordia.
XLII. Come doppo el giudicio generale crescerá la pena de’ danpnati.
— Hotti narrato della dignità de’ giusti, acciò che meglio cognosca la miseria de’ dannati. E
questa è l’altra pena loro: vedere la beatitudine de’ giusti. La quale visione è a loro acrescimento di
pena, come a’ giusti la dannazione de’ dannati è (77) acrescimento d’exultazione della mia bontá,
perché meglio si cognosce la luce per la tenebre, e la tenebre per la luce. Si che lo’ sarà pena la
visione de’ beati e con pena aspectano l’ultimo di del giudicio, perché se ne vegono seguitare
acrescimento di pena.
E cosí sarà; però che in quella voce terribile quando sarà detto a loro: « Surgite, mortui;
venite ad iudicium », tornarà l’anima col corpo. E ne’ giusti sarà glorificato, e ne’ dannati sarà
crociato etternalmente. E grande vergogna e rimproverio ricevaranno ne l’aspetto della mia Verità e
di tutti e’ beati. El vermine della coscienzia alora rodarà il mirollo de l’arbore, cioè l’anima, e la
corteccia di fuore, cioè il corpo.
Rimprovarato lo’ sarà el Sangue che per loro fu pagato, e l’uòpare della misericordia, le
quali lo feci a loro col mezzo del mio Figliuolo, spirituali e temporali, e quello che essi dovevano
fare nel proximo loro, si come si contiene nel sancto Evangelio. Ripresi saranno della crudeltá che
essi hanno avuta verso el proximo, della superbia e de l’amore proprio, della immondizia e avarizia
loro.
Vedendo la misericordia che da me hanno ricevuta, rinfrescarà duramente la loro
riprensione. Nel ponto della morte la riceve solamente l’anima; ma nel giudicio generale la riceverà
insiememente l’anima e’l corpo, perché’l corpo è stato compagno e strumento de l’anima a fare il
bene e il male, secondo che è piaciuto a la propria volontà.
Ogni operazione buona e gactiva è (acta col mezzo del corpo; e però giustamente, figliuola
mia, è renduto a’ miei eletti gloria e bene infinito col corpo loro glorificato, remunerandoli delle
loro fadighe che per me insiememente con l’anima portò. E cosí agl’ iniqui sarà renduta pena
etternale col mezzo del corpo loro, perché fu strumento del male.
Rinfrescarasse lo’ la pena e cresciarà, riavendo el corpo loro, ne l’aspetto del mio Figliuolo.
La miserabile sensualità con la immondizia sua riceverà riprensione in vedere la natura sua, cioè
l’umanità di Cristo, unita cole la purità della Deitá mia; vedendo levata questa massa d’Adam, natura
vostra, sopra tucti (78) e’ cori degli angeli, ed essi per loro difecti si veggono profondati nel
profondo de l’inferno.
E vegono la larghezza e la misericordia relucere ne’ beati, ricevendo el fructo del sangue de
l’Agnello; e vegono le pene che essi hanno portate, che tucte stanno per adornamento ne’ corpi loro,
si come la fregiatura sopra del panno, non per virtú del corpo, ma solo per la plenitudine de l’anima;
la quale representa al corpo el fructo della fadiga, perché fu compagno con lei ad adoperare la virtú,
si che apparisce di fuore. Si come rapresenta lo specchio la faccia dell’uomo, cosí nel corpo si
rapresenta el fructo delle fadighe, per lo modo che decto t’ho. Vedendo e’ tenebrosi tanta dignità
della quale essi sono privati, lo’ cresce la pena e la confusione, perché ne’ corpi loro appa. risce il
segno delle iniquità, le quali commissero, con pena e crociato tormento. Unde in quella parola che
essi udiranno terribile: « Andate maladecti nel fuoco etternale », egli andarà l’anima e ‘l corpo a
conversare con le dimonia senza alcuno rimedio di speranza, aviluppandosi con tucta la puzza della
terra, ogniuno per sé in diverso modo, si come diverse sonno state le loro male operazioni: l’avaro
con la puzza de l’avarizia, aviluppandosi insieme la substanzia del mondo e ardendo nel fuoco (la
quale egli disordinatamente amò); el crudele con la crudeltá; lo immondo con la immondizia e
miserabile concupiscenzia; lo ingiusto con le sue ingiustizie; lo invidioso con la invidia; e l’odio e
rancore del proximo con l’odio. El disordinato amore proprio di loro, unde nacquero tucti e’ loro
mali, ardarà e darà pena intollerabile, si come capo e principio d’ogni male, acompagnato dalla
superbia. Sí che tucti in diversi modi saranno puniti, l’anima e’l corpo insieme.
Or cosí miserabilmente giongono al fine loro questi che vanno per la via di socto, giú per lo
fiume, non vollendosi a dietro a ricognoscere le colpe sue, né a dimandare la misericordia, sí come
Io di sopra ti dixi. E giongono a la porta della bugia perché seguitano la doctrina del dimonio, el
quale è padre delle bugie. Ed esso dimonio è porta loro, e per questa porta giongono a l’etterna
dannazione, come detto è di sopra. Si come gli electi (79) figliuoli miei, tenendo per la via di sopra,
cioè del ponte, seguitano e tengono per la via della veritá, ed essa veritá è porta.
E però disse la mia Verità: «Neuno pub andare al Padre mio se non per me ». Egli è la porta
e la via, unde passano, a intrare in me, mare pacifico.
E cosí, in contrario, costoro sonno tenuti per la bugia, la quale lo’ dá acqua morta. E ad
questo vi chiama el dimonio, ciechi e macti che non se n’avegono perché hanno perduto el lume
della fede. Quasi lo’ dica el dimonio: « Chi ha sete de l’acqua morta venga a me, ché io ne gli darò
».
XLIII. De la utilita de le temptazioni, e come ogni anima ne la extremita de la
morte vede e gusta el luogo suo, prima che essa anima sia separata dal corpo,
cioè o pena o gloria che debba ricevere.
— Egli è facto giustiziere mio dalla mia giustizia per tormentare l’anime che miserabilmente
hanno offeso me. E in questa vita gli ho posti a temptare molestando le mie creature; non perché le
mie creature siano vente, ma perché esse vencano e ricevano da me la gloria della victoria,
provando in loro le virtú.
E neuno in questo debba temere per veruna bactaglia né temptazione di dimonio che lo’
venga, però che lo gli ho facti forti, e dato lo’ la fortezza della volontà, fortificata nel sangue del mio
Figliuolo. La quale volontà né dimonio né creatura ve la può mutare, però che ella è vostra e data da
me.
Voi dunque col libero arbitrio la potete tenere e lassare, secondo che vi piace. Ella è Tarme
la quale voi ponete nelle mani del dimonio, e drictamente è uno coltello col quale egli vi percuote e
con esso v’ucide. Ma se l’uomo non dá questo coltello della volontà sua nelle mani del dimonio, cioè
che egli consenta a le temptazioni e molestie sue, giamai non sarà offeso di colpa di peccato per
veruna temptazione. Anco el fortifica colà dove egli apra l’occhio de l’intellecto a vedere la (80)
carità mia. La quale caritá permecte che siate temptati solo per farvi venire a virtú e a provare la
virtú.
A virtú non si viene se non per lo cognoscimento di se medesimo e per cognoscimento di
me. El quale cognoscimento piú perfettamente s’acquista nel tempo della temptazione: Perché alora
cognosce sé non essere, non potendosi levare le pene e le molestie le quali vorrebbe fuggire; e me
cognosce nella volontà (la quale è fortificata per la bontá mia) che non consente a esse cogitazioni:
e perché ha veduto che la mia caritá le concede perché ‘l dimonio è infermo e per sé non può tavelle
se non quanto Io gli do; e Io el permetto per amore e non per odio, perché vènciate e non siate venti,
e perché veniate ad perfetto cognoscimento di voi e di me, e acciò che la virtú sia provata, però che
ella non si pruova se non per lo suo contrario.
Dunque vedi che sonno miei ministri a crociare i dannati ne l’inferno, e in questa vita ad
exercitare e provare la virtú ne l’anima. Non che la intenzione del dimonio sia per farli
provare in virtú, perché egli non ha carità, ma per privarli de la virtú, e questo non può fare se voi
non volete.
Or vedi quanta è la stoltizia de l’uomo, che si fa debile colà dove Io l’ho facto forte, ed esso
medesimo si mette nelle mani delle dimonia. Unde Io voglio che tu sappi che nel punto della morte,
essendo entrati nella vita loro sotto la signoria del dimonio (none sforzati, però che non possono
essere sforzati come detto t’ho, ma volontariamente si sonno messi nelle mani loro), giognendo poi
a l’extremità della morte con questa perversa signoria, essi non aspettano altro giudicio, ma essi
medesimi ne sonno giudici con la coscienzia loro e come disperati giongono a l’etterna dannazione.
Con l’odio strengono l’inferno in su la extremità della morte; e prima che egli l’abbino, essi
medesimi co’ loro signori dimoni pigliano per prezzo loro l’inferno.
Si come e’ giusti vissuti in caritá morendo in dileczione, quando viene l’extremità della
morte, se egli è vissuto perfettamente in virtú illuminato del lume della fede, con l’occhio della fede,
con perfetta speranza del sangue de l’Agnello, vegono (81) el bene il quale lo l’ho aparecchiato e
con le braccia de l’amore l’abracciano, stregnendo con estrecte d’amore me, sommo e etterno Bene,
ne l’ultima extremità della morte. E cosí gustano vita etterna prima che abbino lassato el corpo
mortale, cioè prima che sia separato dal corpo.
Altri che fussero passati nella vita loro con una caritá comune, che non fussero in quella
grande perfeczione e giognessero a l’extremità, costoro abracciano la misericordia mia con quello
lume medesimo della fede e della speranza che ebbero quelli perfetti; ma hannola imperfetta. Ma
perché costoro erano imperfetti, strinsero la misericordia mia, ponendo maggiore la misericordia
mia che le colpe loro.
Gl’ iniqui peccatori fanno el contrario, vedendo con la disperazione el luogo loro, e con
l’odio l’abracciano, come detto t’ho. Si che non aspettano d’essere giudicati né l’uno né l’altro; ma
partonsi di questa vita, e riceve ogniuno el luogo suo, come detto t’ho. Gustanlo e possegonlo prima
che si partano dal corpo nella extremità della morte: e’ dannati co’ l’odio e disperazione, e i perfetti
con l’amore e col lume della fede e con la speranza del Sangue. E gl’imperfetti con la misericordia e
con quella medesima fede giongono al luogo del purgatorio.
XLIV. Come el demonio sempre piglia l’anime sotto colore d’alcuno bene. E
come quelli che tengono per lo fiume, e non per lo ponte predetto, sono
ingannati, però che volendo fuggire le pene caggiono ne le pene; ponendo qui la
visione d’uno arbore che questa anima ebbe una volta.
— Hotti detto che’l dimonio invita gli uomini a l’acqua morta, cioè a quella che egli ha per
sé, aciecando con . le delicie e stati del mondo. Co’ l’amo del diletto gli piglia sotto colore di bene,
però che in altro modo non gli potrebbe pigliare, però che non si lassarebbero pigliare se alcuno
bene proprio o diletto non vi trovassero, imperò che l’anima di sua natura sempre appetisce bene.
Ma è vero che l’anima, aciecata da l’amore proprio, non cognosce né discerne quale sia vero
bene e che gli dia utilitá a l’anima e al corpo. E però ci dimonio, come iniquo, vedendo ch’egli è
aciecato dal proprio amore sensitivo, gli pone e’ diversi e vari difecti e’ quali sonno colorati con
colore d’alcuna utilitá e d’alcuno bene; e ad ogniuno dá secondo lo stato suo e secondo quegli vizi
principali ne’ quali ci vede piú disposto a ricevere. Altro dá al secolare, altro dá al religioso; altro a’
prelati, altro a’ signori; e a ciascuno secondo e’ diversi stati che essi hanno.
Questo t’ho decto perch’ Io ora ti contio di costoro che s’anniegano giú per lo fiume, che
neuno rispecto hanno altro che a loro, cioè d’amare loro medesimi con offesa di me; de’ quali Io t’ho
contiato ci fine loro. Ora ti voglio mostrare come essi s’ingannano, che volendo fuggire le pene
caggiono nelle pene. Perché lo’ pare che a seguitare me, cioè tenere per la via del ponte del Verbo
del mio Figliuolo, sia grande fadiga, e però si ritragono a dietro, temendo la spina. Questo è perché
sonno aciecati e non vegono né cognoscono la veritá, si come tu sai ch’ Io ti mostrai nel principio
della vita tua, pregandomi tu che Io facesse misericordia al mondo, traendoli della tenebre del
peccato mortale.
Sai che Io alora ti mostrai me in figura d’uno arbore, del quale non vedevi né il principio né
il fine, se non che vedevi che la radice era unita con la terra; e questa era la natura divina unita con
la terra della vostra umanità. A’ piei de l’arbore, se ben ti ricorda, era alcuna spina; dalla quale spina
tucti coloro che amavano la propria sensualità si dilongavano e corrivano a uno monte di lolla, nel
quale. ti figurai tucti e’ difecti del mondo. Quella lolla pareva grano e non era; e però, come vedevi,
molte anime dentro vi si perivano di fame, e molte, cognoscendo l’inganno del mondo, tornavano a
l’arbore e passavano la spina, cioè la deliberazione della volontà.
La quale deliberazione, innanzi che ella sia facta, è una spina la quale gli pare trovare in
seguitare la via della veritá. Sempre combacte da l’uno lato la coscienzia, da l’altro lato la (83)
sensualità; ma subito che, con odio e dispiacimento di sé, virilmente delibera dicendo: — Io voglio
seguitare Cristo crocifixo, — rompe subbito la spina e truova dolcezza inextimabile, sí come lo
alora ti mostrai, chi piú e chi meno, secondo la disposizione e sollicitudine loro.
Sai che alora lo ti dixi: — Io so’ lo Idio vostro immobile, che non mi muovo; Io non mi
ritrago da veruna creatura che a me voglia venire; mostrato l’ho la veritá, facendomi visibile a loro,
essendo lo invisibile; mostrato l’ho che cosa è amare alcuna cosa senza me. — Ma essi, come
aciecati da la nuvila del disordinato amore, non cognoscono né me né loro. Vedi come sonno
ingannati: che prima vogliono morire di fame che passare un poca di spina.
Non possono fuggire che non sostengano pena, però che in questa vita neuno ci passa senza
croce, se non coloro che tengono per la via di sopra: non che essi passino senza pena, ma la pena a
loro è refrigerio. E perché per lo peccato, sí come di sopra ti dixi, ci mondo germinò spine e triboli,
e corse questo fiume, mare tempestoso, però vi dici ci ponte, acciò che voi non annegaste.
Hotti mostrato come costoro s’ingannano con uno disordinato timore, e come lo so’ lo Idio
vostro che non mi muovo, e che lo non so’ acceptatore delle persone ma del sancto desiderio, E
questo t’ho mostrato nella figura de l’arbore la quale Io t’ho decta.
XLV. Come, avendo el mondo per lo peccato germinato spine e triboli, chi sono
quelli ad cui queste spine non fanno male, bene che neuno passi questa vita
senza pena.
— Ora ti voglio mostrare a cui le spine e triboli, che germinò la terra per lo peccato, fanno
male e a cui no. E perché infine a ora t’ho mostrata la loro dannazione insiememente (84) con la mia
bontá, e hotti detto come essi sonno ingannati dalla propria sensualità, ora ti voglio dire come solo
costoro son quegli che sonno offesi dalle spine.
Veruno che nasca in questa vita passa senza fadiga o corporale o mentale. Corporale le
portano e’ servi miei, ma la mente loro è libera; cioè che non sente fadiga della fadiga, perché ha
acordata la sua volontà con la mia, la quale volontà è quella cosa che dá pena a l’uomo. Pena di
mente e di corpo portano costoro e’ quali Io t’ho conciati che in questa vita gustano l’arra de
l’inferno; si come i servi miei gustano l’arra di vita etterna.
Sai tu quale è il piú singulare bene che hanno e’ beati? È d’avere la volontà loro piena di quel
che desiderano. Desiderano me, e desiderando me essi m’hanno e mi gustano senza alcuna
rebellione, però che hanno lassata la gravezza del corpo, el quale era una legge che impugnava
contra lo spirito. El corpo l’era uno mezzo che non lassava perfettamente cognoscere la veritá; né
potevano vedermi a faccia a faccia, perché ‘l corpo non lassava.
Ma, poi che l’anima ha lassato el peso del corpo, la volontà sua è piena, perché desiderando
di vedere me ella mi vede: nella quale visione sta la vostra beatitudine. Vedendo cognosce, e
cognoscendo ama, e amando gusta me sommo e etterno Bene; gustando sazia e empie la volontà
sua, cioè il desiderio che egli ha di vedere e cognoscere me; desiderando ha, e avendo desidera, e,
come Io ti dixi, di longa è la pena dal desiderio; e ‘l fastidio dalla sazietà.
Si che vedi ch’ e’ servi miei ricevono beatitudine principalmente in vedere e conoscere me.
La quale visione e cognoscimento lo’ riempie la volontà d’avere ciò che essa volontà desidera, e cosí
è saziata. E però ti dixi che, singularmente, gustare vita etterna era d’avere quello che la volontà
desidera. Ma sappi che ella si sazia nel vedere e cognoscere me, come detto t’ho.
In questa vita gustano l’arra di vita etterna, gustando questo medesimo del quale Io t’ho detto
che essi sonno saziati. Come hanno questa arra in questa vita? Dicotelo: in vedere la mia (85) bontá
in sé e in cognoscere la mia veritá; el quale cognoscimento ha l’intelletto illuminato in me, el quale
è l’occhio de l’anima. Questo occhio ha la pupilla della sanctissima fede, el quale lume della fede fa
discérnare e cognoscere e seguitare la via e dottrina della mia Verità, Verbo incarnato. Senza questa
pupilla della fede non vedrebbe, se non come l’uomo che ha la forma de l’occhio, ma el panno ha
ricoperta la pupilla che fa vedere a l’occhio. Cosí l’occhio de l’intelletto la pupilla sua è la fede; la
quale, essendovi posto dinanzi el panno della infidelità, tratto da l’amore proprio di sé, non vede; ha
la forma de l’occhio ma non el lume, perché esso se l’ha tolto.
Si che vedi che nel vedere cognoscono, e cognoscendo amano, e amando anniegano e
perdono la volontà loro propria. Perduta la loro, si vestono della mia che non voglio altro che la
vostra sanctificazione. E subbito si dànno a vòllere il capo adietro da la via di sotto, e cominciano a
salire per lo ponte, e passano sopra le spine. E perché sonno calzati e’ piei de l’affetto loro con la
mia volontà, non lo’ fa male. E però ti dixi che sostenevano corporalmente e non mentalmente,
perché la volontà sensitiva è morta, la quale dá pena e affligge la mente della creatura. Tolta la
volontà, è tolta la pena, e ogni cosa portano con reverenzia, reputandosi grazia d’essere tribolati per
me, e non desiderano se non quel ch’ Io voglio.
Se Io lo’ do pena da parte delle dimonia, permettendo lo’ le molte temptazioni per provarli
nella virtú, si come lo ti dixi di sopra, essi resistono con la volontà, la quale hanno fortificata in me,
umiliandosi e reputandosi indegni della pace e quiete della mente e reputandosi degni della pena. E
cosí passano con allegrezza e cognoscimento di loro senza pena affliggitiva.
Se ella è tribolazione dagli uomini, o infermità, o povertà, o mutamento di stato nel mondo,
o privazione di figliuoli o de l’altre creature le quali molto amasse (le quali tutte sonno spine che
germinò la terra doppo el peccato), tutte le porta col lume della ragione e della fede sancta,
raguardando me che so’ somma bontá e non posso volere altro che bene; e per bene le concedo: per
amore e non per odio.
E cognosciuto che hanno l’amore in me, ed essi raguardano loro, cognoscendo e’ loro difecti.
E vegono col lume della fede che ‘l bene debba essere remunerato e la colpa punita. Ogni piccola
colpa vegono che meritarebbe pena infinita, perché è facta contra me che so’infinito Bene; e recansi
a grazia che lo in questa vita gli voglia punire e in questo tempo finito. E cosí insiememente
scontiano el peccato con la contrizione del cuore, e con la perfecta pazienzia meritano, e le fadighe
loro sonno remunerate di bene infinito.
Poi cognoscono che ogni fadiga di questa vita è piccola per la piccolezza del tempo. El
tempo è quanto una punta d’aco e non piú; ché passato el tempo è passata la fadiga. Adunque
vedi che .è piccola. Essi portano con pazienzia e passano le spine actuali e non lo’ tocca el cuore,
perché ‘l cuore loro è tracto di loro per amore sensitivo e posto e unito in me per affecto d’amore.
Bene è dunque la veritá che costoro gustano vita etterna, ricevendo l’arra in questa vita. E
stando ne l’acqua non s’immollano, passando sopra le spine non si pongono (come decto t’ho),
perché hanno cognosciuto me, sommo Bene, e cercatolo colà dove egli si truova, cioè nel Verbo de
l’unigenito mio Figliuolo.
XLVI. De’ mali che procedono da la cechita dell’occhio de l’intelletto. E come li
beni che non sono facti in stato di grazia non vagliono ad vita etterna.
— Questo t’ho decto acciò che tu cognosca meglio e in che modo costoro gustano l’arra de
l’inferno, de’ quali Io ti dixi lo inganno loro. Ora ti dirò unde procede lo inganno e come ricevono
l’arra de l’inferno. Questo è perché hanno aciecato l’occhio de l’intellecto con la infedelità tracta da
l’amore proprio. Com e ogni veritá s’acquista col lume della fede, cosí la bugia (87) e lo inganno
s’acquista con la infidelità. Della infedelità, dico, di coloro che hanno ricevuto el sancto baptesmo,
nel quale baptesmo fu messa la pupilla della fede ne l’occhio de l’ intellecto. Venuto el tempo della
discrezione, se essi s’exercitano in virtú, costoro hanno conservato el lume della fede e parturiscono
le virtú vive, facendo fructo al proximo loro. Come la donna che fa el figliuolo vivo, e vivo el dá
allo sposo suo; cosí costoro dànno le virtú vive a me, che so’ sposo de l’anima.
El contrario fanno questi miserabili che, venuto il tempo della discrezione, dove essi
debbono exercitare el lume della fede e parturire con vita di grazia la virtú, ed essi le parturiscono
morte. Morte sonno perché tucte l’operazioni loro sonno morte, essendo fatte in peccato mortale,
privati del lume della fede. Hanno bene la forma del sancto baptesmo ma none il lume, però che ne
sonno privati per la nuvila della colpa commessa per amore proprio, la quale ha ricoperta la pupilla
unde vedevano.
A costoro è decto, e’ quali hanno fede senza opera, che è morta la fede loro. Unde, come il
morto non vede, cosí l’occhio, ricoperta la pupilla, come decto t’ho, non vede, né cognosce se
medesimo non essere né i difecti suoi che egli ha commessi. Né cognosce la bontá mia in sé, donde
ha avuto l’essere e ogni grazia che è posta sopra l’essere.
Non cognoscendo me né sé, non odia in sé la propria sensualità; anco l’ama, cercando di
satisfare a l’appetito suo: e cosí parturisce i figliuoli morti di molti peccati mortali. Né me non ama;
non amando me, non ama quel ch’Io amo, cioè il proximo suo, né si dilecta d’adoperare quel che mi
piace: ciò sonno le vere e reali virtú, le quali mi piacciono di vedere in voi, non per mia utilitá, però
che a me non potete fare utilitá, però che Io so’ colui che so’, e veruna cosa è facta senza me, se non
el peccato, che non è cavelle, perché priva l’anima di tne che so’ ogni bene, privandola della grazia.
Si che per vostra utilitá mi piacciono perché Io abbi di che remunerarvi in me, vita durabile.
Si che vedi che la fede di costoro è morta, perché è senza opera; e quelle operazioni, le quali
fanno, non vagliono a vita (88) etterna, perché non hanno vita di grazia. Nondimeno il bene
adoperare o con grazia o senza la grazia non si debba però lassare, però che ogni bene è remunerato
come ogni colpa punita. El bene che si fa in grazia, senza peccato mortale, vale a vita etterna; ma
quello che si fa con la colpa del peccato mortale non vale a vita etterna: nondimeno è remunerato in
diversi modi, si come di sopra ti dixi.
Unde alcuna volta Io lo’ presto ci tempo. O Io li metto nel cuore de’ servi miei per continua
orazione, per le quali orazioni escono della colpa e delle miserie loro. Alcuna volta, non ricevendo
ci tempo né l’orazioni per disposizione di grazia, a questi cotali l’è remunerato in cose temporali,
facendo di loro come de l’animale che s’ingrassa per menarlo al macello. Cosí questi cotali che
sempre hanno ricalcitrato in ogni modo a la mia bontá, pure fanno alcuno bene; none in stato di
grazia, come detto t’ho, ma in peccato. Essi non hanno voluto ricevere in questa loro operazione il
tempo né l’orazioni né gli altri diversi modi co’ quali Io gli ho chiamati; unde, essendo riprovati da
me per li loro difetti, e la mia bontá vuole pure remunerare quella operazione, cioè quel poco del
servizio che hanno facto, unde li remunero nelle cose temporali e ine s’ingrassano; e non
correggendosi, giongono al supplicio etternale.
Si che vedi che sonno ingannati. Chi gli ha ingannati? essi medesimi, perché s’hanno tolto ci
lume della fede viva, e vanno come aciecati palpando e attaccandosi a quel che toccano. E perché
non veggono se non con l’occhio cieco, posto l’affetto loro nelle cose transitorie, però sonno
ingannati e fanno come stolti che raguardano solamente l’oro e non ci veleno. Unde sappi che le
cose del mondo e tutti e’ diletti e piaceri suoi se sonno presi e acquistati e posseduti senza me o con
proprio e disordinato amore, essi portano drittamente la figura degli scarpioni, e’ quali al principio
tuo, doppo la figura de l’arbore lo ti mostrai, dicendoti che portavano l’oro dinanzi e ‘l veleno
portavano dietro; e non era il veleno senza l’oro né l’oro senza ci veleno, ma el primo aspetto era
l’oro. E neuno si difendeva dal veleno, se non coloro che erano illuminati del lume della fede.
XLVII. Come non si possono observare i comandamenti che non si observino i
consigli. E come in ogni stato che la persona vuole essere, avendo sancta e buona
volontà, è piacevole a Dio.
— Costoro ti dixi che col coltello di due tagli (cioè con l’odio del vizio e amore delle virtú)
per amore tagliavano ci veleno della propria sensualità, e col lume della ragione tenevano e
possedevano. E acquistavano l’oro in queste cose mondane, chi le voleva tenere; ma chi voleva
usare la grande perfeczione le spregiava actualmente e mentalmente. Questi ti dixi che observavano
ci consiglio actualmente, il quale lo’ fu dato e tassato da la mia Verità. Costoro che possedevano
sonno quelli che observano e’ comandamenti e i consigli mentalmente ma non actualmente. Ma però
ch’ e’ consigli sonno legati co’ comandamenti, neuno può observare i comandamenti che non observi
e’ consigli: non actualmente ma mentalmente. Cioè che, possedendo le ‘ricchezze del mondo, egli le
possegga con ùmilità e non con superbia, possedendole come cosa prestata e non come cosa sua,
come elle sonno date a voi per uso da la mia bontá. Unde tanto l’avete quanto lo ve le do, e tanto le
tenete quanto lo ve le lasso, e tanto ve le lasso e do quanto lo vego che faccino per la salute vostra.
Per questo modo le dovete usare.
Usandole l’uomo cosí, observa ci comandamento, amando me sopra ogni cosa e ‘l proximo
come se medesimo. Vive col cuore spogliato e gictale da sé per desiderio, cioè che non l’ama né
tiene senza la mia volontà, poniamo che actualmente le possega. Observa ci consiglio per desiderio,
come detto t’ho, tagliandone il veleno del disordinato amore.
Questi cotali stanno nella caritá comune. Ma coloro, che observano e’ comandamenti e i
consigli mentalmente e actualmente, sonno nella caritá perfetta. Con vera simplicità observano ci
consiglio che dixe la mia Verità, Verbo incarnato, a quel (90) giovano quando dimandò dicendo: «
Che potrei io fare, Maestro, per avere vita etterna? » Egli disse: « Observa e’ comandamenti della
Legge ». Ed egli rispondendo dixe: « Io gli observo ». Ed Egli dixe: « Bene, se tu vuogli essere
perfetto, va’ e vende ciò che tu hai, e dallo a’ povari ». El giovano alora si contristò, perché le
ricchezze che egli aveva le teneva ancora con troppo amore, e però si contristò. Ma questi perfetti
l’observano abandonando ci mondo con tutte le delizie sue, macerando ci corpo con la penitenzia e
vigilia, umile e continua orazione.
Questi altri che stanno nella caritá comune, non levandosi attualmente, non ne perdono però
vita etterna, perché non ne sonno tenuti; ma debbonle possedere, se eglino vogliono le cose ‘del
mondo, per lo modo che detto t’ho. Tenendole, non offendono, perché ogni cosa è buona e perfetta e
creata da me, che so’ somma bontá, e fatte perché servano alle mie creature che hanno in loro
ragione, e non perché le creature si faccino servi e schiavi delle delizie del mondo; anco perché le
tengano (se lo’ piace di tenere, non volendo andare alla grande perfeczione) non come signori ma
come servi. E ‘l desiderio loro debbono dare a me, e ogni altra cosa amare e tenere non come cosa
loro ma come cosa prestata, come detto t’ho.
Io non so’ acceptatore delle creature né degli stati, ma de’ sancti desidèri. In ogni stato che la
persona vuole stare, abbi buona e sancta volontà, ed è piacevole a me. Chi le terrà a questo modo?
coloro che n’hanno mozzato ci veleno con l’odio della propria sensualità e con amore della virtú.
Avendo mozzo ci veleno della disordinata volontà e ordinatala con l’amore e sancto timore di me,
egli può tenere ed eleggere ogni stato che egli vuole: e in ognuno sarà atto ad avere vita etterna.
Poniamo che maggiore perfeczione, e piú piacevole a me, sia di levarsi mentalmente e
attualmente da ogni cosa del mondo, chi non si sente di giognere ad questa perfeczione, ché la
fragilità sua non el patisse, può stare in questo stato comune, ogniuno secondo lo stato suo. E questo
ha ordinato la mia bontá acciò che veruno abbi scusa di peccato in qualunque stato si sia.
E veramente non hanno scusa, però che lo so’ consceso alle passioni e debilezze loro per
sifacto modo che, volendo stare nel mondo, possono e possedere le ricchezze e tenere stato di
signoria e stare allo stato del matrimonio e notricare ed affadigarsi per li figliuoli. E qualunque stato
si vuole essere, possono tenere, purché in veritá essi taglino ci veleno della propria sensualità, la
quale dá morte etternale.
E drittamente ella è uno veleno che, come ci veleno dá pena nel corpo, e ne l’ultimo ne
muore se giá egli non s’argomenta di bomitarlo e di pigliare alcuna medicina, cosí questo scarpione
del diletto del mondo: non le cose temporali in loro, che giá t’ho detto che elle sonno buone e fatte
dame che so’ somma bontá, e però le può usare come gli piace con sancto amore e vero timore; ma
dico del veleno della perversa volontà de l’uomo. Dico che ella avelena l’anima e dalle la morte se
esso non ci vomita per la confessione sancta, traendone il cuore e l’affetto. La quale è una medicina
che’l guarisce di questo veleno, poniamo che paia amara a la propria sensualità.
Vedi dunque quanto sonno ingannati! ché possono possedere e avere me, e possono fuggire
la tristizia e avere letizia e consolazione, ed essi vogliono pure male, sotto colore di bene, e dannosi
a pigliare l’oro con disordinato amore. Ma perché essi sonno aciecati con molta infedelità, non
cognoscono ci veleno; veggonsi avelenati e non pigliano ci rimedio. Costoro portano la croce del
dimonio, gustando l’arra de l’inferno.
XLVIII. Come li mondani con ciò che posseggono non si possono saziare; e de la
pena che dá loro la perversa volontà pur in questa vita.
— Io si ti dixi di sopra che solo la volontà dava pena a l’uomo. E perché i servi miei sonno
privati della loro e vestiti della mia, non sentono pena affíiggitiva, ma sonno saziati sentendo me per
grazia ne l’anime loro. Non avendo me, non possono (92) essere saziati, se essi possedessero tucto
quanto el mondo; perché le cose create sonno minori che l’uomo, però che elle sonno facte per
l’uomo e non l’uomo per loro: e però non può essere saziato da loro. Solo Io el posso saziare. E però
questi miserabili, posti in tanta ciechità, sempre s’affannano e mai non si saziano, e desiderano quel
che non possono avere, perché non I’adimandano a me che li posso saziare.
Vuogli ti dica come essi stanno in pene? Tu sai che l’amore sempre dá pena, perdendo quella
cosa con cui essi si son conformati. Costoro hanno facta conformità per amore nella terra in diversi
modi, e però terra sonno diventati. Chi fa conformità con la ricchezza, chi nello stato, chi ne’
figliuoli, chi perde me per servire a le creature, chi fa del corpo suo uno animale bruto con molta
immondizia. E cosí per diversi stati appetiscono e pasconsi di terra. Vorrebbero che fussero stabili,
ed essi non sonno; anco passano come il vento, però che o essi vengono meno a loro col mezzo
della morte, overo che di quello che essi amano ne sono privati per mia dispensazione. Essendone
privati, sostengono pena intollerabile; e tanto la perdono con dolore quanto l’hanno posseduta con
disordinato amore. Avesserle tenute come cosa prestata e non come cosa loro, lassavanle senza
pena. Hanno pena perché non hanno quel che desiderano, però che, come lo ti dixi, el mondo non
gli può saziare. Non essendo saziati, hanno pena.
Quante sonno le pene dello stimolo della coscienzia ! quante sonno le pene di colui che
appetisce vendecta! Continuamente si rode e prima ha morto sé, cioè l’anima sua, che egli ucida el
nemico suo; el primo morto è egli, uccidendo sé col coltello de l’odio. Quanta pena sostiene l’avaro,
che per avarizia strema la sua necessità! quanto tormento ha lo invidioso, che sempre nel suo cuore
si rode, e non gli lassa pigliare dilecto del bene del proximo suo! Di tucte quante le cose, che esso
ama sensitivamente, ne trae pena con molti disordinati timori; hanno presa la croce del dimonio,
gustando l’arra de l’inferno in questa vita, ne vivono infermi con molti diversi modi se essi non si
corregono, e ricevnne poi morte etternale.
Or costoro sonno quegli che sonno offesi dalle spine delle molte tribolazioni, crociandosi
loro medesimi con la propria disordinata volontà. Costoro hanno croce di cuore e di corpo; cioè che
con pena e tormento passa l’anima e’l corpo senza alcuno merito, perché non portano le fadighe con
pazienzia, anco con impazienzia, perché hanno posseduto e acquistato l’oro e le delizie del mondo
con disordinato amore; privati della vita della grazia e de l’affecto della caritá. Facti sonno arbori di
morte, e però tucte le loro operazioni sonno morte, e con pena vanno per lo fiume annegandosi, e
giongono a l’acqua morta, passando con odio per la porta del dimonio, e ricevono l’etterna
dannazione.
Ora hai veduto come essi s’ingannano e con quanta pena essi vanno a l’inferno, facendosi
martiri del dimonio; e quale è quella cosa che gli acieca, cioè la nuvila de l’amore proprio, posta
sopra la pupilla del lume della fede. E veduto hai come le tribulazioni del mondo, da qualunque lato
elle vengono, offendono e’ servi miei corporalmente, cioè che sonno perseguitati dal mondo, ma
non mentalmente, perché sonno conformati con la mia volontà: però sonno contenti di sostenere
pena per me.
Ma e’ servi del mondo sonno percossi dentro e di fuore : e singularmente dentro, dal timore
che essi hanno di non pèrdare quello che possegono, e da l’amore, desiderando quel che non
possono avere. Tucte l’altre fadighe, che seguitano doppo queste due che sonno le principali, la
lingua tua non sarebbe sufficiente a narrarle. Vedi dunque che in questa vita medesima hanno
migliore partito e’ giusti ch’ e’ peccatori.
Ora hai veduto a pieno el loro andare e il termine loro.
XLIX. Come el timore servile non è sufficiente a dare vita eterna; e come
exercitando questo timore si viene ad amore de le virtú.
— Ora ti dico che alquanti sonno che, sentendosi speronare dalle tribulazioni del mondo (le
quali Io do acciò che l’anima cognosca che ‘l suo fine non è questa vita e che queste cose sonno
imperfette e transitorie, e desideri me che so’ suo fine, e cosí le debba pigliare), questi cominciano a
levarsi la nuvila con la propria pena che essi sentono, e con quella che veggono che lo’ debba
seguitare doppo la colpa. Con questo timore servile cominciano a escire del fiume, bomicando el
veleno el quale l’era stato gictato dallo scarpione in figura d’oro, e preso l’avevano senza modo e
non con modo, e però ricevettero el veleno da lui. Cognoscendolo, el cominciano a levare e
dirizzarsi verso la riva per attaccarsi al ponte.
Ma non è sufficiente d’andare solo col timore servile; però che spazzare la casa del peccato
mortale, senza empirla di virtú fondate in amore e non pure in timore, non è sufficiente a dare vita
etterna, se esso non pone amenduni e’ piei nel primo scalone del ponte, cioè l’affetto e il desiderio, e’
quali sonno e’ piei che portano l’anima ne l’affetto della mia veritá, della quale Io v’ho facto ponte.
Questo è il primo scalone del quale Io ti dissi che vi conveniva salire, dicendoti come Egli
aveva fatta scala del corpo suo. Bene è vero che questo è quasi uno levare generale che
comunemente fanno e’ servi del mondo, levandosi prima per timore della pena. E perché le
tribolazioni del mondo alcuna volta lo’ fa venire a tedio loro medesimi, però lo’ comincia a
dispiacere. Se essi exercitano questo timore col lume della fede, passaranno a l’amore delle virtú.
Ma alquanti sonno che vanno con tanta tepidezza che spesse volte vi ritornano dentro, però
che poi che sonno gionti a la (95) riva, giognendo e’ venti contrari, sonno percossi da fonde del
mare tempestoso di questa tenebrosa vita. Se giogne il vento della prosperità, non essendo salito,
per sua negligenzia, el primo scalone (cioè con l’affetto suo e con l’amore della virtú), egli vòlle il
capo indietro a le delizie con disordinato dilecto. E se viene il vento d’aversità, si vòlle per
impazienzia, perché non ha odiata la colpa sua per l’offesa che ha fatta a me, ma per timore della
propria pena la quale se ne vede seguitare, col quale timore s’era levato dal vomito: perché ogni
cosa di virtú vuole perseveranzia; e non perseverando, non viene in effetto del suo desiderio, cioè di
giognere al fine per lo quale egli cominciò, al quale, non perseverando, non giogne mai. E però è
bisogno la perseveranzia a volere compire il suo desiderio.
Hocti detto che costoro si vòllono secondo e’ diversi movimenti che lor vengono: o in loro
medesimi, impugnando la loro propria sensualità contra lo spirito; o dalle creature, vollendosi a loro
o con disordinato amore fuore di me, o per impazienzia per ingiuria che ricevono da loro; o da le
dimonia, con molte e diverse battaglie. Alcuna volta con lo spregiare per farlo venire a confusione,
dicendo: — Questo bene che tu hai cominciato non ti vale per li peccati e difetti tuoi. — E questo fa
per farlo tornare indietro e farli lassare quello poco de l’exercizio che egli ha preso. Alcuna volta
col diletto, cioè con la speranza che egli piglia della misericordia mia, dicendo: — A che ti vuogli
affadigare? Gòdeti questa vita, e nella extremità della vita, cognoscendo te, riceverai misericordia.
— E per questo modo el dimonio lo’ fa perdere il timore col quale avevano cominciato.
Per tutte queste e molte altre cose vòllono el capo indietro e non sonno constanti né
perseveranti. E tutto l’adiviene perché la radice de l’amore proprio non è punto divelta in loro, e
però non sonno perseveranti; ma ricevono con grande presumpzione la misericordia con la
speranza, la quale pigliano ma non come la debbono pigliare, ma ignorantemente; e come
presumptuosi sperano nella misericordia mia, la quale continuamente è offesa da loro.
Non ho data né do la misericordia perché essi offendano con essa, ma perché con essa si
difendano dalla malizia del dimonio e disordinata confusione della mente. Ma essi fanno
tucto el contrario, ché col braccio della misericordia offendono; e questo l’adiviene perché non
hanno exercitata la prima mutazione che essi fecero levandosi, con timore della pena e impugnati
dalla spina delle molte tribulazioni, dalla miseria del peccato mortale. Unde, non mutandosi, non
giongono a l’amore delle virtú; e però non hanno perseverato. L’anima non può fare che non si muti;
unde, se ella non va innanzi, si torna indietro. Si che questi cotali, non andando innanzi con la virtú
(levandosi da la imperfeczione del timore e giognendo a l’amore), bisogno è che tornino adietro.
L. Come questa anima venne in grande amaritudine per la cechità di quelli che
s’annegavano giú per lo fiume.
Alora quella anima ansietata di desiderio, considerando la sua e (‘altrui imperfeczione,
adolorata d’udire e vedere tanta ciechità delle creature, e avendo veduto che tanta era la bontá di Dio
che neuna cosa aveva posta in questa vita che fusse impedimento, in qualunque stato si fusse, a la
sua salute, ma tucte ad exercitamento e a provazione della virtú, e nondimeno, con tucto questo, per
lo proprio amore e disordinato affecto, n’andavano giú per lo fiume non correggendosi, vedevali
giognere a l’etterna dannazione.
E molti di quelli che v’erano, che cominciavano, tornavano a dietro per la cagione che udita
aveva da la dolce bontá di Dio, che aveva degnato di manifestare se medesimo a lei. E per questo
stava in amaritudine. E fermando essa l’occhio de l’ intellecto nel Padre etterno, diceva: — O amore
inextimabile, grande è l’inganno delle tue creature! Vorrei che, quando piacesse a la tua bontá, tu
piú distinctamente mi spianassi e’ tre scaloni (97) figurati nel corpo de l’unigenito tuo Figliuolo; e
che modo essi debbono tenere per escire al tucto del pelago e tenere la via della Verità tua, e chi
sonno coloro che salgono la scala.
LI. Come i tre scaloni figurati nel ponte giá decto, cioè nel Figliuolo di Dio,
significano le tre potenzie dell’anima.
Alora, raguardando la divina bontá con l’occhio della sua misericordia el desiderio e la fame
di quella anima, diceva: — Dilectissima figliuola mia, Io non so’ spregiatore del desiderio, anco so’
adempitore de’ sancti desidèri. E però Io ti voglio dichiarare e mostrare di quel che tu mi dimandi.
Tu mi dimandi ch’ Io ti spiani la figura de’ tre scaloni e che Io ti dica che modo hanno a
tenere a potere escire del fiume e salire il ponte. E poniamo che di sopra, contiandoti lo ‘nganno e
ciechità de l’uomo e come in questa vita gustano l’arra de l’inferno, si come martiri del dimonio, e
ricevono l’etterna dannazione (de’ quali Io ti contiai el fructo loro che essi ricevono delle loro male
operazioni); e narrandoti queste cose, ti mostrai e’ modi che dovevano tenere: nondimeno ora piú a
pieno tel dichiararò, satisfacendo al tuo desiderio.
Tu sai che ogni male è fondato ne l’amore proprio di sé, el quale amore è una nuvila che tolle el
lume della ragione; la quale ragione tiene in sé el lume della fede, e non si perde l’uno che non si
perda l’altro.
L’anima creai lo a la imagine e similitudine mia, dandole la memoria, lo ‘ntellecto e la
volontà. L’ intellecto è la piú nobile parte de l’anima: esso intellecto è mosso da l’affecto, e
l’intellecto notrica l’affecto. E la mano de l’amore, cioè l’affecto, empie la memoria del
ricordamento di me e de’ benefizi che ha ricevuti. El quale ricordamento el fa sollicito e non
negligente; fallo grato e none scognoscente. Si che l’una potenzia porge a l’altra, e cosí si notrica
l’anima nella vita della grazia.
L’anima non può vivere senza amore, ma sempre vuole amare alcuna cosa, perché ella è fatta
d’amore, però che per amore la creai. E però ti dixi che l’affetto moveva lo ‘ntellecto, quasi dicendo:
— Io voglio amare, però che ‘l cibo di che io mi notrico si è l’amore. — Alora lo ‘ntellecto,
sentendosi svegliare da l’affecto, si leva, quasi dica: — Se tu vuoli amare, io ti darò bene quello che
tu possa amare. — E subbito si leva, speculando la dignità de l’anima, e la indegnità nella quale è
venuta per la colpa sua. Nella dignità de l’essere gusta la inextimabile mia bontá e caritá increata
con la quale Io la creai, e in vedere la sua miseria truova e gusta la misericordia mia, che per
misericordia l’ho prestato el tempo e tratta della tenebre.
Alora l’affetto si notrica in amore, aprendo la bocca del sancto desiderio, con la quale
mangia odio e dispiacimento della propria sensualità, unta di vera umilità, con perfetta pazienzia, la
quale trasse de l’odio sancto. Concepute le virtú elle si parturiscono perfettamente e
imperfettamente, secondo che l’anima exercita la perfeczione in sé, si come di sotto ti dirò.
Cosí per lo contrario, se l’affetto sensitivo si muove a volere amare cose sensitive, l’occhio
de l’intelletto a quello si muove, e ponsi per obietto solo cose transitorie, con amore proprio, con
dispiacimento della virtú e amore del vizio; unde traie superbia e impazienzia. La memoria non
s’empie d’altro che di quello che le porge l’affetto. Questo amore ha abbaccinato l’occhio, che non
discerne né vede se non cotali chiarori. Questo è il chiarore suo: che lo’ntellecto ogni cosa vede e
l’affetto ama con alcuna chiarezza di bene e di diletto; e se questo chiarore non avesse, non
offendarebbe, perché l’uomo di sua natura non può desiderare altro che bene. Si che il vizio è
colorato col colore del proprio bene, e però offende l’anima. Ma perché l’occhio non discerne per la
ciechità sua, non cognosce la veritá; e però erra cercando el bene e i diletti colà dove non sonno.
Già t’ho detto ch’e’ diletti del mondo senza me sonno tutti spine piene di veleno; si che è
ingannato l’intelletto nel suo vedere e la volontà ne l’amare (amando quel che non die) e (99) la
memoria nel ritenere. Lo ‘ntellecto fa come il ladro che imbola l’altrui; e cosí la memoria ritiene il
ricordamento continuo di quelle cose che sonno fuore di me: e per questo modo l’anima si priva
della grazia.
Tanta è l’unità di queste tre potenzie de l’anima, che Io non posso essere offeso da l’una che
tutte non m’offendano. Perché l’una porge a l’altra, si com’ Io t’ho detto, el bene e ‘l male, secondo
che piace al libero arbitrio. Questo libero arbitrio è legato con l’affetto, e però el muove secondo che
gli piace, o con lume di ragione o senza ragione. Voi avete la ragione legata in me, colà dove el
libero arbitrio con disordinato amore non vi tagli; e avete la legge perversa, che sempre impugna
contra lo spirito. Avete dunque due parti in voi, cioè la sensualità e la ragione. La sensualità è serva,
e però è posta perché ella serva a l’anima, cioè che con lo strumento del corpo proviate ed
exercitiate le virtú.
L’anima è libera (liberata da la colpa nel sangue del mio Figliuolo), e non può essere
signoreggiata se ella non vuole consentire con la volontà, la quale è legata col libero arbitrio; e esso
libero arbitrio si fa una cosa con la volontà, acordandosi con lei. Egli è legato in mezzo fra la
sensualità e la ragione; e a qualunque egli si vuole voliere, si può. È vero che, quando l’anima si
reca a congregare con la mano del libero arbitrio le potenzie sue nel nome mio, si come detto t’ho,
alora sonno congregate tutte l’operazioni che fa la creatura, temporali e spirituali. E il libero arbitrio
alora si scioglie da la propria sensualità e legasi con la ragione. Io alora, per grazia, mi riposo nel
mezzo di loro. E questo è quello che dixe la mia Verità, Verbo incarnato, dicendo: « Quando
saranno due o tre o piú congregati nel nome mio, lo sarò nel mezzo di loro ». E cosí è la veritá. E
giá ti dixi che neuno poteva venire a me se non per lui, e però n’avevo facto ponte con tre scaloni; e’
quali tre scaloni figurano tre stati de l’anima, si come di sotto ti narrarò.
LII. Come, se le predecte tre potenzie dell’anima non sono unite insieme, non si
può avere perseveranzia, senza la quale neuno giogne al termine suo.
— Hotti spianata la figura de’ tre scaloni in generale per le tre potenzie de l’anima, le quali
sonno tre scale, e non si può salire l’una senza l’altra, a volere passare per la doctrina e ponte della
mia Verità. Né non può l’anima, se non ha unite queste tre potenzie insieme, avere perseveranzia.
Della quale perseveranzia Io ti dixi di sopra, quando tu mi dimandasti del modo che dovessero
tenere questi andatori a escire del fiume e che lo ti spianasse meglio e’ tre scaloni; e Io ti dixi che
senza la perseveranzia neuno poteva giognere al termine suo.
Due termini sonno, e ogniuno richiede perseveranzia: cioè il vizio e la virtú. Se tu vuoli giognere a
vita, ti conviene perseverare nella virtú; e chi vuole giognere a morte etternale persevera nel vizio.
Si che con perseveranzia si viene a me che so’ vita, e al dimonio a gustare l’acqua morta.
LIII. Exposizione sopra quella parola che dixe Cristo: « Chi ha sete venga ad me
e beia ».
— Voi sète tucti invitati generalmente e particularmente da la mia Verità, quando gridava
nel Tempio per ansietato desiderio dicendo: « Chi ha sete venga a me e beia, però che Io so’ fonte
d’acqua viva ». Non dixe: « Vada al Padre e beia »; ma dixe: « Venga a me ». Perché? però che in
me, Padre, non può cadere pena; ma si nel mio Figliuolo. E voi, mentre che sète peregrini e
viandanti in questa vita mortale, non potete andare senza pena; perché per lo peccato la terra
germinò spine, si come decto è.
E perché dixe: « Venga a me e beia »? Perché, seguitando la doctrina sua, o per la via de’
comandamenti co’ consigli mentali, o de’ comandamenti co’ consigli actuali (cioè d’andare o per la
caritá perfecta, o per la caritá comune, si come di sopra ti dixi), per qualunque modo che voi
passiate per andare a lui, cioè seguitando la sua doctrina, voi trovate che bere, trovando e gustando
el fructo del Sangue per l’unione della natura divina unita nella natura umana. E trovandovi in lui, vi
trovate in me, che so’ mare pacifico; perché so’ una cosa con lui, e egli è una cosa con meco. Si che
voi sète invitati a la fonte de l’acqua viva della grazia.
Convienvi tenere per lui, che v’è facto ponte, con perseveranzia. Si che neuna spina né vento
contrario né prosperità né adversità né altra pena, che poteste sostenere, vi debba fare vòllere il capo
a dietro; ma dovete perseverare infino che troviate me, che vi do acqua viva, che ve la do per mezzo
di questo dolce e amoroso Verbo unigenito mio Figliuolo.
Ma perché dixe: « Io so’ fonte d’acqua viva »? Però che egli fu la fonte la quale conteneva
me, che do acqua viva, unendosi la natura divina con la natura umana. Perché dixe: « Venga a me e
beia »? Però che non potete passare senza pena, e in me non cadde pena, ma si in lui; e però che di
lui lo vi feci ponte, neuno può venire a me se non per lui. E cosí dixe egli: « Neuno può andare al
Padre se non per me ». Cosí disse veritá la mia Verità.
Ora hai veduto che via elli vi conviene tenere e che modo: cioè con perseveranzia. E
altrimenti non bereste, però che ella è quella virtú che riceve gloria e corona di victoria in me, Vita
durab’ile.
LIV. Che modo debba tenere generalmente ogni creatura razionale per potere
escire del pelago dei mondo e andare per lo predecto sancto ponte.
— Ora ti ritorno a’ tre scaloni per li quali vi conviene andare a volere uscire del fiume e non
annegare, e giognere a l’acqua viva a la quale sète invitati, e a volere che Io sia in mezzo di voi.
Però che alora, ne l’andare vostro, Io so’ nel mezzo, che per grazia mi riposo ne l’anime vostre.
Convienvi dunque, a volere andare, avere sete; però che solo coloro che hanno sete sonno
invitati, dicendo: « Chi ha sete venga a me, e beia ». Chi non ha sete non persevera ne l’andare: però
che o egli si ristà per fadiga, o egli si ristà per dilecto, né non si cura di portare el vaso con che egli
possa actègnare. Né non si cura d’avere la compagnia; e solo non può andare. E però vòlle il capo
indietro quando vede giognere alcuna puntura di persecuzioni, perché se n’è facto nemico. Teme,
perché egli è solo; ma, se egli fusse acompagnato, non temarebbe. Se avesse saliti e’ tre scaloni,
sarebbe sicuro, perché non sarebbe solo.
Convienvi dunque avere sete e congregarvi insieme, si come dixe: o due o tre o piú. Perché
dixe « o due o tre »? perché non sono due senza tre, né tre senza due, né tre né due senza piú. Uno è
schiuso che Io sia in mezzo di lui, perché non ha seco compagno si che Io possa stare in mezzo, e
non è cavelle; però che colui, che sta ne l’amore proprio di sé, è solo perché è separato dalla grazia
mia e dalla caritá del proximo suo. Ed essendo privato di me per la colpa sua, torna a non cavelle,
perché solo Io so’ Colui che so’. Si che colui che è uno, cioè sta solo ne l’amore proprio di sé, non è
conciato da la mia Verità né accepto a me.
Dice dunque: « Se saranno due o tre o piú congregati nel nome mio, lo sarò nel mezzo di
loro ». Díxiti che due non (103) erano senza tre, né tre senza due; e cosí è. Tu sai che i
comandamenti della Legge stanno solamente in due, e senza questi due neuno se ne observa: cioè
d’amare me sopra ogni cosa, e il proximo come te medesima. Questo è il principio e mezzo e fine
de’ comandamenti della Legge.
Questi due non possono essere congregati nel nome mio senza tre, cioè senza la
congregazione delle tre potenzie de l’anima, cioè la memoria, lo ‘ntellecto e la volontà; si che la
memoria ritenga i benefizi miei, e la mia bontá in sé; e l’ intellecto raguardi ne l’amore ineffabile, il
quale Io ho mostrato a voi col mezzo de l’unigenito mio Figliuolo, el quale ho posto per obiecto a
l’occhio de l’intellecto vostro, acciò che in lui raguardi el fuoco della mia carità; e la volontà alora
sia congregata in loro, amando e desiderando me, che so’ suo fine.
Come queste tre virtú e potenzie de l’anima sonno congregate, Io so’ nel mezzo di loro per
grazia. E perché alora l’uomo si truova pieno della caritá mia e del proximo suo, subbito si truova la
compagnia delle molte e reali virtú. Alora l’apetito de l’anima si dispone ad avere sete. Sete, dico,
della virtú, de l’onore di me e salute de l’anime; e ogni altra sete è spenta e morta in loro; e va
sicuramente senza alcuno timore servile, salito lo scalone primo de l’affecto. Perché l’affecto,
spogliatosi del proprio amore, saglie sopra di sé e sopra le cose transitorie, amandole e tenendole, se
egli le vuole tenere, per me e non senza me, cioè con sancto e vero timore, e amore della virtú.
Alora si truova salito el secondo scalone, cioè al lume de l’intellecto, el quale si specula ne
l’amore cordiale di me, in Cristo crocifixo in cui, come mezzo, lo ve l’ho mostrato. Alora truova la
pace e la quiete, perché la memoria s’è impíta e non è vòtia della mia caritá. Tu sai che la cosa vòtia
toccandola bussa, ma quando.ella è piena non fa cosí. Cosí, quando è piena la memoria col lume de
l’intellecto, e con l’affecto pieno d’amore, muovelo con tribulazioni o con delizie del mondo, egli
non bussa con disordinata allegrezza; e non bussa per impazienzia, perché egli è pieno di me che so’
ogni bene.
Poi che è salito, egli si truova congregato; ché, possedendo la ragione e’ tre scaloni delle tre
potenzie de l’anima, come decto t’ho, l’ha congregate nel nome mio. Congregati e’ due, cioè l’amore
di me e del proximo, e congregata la memoria a ritenere e lo ‘ntellecto a vedere e la volontà ad
amare, l’anima si truova acompagnata di me che so’ sua fortezza e sua securtà. Truova la compagnia
delle virtú; e cosí va e sta secura, perché so’ nel mezzo di loro.
Alora si muove con ansietato desiderio, avendo sete di seguitare la via della Verità, per la
quale via truova la fonte de l’acqua viva. Per la sete che egli ha de l’onore di me e salute di sé e del
proximo, ha desiderio della via, però che senza la via non si potrebe giognere. Alora va e porta el
vaso del cuore vòtio d’ogni affecto e d’ogni amore disordinato del mondo. E subito che egli è vòtio,
s’empie, perché neuna cosa può stare vòtia; unde, se ella non è piena di cosa materiale, ed ella
s’empie d’aria. Cosí el cuore è uno vasello che non può stare vòtio; ma, subito che n’ha tracte le cose
transitorie per disordinato amore, è pieno d’aria, cioè di celestiale e dolce amore divino, col quale
giogne a l’acqua della grazia: unde gionto che è, passa per la porta di Cristo crocifixo e gusta l’acqua
viva, trovandosi in me che so’ mare pacifico.
LV. Repetizione in somma d’alcune cose giá decte.
— Ora t’ho mostrato che modo ha a tenere generalmente ogni creatura che ha in sé ragione,
per potere escire del pelago del mondo e per non annegare e giognere a l’etterna dannazione. Anco
t’ho mostrato e’ tre scaloni generali, ciò sonno le tre potenzie de l’anima, e che neuno ne può salire
uno che non li salga tucti. E hotti decto sopra quella parola che disse la mia Verità: « Quando
saranno due o tre o piú congregati nel nome mio », come questa è la congregazione di questi tre
scaloni, cioè (105) delle tre potenzie de l’anima. Le quali tre potenzie acordate hanno seco e’ due
principali comandamenti della Legge: cioè la
carità mia e del proximo tuo, cioè d’amare me sopra ogni cosa, e’l proximo come te medesima.
Alora, salita la scala, cioè congregate nel nome mio, come decto t’ho, subito ha sete de
l’acqua viva. E allora si muove e passa su per lo ponte, seguitando la doctrina della mia Verità, che
è esso ponte. Alora voi corrite doppo la voce sua che vi chiama, si come di sopra ti dixi; che,
gridando, nel tempio v’invitava, dicendo: « Chi ha sete venga a me e beia, che so’ fonte d’acqua viva
». Hotti spianato quel che egli voleva dire e come si debba intendere, acciò che tu meglio abbi
cognosciuta l’abondanzia della mia carità, e la confusione di- coloro che a dilecto pare che corrano
per la via del dimonio che gl’invita a l’acqua morta.
Ora hai veduto e udito di quello che mi dimandavi, cioè del modo che si debba tenere per
non annegare. E hotti decto che ‘l modo è questo: cioè di salire per lo ponte. Nel quale salire sonno
congregati e uniti insieme, stando nella dileczione del proximo, portando el cuore e l’affecto suo
come vasello a me, che do bere a chi me l’adimanda, e tenendo per la via di Cristo crocifixo con
perseveranzia infino a la morte.
Questo è quel modo che tucti dovete tenere in qualunque stato l’uomo si sia, però che neuno
stato lo scusa che egli nol possa fare e che non il debba fare; anco el può fare e debbalo fare, ed
ènne obligata ogni creatura che ha in sé ragione. E neuno si può ritrare, dicendo: — Io ho lo stato,
ho’ figliuoli, ho altri impacci del mondo; e per questo mi ritrago ch’io non séguito questa via. — O
per malagevolezza che vi truovino, non il possono dire; però che giá ti dixi che ogni stato era
piacevole e accepto a me, purché fusse tenuto con buona e sancta volontà. Perché ogni cosa è buona
e perfecta e facta da me, che so’ somma bontá: non sonno create né date da me perché con esse
pigliate la.morte, ma perché n’abbiate vita.
Agevole cosa è, però che neuna cosa è di tanta agevolezza e di tanto dilecto quanto è
l’amore. E quello che Io vi richiego (106) non è altro che amore e dileczione di me e del proximo.
Questo si può fare in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni stato che l’uomo è, amando e tenendo ogni
cosa ad laude e gloria del nome mio.
Sai che Io ti dixi che per lo inganno loro, non andando eglino col lume ma vestendosi de
l’amore proprio di loro, amando e possedendo le creature e le cose create fuore di me, passano
costoro questa vita crociati, essendo facti incomportabili a loro medesimi. E se essi non si levano
per lo modo che decto è, giongono a l’ecterna dannazione.
Ora t’ho decto che modo debba tenere ogni uomo generalmente.
LVI. Come Dio, volendo mostrare a questa devota anima che i tre scaloni del
sancto ponte sono significati in particulare per li tre stati dell’anima, dice che
ella levi sé sopra di sé a raguardare questa veritá.
— Perché di sopra ti dixi come debbono andare e vanno coloro che sonno nella caritá
comune, ciò sonno quegli che observano i comandamenti e i consigli mentalmente; ora ti voglio
dire di coloro che hanno cominciato a salire la scala e cominciano a volere andare per la via
perfecta, cioè d’observare i comandamenti e i consigli actualmente in tre stati, e’ quali ti mostrarrò,
spianandoti ora in particulare i tre gradi e stati de l’anima e tre scaloni, e’ quali ti posi in generale per
le tre potenzie de l’anima. De’ quali l’uno è imperfecto, l’altro è piú perfecto, l’altro è perfectissimo.
L’uno m’è servo mercennaio, l’altro m’è servo fedele, l’altro m’è figliuolo, cioè che ama me senza
alcuno rispecto.
Questi sonno tre stati che possono essere e sonno in molte creature, e sonno in una creatura
medesima. In una creatura sonno e possono essere quando con perfecta sollicitudine corre per la via
predecta exercitando il tempo suo, che da lo stato servile giogne al liberale, e dal liberale al filiale.
Leva te sopra di te e apre l’occhio de l’ intellecto tuo, e mira questi perregrini viandanti come
passano. Alcuni imperfectamente, e alcuni perfectamente per la via de’ comandamenti, e alquanti
perfectissimamente tenendo ed exercitando la via de’ consigli. Vedrai unde viene la imperfeczione e
unde viene la perfeczione, e quanto è l’inganno che l’anima riceve in se medesima perché la radice
de l’amore proprio non è dibarbicata. In ogni stato che l’uomo è, gli è bisogno d’ucidere questo
amore proprio in sé.
LVII. Come questa devota anima, raguardando nel divino specchio, vedeva le
creature andare in diversi modi.
Alora quella anima, ansietata d’affocato desiderio, specolandosi nello specchio dolce divino,
vedeva le creature tenere in diversi modi e con diversi rispecti per giognere al fine loro. Molti
vedeva che cominciavano a salire sentendosi impugnati dal timore servile, cioè temendo la propria
pena. E molti, exercitando el primo chiamare, giognevano al secondo; ma pochi si vedevano
giognere a la grandissima perfeczione.
LVIII. Come el timore servile, senza l’amore de le virtú, non è sufficiente a dare
vita eterna. E come la legge del timore e quella dell’amore sono unite insieme.
Alora la bontá di Dio, volendo satisfare al desiderio de l’anima, diceva: — Vedi tu: costoro
si sonno levati con timore servile dal bòmico del peccato mortale; ma se essi non si levano con
amore della virtú, non è sufficiente il timore servile a dar lo’ vita durabile. Ma l’amore col sancto
timore è sufficiente, perché la legge è fondata in amore con timore sancto.
La legge del timore era la legge vecchia che fu data da me a Moisé. La quale era fondata
solamente in timore, perché, commessa la colpa, pativano la pena.
La legge de l’amore è la legge nuova, data dal Verbo de l’unigenito mio Figliuolo; la quale è
fondata in amore. E per la legge nuova non si ruppe però la vecchia: anco s’adempí. E cosí dixe la
mia Verità: « Io non venni a dissolvere la legge, ma adempirla ». E uni la legge del timore con
quella de l’amore. Fulle tolto per l’amore la imperfeczione del timore della pena, e rimase la
perfeczione del timore sancto, cioè temere solo di non offendere, non per danno proprio, ma per non
offendere me che so’ somma bontá.
Si che la legge imperfecta fu facta perfecta con la legge de l’amore. Poi che venne il carro
del fuoco de l’unigenito mio Figliuolo, ci quale recò ci fuoco della mia caritá ne l’umanità vostra,
con l’abondanzia della misericordia, fu tolta via la pena delle colpe che si commectono: cioè di non
punirle in -questa vita di subbito che offende, si come anticamente era dato e ordinato nella legge di
Moisé di dare la pena subbito che la colpa era commessa. Ora non è cosí : non bisogna dunque
timore servile. E non è però che la colpa non sia punita, ma è servata a punire (se la persona non la
punisce con perfecta contrizione) ne l’altra vita, separata l’anima dal corpo. Mentre che vive egli, gli
è tempo di misericordia; ma, morto, gli sarà tempo di giustizia.
Debbasi dunque levare dal timore servile e giognere a l’amore e sancto timore di me. Altro
rimedio non ci sarebbe che elli non ricadesse nel fiume, giognendoli fonde delle tribolazioni e le
spine delle consolazioni. Le quali sonno tucte spine che pongono l’anima che disordinatamente
l’ama e possiede.
LIX. Come, exercitandosi nel timore servile, el quale è stato d’ inperfeczione
(per lo quale s’intende el primo scalone del sancto ponte), si viene al secondo, el
quale è stato di perfeczione.
— Perché lo ti dixi che neuno poteva andare per lo ponte né escire del fiume che non salisse
i tre scaloni, e cosí è la veritá: che salgono chi imperfectamente e chi perfectamente e chi con
grande perfeczione.
Costoro e’ quali sonno mossi dal timore servile hanno salito e congregatisi insieme
imperfectamente. Cioè che l’anima, avendo veduta la pena che séguita doppo la colpa, saglie e
congrega insieme la memoria a trarne ci ricordamento del vizio, lo intellecto a vedere la pena sua
che per essa colpa aspecta d’avere; e però la volontà si muove ad odiarla.
E poniamo che questa sia la prima salita e la prima congregazione, conviensi exercitarla col
lume de l’intelletto dentro nella pupilla della sanctissima fede, raguardando non, solamente la pena
ma ci frutto delle virtú e l’amore che Io lo’ porto; acciò che salgano con amore co’ piei de l’affecto,
spogliati del timore servile. E facendo cosí, diventaranno servi fedeli e non infedeli, servendomi per
amore e non per timore. E se con odio s’ ingegnaranno di dibarbicare la radice de l’amore proprio di
loro, se sonno prudenti costanti e perseveranti, vi giongono.
Ma molti sonno che pigliano ci loro cominciare e salire si lentamente, e tanto per spizzicone
rendono ci debito loro a me, e con tanta negligenzia e ignoranzia, che subbito vengono meno. Ogni
piccolo vento gli fa andare a vela e voltare il capo a dietro, perché imperfectamente hanno salito e
preso ci primo scalone di Cristo crocifixo; e però non giongono al secondo del cuore.
LX. De la inperfeczione di quelli che amano e servono Dio per propria utilita e
diletto e consolazione.
Alquanti sonno che sonno fatti servi fedeli, cioè che fedelmente mi servono, senza timore
servile (servendo solo per timore della pena), ma servono con amore. Questo amore, cioè di servire
per propria utilitá o per diletto o piacere che truovino in me, è imperfetto. Sai chi lo’ ‘l dimostra che
l’amore loro è imperfetto? quando sonno privati della consolazione che trovavano in me. E con
questo medesimo amore imperfetto amano el proximo loro: E però non basta né dura l’amore: anco
allenta, e spesse volte viene meno. Allenta inverso di me quando alcuna volta Io, per exercitargli
nella virtú e per levarli dalla imperfeczione, ritrago a me la consolazione della mente e permetto lo’
battaglie e molestie. E questo fo perché vengano ad perfetto cognoscimento di loro, e conoscano
loro non essere, e neuna grazia avere da loro. E nel tempo delle battaglie rifuggano a me,
cercandomi e cognoscendomi come loro benefattore, cercando solo me con vera umilità. E per
questo lo’ 1 do e ritrago da loro la consolazione, ma non la grazia.
Questi cotali alora allentano, voltandosi con impazienzia di mente. Alcuna volta lassano per
molti modi e’ loro exercizi, e spesse volte sotto colore di virtú, dicendo in loro medesimi : —
Questa operazione non ti vale, — sentendosi privati della propria consolazione della mente. Questi
fa come imperfetto che anco non ha bene levato el panno de l’amore proprio spirituale della pupilla
de l’occhio della sanctissima fede. Però che, se egli l’avesse levato in veritá, vedrebbe che ogni cosa
procede da me e che una foglia d’arbore non cade senza la mia providenzia; e che ciò che Io do e
permetto, do per loro sanctificazione, cioè perché abbino el bene e il fine per lo quale lo vi creai.
Questo debbono vedere e cognoscere, che Io non voglio altro che il loro bene, nel sangue de
l’unigenito mio Figliuolo, nel quale sangue sonno lavati dalle iniquità loro. In esso sangue possono
cognoscere la mia veritá, che, per dar lo’ vita etterna, lo gli creai a la imagine e similitudine mia, e
ricreai a grazia, col sangue del Figliuolo proprio, loro, figliuoli adoptivi. Ma perché essi sonno
imperfetti, servono per propria utilitá e allentano l’amore del proximo.
E’ primi vi vengono meno per timore che hanno di non sostenere pena. Costoro, che sonno e’
secondi, allentano, privandosi de l’utilitá che facevano al proximo, e ritragono a dietro da la caritá
loro, se si vegono privati della propria utilitá o d’alcuna consolazione che avessero trovata in loro. E
questo l’adiviene perché l’amore loro non era schietto; ma, con quella imperfeczione che amano me
(cioè d’amarmi per propria utilitá), di quello umore amano loro.
Se essi non ricognoscono la loro imperfeczione col desiderio della perfeczione, impossibile
sarebbe che non voltassero el capo indietro. Di bisogno l’è, a volere vita etterna, che essi amino
senza rispetto: non basta fuggire il peccato per timore della pena né abracciare le virtú per rispetto
della propria utilitá, però che non è sufficiente a dare vita etterna; ma conviensi ché si levi del
peccato perché esso dispiace a me, e ami la virtú per amore di me.
È vero che quasi el primo chiamare generale d’ogni persona è questo; però che prima è imperfetta
l’anima che perfetta. E da la imperfeczione debba giognere a la perfeczione: o nella vita mentre che
vive, vivendo in virtú col cuore schietto e liberale d’amare me senza alcuno rispetto; o nella morte,
riconoscendo la sua imperfeczione con proponimento che, se egli avesse tempo, servirebbe me
‘senza rispetto di sé.
Di questo amore imperfetto amava sancto Pietro el dolce e buono Iesú, unigenito mio
Figliuolo, molto dolcemente sentendo la dolcezza della conversazione sua. Ma, venendo el tempo
della tribolazione, venne meno; tornando a tanto inconveniente che, non tanto che egli sostenesse
pena in sé, ma, cadendo nel primo (112) timore della pena, el negò, dicendo che mai non l’aveva
cognosciuto.
In molti inconvenienti cade l’anima che ha salita questa scala solo col timore servile e con
l’amore mercennaio. Debbansi adunque levare ed essere figliuoli, e servire a me senza rispetto di
loro. Benché Io, che so’ remuneratore d’ogni fadiga, rendo a ciascuno secondo lo stato ed exercizio
suo. E se costoro non lassano l’exercizio de l’orazione sancta e de l’altre buone operazioni, ma con
perseveranzia vadano aumentando la virtú, giogneranno a l’amore del figliuolo.
E Io amarò loro d’amore filiale, però che con quello amore che so’ amato lo, con quello vi
rispondo: cioè che, amando me si come fa el servo el signore, Io come signore ti rendo el debito tuo,
secondo che tu hai meritato. Ma non manifesto me medesimo a te, perché le cose secrete si
manifestano a l’amico che è facto una cosa con l’amico suo.
È vero che ‘l servo può crescere per la virtú sua e amore che porta al signore, si che
diventarà amico carissimo: cosí è e adiviene di questi cotali. Mentre che stanno nel mercennaio
amore, Io non. manifesto me medesimo a loro; ma se essi con dispiacimento della loro
imperfeczione e amore delle virtú, con odio dibarbicando la radice de l’amore spirituale proprio di
se medesimo, salendo sopra la sedia della coscienzia sua, tenendosi ragione, si che non passino e’
movimenti, nel cuore, del timore servile e de l’amore mercennaio che non sieno corretti col lume
della sanctissima fede; facendo cosí, sarà tanto piacevole a me, che per questo giognaranno a
l’amore de l’amico.
E cosí manifestarò me medesimo a loro, si come dixe la mia Verità quando disse: « Chi
m’amará sarà una cosa con meco e Io con loro, e manifestarò me medesimo, e faremo mansione
insieme ». Questa è la condiczione del carissimo amico, che sonno due corpi e una anima per
affecto d’amore, perché l’amore si transforma nella cosa amata. Se elli è facto una anima, neuna
cosa gli può essere segreta. E però dixe la mia Verità: « Io verrò e faremo mansione insieme ». E
cosí è la veritá.
LXI. In che modo Dio manifesta se medesimo all’anima che l’ama.
— Sai in che modo manifesto me ne l’anima che m’ama in veritá, seguitando la dottrina di
questo dolce ed amoroso Verbo? In molti modi manifesto la virtú mia ne l’anima, secondo el
desiderio che ella ha.
Tre principali manifestazioni Io fo. La prima è che Io manifesto l’affetto e la caritá mia col
mezzo del Verbo del mio Figliuolo; el quale affecto e la quale caritá si manifesta nel Sangue sparto
con tanto fuoco d’amore. Questa caritá si manifesta in due modi: l’uno è generale comunemente a la
gente comune, cioè a coloro che stanno nella caritá comune. Manifestasi, dico, in loro vedendo e
provando la mia caritá in molti e diversi benefizi che ricevono da me. L’altro modo è particulare a
quegli che sonno fatti amici, aggionto alla manifestazione della comune caritá che egli gustano e
cognoscono e pruovano e sentono per sentimento ne l’anime loro.
La seconda manifestazione della caritá è pure in loro medesimi, manifestandomi per affecto
d’amore. None che Io sia acceptatore delle creature, ma del sancto desiderio; , manifestandomi ne
l’anima in quella perfeczíone che ella mi cerca. Alcuna volta mi manifesto (e questa è pure la
seconda) dando lo’ spirito di profezia, mostrando lo’ le cose future. E questo è in molti e in diversi
modi, secondo el bisogno che lo vego ne l’anima propria e ne l’altre creature.
Alcuna volta (e questa è la terza) formarò nella mente loro la presenzia della mia Verità, unigenito
mio Figliuolo, in molti modi, secondo che l’anima appetisce e vuole. Alcuna volta mi cerca ne
l’orazione, volendo cognoscere la potenzia mia; e lo le satisfo facendole gustare e sentire la mia
virtú. Alcuna volta mi cerca nella sapienzia del mio Figliuolo, e Io le satisfo ponendolo per obietto a
l’occhio de l’intelletto suo. Alcuna volta mi cerca nella clemenzia dello Spirito sancto; e alora la
mia bontá le fa gustare il fuoco della divina carità, concipendo le vere e reali virtú, fondate nella
caritá pura del proximo suo.
LXII. Perché Cristo non dixe: «Io manifestarti el Padre mio», ma dire: « Io
manifestarò me medesimo».
— Adunque vedi che la Verità mia disse veritá, dicendo: « Chi m’amará sarà una cosa con
meco »; però che, seguitando la doctrina sua, per affecto d’amore sète uniti in lui. Ed essendo uniti
in lui, sète uniti in me, perché siamo una cosa insieme; e cosí manifesto me medesimo a voi, perché
siamo una medesima cosa. Unde, se la mia Verità dixe: « Io manifestarò me a voi », dixe veritá;
però che manifestando sé manifestava me, e manifestando me manifestava sé.
Ma perché non disse: « Io manifestarò el Padre mio a voi »? Per tre cose singulari. Una,
perché egli volse manifestare che Io non so’ separato da lui, né egli da me; e però a sancto Filippo,
quando gli dixe: « Mostraci el Padre e basta a noi », dixe: « Chi vede me vede il Padre, e chi vede el
Padre vede me ». Questo disse, però che era una cosa con meco, e quello che egli aveva l’aveva da
me, e none Io da lui. E però dixe a’ giuderi: « La doctrina mia non è mia, ma è del Padre mio che mi
mandò ». Perché il Figliuolo mio procede da me, e non Io da lui. Ma ben so’ una cosa con lui ed egli
con meco. Però adunque non dixe: « Io manifestarò el Padre », ma dixe: « Io manifestarò me »,
cioè: « però che so’ una cosa col Padre ».
La seconda fu però che, manifestando sé a voi, non porgeva altro che quel che aveva avuto
da me, Padre, quasi volesse elli dire: « El Padre ha manifestato sé a me, perch’ Io so’ una cosa con
lui. E Io, me e lui, per mezzo di me, manifestarò a voi ».
La terza fu perché Io, invisibile, non posso essere veduto da voi, visibili, se non quando
sarete separati da’ corpi vostri. Alora (115) vedrete me, Dio, a faccia a faccia, e il Verbo del mio
Figliuolo intellectualmente di qui al tempo della resurreczione generale,
quando l’umanità vostra si conformarà e dilectarà ne l’umanità del Verbo, si come di sopra nel
Traciato della resurreczione ti contiai.
Si che me, come Io so’, non mi potete vedere. E però velai Io la divina natura col velame
della vostra umanità, acciò che mi poteste vedere. lo, invisibile, mi feci quasi visibile, dandovi el
Verbo del mio Figliuolo, velato del velame della vostra umanità. Egli manifesta me a voi; e però
adunque non disse: « Io manifestarò el Padre », ma disse: « Io manifestarò me a voi », quasi dica: «
secondo che m’ha dato el Padre mio, manifestarò me a voi ».
Si che vedi che in questa manifestazione, manifestando sé, manifesta me. Ed anco hai udito
perché egli non disse: « lo manifestarò el Padre a voi », cioè perché a voi nel corpo mortale non è
possibile di vedere me, come decto è, e perché egli è una cosa con meco.
LXIII. Che modo tiene l’anima per salire lo scalone secondo del sancto ponte,
essendo giá salita el primo.
— Ora hai veduto in quanta excellenzia sta colui che è gionto a l’amore de l’amico. Questo
ha salito el piè de l’affecto ed è gionto al secreto del cuore, cioè al secondo de’ tre scaloni e’ quali
sonno figurati nel corpo del mio Figliuolo. Díxiti che significati erano nelle tre potenzie de l’anima,
e ora tel pongo significare e’ tre stati de l’anima. Ora, innanzi ch’ Io ti gionga al terzo, ti voglio
mostrare in che modo gionse ad essere amico (ed essendo facto amico, è facto figliuolo, giognendo
a l’amore filiale), e quello che fa essendo facto amico, e in quello che si vede che egli è facto amico.
El primo, cioè come egli è venuto ad essere amico, dicotelo. In prima era imperfecto,
essendo nel timore servile: exercitandosi e perseverando, venne a l’amore del dilecto e della propria
utilitá, trovando dilecto e utilitá in me. Questa è la via, e per questa passa colui che desidera di
giognere a l’amore perfecto, cioè ad amore d’amico e di figliuolo.
Dico che l’amore filiale è perfecto, però che ne l’amore del figliuolo riceve la eredità di me,
Padre etterno. E perché amore di figliuolo non è senza l’amore de l’amico, però ti dixi che d’amico
era facto figliuolo.
Ma che modo tiene a giógnarvi? Dicotelo. Ogni perfeczione ed ogni virtú procede da la
carità, e la caritá è notricata da l’umilità, e l’umilità esce del cognoscimento e odio sancto di se
medesimo, cioè della propria sensualità. Chi ci giogne, conviene che sia perseverante e atia nella
cella del cognoscimento di sé; nel quale cognoscimento di sé cognoscerà la misericordia mia nel
sangue de l’unigenito mio Figliuolo, tirando a sé con l’affetto suo la divina mia carità, exercitandosi
in extirpare ogni perversa volontà spirituale e temporale, nascondendosi nella casa sua. Si come
fece Pietro e gli altri discepoli, che, doppo la colpa della negazione che fece del mio Figliuolo,
pianse. El suo pianto era ancora imperfetto: e imperfetto fu infino a doppo e’ quaranta di, cioè
doppo l’Ascensione, poi che la mia Verità ritornò a me secondo l’umanità sua. Alora si nascosero
Pietro e gli altri nella casa aspettando l’a’venimento dello Spirito sancto, si come la mia Verità aveva
promesso a loro.
Essi stavano inserrati per paura, però che sempre l’anima, infino che non giogne al vero
amore, teme: ma perseverando in vigilia, in umile e continua orazione infino che ebbero
l’abondanzia dello Spirito sancto, alora, perduto el timore, seguitavano e predicavano Cristo
crocifixo.
Cosí l’anima che ha voluto o vuole giognere a questa perfeczione, poi che doppo la colpa del
peccato mortale s’è levata e ricognosciuta sé, comincia a piagnere per timore della pena. Poi si leva
a la considerazione della misericordia mia, dove truova dilecto e sua utilitá. E questo è imperfetto. E
però Io, per farla (117) venire ad perfeczione, doppo e’ quaranta di (cioè doppo questi due stati), a
ora a ora mi sottraggo da l’anima: non per grazia ma per sentimento.
Questo vi manifestò la mia Verità, quando dixe a’ discepoli: « Io andarò e tornarò a voi ».
Ogni cosa che egli diceva era detta in particolare a’ discepoli, ed era detta in generale e
comunemente a tutti e’ presenti e a’ futuri, cioè di quelli che dovevano venire. Disse: «lo andarò e
tornarò a voi »; e cosí fu: ché, tornando lo Spirito sancto sopra e’ discepoli, tornò Egli, perché, come
di sopra ti dixi, lo Spirito sancto non tornò solo, ma venne con la potenzia mia e con la sapienzia del
Figliuolo (che è una cosa con meco), e con la clemenzia sua d’esso Spirito sancto, el quale procede
da me, Padre, e dal Figliuolo.
Or cosí ti dico: che, per fare levare l’anima dalla imperfeczione, lo mi sottraggo, per
sentimento, privandola della consolazione di prima. Quando ella era nella colpa del peccato
mortale, ella si parti da me, ed Io sottraxi la grazia per la colpa sua, perché essa aveva serrata la
porta del desiderio; unde il sole della grazia n’esci fuore, non per difetto del sole, ma per dilecto
della creatura, che serrò la porta del desiderio. Ricognoscendo sé e la tenebre sua, apre la finestra,
vomitando el fracidume per la sancta confessione. Io alora per grazia so’ tornato ne l’anima, e
ritraggomi da lei non per grazia ma per sentimento, come detto è. Questo fo per farla umiliare e per
farla exercitare in cercare me in veritá, e per provarla nel lume della fede, perché ella venga a
prudenzia. Alora, se ella ama senza rispetto, con viva fede e con odio di sé, gode nel tempo della
fadiga, reputandosi indegna della pace e quiete della mente. E questa è la seconda cosa delle tre,
delle quali Io ti dicevo, cioè di mostrare in che modo viene ad perfeczione, e che fa quando ella è
gionta.
Questo è quel che fa: che, perché ella senta ch’ Io sia ritratto a me, non volta el capo a dietro;
anco persevera con umilità ne l’exercizio suo, e sta serrata nella casa del cognoscimento di sé. E ine
con fede viva aspetta l’avenimento dello Spirito sancto, cioè me, che so’ esso fuoco di caritá. Come
aspetta? non oziosa, ma in vigilia e continua e sancta orazione. E non (118) solamente la vigilia
corporale, ma la vigilia intellectuale, cioè che l’occhio de l’ intellecto non si serra, ma col lume della
fede veghia-, extirpando con odio le cogitazioni del cuore; veghiando ne l’affecto della mia carità,
cognoscendo che Io non voglio altro che la sua sanctificazione. E questo n’è certificato nel sangue
del mio Figliuolo.
Poi che l’occhio vegghia nel cognoscimento di me e di sé, òra continuamente con orazione di
sancta e buona volontà: questa è orazione continua. E anco con l’orazione actuale, cioè, dico, facta
ne l’actuale tempo ordinatamente, secondo l’ordine della sancta Chiesa.
Questo è quello che fa l’anima che s’è partita dalla imperfeczione e gionta alla perfeczione. E
acciò che ella vi giognesse, mi partii da lei, non per grazia ma per sentimento.
Partiimi ancora perché ella vedesse e cognoscesse il difecto suo: però che, sentendosi privata
della consolazione, se sente pena afiiiggitiva e sentesi debile e non stare ferma né perseverante, in
questo truova la radice de l’amore spirituale proprio di sé. E però l’è materia di cognoscersi e di
levarsi sé sopra di sé, salendo sopra la sedia della coscienzia sua; e non lassare passare quel
sentimento che non sia correcto con rimproverio, dibarbicando la radice de l’amore proprio col
coltello de l’odio d’esso amore e con l’amore della virtú.
LXIV. Come, amando Dio inperfectamente, inperfectamente s’ama el proximo.
E de’ segni di questo amore inperfecto.
— E voglio che tu sappi che ogni inperfeczione e perfeczione si manifesta e s’acquista in
me; e cosí s’acquista e manifesta nel mezzo del proximo. Bene il sanno e’ semplici, che spesse volte
amano le creature di spirituale amore. Se l’amore di me ha ricevuto schiectamente senza alcuno
rispecto, schiectamente beie l’amore del proximo suo, si come il vasello che s’empie nella fonte:
che, se nel traie fuore, beiendo, el vasello rimane vòtio; ma se egli el beie stando el vasello nella
fonte, non rimane vòtO, ma sempre sta pieno. Cosí l’amore del proximo, spirituale e temporale,
vuole essere beiuto in me, senza alcuno rispecto.
Io vi richiegio che voi m’amiate di quello amore che Io amo voi. Questo non potete fare a
me, però che Io v’amai senza essere amato. Ogni amore, che voi avete a me, m’avete di debito e non
di grazia, però che ‘l dovete fare. E Io amo voi di grazia e non di debito. Adunque a me non potete
rendere questo amore che lo vi richiego; e però v’ho posto el mezzo del proximo vostro, acciò che
faciate a lui quello che non potete fare a me, cioè d’amarlo senza veruno respecto, di grazia e senza
aspectarne alcuna utilitá. E io reputo che faciate a me quello che fate allui.
Questo mostrò la mia Verità dicendo a Pavolo, quando mi perseguitava: « Saulo, Saulo,
perché mi perseguiti? ». Questo diceva, reputando che Pavolo perseguitasse me perseguitando e’
miei fedeli.
Si che vuole essere schiecto questo amore. E con quello amore, che voi amate me, dovete
amare loro. Sai a che se n’avede che egli non è perfecto colui che ama di spirituale amore? Se si
sente pena afìiiggitiva quando non gli pare che la creatura, che egli ama, satisfaccia a l’amore suo,
non parendogli essere amato quanto gli pare amare. Ovvero che egli si vega sottrare la
conversazione, o privare della consolazione, o vedendo amare un altro piú di lui.
A questo e a molte altre cose se ne potrà avedere che questo amore in me e nel proximo è
ancora imperfecto, e che questo vasello è beiuto fuore della fonte: poniamo che l’amore abbi tracto
da me. Ma perché in me l’aveva ancora imperfecto, però imperfecto el mostra in colui che ama di
spirituale amore. Tucto procede perché la radice de l’amore proprio spirituale non era bene
dibarbicata.
E però Io permecto spesse volte che ponga questo amore, perché cognosca sé e la sua
imperfeczione per lo modo decto. (120) E sottragomi, per sentimento, da lei, perché essa si
rinchiuda nella casa del cognoscimento di sé, dove acquistarà ogni perfeczione. E poi Io torno in lei
con piú lume e cognoscimento della mia veritá, in tanto che si reputa a grazia di potere uccidere la
propria volontà per me. E non si ristà mai di potare la vigna de l’anima sua, e di divellere le spine
delle cogitazioni, e ponere le pietre delle virtú fondate nel sangue di Cristo crocifixo, le quali ha
trovate ne l’andare per lo ponte di Cristo crocifixo, unigenito mio Figliuolo. Si com’ Io ti dixi, se
bene ti ricorda, che sopra del ponte, cioè della doctrina della mia Verità, erano le pietre fondate in
virtú del sangue suo, perché le virtú hanno dato vita a voi in virtú del Sangue.
DELL’ORAZIONE
LXV. Del modo che tiene l’anima per giognere ad l’amore schietto e liberale. E
qui comincia el tractato dell’orazione.
— Poi che l’anima è intrata dentro passando perla doctrina di Cristo crocifixo, con vero
amore della virtú e odio del vizio, con perfecta perseveranzia, gionta a la casa del cognoscimento di
sé, sta serrata in vigilia e continua orazione, separata al tucto da la conversazione del secolo.
Perché si rinchiuse? Per timore, cognoscendo la sua imperfeczione, e per desiderio che ha di
giognere a l’amore schiecto e liberale. E perché vede bene e cognosce che per altro modo non vi può
giognere, però aspecta con fede viva l’avenimento di me per acrescimento di grazia in sé.
In che si cognosce la fede viva? Nella perseveranzia della virtú, non vollendo el capo a
dietro per veruna cosa che sia, né levarsi da l’orazione sancta per veruna cosa che sia: guarda giá
che non fusse per obbedienzia o per carità; altrimenti non debba partirsi da l’orazione. Però che
spesse volte, nel tempo ordinato de l’orazione, el dimonio giogne con le molte battaglie e molestie
piú che quando si truova fuore de l’orazione. Questo fa per farle venire a tedio l’orazione sancta,
dicendo spesse volte: — Questa orazione non ti vale, però che tu non debbi pensare altro né
actendere ad altro che a quel che tu dici. — Questo le fa vedere il dimonio perché ella venga a tedio
e a confusione di mente, e lassi l’exercizio de l’orazione. La quale è una arme con che l’anima si
difende da ogni adversario, tenuta con la mano de l’amore e col braccio del libero arbitrio,
difendendosi con essa arme col lume della sanctissima fede.
LXVI. Qui, toccando alcuna cosa del sacramento del Corpo di Cristo, da piena
doctrina come l’anima venga da l’orazione vocale a la mentale; e narra qui una
visione che questa devota anima ebbe una volta.
— Sappi, figliuola carissima, che ne l’orazione umile e con. tinua e fedele, con vera
perseveranzia acquista l’anima ogni virtú. E però debba perseverare e non lassarla mai, né per
illusione di dimonio né per propria fragilità (cioè per pensiero o movimento che venisse nella
propria carne sua) né per detto di creatura, ché spesse volte si pone il dimonio sopra le lingue loro,
facendo lo’ favellare parole che hanno a impedire la sua orazione. Tutte le debba passare con la
virtú della perseveranzia. Oh! quanto è dolce a quella anima, e a me è piacevole la sancta orazione
fatta nella casa del cognoscimento di sé e nel cognoscimento di me, aprendo l’occhio de l’intelletto
col lume della fede e con l’affetto ne l’abbondanzia della mia caritá !
La quale caritá v’è fatta visibile per lo visibile unigenito mio Figliuolo, avendovela mostrata
col sangue suo. El quale sangue inebbria l’anima e vestela del fuoco della divina carità, e dalle il
cibo del sacramento (el quale v’ho posto nella bottiga del corpo mistico della sancta Chiesa) del
Corpo e del Sangue del mio Figliuolo tutto Dio e tutto uomo, dandolo a ministrare per le mani del
mio vicario, el quale tiene la chiave di questo sangue.
Questa è quella bottiga, della quale ti feci menzione, che stava in sul ponte per dare il cibo e
confortare e’ viandanti e perregrini che passano per la dottrina della mia Verità, acciò che per
debilezza non vengano meno. Questo cibo conforta poco e assai, secondo el desiderio di colui che ‘l
piglia, in qualunque modo el piglia, o sacramentalmente o virtualmente. Sacramentalmente è
quando si comunica del sancto Sacramento; (125) virtualmente è comunicandosi per sancto
desiderio: si per desiderio della comunione, e si per considerazione del sangue di Cristo crocifixo,
cioè comunicandosi sacramentalmente de l’affecto della carità, la quale ha gustata e trovata nel
Sangue, ci quale vede che per amore fu sparto. E però vi s’inebria e’vi s’accende per sancto
desiderio, e vi si sazia trovandosi piena solo della caritá mia e del proximo suo.
Questo dove l’acquistò? Nella casa del cognoscimento di sé, con sancta orazione, dove perdé
la imperfeczione. Si come i discepoli e Pietro perdéro (stando dentro in vigilia e orazione) la
imperfeczione loro e acquistàro la perfeczione. Con che? con la perseveranzia condita con la
sanctissima fede.
Ma non pensare che riceva tanto ardore e nutrimento da questa orazione solamente con
orazione vocale, si come fanno molte anime, che la loro orazione è di parole piú che d’affetto. Le
quali non pare che attendano ad altro se none in compire e’ molti salmi e dire i molti paternostri. E
compito el numero che si sonno proposti di dire, non pare che pensino piú oltre. Pare che pongano
affetto e attenzione a l’orazione solo nel dire vocalmente: ed egli non si vuole fare cosí ; però che,
non facendo altro, poco frutto ne tragono, e poco è piacevole a me.
Ma se tu mi dici: — Debbasi lassare stare questa, ché tutti non pare che siano tratti a
l’orazione mentale? — No, ma debba andare col modo, ché Io so bene che, come l’anima è prima
imperfetta che perfetta, cosí è imperfetta la sua orazione. Debba bene, per non cadere ne l’ozio,
quando è ancora imperfetta, andare con l’orazione vocale; ma non debba fare l’orazione vocale
senza la mentale: cioè che, mentre che dice, s’ingegni di levare e dirizzare la mente sua ne l’affetto
mio, con la considerazione comunemente de’ difetti suoi e del sangue de l’unigenito mio Figliuolo,
dove truova la larghezza della mia caritá e la remissione de’ peccati suoi.
E questo debba fare acciò che ‘l cognoscimento di sé e la considerazione de’ difetti suoi le
faccia cognoscere la mia bontá in sé e continuare l’exercizio suo con vera umilità.
Non voglio che siano considerati e’ difecti in particulare, ma in comune, acciò che la mente
non sia contaminata per lo ricordamento de’ particulari e ladi peccati. Dicevo che lo non voglio; e
non debba avere solo la considerazione de’ peccati in comune né in particulare senza la
considerazione e memoria del Sangue e larghezza della misericordia, acciò che non venga a
confusione. Ché se ‘l cognoscimento di sé e considerazione del peccato non fusse condito con la
memoria del Sangue e speranza della misericordia, starebbe in essa confusione: e con essa, insieme
col dimonio che l’ha guidato sotto colore di contrizione e dispiacimento del peccato, giognerebbe a
l’etterna dannazione; non solamente per questo, ma perché da questo, non pigliando el braccio della
misericordia mia, verrebbe a disperazione.
Questo è uno de’ sottili inganni che ‘l dimonio faccia a’ servi miei. E però conviene, per
vostra utilitá e per campare l’inganno del dimonio e per essere piacevoli a me, che sempre vi
dilarghiate il cuore e l’affetto nella smisurata misericordia mia con vera umilità. Ché sai che la
superbia del dimonio non può sostenere la mente umile; né la sua confusione la larghezza della mia
bontá e misericordia, dove l’anima in veritá speri.
E però, se ben ti ricorda, quando el dimonio ti voleva aterrare per confusione, volendoti
mostrare che la vita tua fusse stata inganno e non avere seguitata né fatta la volontà mia, tu allora
facesti quel che tu dovevi fare e che la mia bontá ti die’ di potere fare (la quale bontá non è nascosa
a chi la vuole ricevere), cioè che t’innalzasti nella misericordia mia con umilità, dicendo: — Io
confesso al mio Creatore che la vita mia non è passata altro che in tenebre; ma io mi nascondarò
nelle piaghe di Cristo crocifixo e bagnarommi nel sangue suo; e cosí avarò consumate le iniquità
mie e godarommi, per desiderio, nel mio Creatore.
Sai che alora el dimonio fuggi. E tornando poi con l’altra, cioè di volerti levare in alto per
superbia, dicendo: — Tu se’ perfetta e piacevole a Dio; non bisogna piú che t’affliga né che pianga
e’ difetti tuoi; — donandoti Io alora el lume, vedesti la via che ti conveniva fare, cioè d’umiliarti; e
rispondesti al (127) dimonio, dicendo: — Miserabile a me! Giovanni Baptista non fece mai peccato
e fu sanctificato nel ventre della madre, e non dimeno fece tanta penitenzia! E io ho commessi
cotanti difecti, e non cominciai mai a cognoscerlo con pianto e vera contrizione, vedendo chi è Dio
che è offeso da me, e chi so’ io che l’offendo! —
Allora el dimonio non potendo sostenere l’umilità della mente né la speranza della mia
bontá, disse a te: — Maladecta sia tu, ché modo non posso trovare con teco! Se io ti pongo abasso
per confusione, e tu ti levi in alto a la misericordia. E se io ti pongo in alto, e tu ti poni abasso,
venendo ne l’inferno per umilità, e intro lo ‘nferno mi perseguiti. Si che io non tornarò piú a te, però
che tu mi percuoti col bastone della caritá. —
Debba dunque l’anima condire col cognoscimento della mia bontá el cognoscimento di sé, e
il cognoscimento di me col cognoscimento di sé. A questo modo l’orazione vocale sarà utile a
l’anima che la farà, e a me sarà piacevole. E da l’orazione vocale imperfetta giognarà, perseverando
con l’exercizio, a l’orazione mentale perfetta. Ma se semplicemente mira di compire el numero suo,
o se per la orazione vocale lassasse l’orazione mentale, non vi giogne mai.
Alcuna volta sarà l’anima si ignorante che, fattosi el suo proponimento di dire cotana
orazione con la lingua (e io alcuna volta visitarò la mente sua, quando in uno modo e quando in uno
altro: alcuna volta in uno lume di cognoscimento di sé con una contrizione del difetto suo; alcuna
volta nella larghezza della mia carità; alcuna volta ponendole dinanzi a la mente sua in diversi
modi, secondo che piace a me, la presenzia della mia Verità, e secondo che essa anima avesse
desiderato), ed ella, per compire il suo numero, lassa la visitazione di me che sente nella mente,
quasi per coscienzia che si farà di lassare quello che ha cominciato.
Non debba fare cosí, però che, facendolo, sarebbe inganno di dimonio; ma subbito che sente
disponere la mente per mia visitazione (per molti modi, come detto è), debba abandonare l’orazione
vocale. Poi, passata la mentale, se ha tempo, può (128) ripigliare quello che proposto s’aveva di
dire; non avendo tenpo non se ne debba curare, né venirne a tedio né confusione di mente. Cosí
debba fare. Guarda giá che non fusse l’offlzio divino, el quale i cherici e religiosi sonno tenuti e
obligati di dire; e non dicendolo, offendono. Essi debbono infino a la morte dire l’offizio suo. E se
essi si sentissero, all’ora debita che si debba dire, la mente tracta e levata per desiderio, si debbano
provedere di dirlo innanzi o dirlo poi, sí che non trapassi che il debito de l’offizio non sia renduto.
D’ogni altra cosa che l’anima cominciasse, la debba cominciare vocalmente per giognere a la
mentale. E sentendosi la mente disposta, la debba lassare per la cagione decta. Questa orazione
vocale, facta nel modo che decto t’ho, giognerà ad perfeczione; e però non debba lassare l’orazione
vocale, per qualunque modo ella è facta, ma debba andare col modo che decto t’ho. E cosí con
l’essercizio e perseveranzia gustarà l’orazione in veritá e il cibo del sangue de l’unigenito mio
Figliuolo. E però ti dixi che alcuno si comunicava virtualmente del Corpo e del sangue di Cristo,
benché non sacramentalmente, cioè comunicandosi de l’affecto della carità, la quale gusta col
mezzo della sancta orazione, poco e assai, secondo l’affecto di colui che òra.
Chi va con poca prudenzia, e non con modo, poco truova; chi con assai, assai truova; perché
quanto l’anima piú s’ingegna di sciogliere l’affecto suo e legarlo in me col lume de l’ intellecto, piú
cognosce: chi piú cognosce piú ama; piú amando, piú gusta.
Adunque vedi che l’orazione perfecta non s’acquista con molte parole, ma con affecto di
desiderio, levandosi in me con cognoscimento di sé, condito insieme l’uno con l’altro. Cosí
insiememente avara la vocale e la mentale, perché elle stanno insieme si come la vita activa e la vita
contemplativa.
Benché in molti e in diversi modi s’intenda orazione vocale o vuoli mentale: perché posto
t’ho che ‘l desiderio sancto è continua orazione, cioè d’avere buona e sancta volontà. La quale
volontà e desiderio si leva al luogo e al tempo ordinato (129) actualmente, agionto a quella continua
orazione del sancto desiderio. E cosí l’orazione vocale, stando l’anima nella sancta volontà, la farà al
tempo ordinato; o alcuna volta fuore del tempo ordinato la fa continua, secondo che gli richiede la
caritá in salute del proximo (si come vede il bisogno e la necessità) e secondo lo stato che Io l’ho
posto.
Ogniuno, secondo lo stato suo, debba adoperare in salute de l’anime secondo el principio
della sancta volontà. Ciò che aduopera vocalmente e actualmente nella salute del proximo è uno
orare virtuale: poniamo che actualmente, a luogo debito, la facci per sé. E fuore della debita
orazione sua, ciò che egli fa nella caritá del proximo suo, o in sé per exercizio che egli facesse
actualmente di qualunque cosa si fusse, è uno orare. Si come disse il glorioso mio banditore di
Pavolo, cioè che « non cessa d’orare chi non cessa di bene adoperare ». E però ti dixi che l’orazione
si faceva in molti modi se si vede l’actuale unita con la mentale, perché l’actuale orazione facta per
lo modo decto è facta con l’affecto della caritá. El quale affecto di caritá è la continua orazione.
Ora t’ho decto in che modo si giogne a l’orazione mentale, cioè con l’essercizio e
perseveranzia e lassando la vocale per la mentale quando lo visito l’anima. E hotti decto quale è
l’orazione comune e la vocale comunemente fuore del tempo ordinato, e l’orazione della buona e
sancta volontà; e come ogni exercizio in sé e nel proximo, che fa con buona volontà, fuore de
l’ordinato tempo, è orazione. Adunque virilmente l’anima debba speronare se medesima con questa
madre de l’orazione. Questo è quello che fa l’anima che è rinchiusa in casa del cognoscimento di sé,
gionta a l’amore de l’amico e filiale. E se essa anima non tiene i modi decai, sempre rimarrebbe
nella tiepidezza e imperfeczione sua. E tanto amarebbe, quanto sentisse dilecto o utilitá in me o nel
proximo suo.
LXVII. De lo inganno che ricevono gli uomini mondani, e’ quali amano e
servono Dio per propria consolazione e dilecto.
— Del quale amore imperfecto ti voglio dire. E non ti voglio tacere uno inganno che in esso
amore possono ricevere, nella parte d’amare me per propria consolazione. Unde voglio che tu sappi
che il servo mio, che imperfectamente m’ama, cerca piú la consolazione, per la quale egli m’ama,
che me. E a questo se ne può avedere: che, mancandoli la consolazione o spirituale, cioè di mente, o
consolazione temporale, si turba.
Nelle temporali tocca agli uomini del mondo, che vivono con alcuno acto di virtú, mentre
che hanno la prosperità; e sopravenendo la tribulazione, la quale Io do per loro bene, si conturbano
in quel poco del bene che adoperavano. E chi gli dimandasse: — Perché ti conturbi? —
rispondarebbero: — Perché aviamo ricevuta tribolazione, e quel poco del bene ch’io facevo mel
pare quasi perdere, perché non el fo con quel cuore e con quello animo che io facevo, mi pare a me.
Questo è per la tribolazione che io ho ricevuta, però che mi pareva piú adoperare, e piú
pacificamente col cuore riposato, innanzi che ora. —
Costoro sonno ingannati nel proprio dilecto. E non è la veritá che ne sia cagione la
tribolazione: né che essi amino meno né aduoparino meno, cioè che l’operazione, che fanno nel
tempo della tribolazione, tanto vale in sé quanto di prima, nel tempo della consolazione; anco lo’
potrebbe valere piú, se essi avessero pazienzia. Ma questo l’adiviene perché essi si dilectavano nella
prosperità: ine con un poco d’acto di virtú amavano me; ine pacificavano la mente loro con quella
poca operazione. Essendo privati di quello dove si posavano, lo’ pare che lo’ sia tolto el riposo nel
loro adoperare: ed egli non è cosí.
Ma a loro adiviene come de l’uomo che è in uno giardino: che in esso giardino, perché v’ha
dilecto, si riposa con la sua operazione. Parli riposare ne l’operazione, ed egli si riposa nel
(131) dilecto che egli ha preso nel giardino. E a questo se n’avede che egli è la veritá che egli si
dilecta piú nel giardino che ne l’operazione: però che, toltoli el giardino, si sente privato del dilecto.
Però che, se ‘l principale dilecto avesse posto nella sua operazione, non l’avarebbe perduto, anco
l’avarebbe seco; perché l’exercizio del bene adoperare non si può perdere (se egli non vuole) perché
gli sia tolto el dilecto della prosperità, si come a colui el giardino.
Adunque s’ingannano nel loro adoperare per la propria passione. Unde hanno per uso di dire
questi cotali: — Io so che io facevo meglio, e piú consolazione avevo innanzi che io fusse tribulato
che ora, e giovavami di fare bene; ma ora non me ne giova né dilecto punto. — El loro vedere e il
loro dire è falso, però che, se essi si fussero dilectati del bene per amore del bene della virtú, non
l’avarebbero perduto né mancato in loro, anco cresciuto. Ma perché el loro bene adoperare era
fondato nel proprio loro bene sensitivo, però lo’ manca e vien lo’ meno.
Questo è lo inganno che riceve la comune gente in alcuno loro bene adoperare. Questi sonno
ingannati da loro medesimi, dal proprio dilecto sensitivo.
LXVIII. De lo inganno che ricevono e’ servi di Dio, e’ quali ancora amano Dio di
questo amore imperfecto predecto.
— Ma e’ servi miei che anco sonno ne l’amore imperfecto, cercando e amando me con
affecto d’amore verso la consolazione e dilecto che truovano in me, qualche volta sono ingannati.
Perch’Io so’ remuneratore d’ogni bene che si fa, poco e assai, secondo la misura de l’amore di colui
che riceve; per questo do consolazione mentale, quando in uno modo e quando in un altro, nel
tempo de l’orazione. Questo non fo perché ella ignorantemente riceva la consolazione, cioè che ella
raguardi piú el presente della consolazione che è data da me che me, ma perché (132) ella raguardi
piú l’affecto della mia caritá con che Io lel do e la indegnità sua che riceve, che el dilecto della
propria consolazione. Ma se ella, ignorante, piglia solo el dilecto senza la considerazione de
l’affecto mio verso di lei, ne riceve il danno e lo inganno che lo ti dirò.
L’uno si è che, ingannata da la propria consolazione, cerca essa consolazione e ine si dilecta.
E piú che, alcuna volta, sentendo in alcuno modo la consolazione e visitazione mia in sé, e poi
partendosi, andarà dietro per la via che tenne quando la trovò, per trovare quella medesima. E Io
non le do a uno modo (ché cosí parrebbe ch’Io non avesse che dare); anco le do in diversi modi,
secondo che piace a la mia bontá e secondo la necessità e il bisogno suo. Essendo ella ignorante,
cercarà pure in quello modo come se ella volesse ponere legge allo Spirito sancto. Non debba fare
cosí ; ma debba passare virilmente per lo ponte della dottrina di Cristo crocifixo, e ine ricevere in
quel modo, in quello luogo e in quel tempo che piace a la mia bontá di dare. E se Io non do, anco
quel non dare Io el fo per amore e non per odio, perché essa mi cerchi in veritá e non m’ami
solamente per lo dilecto, ma riceva con umilità piú la caritá mia che il dilecto che truova. Però che,
se ella non fa cosí, e che ella vada solo al dilecto a suo modo e non a mio, riceverà pena e
confusione intollerabile quando si vedrà tolto l’obiecto del dilecto, el quale si pose dinanzi a
l’occhio de l’intellecto suo.
Questi sonno quegli che eleggono le consolazioni a loro modo, cioè che, trovando dilecto, in
alcuno modo, di me nella mente loro, vorranno passare con quel medesimo. E alcuna volta sonno
tanto ignoranti che, visitandogli Io in altro modo che in quello, faranno resistenzia e non
riceveranno, anco vorranno pur quello che s’hanno imaginato. Questo è difecto della propria
passione e dilecto spirituale il quale trovò in me: ella è ingannata, però che impossibile sarebbe di
stare continuamente in uno modo. Perché, come l’anima non può stare ferma, ché o e’ si conviene
che ella vada innanzi à le virtú, o ella torni a dietro; cosí la mente in me non può stare ferma solo in
uno dilecto, che la mia bontá non ne dia piú. Molto differenti gli do: alcuna volta (133) do dilecto
d’una allegrezza mentale; alcuna volta una contrizione e uno dispiacimento, che parrà che la mente
sia conturbata in sé; alcuna volta sarò ne l’anima e non mi sentirà; alcuna volta formarò la mia
Verità, Verbo incarnato, in diversi modi dinanzi a l’occhio de l’intelletto suo, e nondimeno non parrà
che essa, nel sentimento de l’anima, el senta con quello calore e dilecto che a quello vedere le pare
che dovesse seguitare; e alcuna volta sentirà e non vedrà grandissimo dilecto.
Tucto questo fo per amore e per conservarla e acrescerla nella virtú de l’umilità e nella
perseveranzia, e per insegnarle che essa non voglia poner regola a me, né il fine suo nella
consolazione, ma solo nella virtú fondata in me; ma con umilità riceva l’uno tempo e l’altro, e con
affecto d’amore l’affecto mio con che Io do; e con viva fede creda ch’Io do a necessità o della salute
sua, o a necessità di farla venire a la grande perfeczione.
Debba dunque stare umile, facendo el principio e il fine ne l’affecto della mia carità, e
ricevere in essa caritá dilecto e non dilecto, secondo la mia volontà e non secondo la sua. Questo è il
modo a non volere ricevere inganno, anco ogni cosa ricevere per amore da me che so’ loro fine,
fondati nella dolce mia volontà.
LXIX. Di quelli e’ quali, per non lassare la loro pace e consolazione, non
sovengono al proximo ne le sue necessitadi.
— Hotti decto de l’inganno che ricevono coloro che a loro modo vogliono gustare e ricevare
me nella mente loro.
Ora ti voglio dire il secondo inganno di coloro che tucto el loro dilecto è posto in ricevere la
consolazione della mente loro; intanto che spesse volte vedranno el proximo loro in necessità o
spirituale o temporale e non li soverranno, socto colore di virtú dicendo: — Io ne perdo la pace e la
quiete della mente, e non dico l’ore mie a l’ora né al tempo. — Unde, non (134) avendo la
consolazione, ne lo’ pare offendere me: ed essi sonno ingannati dal proprio dilecto spirituale della
mente loro; e offendonmi piú non sovenendo a la necessità del proximo che Tassando tucte le loro
consolazioni. Perché ogni exercizio vocale e mentale è ordinato da me, che l’anima el facci per
giognere a la caritá perfecta di me e del proximo, e di conservarla in essa caritá. Si che egli
m’offende piú Tassando la caritá del proximo per lo suo exercizio actuale e quiete di mente, che
lassando l’exercizio per lo proximo.
Perché nella caritá del proximo truovano me, e nel dilecto loro, dove cercano me, ne
sarebbero privati. Però che, non sovenendo, ipso facto diminuiscono la caritá del proximo;
diminuita la caritá del proximo, diminuisce l’affecto mio verso di loro; diminuito l’affecto,
diminuita la consolazione. Si che, volendo guadagnare, essi perdono; e volendo perdere,
guadagnano; cioè che, volendo perdere le proprie consolazioni in salute del proximo, riceve e
guadagna me e il proximo suo, sovenendolo e servendolo caritativamente.
E cosí gustarebbero in ogni tempo la dolcezza della caritá mia. E, non facendolo, stanno in
pena: perché alcuna volta si converrà pur che ‘l sovenga, o per forza o per amore, o per infermità
corporale o per infermità spirituale che egli s’abbi; sovenendolo, el soviene con pena, con tedio di
mente e stimolo di coscienzia, e diventa incomportabile a sé e ad altrui. E chi el dimandasse: —
Perché senti questa pena? — rispondarebbe: — Perché mi pare avere perduta la pace e la quiete
della mente, e molte cose, di quelle che io solevo fare, ho lassate, e credone offendere Dio. — Ed
egli non è cosí; ma perché ‘l suo vedere è posto nel proprio dilecto, però non sa discernere né
cognoscere in veritá dove sta la sua offesa. Però che vedrebbe che l’offesa non sta in non avere la
consolazione mentale, né in Tassare l’essercizio de l’orazione nel tempo della necessità del proximo
suo; anco sta in essere trovato senza la caritá del proximo, el quale egli debba amare e servire per
amore di me.
Si che vedi come s’inganna solo col proprio amore spirituale verso di sé.
LXX. De lo inganno che ricevono quelli li quali hanno posto tucto el loro affecto
ne le consolazioni e visioni mentali.
— E alcuna volta per questo cosí facto amore ne riceve anco piú danno. Ché se l’affecto suo
solo si pone e cerca nella consolazione e visioni le quali spesse volte dono e do a’ servi miei,
quando ella se ne vede privata cade in amaritudine e in tedio di mente, perché le pare essere privata
della grazia quando alcuna volta mi sottrago della mente sua; si come ti dixi che Io andavo e
tornavo ne l’anima, partendomi non per grazia ma per sentimento, per fare venire l’anima ad
perfeczione. Si che ne cade in amaritudine, e parle essere intro lo ‘nferno, sentendosi levata dal
dilecto e sentendo le molestie delle molte temptazioni.
Non debba essere ignorante né lassarsi tanto ingannare al proprio amore spirituale che non
cognosca la veritá; e cognoscere me in sé, che so’ Io colui, sommo Bene, che le conservo la buona
volontà, nel tempo delle bactaglie, che non corre per dilecto dietro a loro. Debbasi dunque umiliare,
reputandosi indegna della pace e quiete della mente. E però mi sottrago da lei, per questa cagione:
per farla umiliare e per farle cognoscere la caritá mia in sé, trovandola nella buona volontà che lo le
conservo nel tempo delle bactaglie; e perché essa non riceva solamente il lacte della dolcezza
sprizzato da me nella faccia de l’anima sua, ma perché essa s’atacchi al pecto della mia Verità, si che
riceva el lacte insieme con la carne, cioè di trare a sé il lacte della mia caritá col mezzo della Carne
di Cristo crocifixo, cioè della doctrina sua, della quale v’ho facto ponte acciò che per lui giongano a
me. Per questo mi ritrago da loro.
Andando elleno con prudenzia, e non con ignoranzia ricevendo solamente il lacte, ritorno a loro con
piú dilecto e fortezza e lume e ardore di caritá. Ma se esse ricevono con (136) tedio e con tristizia e
confusione di mente ci partire del sentimento della dolcezza mentale, poco guadagnano e
permangono nella tiepidezza loro.
LXXI. Come i predecti, che si dilectano de le consolazioni e visioni mentali,
possono essere ingannati ricevendo el demonio transfigurato in forma di luce. E
de’ segni a’ quali si può cognoscere quando la visitazione è da Dio, o dal
demonio.
— E doppo questo, ricevono spesse volte un altro inganno dal dimonio, cioè di trasformarsi
in forma di luce. Perché ‘l dimonio in quello che vede la mente disposta a ricevere e desiderare, in
quello gli dà. Perché vede la mente inghiottornita e posto ci suo desiderio solo nelle consolazioni e
visioni mentali (a le quali l’anima non debba ponere il suo desiderio, ma solamente nelle virtú, e di
quelle per umilità reputarsene indegna ed in esse consolazioni ricevere l’affecto mio), dico che ‘l
dimonio alora si trasforma in quella mente in forma di luce, in diversi modi: quando in forma
d’angelo, e quando in forma della mia Verità, o in altra forma de’ sancti miei. E questo fa per
pigliarla co’ l’amo del proprio dilecto spirituale che ha posto nelle visioni e dilecto della mente. E se
essa anima non si leva con la vera umilità, spregiando ogni dilecto, rimane presa con questo lamo
nelle mani del dimonio. Ma se essa con umilità, spregiando ci dilecto, e con amore stregne l’affecto
di me, che so’ donatore, e non del dono, ci dimonio non la può sostenere, per la sua superbia, la
mente umile.
E se tu mi dimandassi: — A che si può cognoscere che sia piú dal dimonio che da te? — io
ti rispondo che questo è il segno: che se ella è dal dimonio, che egli sia venuto nella mente a visitare
in forma di luce, come decto è, l’anima riceve subbito nel suo venire allegrezza; e quanto piú sta,
piú perde l’allegrezza e rimane tedio e tenebre e stimolo nella mente, (137) obfuscandovisi dentro.
Ma se in veritá è visitata da me, Verità etterna, l’anima riceve timore sancto nel primo aspecto; e
con esso timore riceve allegrezza e sicurtà con una dolce prudenzia, che, dubbitando, non dubbita;
ma, per cognoscimento di sé reputandosi indegna, dirà: — Io non so’ degna di ricevere la tua
visitazione; non essendone degna, come può essere? — Alora si vòlle a la larghezza della mia
carità, cognoscendo e vedendo che a me è possibile di dare; e non raguardo alla indegnità sua, ma a
la dignità mia che la fo degna di ricevere me, per grazia e per sentimento, in sé, perché non
dispregio il desiderio col quale ella mi chiama. E però riceve umilmente, dicendo: — Ecco l’ancilla
tua: facta sia in me la tua volontà. — E alora esce del camino de l’orazione e visitazione mia con
allegrezza e gaudio di mente, e con umilità reputandosi indegna, e con caritá ricognoscendola da
me.
Or questo è il segno che l’anima è visitata da me o dalle dimonia: trovando quando è da me,
nel primo aspecto, ci timore e, al fine e al mezzo, l’allegrezza e la fame delle virtú. E quando è dal
dimonio, ci primo aspecto è l’allegrezza, e poi rimane in confusione e in tenebre di mente. Si che lo
ho proveduto in darvi el segno, acciò che l’anima, se ella vuole andare umile e con prudenzia, non
possa essere ingannata. El quale inganno riceve l’anima che vorrà navicare solo con l’amore
imperfecto delle proprie consolazioni piú che de l’affecto mio, come decto t’ho.
LXXII. Come l’anima, che in verita cognosce se medesima, saviamente si guarda
da tucti li predecti inganni.
— Non t’ho voluto tacere l’inganno che ricevono e’ comuni, ne l’amore sensitivo, nel loro
poco bene adoperare, cioè di quella poca virtú che essi adoperavano nel tempo della consolazione;
né de l’amore proprio spirituale delle proprie consolazioni de’ servi miei, come essi col proprio
amore del dilecto s’ingannano (138) che non lo’ lassa cognoscere la veritá de l’affecto mio né
discernere la colpa dove ella sta, e l’inganno che ‘l dimonio usa con loro per loro colpa, se essi non
tengono el modo che decto t’ ho.
Hottelo decto, acciò che tu e gli altri servì miei andiate dietro a la virtú per amore di me, e
none a veruna altra cosa. Tucti questi inganni e pericoli può ricevare e spesse volte ricevono coloro
che sonno ne l’amore imperfecto, cioè d’amare me per rispecto del dono e non di me che do. Ma
l’anima, che in veritá è intrata nella casa del cognoscimento di sé, exercitando l’orazione perfecta e
levandosi da la imperfeczione de l’amore de l’orazione inperfecta (per quel modo che nel Tractato
de l’orazione Io ti contiai), riceve me per affecto d’amore, cercando di trare a sé el lacte della
dolcezza mia col pecto della doctrina di Cristo crocifixo.
Gionti al terzo stato, cioè de l’amore de l’amico e filiale, non hanno amore mercennaio, anco
fanno come carissimi amici. . Si come farà l’uno amico con l’altro, che, essendo presentato da
l’amico suo, l’occhio non si vòlle solamente al presente, anco nel cuore e ne l’affecto di colui che dà,
e riceve e tiene caro el presente solo per amore de l’affecto de l’amico suo. Così l’anima, gionta al
terzo stato de l’amore perfecto, quando riceve i doni e le grazie mie non raguarda solamente il dono,
ma raguarda con l’occhio de l’intellecto l’affecto della caritá di me donatore.
E acciò che l’anima non abbi scusa di fare così, cioè di raguardare l’affecto mio, lo providi
d’unire il dono e ‘l donatore, cioè unendo la natura divina con la natura umana quando vi donai el
Verbo de l’unigenito mio Figliuolo, el quale è una cosa con meco, e -Io con lui. Si che per questa
unione non potete raguardare il dono che non raguardiate me donatore. Vedi dunque con quanto
affecto d’amore dovete amare e desiderare il dono e il donatore! Facendo così, sarete in amore puro
e schiecto e non mercennaio, si come fanno questi che sempre stanno serrati nella casa del
cognoscimento di loro.
LXXIII. Per che modi l’anima si parte da l’amore inperfecto e giogne ad l’amore
perfecto dell’amico e filiale.
— In fino a ora Io t’ho mostrato per molti modi come l’anima si leva da la imperfeczione e
giogne a l’amore perfecto, e quello che fa poi che ella è gionta a l’amore de l’amico e filiale.
Dixiti e dico che ella vi giogne con perseveranzia, serrandosi nella casa del cognoscimento
di sé. El quale cognoscimento di sé vuole essere condito col cognoscimento di me, acciò che non
venga a confusione. Perché del cognoscimento di sé acquistarà l’odio della propria passione
sensitiva e del dilecto delle proprie consolazioni. E da l’odio fondato in umilità trarrà la pazienzia,
nella quale pazienzia diventarà forte contra le bactaglie del dimonio, contra le persecuzioni degli
uomini e verso di me, quando per suo bene sottrago el dilecto da la mente sua. Tucte le portarà con
questa virtú.
E se la sensualità propria, per malagevolezza, volesse alzare el capo contra la ragione, el
giudice della coscienzia debba salire sopra di sé, e con odio tenersi ragione, e non lassare passare i
movimenti che non sieno correcti. Benché l’anima che starà ne l’odio sempre si corregge e riprende,
d’ogni tempo: non tanto che quegli che sonno contra la ragione, ma quegli che, spesse volte, saranno
da me.
Questo volse dire il dolce servo mio sancto Gregorio, quando disse che « la sancta e pura
coscienzia faceva peccato dove non era peccato »: cioè che vedeva, per la purità della coscienzia, la
colpa dove non era la colpa.
Or cosí debba fare e fa l’anima che si vuole levare dalla imperfeczione, aspectando, nella
casa del cognoscimento di sé, la providenzia mia col lume della fede, si come fecero e’ discepoli che
stectero in casa e non si mossero mai, ma con (140) perseveranzia in vigilia e umile e continua
orazione perseveràro infino a l’avenimento dello.Spirito sancto.
Questo è quello (si come Io ti dixi) che l’anima fa, quando s’è levata dalla imperfeczione e
rinchiusasi in casa per giognere a perfeczione. Ella sta in vigilia, vegghiando con l’occhio de l’
intellecto nella doctrina della mia Verità, umiliata perché ha cognosciuta sé in continua orazione,
cioè. di sancto e vero desiderio, perché in sé cognobbe l’affecto della mia caritá.
LXXIV. De’ segni a’ quali si cognosce che l’anima sia venuta all’amore perfecto.
— Ora ti resto a dire in che si vede che essi sieno gionti a l’amore perfecto: per quello segno
medesimo che fu dato a’ discepoli sancti poi che ebbero ricevuto lo Spirito sancto, che esciro fuore
di casa e, perduto el timore, anunziavano la parola mia, predicando la doctrina del Verbo de
l’unigenito mio Figliuolo. E non temevano pene, anco si gloriavano nelle pene; non curavano
d’andare dinanzi a’ tiranni dei mondo ad anunziar lo’ e dir lo’ la veritá per gloria e loda del nome
mio.
Cosí l’anima che ha aspectato per cognoscimento di sé, nel modo che decto t’ho, lo so’
tornato a lei col fuoco de la caritá mia. Nella quale carità, mentre che stette in casa con
perseveranzia, concepé le virtú per affecto d’amore, participando della potenzia mia, con la quale
potenzia e virtú signoreggiò e vinse la propria passione sensitiva.
E in essa caritá participai in lei la sapienzia del Figliuolo mio, nella quale sapienzia vide
e.cognobbe con l’occhio de l’ intellecto la mia Verità e gl’inganni de l’amore sensitivo spirituale,
cioè l’amore imperfecto della propria consolazione, come decto è. E cognobbe la malizia e l’inganno
del dimonio, che dá a l’anima che è legata in quello amore imperfecto. E però si levò con odio d’essa
imperfeczione e amore della perfeczione.
In questa carità, che è esso Spirito sancto, el participai nella volontà sua, fortificando la
volontà a volere sostenere pena, ed escire fuore di casa per lo nome mio, e parturire le virtú sopra el
proximo suo. Non che esca fuore della casa del cognoscimento di sé, ma escono della casa de
l’anima le virtú concepute per affecto d’amore, e parturiscele, al tempo del bisogno del proximo suo,
in molti e diversi modi; perché ‘l tintore è perduto, el quale teneva, che non manifestava per timore
di non perdere le proprie consolazioni, si come di sopra ti dixi. Ma poi che sonno venuti a l’amore
perfecto e liberale, escono fuore per lo modo decto.
E questo gli unisce col quarto stato, cioè che dal terzo stato, el quale è stato perfecto (nel
quale terzo stato gusta e parturisce la caritá nel proximo suo), riceve uno stato ultimo di perfecta
unione in me. E’ quali due stati sonno uniti insieme, che non è l’uno senza l’altro, se non come la
caritá mia senza la caritá del proximo, e quella del proximo senza la mia non può essere separata
l’una da l’altra.
Cosí di questi due stati non è l’uno senza l’altro, si come ti verrò dichiarando e mostrando per
questo terzo.
LXXV. Come gl’ imperfecti vogliono seguitare solamente el Padre, ma i perfecti
seguitano el Figliuolo. E d’una visione che ebbe questa devota anima, ne la quale
si narra di diversi baptesmi e d’alcune altre belle e utili cose.
— Hotti decto che sonno esciti fuore. El quale è il segno che so’ levati da la imperfeczione e
gionti a la perfeczione. Apre l’occhio de l’ intellecto e miragli córrire per lo ponte della doctrina di
Cristo crocifixo, el quale fu regola e via e doctrina vostra. Dinanzi a l’occhio de l’intellecto loro essi
non si pongono altro che Cristo crocifixo; non si pongono me, Padre, si come fa colui che sta ne
l’amore imperfecto, el quale non vuole sostenere pena. E perché in me non può cadere pena, (142)
vuole seguitare solo el dilecto che truova in me, e però dico che séguita me: non me, ma el dilecto
che truova in me.
Non fanno cosí costoro; ma, come ebbri e affocati d’amore, hanno congregati e saliti tre
scaloni generali, e’ quali ti figurai nelle tre potenzie de l’anima, e i tre scaloni attuali che attualmente
ti figurai nel Corpo di Cristo crocifixo, unigenito mio Figliuolo. Salito e’ piei, co’ piei de l’affetto de
l’anima, gionse al costato, dove trovò il secreto del cuore; e cognobbe il baptesmo de l’acqua (el
quale ha virtú nel Sangue) dove l’anima trovò la grazia nel sancto baptesmo, disposto el vasello de
l’anima a ricevere la grazia unita e impastata nel Sangue. Dove cognobbe questa dignità di vedersi
unita e impastata nel sangue de l’Agnello, ricevendo el sancto baptesmo in virtú del Sangue? Nel
costato, dove cognobbe il fuoco della divina caritá. E cosí manifestoe, se bene ti ricorda, la mia
Verità, essendo dimandato da te, quando dicevi: — Doh ! dolce ed immaculato Agnello, tu eri
morto quando el costato ti fu aperto, perché volesti essere percosso e partito el cuore? — Ed egli
rispose, se ben ti ricorda, che assai cagioni ci aveva; ma alcuna principale te ne dirò.
— Perché il desiderio mio verso l’umana generazione era infinito, e l’operazione attuale di
sostenere pena e tormenti era finita: e per la cosa finita non potevo mostrare tanto amore quanto piú
amavo, perché l’amore mio era infinito. E però volsi che vedeste il secreto del cuore, mostrandovelo
aperto, acciò che vedeste che piú amavo che mostrare non vi potevo per la pena finita. Gictando
sangue e acqua, vi mostrai el sancto baptesmo de l’acqua, el quale riceveste in virtú del Sangue: e
però versava sangue e acqua. E anco mostravo el baptesmo del Sangue in due modi: l’uno è in
coloro che sonno baptezzati nel sangue loro sparto per me; il quale ha virtú per lo sangue mio, non
potendo essi avere il sancto baptesmo. Alcuni altri si baptezzano nel fuoco, desiderando el
baptesmo con affecto d’amore e non poterlo avere: e non è baptesmo di fuoco senza Sangue, però
che ‘l Sangue è intriso e impastato col fuoco della divina carità, perché per amore fu sparto.
In un altro modo riceve l’anima questo baptesmo del Sangue, parlando per figura. E questo
providde la divina carità, perché, cognoscendo la infermità e fragilità de l’uomo, per la quale
fragilità offendendo (non che egli sia costretto da fragilità né da altro a commettere la colpa, se egli
non vuole; ma, come fragile, cade in colpa di peccato mortale, per la quale colpa perde la grazia che
trasse nel sancto baptesmo in virtú del Sangue), e però fu bisogno che la divina caritá provedesse a
lassare il continuo baptesmo del Sangue, el quale si riceve con la contrizione del cuore e con la
sancta confessione, confessando, quando può, a’ ministri miei, che tengono la chiave del Sangue. El
quale Sangue gitta, ne l’absoluzione, sopra la faccia de l’anima.
E non potendo avere la confessione, basta la contrizione del cuore. Alora la mano della mia
clemenzia vi dona el frutto di questo prezioso sangue; ma, potendo avere la confessione, voglio che
l’abbiate; e chi la potrà avere e non la vorrà, sarà privato del frutto del Sangue. È vero che ne
l’ultima extremità, volendola e non potendola avere, anco el riceverà. Ma non sia alcuno si matto
che si voglia però con questa speranza conducersi ad aconciare i fatti suoi ne l’ultima extremità
della morte, perché non è sicuro che, per la sua obstinazione, Io con la divina mia giustizia non
dicesse: — Tu non ti ricordasti di me nella vita, nel tempo che tu potesti: Io non mi ricordasò di te
nella morte. — Si che neuno debba pigliare lo indugio; e se pure per lo difetto suo l’ha preso, non
debba lassare infino a l’ultimo di baptezzarsi per speranza nel Sangue.
Si che vedi che questo baptesmo è continuo, dove l’anima si debba baptezzare infino a
l’ultimo, per lo modo detto. In questo baptesmo cognosci che l’operazione mia (cioè de la pena della
croce) fu finita; ma el frutto della pena, che avete ricevuto per me, è infinito. Questo è in virtú della
natura divina infinita, unita con la natura umana finita, la quale natura umana sostenne pena in me,
Verbo, vestito della vostra umanità. Ma perché è intrisa e impastata l’una natura con l’altra, trasse a
sé, la Deitá etterna, la pena ch’ Io sostenni con tanto fuoco d’amore. E però si può chiamare infinita
questa operazione; non (144) che infinita sia la pena, né l’attuale del corpo né la pena del desiderio
che Io avevo di compire la vostra redempzione, però che ella terminò e fini in croce quando l’anima
si parti dal corpo. Ma el fructo, che esci della pena e desiderio della vostra salute, è infinito: e però
el ricevete infinitamente. Però che, se egli non fusse stato infinito, non sarebbe restituita tucta
l’umana generazione, né ‘ passati né i presenti né gli avenire. Neanco l’uomo che offende, doppo
l’offesa, non si potrebbe rilevare, se questo baptesmo del Sangue non vi fusse dato infinito, cioè che
‘l fructo del Sangue fusse infinito.
Questo vi manifestai ne l’apritura del lato mio, dove truovi el segreto del cuore: mostrando
che Io v’amo piú che mostrare non posso con questa pena finita. Mòstrotelo infinito. Con che? col
baptesmo del Sangue, unito col fuoco della mia carità, che per amore fu sparto; e nel baptesmo
generale (dato a’ cristiani e a chiunque il vuole ricèvare) de l’acqua unita col Sangue e col fuoco,
dove l’anima s’ inpasta nel sangue mio. E per mostrarvelo volsi che del costato escisse sangue e
acqua.
Ora ho risposto a quello che tu mi dimandavi.
LXXVI. Come l’anima, essendo salita el terzo scalone del sancto ponte, cioè
pervenuta a la bocca, piglia incontenente l’offizio de la bocca. E come la propria
volonta essendo morta è vero segno che ella v’è gionta.
— Ora ti dico che tutto questo ch’ Io t’ho narrato, sai che narroe la mia Verità. Hottelo
narrato da capo, favellandoti lo in persona sua, acciò che tu cognosca l’excellenzia dove è l’anima
ch’è salita questo secondo scalone, dove cognosce e acquista tanto fuoco d’amore. Dove subbito
corrono al terzo, cioè a la bocca, dove manifesta essere venuto ad perfetto stato.
Unde passoe? per lo mezzo del cuore, cioè con la memoria del Sangue dove si ribaptezzò lassando
l’amore imperfetto, per (145) lo cognoscimento che trasse del cordiale amore, vedendo, gustando e
provando el fuoco della mia caritá. Gionti sonno costoro a la bocca, e però el dimostrano facendo
l’officio della bocca. La bocca parla con la lingua che è ne la bocca; el gusto gusta. La bocca ritiene
porgendolo a lo stomaco. I denti schiacciano, però che in altro modo noi potrebbe inghioctire.
Or cosí l’anima: prima parla a me con la lingua che sta nella bocca del sancto desiderio, cioè
la lingua della sancta e continua orazione. Questa lingua parla actuale e mentale: mentale, offerendo
a me dolci e amorosi desidèri in salute de l’anime; e parla actuale, anunziando la doctrina della mia
Verità, amonendo, consigliando e confessando senza alcuno timore di propria pena che ‘l mondo le
volesse dare, ma arditamente confessa innanzi a ogni creatura, in diversi modi, e a ciascuno secondo
lo stato suo.
Dico che mangia prendendo el cibo de l’anime, per onore di me, in su la mensa della
sanctissima croce, però che in altro modo né in altra mensa noi potrebbe mangiare in veritá
perfettamente. Dico che lo schiaccia co’ denti, però che in altro modo noi potrebbe inghiottire: cioè
con l’odio e con l’amore, e’ quali sonno due filaia di denti nella bocca del sancto desiderio, che
riceve il cibo schiacciando con odio di sé e con amore della virtú. In sé e nel proximo suo schiaccia
ogni ingiuria, scherni, villanie, strazi e rimprovèri con le molte persecuzioni; sostenendo fame e
sete, freddo e caldo e penosi desidèri, lagrime e sudori per salute de l’anime. Tutti gli schiaccia per
onore di me, portando e sopportando el proximo suo. E poi che l’ha schiacciato, el gusto el gusta,
asaporando el fructo della fadiga e il diletto del cibo de l’anime, gustandolo nel fuoco della caritá
mia e del proximo suo. E cosí giogne questo cibo nello stomaco, che per lo desiderio e fame de
l’anime s’era disposto a volere ricevere (cioè lo stomaco del cuore), col cordiale amore, diletto e
dileczione di caritá col proximo suo; dilettandosene e rugumando per si facto modo, che perde la
tenarezza della vita corporale, per potere mangiare questo cibo (preso in su la mensa della croce)
della dottrina di Cristo crocifixo.
Alora ingrassa l’anima nelle vere e reali virtú, e tanto rigonfia per l’abbondanzia del cibo,
che ‘l vestimento della propria sensualità (cioè del corpo, che ricuopre l’anima), criepa quanto a
l’appetito sensitivo. Colui che criepa, muore. Cosí la volontà sensitiva rimane morta. Questo è
perché la volontà ordinata de l’anima è viva in me, vestita de l’etterna volontà mia, e però è morta la
sensitiva.
Or questo fa l’anima che in veritá è gionta al terzo scalone della bocca, e il segno che ella v’è
gionta è questo: che ella ha morta la propria volontà quando gustò l’affecto della caritá mia.
E però trovò pace e quiete ne l’anima sua nella bocca. Sai che nella bocca si dá la pace. Cosí
in questo terzo stato truova la pace per si facto modo che neuno è che la possa turbare, perché ha
perduta e annegata la sua propria volontà, la quale volontà dá pace e quiete quando ella è morta.
Questi parturiscono le virtú senza pena sopra del proximo loro: non che le pene non siano
pene in loro, ma non è pena a la volontà morta, però che volontariamente sostiene pena per lo nome
mio. Questi corrono, senza negligenzia, per la doctrina di Cristo crocifixo, e non allentano l’andare
per ingiuria che lo’ sia facta né per alcuna persecuzione né per dilecto che trovassero; cioè dilecto
che il mondo lo’ volesse dare. Ma tucte queste cose trapassano con vera fortezza e perseveranzia,
vestito l’affecto loro de l’affecto della carità, gustando el cibo della salute de l’anime con vera e
perfecta pazienzia. La quale pazienzia è uno segno demostrativo, che mostra che l’anima ami
perfectissimamente e senza alcuno rispecto. Però che, se ella amasse me e il proximo per propria
utilitá, sarebbe impaziente e allentarebbe ne l’andare. Ma perché essi amano me per me, in quanto Io
so’ somma bontá e degno d’essere amato, e loro amano per me e ‘l proximo per me, per rendere loda
e gloria al nome mio, però sonno pazienti e forti a sostenere e perseveranti.
LXXVII. De le operazioni de l’anima poi che è salita el predecto sancto terzo
scalone.
— Queste sonno quelle tre gloriose virtú fondate nella vera carità, le quali stanno in cima de
l’arbore d’essa carità: cioè la pazienzia, la fortezza e la perseveranzia, che è coronata col lume della
sanctissima fede, col quale lume corrono, senza tenebre, per la via della veritá. Ed è levata in alto
per sancto desiderio, e però non è alcuno che la possa offendere: né il dimonio con le sue
temptazioni (perché egli teme l’anima che arde nella fornace della carità), né le detraczioni né le
ingiurie degli uomini; anco, con tucto ciò che ‘l mondo gli perseguiti, el mondo ha timore di loro.
Questo permette la mia bontá: di fortificarli e farli grandi dinanzi a me e nel mondo, perché
essi si sonno facti piccoli per umilità. Bene lo vedi tu nei sanai miei, e’ quali per me si fecero
piccoli, e Io gli ho facti grandi in me, Vita durabile, e nel corpo mistico della sancta Chiesa, dove si
fa sempre menzione di loro perché i nomi loro sonno scripti in me, libro di vita; si che ‘l mondo gli
ha in reverenzia perché essi hanno spregiato el mondo. Questi non nascondono la virtú per timore
ma per umilità; e se egli è bisogno del servizio suo nel proximo, egli non la nasconde per timore
della pena né per timore di perdere la propria consolazione, ma virilmente il serve perdendo se
medesimo e non curando di sé.
E in qualunque modo egli exercita la vita e’l tempo suo in onore di me, si gode e truovasi
pace e quiete nella mente. Perché? perché non elegge di servire a me a suo modo ma a modo mio; e
però gli pesa tanto el tempo della consolazione quanto quello della tribolazione, e tanto la prosperità
quanto l’aversità. Tanto gli pesa l’una quanto l’altra, perché in ogni cosa truova la volontà mia, ed
egli non pensa di fare altro se non di conformarsi, dovunque egli la truova, con essa volontà.
Egli ha veduto che veruna cosa è fatta senza me, e con misterio e con divina providenzia, se
non il peccato che non è: e però odiano el peccato, e ogni altra cosa hanno in reverenzia; e però
sonno tanto fermi e stabili nel loro volere andare per la via della veritá, e non allentano, ma
fedelmente servono el proximo loro, non raguardando a l’ ignoranzia e ingratitudine sua. Né perché
alcuna volta el vizioso gli dica ingiuria e riprenda el suo bene adoperare, che egli non gridi, nel
cospetto mio, per orazione per lui, dolendosi piú de l’offesa che egli fa a me ‘e danno de l’anima sua
che della ingiuria propria.
Costoro dicono col glorioso di Pavolo mio banditore: « El mondo ci maladice, e noi
benediciamo; egli ci perseguita, e noi ringraziamo; cacciaci come immondizia e spazzatura del
mondo, e noi pazientemente portiamo ». Si che vedi, figliuola dilettissima, e’ dolci segni; e
singularmente, sopra ogni segno, la virtú della pazienzia, dove l’anima dimostra in veritá d’essere
levata da l’amore imperfetto e venuta al perfetto, seguitando el dolce e immaculato Agnello,
unigenito mio Figliuolo, el quale, stando in su la croce tenuto da’ chiovi de l’amore, non ritrae
adietro per detto dei giuderi che dicevano: « Discende della croce e credarenti ». Né per
ingratitudine vostra non ritrasse adietro che non perseverasse ne l’obbedienzia, che Io gli avevo
posta, con tanta pazienzia che il grido suo non fu udito per alcuna mormorazione.
Cosí questi cotali dilettissimi figliuoli e fedeli servi miei seguitano la dottrina e l’exemplo
della mia Verità. E perché con lusinghe e minacce il mondo gli voglia ritrare, non vòllono però el
capo adietro a mirare l’aratro, ma guardano solo ne l’obietto della mia Verità. Questi non si vogliono
partire del campo della battaglia per tornare a casa per la gonnella, cioè per la gonnella propria, che
egli lassò, del piacere piú a le creature e temere piú loro che me Creatore suo; anco con dilecto sta
nella battaglia, pieno e inebriato del sangue di Cristo crocifixo. El quale Sangue v’è posto dinanzi
nella bottiga del corpo mistico della sancta Chiesa da la mia carità, per fare (149) inanimare coloro
che vogliono essere veri cavalieri, e combattere con la propria sensualità e carne fragile, col mondo
e col dimonio, col coltello de l’odio d’essi nemici suoi, con cui egli ha a combàctare, e con amore
delle virtú. El quale amore è una arme che ripara da’ colpi che noi possono accanare se esso non si
trae Tarme di dosso e ‘l coltello di mano e dialo nelle mani de’ nemici suoi, cioè dando Tarme con
la mano del libero arbitrio, arrendendosi volontariamente a’ nemici suoi. Non fanno cosí questi che
sonno inebriati nel Sangue, anco virilmente perseverano infino a la morte, dove rimangono sconfitti
tutti e’ nemici suoi.
O gloriosa virtú, quanto se’ piacevole a me e riluci nel mondo negli occhi tenebrosi
degl’ignoranti, che non possono fare che non participino della luce de’ servi miei! Ne l’odio loro
riluce la clemenzia ch’e’ servi miei hanno a la loro salute; nella invidia loro riluce la larghezza della
carità; nella crudeltá la pietà, però che essi sonno crudeli verso di loro, ed essi sonno pietosi; nella
ingiuria riluce la pazienzia, rema che signoreggia e tiene la signoria di tutte le virtú, perché ella è il
mirollo della caritá. Ella dimostra e rasegna le virtú ne l’anima; dimostra se elle sonno fondate in me
in veritá, o no. Ella vince e non è mai vinta; ella è compagna della fortezza e perseveranzia, come
detto è; ella torna a casa con la vittoria, escita del campo della battaglia, tornata a me, Padre etterno,
remuneratore d’ogni loro fadiga, e ricevono da me la corona della gloria.
LXXVIII. Del quarto stato, el quale non è però separato dal terzo; e de le
operazioni de l’anima che è gionta a questo stato; e come Dio non si parte mai da
essa per continuo sentimento.
— Ora t’ho detto come dimostrano d’essere gionti a la perfeczione de l’amore de l’amico e
filiale.
Ora non ti voglio tacere in quanto diletto gustano me, essendo ancora nel corpo mortale.
Perché, gionti al terzo stato, (150) in esso stato, si com’ Io ti dixi, acquistano el quarto stato. Note
che sia stato separato dal terzo, ma unito insieme con esso, e l’uno non può essere senza l’altro se
non come la caritá mia e quella del proximo, si com’ Io ti dixi. Ma è uno fructo che esce di questo
terzo stato d’una perfecta unione che l’anima fa in me, dove riceve fortezza sopra fortezza, intanto
che non che porti con pazienzia, ma esso desidera, con ansietato desiderio, di potere sostenere pene
per gloria e loda del nome mio.
Questi si gloriano negli obrobri de l’unigenito mio Figliuolo, si come diceva el glorioso di
Pavolo mio banditore: « Io mi glorio nelle tribulazioni e negli obrobri di Cristo crocifixo ». E in un
altro luogo: « Io non reputo di dovere gloriarmi altro che in Cristo crocifixo ». Unde in un altro
luogo dice: « Io porto le stimate di Cristo crocifixo nel corpo mio ». Cosí questi cotali, come
inamorati de l’onore mio e come affamati del cibo de l’anime, corrono a la mensa della sanctissima
croce, volendo, con pena e con molto sostenere, fare utilitá al proximo, conservare e acquistare le
virtú, portando le stimate di Cristo ne’ corpi loro. Cioè che ‘l crociato amore, il quale hanno, riluce
nel corpo, mostrandolo con dispregiare se medesimi e con dilectarsi d’obrobri, sostenendo molestie
e pene da qualunque lato e in qualunque modo Io le concedo.
A questi cotali carissimi figliuoli la pena l’è dilecto, el dilecto l’è fadiga e ogni consolazione
e dilecto che ‘l mondo alcuna volta lo’ volesse dare. E non solamente quelle che ‘l mondo lo’ dá per
mia dispensazione (cioè ch’e’ servi del mondo alcuna volta sonno costrecti da la mia bontá ad averli
in reverenzia e sovenirli ne’ loro bisogni e necessità corporali), ma la consolazione che ricevono da
me, Padre etterno, nella mente loro, la spregiano per umilità e odio di loro medesimi. Non che
spregino la consolazione e’l dono e la grazia mia, ma el dilecto che truova el desiderio de l’anima in
essa consolazione. Questo è per la virtú della vera umilità acquistata da l’odio sancto, la quale
umilità è baglia e nutrice della caritá acquistata con vero cognoscimento di sé e di me.
Si che vedi che la virtú riluce, e le stímate di Cristo crocifixO, ne’ corpi e nelle menti loro. A
questi cotali l’ è tolto di non separarmi da loro per sentimento, si come degli altri ti dixi che lo
andavo e tornavo a loro, partendomi non per grazia ma per sentimento. Non fo cosí a questi
perfectissimi che sonno gionti alla grande perfeczione, in tucto morti a ogni loro volontà, ma
continuamente mi riposo per grazia e per sentimento ne l’anima loro; cioè che ogni otta che
vogliono unirsi in me la mente per affecto d’amore, possono, perché ‘l desiderio loro è venuto a
tanta unione per affecto d’amore che per veruna cosa se ne può separare, ma ogni luogo l’è luogo e
ogni tempo l’è tempo d’orazione; perché la loro conversazione è levata da la terra e salita in cèlo,
cioè che ogni affecto terreno e amore proprio sensitivo di loro medesimi hanno tolto da sé. Levati si
sonno sopra di loro ne l’altezza del cielo con la scala delle virtú, saliti e’ tre scaloni che lo ti figurai
nel corpo del mio Figliuolo.
Nel primo spogliàro e’ piei de l’affecto de l’amore del vizio; nel secondo gustàro el secreto e
l’affecto del cuore, unde concepettero amore nelle virtú; nel terzo (cioè della pace e quiete della
mente) provarono in sé le virtú e, levandosi da l’amore imperfecto, gionsero a la grande perfeczione.
Unde hanno trovato el riposo nella doctrina della mia Verità; hanno trovata la mensa, el cibo e il
servidore. El quale cibo gustano col mezzo della doctrina di Cristo crocifixo, unigenito mio
Figliuolo; Io lo’ so’ letto e mensa. Questo dolce e amoroso Verbo l’è cibo, si perché gustano el cibo
de l’anime in questo glorioso Verbo, e si perché egli è cibo dato da me a voi: la carne e ‘l sangue
suo, tucto Dio e tucto uomo, el quale ricevete nel Sacramento de l’altare, posto e dato a voi da la
mia bontá, mentre che sète peregrini e viandanti, acciò che non veniate meno, ne l’andare, per
debilezza, e perché non perdiate la memoria del benefizio del Sangue sparto per voi con tanto fuoco
d’amore, ma perché sempre vi confortiate e dilectiate nel vostro andare. Lo Spirito sancto gli serve,
cioè l’affecto della mia carità, la quale caritá lo’ ministra e’ doni e le grazie. Questo dolce (152)
servidore porta e arreca: arreca a me i penosi e dolci ed ateo. rosi desidèri, e porta a loro el fructo
della divina caritá delle loro fadighe ne l’anime loro, gustando e notricandosi della dolcezza della
mia caritá. Si che vedi che Io lo’ so’ mensa, el Figliuolo mio l’è cibo, e lo Spirito sancto gli serve,
che procede da me Padre e dal Figliuolo.
Vedi dunque che sempre, per sentimento, mi sentono nella loro mente. E quanto piú hanno
spregiato el dilecto e voluta la pena, piú hanno perduta la pena e acquistato el dilecto. Perché?
perché sonno arsi e affocati nella mia carità, dove è consumata la volontà loro. Unde el dimonio
teme il bastone della caritá loro, e però gicta le saecte sue da longa e non s’ardisce d’acostare. EI
mondo percuote nella corteccia de’ corpi loro credendo offendere, ed egli è offeso, perché la saecta,
che non truova dove intrare, ritorna a colui che la gitta. Cosí el mondo con le saecte delle ingiurie e
persecuzioni e mormorazioni sue, gictandole ne’ perfectissimi servi miei, non v’è luogo da veruna
parte dove possa intrare, perché l’orto de l’anima loro è chiuso; e però ritorna la saecta a colui che la
gicta, avelenata col veleno della colpa.
Vedi che da veruno lato la può percuotere, però che, percotendo el corpo, non percuote
l’anima. Ma sta beata e dolorosa: dolorosa sta de l’offesa del proximo suo, e beata per l’unione e
affecto della caritá che ha ricevuta in sé.
Questi seguitano lo immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo, el quale stando in croce
era beato e doloroso: doloroso era, portando la croce del corpo, sostenendo pena, e 1a croce del
desiderio per satisfare la colpa de l’umana generazione; e beato era, perché la natura divina, unita
con la natura umana, non poteva sostenere pena, e sempre faceva l’anima sua beata mostrandosi a
lei senza velame. E però era beato e doloroso, perché la carne sosteneva, e la Deitá pena non poteva
patire; neanco l’anima quanto a la parte di sopra de l’intellecto.
Cosí questi dilecti figliuoli, gionti al terzo e al quarto stato, sonno dolorosi portando la croce actuale
e mentale: cioè (153) actualmente, sostenendo pene ne’ corpi loro, secondo che Io permecto, e la
croce del desiderio del crociato dolore de l’offesa mia e danno del proximo. Dico che sonno beati,
però che ‘l dilecto della carità, la quale gli fa beati, non lo’ può essere tolto, unde eglino ricevono
allegrezza e beatitudine. Unde si chiama questo dolore, non « dolore afffiggitivo » che disecca
l’anima, ma « ingrassativo », che ingrassa l’anima ne l’affecto della carità, perché le pene
aumentano la virtú e fortificano e crescono e pruovano la virtú.
Si che è pena ingrassativa e non affliggitiva, perché veruno dolore né pena la può trare del
fuoco, se non come il tizzone, che è tucto consumato nella fornace, che veruno è che ‘l possa
pigliare per spegnere, perché gli è facto fuoco. Cosí queste anime, gictate nella fornace della mia
carità, non rimanendo veruna cosa fuore di me, cioè veruna loro volontà, ma tucti affocati in me,
veruno è che le possa pigliare né trarle fuore di me per grazia, perché sonno facte una cosa con
meco ed lo con loro. E mai da loro non mi sottraggo per sentimento che la mente loro non mi senta
in sé, si come degli altri ti dixi che lo andavo e tornavo, partendomi per sentimento e non per grazia;
e questo facevo per farli venire a la perfeczione. Gionti a la perfeczione, lo’ tolgo el giuoco de
l’amore d’andare e di tornare, el quale si chiama « giuoco d’amore », ché per amore mi parto e per
amore torno: non propriamente Io (ché lo so’ lo Idio vostro immobile che non mi muovo), ma el
sentimento che dá la mia caritá ne l’anima è quello che va e torna.
LXXIX. Come Dio da’ predecti perfectissimi non si sottrae per sentimento né
per grazia, ma si per unione.
— Dicevo che a costoro l’è tolto che ‘l sentimento non perdono mai. Ma in un altro modo mi
parto: perché l’anima che è legata nel corpo non è sufficiente a ricevere continuamente (154)
l’unione ch’Io fo ne l’anima; e perché non è sufficiente, mi sottrago non per sentimento né per
grazia, ma per unione. Perché, levandosi l’anime con ansietato desiderio, corsero con virtú per lo
ponte della doctrina di Cristo crocifixo; giongono a la porta levando la mente loro in me, bagnate,
inebriate di Sangue, arse di fuoco d’amore; gustano in me la Deitá etterna, el quale è a loro uno
mare pacifico, dove l’anima ha facta tanta unione che veruno movimento quella mente non ha altro
che in me.
Ed essendo mortale, gusta el bene degl’inmortali; ed essendo col peso del corpo, riceve la
leggerezza dello spirito. Unde spesse volte il corpo è levato da la terra per la perfecta unione che
l’anima ha facta in me, quasi come il corpo grave diventasse leggiero. Non è però che gli sia tolta la
gravezza sua, ma perché l’unione che l’anima ha facta in me è piú perfecta che non è l’unione fra
l’anima e ‘l corpo; e però la fortezza dello spirito unita in me leva da tera la gravezza del corpo. El
corpo sta come immobile, tucto stracciato da l’affecto de l’anima, intanto che (si come ti ricorda
d’avere udito da alcune creature) non sarebbe possibile di vivere se la mia bontá non el cerchiasse di
fortezza.
Unde Io voglio che tu sappi che maggiore miracolo è a vedere che l’anima non si parte dal
corpo in questa unione, che vedere molti corpi resuscitati. E però Io, per alcuno spazio, sottrago
l’unione, facendola tornare al vasello del corpo suo: cioè che ‘l sentimento del corpo, che era tucto
alienato per l’affecto de l’anima, torna al sentimento suo. Però che, non è che l’anima si parta dal
corpo, ché ella non si parte se non col mezzo della morte, ma partonsi le potenzie e l’affecto de
l’anima per amore unito in me. Unde la memoria non si truova piena d’altro che di me; lo intellecto
è levato speculando ne l’obiecto della mia Verità; I’affecto, che va dietro a l’ intellecto, ama e
uniscesi in quello che l’occhio de l’ intellecto vide.
Congregate e unite tucte insieme queste potenzie, e immerse e affogate in me, perde il corpo
el sentimento: ché l’occhio vedendo non vede, l’orecchia udendo non ode, la lingua parlando non
parla (se non come alcuna volta, per l’abondanzia (155) del cuore, permectarò che’l membro della
lingua parli per sfogamento del cuore e per gloria e loda del nome mio; si che
parlando non parla, la mano toccando non tocca, e’ piei andando non vanno; tucte le membra sonno
legate e occupate dal legame e sentimento de l’amore. Per lo quale legame sonnosi soctoposte a la
ragione e uniti con l’affecto de l’anima, ché, quasi contra sua natura, a una voce tucte gridano a me,
Padre etterno, di volere essere separate da l’anima, e l’anima dal corpo. E però grida, dinanzi da me,
col glorioso di Pavolo: « O disaventurato a me, chi mi dissolverebbe dal corpo mio? Perch’ io ho
una legge perversa che impugna contra lo spirito ».
Non tanto diceva Pavolo della impugnazione che fa el sentimento sensitivo contra lo spirito,
ché per la parola mia era quasi certificato quando gli fu decto: u Pavolo, bastiti la grazia mia ». Ma
perché il diceva? perché, sentendosi Pavolo legato nel vasello del corpo, el quale gl’impediva per
spazio di tempo la visione mia (cioè infino a l’ora de la morte), l’occhio era legato a non potere
vedere me, Trinitá etterna, nella visione de’ beati immortali che sempre rendono gloria e loda al
nome mio, ma trovavasi fra’ mortali che sempre offendono me, privato della mia visione, cioè di
vedermi ne l’essenzia mia.
None che esso e gli altri servi miei non mi veggano e gustino, non in essenzia, ma in affecto
di caritá in diversi modi, secondo che piace a la bontá mia di manifestare me medesimo a voi; ma
ogni vedere, che l’anima riceve mentre che è nel corpo mortale, è una tenebre a rispecto del vedere
che ha l’anima separata dal corpo. Si che pareva a Pavolo che’l sentimento del vedere impugnasse il
vedere dello spirito, cioè che ‘l sentimento umano della grossezza del corpo impedisse l’occhio de l’
intellecto, che non lassava vedere me a faccia a faccia. La volontà gli pareva che fusse legata a non
potere tanto amare quanto desiderava d’amare, perché ogni amore in questa vita è imperfecto infino
che non giogne a la sua perfeczione.
None che l’amore di Pavolo o degli altri veri servi miei fusse imperfecto a grazia e a
perfeczione di caritá (ché egli era perfecto), ma era imperfecto ché non aveva sazietà nel suo amore;
(156) unde era con pena. Ché se fusse stato pieno el desiderio di quello che egli amava, non
avarebbe avuta pena; ma perché l’amore perfectamente, mentre che egli è nel corpo mortale, non ha
quel che egli ama, però ha pena. Ma, separata l’anima dal corpo, ha pieno il desiderio suo, e però
ama senza pena. È saziata, e di longa è il fastidio da la sazietà; essendo saziata, ha fame, ma di
longa è la pena da la fame, perché, separata l’anima dal corpo, è ripieno el vasello suo in me in
veritá, fermato e stabilito che non può desiderare cosa che non abbi. Desiderando di vedere me, egli
mi vede a faccia a faccia; desiderando di vedere la gloria e loda del nome mio ne’ sancti miei, egli la
vede si nella natura angelica e si nella natura umana.
LXXX. Come li mondani rendono gloria e loda a Dio, vogliano essi o no.
— E tanto è perfecto el suo vedere che non tanto ne’ cittadini che sonno a vita etterna ma
nelle creature mortali vede la gloria e loda del nome mio; ché, o voglia el mondo o no, egli mi rende
gloria. Vero è che non me la rende per lo modo che debba, amando me sopra ogni cosa. Ma da la
parte mia Io trago di loro gloria e loda al nome mio, cioè che in loro riluce la misericordia mia e
l’abbondanzia della mia carità, prestando el tempo, non comandando a la terra che gl’ inghioctisca
per li difecti loro. Anco gli aspecto, e a la terra comando che lo’ doni de’ fructi suoi, al sole che gli
scaldi e dia lo’ la luce e ‘l caldo suo, al cielo che si muova; e in tucte quante le cose create facte per
loro Io uso la mia misericordia e carità, non sottraendole per li difecti loro. Anco le do al peccatore
come al giusto, e spesse volte piú al peccatore che al giusto, perché il giusto, che è apto a portare, il
privarò del bene della terra per darli piú abondantemente del bene del cielo. Si che la misericordia
mia e caritá riluce sopra di loro.
Alcuna volta, nelle persecuzioni ch’e’ servi del mondo faranno a’ servi miei, provando in loro
la virtú della pazienzia e della carità, offerendo il servo mio, che sostiene, umili e continue orazioni,
me ne torna gloria e loda al nome mio. Si che, o voglia quello iniquo o no, me ne torna gloria;
poniamo che ‘l suo rispecto non fusse per ciò, ma per farmi vituperio.
LXXXI. Come eziandio li demòni rendono gloria e loda a Dio.
— Questi stanno in questa vita ad aumentare la virtú ne’ servi miei, si come le dimonia
stanno ne l’inferno come miei giustizieri e aumentatori: cioè facendo giustizia de’ dannati, e
aumentatori a le creature mie che sonno viandanti e peregrine in questa vita, facte per giognere a me
termine loro. Essi gli aumentano exercitandóli in virtú con molte molestie e temptazioni in diversi
modi: facendo fare ingiuria l’uno a l’altro, e tòllare le cose l’uno dell’altro non solamente per le cose
o per la ingiuria, ma per privarli della caritá. Credendo privare i servi miei, ed essi gli fortificano,
provando in loro la virtú della pazienzia, fortezza e perseveranzia.
Per questo modo rendono gloria e loda al nome mio, e cosi s’adempie la mia veritá in loro,
che gli avevo creati per gloria e loda di me Padre etterno e perché participassero la bellezza mia;
ma, ribellando a me per la superbia sua, cadde e fu privato della mia visione: onde non mi rendono
gloria in dileczione d’amore. Ma Io, Verità etterna, gli ho messi.per strumento ad exercitare e’ servi
miei nella virtú, e come giustizieri di coloro che per li loro difecti vanno a l’ecterna dannazione, e
cosí di coloro che vanno a le pene del purgatorio. Si che vedi che egli è la veritá che la veritá mia è
adempita in loro, cioè che mi rendono gloria non come cittadini di vita etterna (ché ne sonno privati
per li loro difecti) ma come miei giustizieri, manifestando per loro la giustizia mia sopra e’ dannati e
sopra quegli del purgatorio.
LXXXII. Come l’anima, poi che è passata di questa vita, vede pienamente la
gloria e loda del nome di Dio in ogni creatura. E come in essa è finita la pena del
desiderio, ma non el desiderio.
— Questo chi el vede e gusta: che in ogni cosa creata, e nelle creature che hanno in loro
ragione, e nelle dimonia si vega la gloria e loda del nome mio? L’anima che è denudata dal corpo e
gionta a me, fine suo, vede schiectamente, e nel suo vedere cognosce la veritá. Vedendo me, Padre
etterno, ama; amando, è saziato; saziato, cognosce la veritá; cognoscendo la veritá, è fermatà la
volontà sua nella volontà mia e legata e stabilita per modo che in veruna cosa può sostenere pena,
perché egli ha quello che desiderava d’avere prima di vedere me, e di vedere la gloria e loda del
nome mio.
Egli la vede a pieno in veritá ne’ sancti miei e negli spiriti beati e in tucte l’altre creature e
nelle dimonia, come decto t’ho. E poniamo che anco vega l’offesa che è facta a me, della quale in
prima aveva dolore: ora non ne può avere dolore, ma compassione senza pena, amandoli e sempre
pregando me con affecto di caritá ch’ Io facci misericordia al mondo.
È terminata in loro la pena ma non la carità: si come al Verbo del mio Figliuolo in su la
croce, nella penosa morte, terminò la pena del crociato desiderio che egli aveva portato dal
principio che Io el mandai nel mondo infino a l’ultimo della morte per la salute vostra; ma non
terminò l’affecto della vostra salute, ma si la pena. Ché se l’affecto della mia carità, la quale per
mezzo di lui vi mostrai, fusse alora terminata e finita in voi, voi non sareste, perché sète facti per
amore: se l’amore fusse ritracto a me, che Io non amasse l’essere vostro, voi non sareste. Ma l’amore
mio vi creò, e l’amore mio vi conserva. E perché Io so’ una cosa con la mia Verità, ed egli, Verbo
incarnato, con meco, fini la pena del desiderio e non l’amore del desiderio.
Vedi dunque che i santi e ogni anima che è ad vita ecterna hanno desiderio della salute
dell’anime senza pena, però che la pena terminò nella morte loro, ma none l’affecto della caritá.
Anche, come ebbri nel sangue dello inmaculato Agnello, vestiti della caritá del proximo, passarono
per la porta strecta, bagnati nel sangue di Cristo crucifixo, e trovaronsi in me, mare pacifico, levati
dalla imperfeczione, cioè dalla insazietà, e giunti alla perfeczione saziati d’ogni bene.
LXXXIII. Come, poi che sancto Paulo appostolo fu tracto a vedere la gloria de’
beati, desiderava d’essere sciolto dal corpo; la qual cosa fanno anche quelli che
sono giunti al terzo e al quarto santo stato predecto.
— Paulo dunque aveva veduto e gustato questo bene quando lo el trassi al terzo cielo, cioè
nell’altezza della Trinitá, gustando e cognoscendo la veritá mia, dove egli ricevette ad pieno lo
Spirito santo e imparò la doctrina della mia Verità, Verbo incarnato. Vestitasi l’anima di Paulo, per
sentimento e unione, di me Padre ecterno, come i beati della vita durabile, excepto che l’anima non
era separata dal corpo, ma per sentimento e unione; e piacendo alla mia bontá di farlo vasello
d’elleczione nell’abisso di me Trinitá ecterna, lo spogliai di me, perché in me non cade pena, e Io
volevo che sostenesse per lo nome mio; e però gli posi per obiecto Cristo crucifixo dinanzi ad
l’occhio dell’ intellecto suo, vestendoli el vestimento della doctrina sua, legato e incatenato con la
clemenzia dello Spirito santo, fuoco di caritá. Egli, come vasello disposto e reformato dalla bontá
mia, perché non fece resistenzia quando fu percosso, anche dixe: «Signore mio, che vuogli tu che io
faccia? Dimi quello che tue vuogli che io faccia, e io el farò »; lo gliel’insegnai, quando gli posi
Cristo crucifixo dinanzi ad l’occhio suo, vestendolo della doctrina della mia Verità. Illuminato
perfectiximamente col lume della vera contrizione (colla quale spense el difecto suo), fondato (160)
nella mia carità, si vesti della dottrina di Cristo crucifixo. E strinselo per si facto modo, siccome
esso ti manifestò, che giamai no gli fu tracto di dosso: né per tentazione di demonia, né per lo
stimolo della carne che spesse volte lo impugnava (lassato ad lui dalla mia bontá per crescerlo in
grazia e in merito, e per umiliazione, però che egli avea gustata l’altezza della Trinitá); neanche per
tribolazioni, né per veruna cosa che gli avenisse, allentava el vestimento di Cristo crucifixo, cioè la
perserveranzia della doctrina sua, anche, piú strettamente se lo incarnava. E tanto sello strinse, che
egli ne die’ la vita, e con esso vestimento ritornò ad me, Dio ecterno.
Sicché Paulo avea provato che cosa era gustare me senza la gravezza del corpo, facendogliele Io
gustare per sentimento d’unione, ma non per separazione.
Adunque, poi che fu ritornato ad sé, vestito del vestimento di Cristo crocifixo, alla
perfeczione dell’amore che in me aveva gustata e veduta e che i santi gustano separati dal corpo, gli
pareva, el suo, impertecto. E però gli pareva che la gravezza del corpo gli ribellasse, cioè che
gl’impedisse la grande perfeczione della sazietà del desiderio, che riceve l’anima doppo la morte.
Onde la memoria gli pareva imperfecta e debole, come ella è, per la quale debilezza e
imperfeczione gl’impediva di potere ritenere ed essere capace e ricevere e gustare me in veritá con
quella perfeczione che mi ricevono i santi. E però gli pareva che ogni cosa, mentre che stava nel
corpo suo, gli fuxe una legge perversa che impugnasse e ribellasse contro allo spirito. Non di
impugnazione di peccato, però che giá ti dixi che lo el certificai dicendo: « Paulo, bastiti la grazia
mia »; ma di impugnazione che faceva di impedire la perfeczione dello spirito, cioè di vedere me
nell’essenzia mia, el quale vedere era impedito dalla legge e gravezza del corpo. E però gridava: «
Disaventurato uomo, chi mi dissolverebbe dal corpo mio? ché io ho una legge perversa, legata nelle
menbra mie, che impugna contro allo spirito ». E cosí è la veritá: però che la memoria è impugnata
dalla imperfeczione corporale; lo intelletto è impedito e legato, per questa grossezza del corpo, di
non vedere me come (161 ) Io sono nell’essenzia mia; e la volontà è legata, cioè che non può
giugnere col peso del corpo a gustare me, senza pena, Dio ecterno, per lo modo che decto t’ho.
Sicché Paulo diceva la veritá: che egli aveva una legge perversa legata nel corpo che impugnava
contro allo spirito. E così. questi miei servi, de’ quali io ti dicevo che erano giunti al terzo e al
quarto stato della perfecta unione che fanno in me, gridano con lui volendo essere sciolti dal corpo e
separati.
LXXXIV. Per quali cagioni l’anima desidera d’essere sciolta dal corpo. La quale
cosa non potendo essere, non discorda però dalla volontà di Dio; ma piú tosto si
gloria in questa e in ogni altra pena per onore di Dio.
— Questi non sentono malagevolezza della morte, però che n’hanno desiderio, e con odio
perfecto hanno facto guerra col corpo loro; onde hanno perduta la tenerezza che naturalmente è fra
l’anima e ‘l corpo: sicché, dato el botto all’amore naturale, con odio della vita del corpo suo e con
amore di me, desidera la morte. E però dice: « Chi mi dissolverebbe dal corpo mio? Io desidero
d’essere sciolta dal corpo ed essere con Cristo ». E dicono ancora questi cotali col medeximo Paulo:
« La morte m’è in dexiderio e la vita impazienzia ». Però che l’anima levata in questa perfetta
unione desidera di vedere me e di vedermi rendere gloria e loda. Onde, tornando poi alla nuvila del
corpo suo, tornando, dico, el sentimento nel corpo (el quale sentimento era tratto in me per affetto
d’amore, siccome lo ti dixi, cioè che tutti e’ sentimenti del corpo erano tratti per la forza dell’affetto
dell’anima, unita in me piú perfettamente che non è l’unione tra l’anima e ‘l corpo); traendo dunque
ad me questa unione (però che giá ti dixi che il corpo non era sufficiente a portare la continua
unione), lo mi parto per unione, ma non per grazia né per sentimento, come nel secondo e terzo
stato ti feci menzione, e sempre torno con piú acrescimento di grazia e (162) con piú perfetta
unione. Onde, sempre di nuovo e con piú altezza e cognoscimento della mia veritá, torno,
manifestando me medeximo a loro. E quando Io mi parto, per lo modo detto, perché il corpo torni
un poco al sentimento suo, dico che per l’unione che Io avevo fatta nell’anima, e l’anima in me,
tornando ad sé, cioè al sentimento del corpo, è impaziente nel vivere, vedendosi levata da l’unione
di me, levandosi da la conversazione degl’ inmortali e trovandosi con la conversazione de’ mortali,
vedendo offendere me tanto miserabilemente.
Questo è il crociato desiderio che eglino portano vedendomi offendere da le mie creature.
Per questo e per lo desiderio di vedermi, l’è incomportabile la vita loro; e nondimeno, perché la
volontà loro non è loro, anco è fatta una cosa con meco per amore, non possono volere né
desiderare altro che quello ch’ Io voglio. Desiderando el venire, sonno contenti di rimanere, se Io
voglio che rimangano con loro pena, per piú gloria e loda del nome mio e salute de l’anime. Si che
in veruna cosa si scordano da la mia volontà, ma corrono con espasimato desiderio, vestiti di Cristo
crocifixo, tenendo per lo ponte della dottrina sua, gloriandosi degli obrobri e pene sue. Tanto si
dilettano quanto si veggono sostenere; anco, nel sostenere de le molte tribulazioni, a loro è uno
refrigerio nel desiderio della morte, che, spesse volte, per lo desiderio e volontà del sostenere mitiga
la pena che essi hanno d’essere sciolti dal corpo.
Costoro non tanto che portino con pazienzia, come nel terzo stato ti dixi, ma essi si gloriano,
per lo nome mio, portare molte tribolazioni. Portando, hanno diletto; non portando, hanno pena
temendo che el loro bene adoperare non el voglia remunerare in questa vita, o che non sia piacevole
a me il sacrificio de’ loro desidèri: ma sostenendo, permettendo lo’ le molte tribolazioni, essi si
rallegrano, vedendosi vestire delle pene e obrobri di Cristo crocifixo. Unde, se lo’ fusse possibile
d’avere virtú senza fadiga, non la vorrebbero, ché piú tosto si vogliono dilectare in croce con Cristo
e con pena acquistare le virtú, che per altro modo avere vita etterna.
Perché? perché sonno affogati e annegati nel Sangue, dove truovano l’affocata mia carità; la
quale caritá è uno fuoco, che procede da me, che rapisce il cuore e la mente loro, acceptando el
sacrificio de’ loro desidèri. Unde si leva l’occhio de l’intelletto specolandosi nella mia Deitá, dove
l’affetto si notrica e si unisce, tenendo dietro a l’intelletto. Questo è uno vedere per grazia infusa che
Io fo ne l’anima che in veritá ama e serve me.
LXXXV. Come quelli che sono gionti al predetto stato unitivo, sono illuminati
nell’occhio dell’intelletto loro di lume sopranaturale infuso per grazia; e come è
meglio andare per consiglio de la salute dell’anima ad uno umile con sancta
coscienzia, che a uno superbo licterato.
— Con questo lume, il quale è posto ne l’occhio de l’ intellecto, mi vidde Tomaso, unde
acquistò el lume della molta scienzia. Agustino, Ieronimo e gli altri dottori e sancai miei, illuminati
dalla mia veritá, intendevano e cognoscevano nelle tenebre la mia veritá; cioè che la sancta
Scriptura, che pareva tenebrosa perché non era intesa, non per difetto della Scriptura ma dello
intenditore che non intendeva. E però Io mandai queste lucerne ad illuminare gli accecati e grossi
intendimenti. Levavano l’occhio de l’intelletto per cognoscere la veritá nella tenebre, come detto è.
E Io, fuoco acceptatore del sacrificio loro, gli rapivo, dando lo’ lume non per natura ma sopra ogni
natura, e nella tenebre ricevevano el lume cognoscendo la veritá per questo modo.
Unde, quella che alora appareva tenebrosa, appare ora con perfectissimo lume a’ grossi e a’
sottili di qualunque maniera gente si sia. Ogniuno riceve secondo la sua capacità e secondo che esso
si vuole disponere a cognoscere me, perch’Io none spregio le loro disposizioni. Si che vedi che
l’occhio de l’intellecto ha ricevuto lume infuso per grazia sopra del lume naturale, nel quale i dottori
e gli altri sancai cognobbero la luce (164) nella tenebre, e di tenebre si fece luce, però che lo
‘ntellecto fu prima che fusse formata la Scriptura; unde da l’ intellecto venne la scienzia, perché nel
vedere discerse.
Per questo modo discersero e intesero e’ sancti padri e profeti che profetavano de
l’avenimento e morte del mio Figliuolo. Per questo modo ebbero gli apostoli doppo l’avenimento
dello Spirito sancto, che lo’ donòe questo lume sopra el lume naturale. Questo ebbero evangelisti,
doctori, confessori, vergini e martiri; e tutti sono stati illuminati da questo perfetto lume; e ogniuno
avutolo in diversi modi, secondo la necessità della salute sua e della salute de le creature, e a
dichiarazione della sancta Scriptura. Si come fecero e’ sancti doctori, nella scienzia dichiarando la
dottrina della mia Verità, la predicazione degli appostoli, le sposizioni sopra e’ vangeli de’
vangelisti; e’ martiri, dichiarando nel sangue loro el lume della sanctissima fede, el frutto e il tesoro
del sangue de l’Agnello; le vergini, ne l’affecto della caritá e purità; negli obedienti è dichiarata
l’obedienzia del Verbo, cioè mostrando la perfeczione de l’obedienzia, la quale riluce nella mia
Verità, che, per l’obedienzia ch’ Io gl’imposi, corse a l’obrobriosa morte della croce.
Tutto questo lume e’ si vede nel vecchio e nel nuovo Testamento. Nel vecchio, le profezie
de’ sancti profeti, fu veduto e cognosciuto da l’occhio de l’intelletto col lume infuso per grazia da me
sopra el lume naturale, come detto t’ho. Nel nuovo Testamento della vita evangelica, con che è
dichiarata a’ fedeli cristiani? con questo lume medesimo. E perché ella procedeva da uno medesimo
lume, non ruppe la legge nuova la legge vechia, anco si legò insieme; ma tolsele la imperfeczione,
perché ella era fondata solo in timore. Venendo el Verbo de l’unigenito mio Figliuolo, con la legge
de l’amore la compí, dandole l’amore, levando el timore della pena e rimanendo el timore sancto. E
però dixe la mia Verità a’ discepoli per dimostrare che Egli non era rompitore della legge: « lo non
so’ venuto a dissolvere la legge, ma adempirla ». Quasi dicesse la mia Verità a loro: — La legge è
ora imperfetta, ma col sangue mio la farò perfetta, e cosí la riempirò di quello che (165) ora le
manca, tollendo via el timore della pena e fondandola in amore e in timore sancto.
Chi la dichiarò che questa fusse la veritá? El lume che fu dato ed è dato a chi el vuole
ricevere per grazia sopra el lume naturale, come detto è. Si che ogni lume che esce della sancta
Scriptura è uscito ed esce da questo lume. E però gl’ignoranti superbi scienziati aciecano nel lume,
perché la superbia e la nuvila de l’amore proprio ha ricoperta e tolta questa luce: però intendono piú
la Scriptura licteralmente che con intendimento; e però ne gustano la lettera rivollendo molti libri, e
non gustano il merollo della Scriptura, perché s’hanno tolto el lume con che è formata e dichiarata la
Scriptura. Unde questi cotali si maravigliano e cadranno nella mormorazione vedendo molti grossi e
idioti nel sapere la Scriptura sancta, e nondimeno sonno tanto illuminati nel cognoscere la veritá
come se longo tempo l’avessero studiata. Questa non è maraviglia neuna, perché egli hanno la
principale cagione del lume unde venne la scienzia. Ma perché essi superbi hanno perduto el lume,
non veggono né cognoscono la bontá mia, né el lume della grazia infusa sopra de’ servi miei.
Unde Io ti dico che molto è meglio andare per consiglio della salute de l’anima a uno umile
con sancta e dritta coscienzia, che a uno superbo letterato studiante nella molta scienzia, perché
colui non porge se non di quello che elli ha in sé, unde, per la tenebrosa vita, spesse volte el lume
della sancta Scriptura porgerà in tenebre. El contrario trovarà ne’ servi miei, ché el lume che hanno
in loro, quello porgono con fame e desiderio de la salute sua.
Questo t’ho detto, dolcissima figliuola mia, per farti cognoscere la perfeczione di questo
unitivo stato, dove l’occhio de l’ intellecto è rapito dal fuoco della caritá mia, nella quale caritá
ricevono el lume sopranaturale. Con esso lume amano me, perché l’amore va dietro a l’ intellecto, e
quanto piú cognosce, piú ama, e quanto piú ama, piú cognosce. Cosí l’uno nutrica l’altro.
Con questo lume giongono a l’etterna mia visione, dove veggono e gustano me in veritá,
separata l’anima dal corpo, si (166) come Io ti dixi quando ti contiai della beatitudine che l’anima
riceveva in me. Questo è quello stato excellentissimo che, essendo anco mortale, gusta tra gl’
inmortali. Unde spesse volte viene a tanta unione, che a pena che egli sappi se egli è nel corpo o
fuore del corpo, e gusta l’arra di vita etterna si per l’unione che ha fatta in me e si perché la volontà è
morta in sé, per la quale morte fece unione in me, che in altro modo perfettamente non la poteva
fare. Adunque gustano vita etterna, privati de lo ‘nferno della propria volontà, la quale dá una arra
d’inferno a l’uomo che vive a la volontà sensitiva, si come Io ti dixi.
LXXXVI. Repetizione utile di molte cose gia dette; e come Dio induce questa
devota anima a pregarlo per ogni creatura e per la sancta Chiesa.
— Ora hai veduto con l’occhio de l’intelletto tuo ed hai udito con l’orecchia del sentimento
da me, Verità etterna, che modo ti conviene tenere a fare utilitá, a te e al proximo tuo, di dot trina e
di cognoscere la mia veritá, si come nel principio ti dixi che a cognoscimento della veritá si viene
per lo cognoscimento di te: non puro cognoscimento di te, ma condito e unito col cognoscimento di
me in te. Unde hai trovato umilità, odio e dispiacimento di te, e il fuoco della mia caritá per lo
cognoscimento che trovasti di me in te; unde venisti ad amore e dileczione del proximo, facendo a
lui utilitá di dottrina e di sancta e onesta vita.
Anco t’ho mostrato el ponte come egli sta, ed hotti mostrato e’ tre scaloni generali posti per
le tre potenzie de l’anima; e come veruno può avere la vita della grazia se non gli saglie tutti e tre,
cioè che sieno congregati nel nome mio. E anco te gli ho manifestati in particolare per li tre stati de
l’anima figurati nel Corpo de l’unigenito mio Figliuolo, del quale ti dixi che egli aveva facto scala
del Corpo suo, mostrandolo ne’ (167) piei confitti, e ne l’apritura del lato, e nella bocca dove gusta
l’anima la pace e la quiete, per lo modo che detto è.
E botti mostrata la imperfeczione del timore servile e la imperfeczione de l’amore, amando
me per dolcezza; e la perfeczione del terzo stato di coloro che sonno gionti a la pace della bocca,
essendo corsi con ansietato desiderio per lo ponte di Cristo crocifixo, salendo e’ tre scaloni generali,
cioè d’avere congregate le tre potenzie de l’anima, dove congrega tutte le sue operazioni nel nome
mio, si come di sopra ti spianai piú chiaramente; e de’ tre scaloni particolari e’ quali ha saliti,
passato dallo stato imperfetto al perfetto. E tosi gli hai veduti córrire in veritá, e fattati gustare la
perfeczione de l’anima con l’adornamento delle virtú, e gl’inganni che riceve prima che gionga a la
sua perfeczione, se essa non essercita el tempo suo nel cognoscimento di sé e di me.
Anco t’ho dichiarata la miseria di coloro che vanno annegandosi per lo fiume, non tenendo
per lo ponte della dottrina della mia Verità, el quale Io vi posi perché voi none annegaste; ma
eglino, come matti, sono voluti annegare nella miseria e puzza del mondo.
Tutto questo t’ho dichiarato per farti crescere il fuoco del sancto desiderio e la compassione
e dolore della dannazione de l’anime, acciò che ‘l dolore e l’amore ti costringa a strignere me con
lagrime e sudori: con lagrime de l’umile e continua orazione offerta a me con fuoco d’ardentissimo
desiderio. E non solamente per te, ma per molte altre creature e servi miei che l’udiranno. Saranno
costretti da la mia caritá (cosí insiememente tu e gli altri servi miei) di pregare e strignere me a fare
misericordia al mondo e al corpo mistico della sancta Chiesa per cui tu tanto mi preghi.
Perché giá ti dixi, se ben ti ricorda, che Io adempirei e’ desidèri vostri dandovi refrigerio
nelle vostre fadighe, cioè satisfacendo a’ penosi vostri desidèri, donando la reformazione della
sancta Chiesa di buoni e sancti pastori: non con guerra, come Io ti dixi, né con coltello né crudeltá,
ma con pace e quiete, lagrime e sudori de’ servi miei, e’ quali v’ho messi (168) come lavoratori de
(‘anime vostre e di quelle del proximo, e nel corpo mistico della sancta Chiesa. In voi, lavorare in
virtú: nel proximo e nella sancta Chiesa, in exemplo e in doctrina, e continua orazione offerire a me
per lei e per ogni creatura; parturendo le virtú sopra del proximo vostro per lo modo che decto t’ho.
Perché giá ti dixi che ogni virtú e difecto si faceva e aumentavasi sopra del proximo.
E però voglio che facciate utilitá al proximo vostro; e per questo modo darete de’ fructi della
vigna vostra. Non vi ristate di gittarmi oncenso d’odorifere orazioni per salute de l’anime e perch’ Io
voglio fare misericordia al mondo, e con esse orazioni e sudori e lagrime lavare la faccia della sposa
mia, cioè della sancta Chiesa, perché giá te la mostrai in forma d’una donzella lordata tucta la faccia
sua, quasi come lebbrosa. Questo era per lo difecto de’ ministri, e di tucta la religione cristiana, che
al pecto di questa sposa si notricano. De’ quali difecoi lo in un altro luogo ti narrarò.
LXXXVII. Come questa devota anima fa petizione a Dio di volere sapere de li
stati e fructi de le lagrime.
Alora quella anima, ansietata di grandissimo desiderio, levandosi come ebbra si per l’unione
che era facta in Dio e sí per quello che aveva udito e gustato da la prima dolce Verità, e ansietata di
dolore della ignoranzia delle creature di non cognoscere il loro benefactore e l’affecto della caritá di
Dio (e nondimeno aveva una allegrezza d’una speranza della promessa che la veritá di Dio aveva
(acta a lei, insegnandole el modo che ella dovesse tenere, ed ella e gli altri servi di Dio, per volere
che egli faccia misericordia al mondo); levando l’occhio de l’ intellecto nella dolce Verità dove
stava unita, volendo alcuna cosa sapere sopra de’ decti stati de l’anima che Dio aveva a lei narrati,
vedendo che l’anima passa agli stati con lagrime; (169) e però voleva sapere da la Verità la
differenzia delle lagrime, e come erano facte, e unde procedevano, e il fructo che seguitava doppo el
pianto.
Volendo adunque saperlo da la prima dolce Verità únde procedevano le decte lagrime, e di
quante fussero ragioni lagrime, perché la veritá non si può cognoscere altro che da essa Verità, però
dimanda la Verità. E nulla cosa si cognosce nella Verità che non si vegga con l’occhio de l’
intellecto, unde è bisogno, a chi vuole cognoscere, che si levi con desiderio di volere cognoscere col
lume della fede nella Verità, aprendo l’occhio de (‘intellecto con la pupilla della fede ne l’obbiecto
della Verità.
Poi che ebbe cognosciuto, perché non l’era escito di mente la doctrina che le die’ la Verità,
cioè Dio, che per altra via non poteva sapere quello che desiderava di sapere degli stati e fructi delle
lagrime, levò sé sopra di sé con grandissimo desiderio oltre a ogni modo, e col lume della fede viva
upriva l’occhio de l’ intellecto suo nella Verità etterna, nella quale vide e cognobbe la veritá di
quello che dimandava. Manifestandole Dio se medesimo, cioè la benignità sua, conscendendo a
l’affocato desiderio, adempiva la sua petizione.
LXXXVIII. Come sono cinque maniere di lagrime.
Alora diceva la Verità prima dolce di Dio: — O dilectissima e carissima figliuola, tu
m’adimandi di volere sapere delle ragioni delle lagrime e de’ fructi loro; e Io non ho spregiato el
desiderio tuo. Apre bene l’occhio de l’intellecto, e mostrarocti, per li decti stati de l’anima che
contiati t’ho, le lagrime imperfecte fondate nel timore.
Ma prima, delle lagrime degl’ iniqui uomini del mondo. Queste sonno lagrime di
dannazione.
Le seconde sonno quelle del timore, di coloro che si levano dal peccato per timore della
pena, e per timore piangono.
El terzo è di coloro che, levati dal peccato, cominciano a gustare me, e con dolcezza
piangono, e comincianmi a servire; ma, perché è imperfecto l’amore, è imperfecto el pianto, si come
Io ti narrarò.
El quarto è di coloro che gionti sonno a perfeczione nella caritá del proximo, amando me
senza rispecto veruno di sé. Costoro piangono, e il pianto loro è perfecto.
El quinto è unito col quarto: sonno lagrime di dolcezza gictate con grande suavità, si come
di socto distesamente ti dirò. Anco ti narrarò delle lagrime del fuoco, senza lagrima d’occhio, per
satisfare a coloro che spesse volte desiderano el pianto e non el possono avere. E voglio che tu sappi
che tucti questi diversi stati possono essere in una anima levandosi dal timore e da l’amore
imperfecto e giognendo a la caritá perfecta e a l’unitivo stato.
Ora ti comincio a narrare delle dette lagrime per questo modo.
LXXXIX. De la differenzia d’esse lagrime, discorrendo per li predecti stati
dell’anima.
— Io voglio che tu sappi che ogni 1agrima procede dal cuore, perché neuno membro è nel
corpo che voglia tanto satisfare al cuore quanto l’occhio. Se egli ha dolore, l’occhio el manifesta; e
se egli è dolore sensitivo, gitta lagrime cordiali che generano morte, perché procedevano dal cuore,
perché l’amore era disordinato fuore di me; e perché egli è disordinato, però è con offesa di me e
riceve mortale dolore e lagrime. È vero che la gravezza della colpa e pianto è piú grave e meno,
secondo la misura del disordinato amore. Questi sonno quelli primi che hanno lagrime di morte, de’
quali Io t’ho decto e dirò. Ora comincia a vedere le lagrime che cominciano a dare vita, cioè di
coloro che, cognoscendo le colpe loro, per timore della pena cominciano a piangere. Queste sonno
lagrime cordiali e (171) sensitive, cioè che, non essendo ancora al perfectissimo odio della colpa
commessa per l’offesa facta a me, levansi con uno cordiale dolore per la pena che lo’ séguita doppo
el peccato commesso; e però l’occhio piagne perché vuole satisfare al dolore del cuore.
Ed exercitandosi l’anima a la virtú, comincia a perdere il timore, perché cognosce che solo el
timore non è sufficiente a darli vita etterna, si come nel secondo stato dell’anima Io ti narrai. E però
si leva con amore a cognoscere se medesima e la mia bontá in sé, e comincia a pigliare speranza
della misericordia mia, nella quale il cuore sente allegrezza. Mescolato el dolore della colpa con
allegrezza della speranza della divina mia misericordia, l’occhio alora comincia a piangere: la quale
lagrima esce della fontana del cuore. Ma perché ancora non è gionta a la grande perfeczione, spesse
volte gitta lagrime sensuali. Se tu mi dimandi: — Per che modo? — rispondoti: Perché la radice de
l’amore proprio di sé non è d’amore sensitivo (che giá v’è levato per lo modo decto), ma è uno
amore spirituale quando l’anima appetisce le spirituali consolazioni, delle quali distesamente ti dixi
la imperfeczione loro, o mentali o con mezzo d’alcuna creatura amata di spirituale amore. Quando è
privata di quella cosa che ama, cioè delle consolazioni o dentro o di fuore (dentro, per consolazione
che abbi tracta da me; o di fuore, della consolazione che aveva dalla creatura), e sopravenendo le
temptazioni o persecuzioni dagli uomini, el cuore ha dolore: e subbito l’occhio, che sente il dolore e
la pena del cuore, comincia a piangere d’uno pianto tenero e compassionevole a se medesima, d’una
compassione spirituale di proprio amore, perché non è ancora conculcata e annegata la propria
volontà in tucto. Per questo modo gitta lagrime sensuali, cioè di spirituale passione.
Ma, crescendo ed exercitandosi nel lume del cognoscimento di sé, concipe uno
dispiacimento in se medesima e odio perfecto di se medesima, unde traie uno cognoscimento vero
della mia bontá con uno fuoco d’amore, e comincia a unirsi e conformare la volontà sua con la mia.
E cosí comincia a sentire (172) gaudio e compassione: gaudio in sé per l’affetto de l’amore, e
compassione al proximo, si come nel terzo stato Io ti narrai. Subbito l’occhio, che vuole satisfare al
cuore, geme nella caritá mia e del proximo suo con cordiale amore, dolendosi solo de l’offesa mia e
del dapno del proximo e non di pena né danno proprio di sé, perché non pensa di sé, ma solo pensa
di potere rendere gloria e loda al nome mio; e con espasimato desiderio si diletta di prendere il cibo
in su la mensa della sanctissima croce, cioè conformandosi con l’umile, paziente e inmaculato
Agnello, unigenito mio Figliuolo, del quale feci ponte, come detto è.
Poi che cosí dolcemente è ita per lo ponte, seguitando la doctrina della dolce mia Verità, e
passata per questo Verbo, sostenendo con vera e dolce pazienzia ogni pena e molestia, secondo che
Io ho permesso per la salute sua, ella virilmente l’ha ricevute, none eleggendole a suo modo ma a
mio; e non tanto che porti con pazienzia, come Io ti dixi, ma con allegrezza sostiene. E recasi in una
gloria d’essere perseguitata per lo nome mio, pure che abbia di che patire. Alora viene l’anima a
tanto diletto e tranquillità di mente, che non è lingua sufficiente a poterlo narrare.
Passata col mezzo di questo Verbo (cioè per la doctrina de l’unigenito mio Figliuolo),
fermato l’occhio de l’intelletto in me, dolce prima Verità, veduta la cognosce, e cognoscendo l’ama.
Tratto l’affetto dietro a l’ intelletto, gusta la Deitá mia etterna, la quale cognosce, e vede essa natura
divina unita con la vostra umanità. Riposasi alora in me, mare pacifico. EI cuore è unito per affetto
d’amore in me, si come nel quarto unitivo stato ti dixi. Nel sentimento di me, Deitá etterna, l’occhio
comincia a versare lagrime di dolcezza, che drittamente sonno uno latte che nutrica l’anima in vera
pazienzia. Queste lagrime sonno uno unguento odorifero che gicta odore di grande soavità.
O dilettissima figliuola mia, quanto è gloriosa quella anima che cosí realmente ha saputo
trapassare dal mare tempestoso a me, mare pacifico, e impíto el vaso del cuore suo nel mare di me,
somma ed etterna Deitá ! E però l’occhio, ch’è uno (173) condotto, s’ingegna, come egli ha tracto del
cuore, di satisfarli; e cosí versa lagrime.
Questo è quello ultimo stato dove l’anima sta beata e dolorosa: beata sta per l’unione che ha
fatta meco per sentimento, gustando l’amore divino; dolorosa sta per l’offesa che vede fare a me,
bontá e grandezza mia, la quale ha veduta e gustata nel cognoscimento di sé e di me, per lo quale
cognoscimento di sé e di me gionse a l’ultimo stato. E non è però impedito lo stato unitivo (che dá
lagrime di grande dolcezza), per lo conoscimento di sé, nella caritá del proximo, nella quale trovò
pianto d’amore della divina mia misericordia e dolore de l’offesa del proximo: piangendo con coloro
che piangono e godendo con coloro che godono (ciò sonno coloro che vivono in carità, de’ quali
l’anima gode vedendo rendere gloria e loda a me da’ servi miei). Si che ‘l pianto secondo (cioè il
terzo) non impedisce l’ultimo, (cioè il quarto), Punitivo secondo; anco condisce l’uno l’altro. Ché se
l’ultimo pianto, dove l’anima ha trovata tanta unione, non avesse tracto dal secondo (cioè dal terzo
stato della caritá del proximo), non sarebbe perfetto. Si che è di bisogno che si condisca l’uno con
l’altro, altrementi verrebbe a presumpzione, nella quale intrarrebbe uno vento sottile d’una propria
reputazione, e cadrebbe da l’altezza infino a la bassezza del primo vomito. E però è bisogno di
portare e tenere continuo la caritá del proximo suo con vero cognoscimento di sé.
Per questo modo nutricarà el fuoco della mia caritá in sé, perché la caritá del proximo è
tratta da la caritá mia, cioè da quello cognoscimento che l’anima ebbe conoscendo sé e la bontá mia
in sé, unde ella si vidde amare da me ineffabilemente. E però con questo medesimo amore che vide
in sé essere amata, ama ogni creatura che ha in sé ragione; e questa è la ragione che l’anima si
distende, subbito che conosce me, ad amare il proximo suo. Unde, perché vidde, l’ama
ineffabilemente, si che ama quella cosa che vidde che lo piú amavo.
Poi cognobbe che a me non poteva fare utilitá né rendermi quel puro amore con che si sente
essere amata da me; e però si pone a rendermi amore con quello mezzo che Io v’ho posto, (174) cioè
il proximo suo, che è quel mezzo a cui dovete fare utilitá (si come Io ti dixi che ogni virtú si faceva
col mezzo del proximo a ogni creatura in comune e in particulare), secondo le diverse grazie
ricevute da me, dandovele a ministrare. Amare dovete di quel puro amore che Io ho amati voi:
questo non si può fare verso di me, perch’ Io v’amai senza essere amato e senza veruno rispecto. E
però che v’ho amati senza essere amato da voi, prima che voi fuste (anco l’amore mi mosse a crearvi
a la imagine e similitudine mia), non el potete rendere a me, ma dovetelo rendere alla creatura che
ha in sé ragione, amandoli senza essere amato da loro; e amare senza alcuno rispecto di propria
utilitá o spirituale o temporale, ma solo amare a gloria e loda del nome mio, perché è amata da me.
Cosí adempirete il comandamento della legge: d’amare me sopra ogni cosa e il proximo come voi
medesimi.
Bene è dunque vero che a quella altezza non si può giognere senza questo secondo stato,
cioè che viene el terzo stato e il secondo a l’unione. Né, poi che è gionto, si può conservare se si
partisse da quello affecto unde pervenne a le seconde lagrime decte; si come non si può adempire la
legge di me, Dio etterno, senza quella del proximo vostro, perché sonno due piei de l’affecto per cui
s’observano e’ comandamenti e i consigli (si com’Io ti dixi) che vi die’ la mia Verità, Cristo
crocifixo.
Cosí questi due stati, de’ quali è facto uno, notricano l’anima nelle virtú, crescendola nella
perfeczione delle virtú e de l’unitivo stato. Non che muti altro stato, poi che è gionto a questo; ma
questo medesimo cresce la ricchezza della grazia in nuovi e in diversi doni e amirabili elevazioni di
mente, si come Io ti dixi, con uno cognoscimento di veritá che quasi, essendo mortale, pare
immortale: perché’l sentimento della propria sensualità è mortificato, e la volontà è morta per
l’unione che ha facta in me.
Oh, quanto è dolce questa unione a l’anima che la gusta! che, gustandola, vede le segrete
cose mie, onde spesse volte riceverà spirito di profezia in sapere le cose future. Questo fa la mia
bontá, benché l’anima umile sempre le debba spregiare: (175) none l’affecto della mia caritá che do,
ma l’appetito delle proprie consolazioni, reputandosi indegna della pace e quiete della mente, per
notricare la virtú dentro ne l’anima sua. E none sta nel secondo stato, ma torna a la valle del
conoscimento di sé. Questo le permecto, per grazia, di darle questo lume acciò che sempre cresca,
perché l’anima non è tanto perfecta in questa vita che non possa crescere a maggiore perfeczione,
cioè a perfeczione d’amore. Solo el dilecto unigenito mio Figliuolo, capo vostro, fue quello a cui
non poté crescere alcuna perfeczione perché Egli era una cosa con meco e Io con lui; l’anima sua
era beata per l’unione della natura mia divina. Ma voi, perregrini membri, sempre sète apti a
crescere in maggiore perfeczione. Non però ad altro stato, come decto è, poi che sète gionti a
l’ultimo; ma potete crescere quello ultimo medesimo con quella perfeczione che sarà di vostro
piacere, mediante la grazia mia.
XC. Repetizione breve del precedente capitolo. E come el demonio fugge da
quelli che sono gionti a le quinte lagrime. E come le molestie del dimonio sono
verace via da giognere a questo stato.
— Ora hai veduto gli stati delle lagrime e la differenzia loro, secondo che è piaciuto a la mia
veritá di satisfare al desiderio tuo. Delle prime, di coloro che sonno in stato di morte (di colpa di
peccato mortale), vedesti che ‘l pianto loro procede dal cuore generalmente, perché ‘l principio de
l’affecto, unde venne la lagrima, era corrocto, e però n’esce corrocto e miserabile pianto e ogni loro
operazione.
El secondo stato è di coloro che cominciano a conoscere i loro mali per la propria pena che
lo’ séguita doppo la colpa. Questo è uno comincio generale buonamente dato da me a’ fragili, che,
come ignoranti, s’anniegano giú per lo fiume, schifando la doctrina della mia veritá; ma molti e
molti sonno quegli che conoscono loro senza timore servile, cioè di propria pena, e vannosene chi,
di subbito, con uno grande odio di sé, per lo quale (176) odio si reputa degno della pena; alcuni con
una buona simplicità si dànno servire me, loro Creatore, dolendosi de l’offesa che hanno facta a me.
È vero che egli è piú apto a giognere a lo stato perfecto colui che va con grandissimo odio che gli
altri, bene che, exercitandosi, l’uno e l’altro giogne; ma questo giogne prima. Debba guardare l’uno
di non rimanere nel timore servile, e l’altro nella tiepidezza sua, cioè che in quella simplicità, non
exercitandola, non vi s’intepidisse dentro. Si che questo è uno chiamare comune.
El terzo e il quarto è di coloro che, levati dal timore, sono gionti a l’amore e a speranza,
gustando la divina mia misericordia, ricevendo molti doni e consolazioni da me, per le quali
l’occhio, che satisfa al sentimento del cuore, piagne; ma perché ancora è imperfecto, mescolato col
pianto sensitivo spirituale, come decto è, giogne, exercitandosi in virtú, al quarto, dove l’anima,
cresciuta in desiderio, uniscesi e conformasi con la mia volontà, in tanto che non può volere né
desiderare se non quel ch’Io voglio, vestito della caritá del proximo, unde traie uno pianto d’amore
in sé e dolore de l’offesa mia e danno del proximo suo. Questo è unito con la quinta e ultima
perfeczione, dove egli si unisce in veritá, dove è cresciuto ci fuoco del sancto desiderio, dal quale
desiderio ci dimonio fugge e non può percuotere l’anima, né per ingiuria che le fusse facta, perché
ella è facta paziente nella caritá del proximo, non per consolazione né spirituale né temporale, però
che per odio e vera umilità le spregia.
Egli è ben vero che ‘l dimonio da la parte sua non dorme mai, ma insegna a voi negligenti
che nel tempo del guadagno state a dormire. Ma la sua vigilia a questi cotali non può nuocere,
perché non può sostenere il calore della caritá loro né l’odore de l’unione che ha facta in me, mare
pacifico, dove l’anima non può essere ingannata mentre che starà unita in me. Si che fugge come fa
la mosca da la pignacta che bolle, per paura che ha del fuoco: se fusse tiepida, non temarebbe, ma
andarebbevi dentro, benché spesse volte egli vi perisce, trovandovi piú caldo che non si imaginava.
E cosí diviene de l’anima prima (177) che venga a lo stato perfecto: ci dimonio, perché gli pare
tiepida, v’entra dentro con molte diverse temptazioni; ma, essendovi ponto di cognoscimento e di
calore e dispiacimento della colpa, resiste, legando la volontà, che non consenta, col legame de
l’odio del peccato e amore della virtú.
Rallegrisi ogni anima che sente le molte molestie, perché quella è la via da giognere a questo
dolce e glorioso stato. Perché giá ti dixi che per lo conoscimento e odio di voi e per conoscimento
della mia bontá voi venivate a perfeczione. Veruno tempo è che si conosca tanto bene l’anima se lo
so’ in lei, quanto nel tempo delle molte bactaglie. In che modo? Dicotelo: sé conosce bene,
vedendosi nelle bactaglie e non si può liberare né resistere che non l’abbia; può belle resistere a la
volontà a non consentire, ma in altro no. Alora può conoscere sé non essere: ché se ella fusse alcuna
cosa per se medesima, si levarebbe quelle che ella non vuole. Cosí per questo modo s’aumilia con
vero conoscimento di sé, e col lume della sanctissima fede corre a me, Dio etterno, per la cui bontá
si truova conservare la buona e sancta volontà che non consente, al tempo delle molte bactaglie, ad
andare dietro a le miserie nelle quali si sente molestare.
Bene avete dunque ragione di confortarvi con la doctrina del dolce e amoroso Verbo,
unigenito mio Figliuolo, nel tempo delle molte molestie e pene, adversità e temptazioni dagli
uomini e dal demonio, poi che aumentano la virtú e fanvi giognere a la grande perfeczione.
XCI. Come quelli, che desiderano le lagrime degli occhi e non le possono avere,
hanno quelle del fuoco. E per che cagione Dio sottrae le lagrime corporali.
— Decto t’ho delle lagrime perfecte e imperfecte, e come tucte escono del cuore. Di questo
vasello esce ogni lagrima di qualunque ragione si sia, e però tucte si possono chiamare «lagrime
(178) cordiali »: solo la differenzia sta ne l’ordinato o disordinato amore e ne l’amore perfetto o
imperfetto, secondo che detto è di sopra.
Restoti ora a dire, a satisfaczione del desiderio tuo che m’hai domandato, d’alcuni che
vorrebbero la perfeczione delle lagrime e non pare che le possino avere. Hacci altro modo che
lagrima d’occhio? Sì: ècci un pianto di fuoco, cioè di vero e sancto desiderio, el quale si consuma
per affecto d’amore: vorrebbe dissolvere la vita sua in pianto per odio di sé e salute de l’anime, e
non pare che possa. Dico che costoro hanno lagrima di fuoco, in cui piagne lo Spirito sancto dinanzi
a me per loro e per lo proximo loro. Cioè dico che la divina mia caritá accende con la sua fiamma
l’anima che offera ansietati desidèri dinanzi da me, senza lagrima d’occhio. Dico che queste sono
lagrime di fuoco: per questo modo dicevo che lo Spirito sancto piagneva. Questo non potendo fare
con lagrime, offera desidèri di volontà che ha di pianto, per amore di me. Benché, se aprono
l’occhio de l’intelletto, vedranno che ogni servo mio che gitta odore di sancto desiderio ed umili e
continue orazioni dinanzi da me, piagne lo Spirito sancto per mezzo di lui. A questo modo parbe
che volesse dire il glorioso apostolo Pavolo, quando dixe che lo Spirito sancto piagneva dinanzi a
me, Padre, con gemito inenarrabile per voi.
Adunque vedi che non è di meno el frutto della lagrima del fuoco che di quella de l’acqua:
anco spesse volte è di maggiore, secondo la misura de l’amore. E però non debba venire a
confusione di mente, né debbale parere essere privata di me quella anima che desidera lagrime e
non le può avere per lo modo che desidera; ma debbale desiderare con la volontà acordata con la
mia e umiliata al si e al no, secondo che piace a la divina mia bontá. Alcuna volta Io permetto di
non dare lagrime corporalmente, per fare l’anima continuamente stare dinanzi da me umiliata e con
continua orazione e desiderio gustando me; ché avere da me quello che essa dimanda non le sarebbe
di quella utilitá che essa si crede, ma starebbesi contenta ad avere quello che ha desiderato, e
allentarebbe l’affetto e il desiderio con che ella me l’adimandava. Si che lo per acrescimento, e non
perché diminuisca, sottrago a me (179) di non darle attuali lagrime d’occhio, ma dolle le mentali
solamente di cuore, piene di fuoco della divina mia caritá. Si che in ogni stato e in ogni tempo
saranno piacevoli a me, pure che l’occhio de l’intelletto non si serri mai col lume della fede da
l’obietto della mia veritá etterna con affecto d’amore. Però ch’ Io so’ medico, e voi infermi; e do a
tutti quello che è di necessità e di bisogno a la vostra salute e a crescere la perfeczione ne l’anima
vostra.
Questa è la veritá, e la dichiarazione degli stati delle dette lagrime dichiarate da me, Verità
etterna, a te dolcissima mia figliuola. Anniègati dunque nel sangue di Cristo crocifixo, umile,
crociato, inmaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo, crescendo in continua virtú, acciò che si
nutrichi el fuoco della divina mia caritá in te.
XCII. Come li quatro stati di questi predetti cinque stati de le lagrime danno
infinite varietadi di lagrime. E come Dio vuole essere servito con cosa infinita e
non con cosa finita.
— Questi cinque stati predetti sonno come cinque principali canali de’ quali e’ quattro dànno
abondanzia e infinite varietà di lagrime, che tutte dànno vita, se sonno exercitate in virtú, come
detto t’ho. Come infinite? Non dico che in questa vita siate infiniti in pianto, ma «infinite » le
chiamo per lo infinito desiderio de l’anima.
Ora t’ho detto come la lagrima procede dal cuore, e il cuore la porge a l’occhio, avendola
ricolta ne l’affocato desiderio: sí come el legno verde che sta nel fuoco, che per lo caldo geme
l’acqua, perché egli è verde (ché, se fusse secco, giá non gemarebbe); cosí el cuore, rinverdito per la
rinnovazione della grazia, trattane la secchezza de l’amore proprio che disecca l’anima. Si che sonno
unite fuoco e lagrime, cioè desiderio affocato. E perché il desiderio non finisce mai, non si sazia
(180) in questa vita, ma quanto piú ama meno gli pare amare; e cosi exercita el desiderio sancto che
è fondato in carità, col quale desiderio l’occhio piagne.
Ma, separata che l’anima è dal corpo e gionta a me, fine suo, non abandona però el desiderio
che non desideri me e la caritá del proximo suo; inperò che la caritá è intrata dentro come donna,
portandosene il fructo di tucte l’altre virtú. È vero che termina e finisce la pena, si com’ Io ti dissi;
però che, se egli desidera me, esso m’ha in veritá senza alcuno timore di potere perdere quello che
ha tanto tempo desiderato. E in questo modo si notrica la fame: cioè che avendo fame sonno saziati,
e saziati hanno fame, e di longa è il fastidio dalla sazietà, e di longa è la pena da la fame, perché ine
non manca alcuna perfeczione.
Si che il desiderio vostro è infinito: ché altrementi non varrebbe né avarebbe vita alcuna
virtú se fussi solamente servito con cosa finita, perché Io, che so’ Dio infinito, voglio essere servito
da voi con cosa infinita; e infinito altro non avete se non l’affecto e il desiderio vostro de l’anima. E
per questo modo dicevo che erano infinite varietà di lagrime, e cosí è la veritá per lo modo che
decto ho: per lo infinito desiderio che era unito con la lagrima. La lagrima, partita che l’anima è dal
corpo, rimane di fuore; ma l’affecto della caritá ha tracto a sé el fructo della lagrima e consumatala,
si come l’acqua nella fornace: non è che l’acqua sia fuore della fornace, ma el calore del fuoco l’ha
consumata e tracta in sé. Cosí l’anima, gionta a gustare il fuoco de la divina mia carità, è passata di
questa vita con l’affecto della caritá di me e del prossimo suo, e con l’amore unitivo col quale
gictava la lagrima. E non restano mai di continuamente offerire loro desidèri beati e lagrimosi senza
pena: non con lagrima d’occhio, ché ella è diseccata nella fornace, come decto è; ma lagrima di
fuoco di Spirito sancto.
Veduto hai dunque come sonno infinite, che pure in questa vita medesima non è lingua
sufficiente a narrare quanti diversi pianti si fanno in questo stato decto. Ma hocti decta la differenzia
de’ quattro stati delle lagrime.
XCIII. Del fructo de le lagrime degli uomini mondani.
— Restoti a dire del fructo che dá la lagrima gictata con desiderio, e quello che adopera ne
l’anima. Ma prima ti cominciarò della quinta, della quale al principio ti feci menzione, cioè di
coloro che miserabilmente vivono nel mondo, facendosi Dio delle creature e delle cose create e
della loro propria sensualità, unde vi viene ogni danno de l’anima e del corpo. Io ti dixi che ogni
lagrima procedeva dal cuore, e cosí è la veritá, perché tanto si duole il cuore quanto egli ama. Gli
uomini dei mondo piangono quando el cuore sente dolore, cioè quando è privato di quella cosa che
egli amava. Ma molto sonno diversi e’ pianti loro: sai quanto? quanto è differente e diverso l’amore.
E perché la radice è corrocta del proprio amore sensitivo, ogni cosa n’esce corrocta. Egli è uno
arbore che non germina altro che fructi di morte, fiori putridi, foglie macchiate, rami inchinati
infino a terra, percossi da diversi venti: questo è l’arbore de l’anima. Perché tucti sète arbori
d’amore, e però senza amore non potete vivere, perché sète facti da me per amore. L’anima che
virtuosamente vive pone la radice de l’arbore suo nella valle della vera umilità: ma questi che
miserabilmente vivono l’hanno posta nel monte della superbia; unde, perché egli è mal piantato, non
produce fructo di vita, ma di morte. E’ fructi sonno le loro operazioni, e’ quali sonno tucti avelenati
di molti e diversi peccati: e se veruno fructo di buona operazione essi fanno, perché è corrotta la
radice, ogni cosa n’esce guasto; cioè che l’anima che è in peccato mortale, neuna buona operazione
che faccia, 1e vale a vita etterna, perché non sonno facte in grazia. Benché non debba lassare però la
buona operazione, perché ogni bene è remunerato e ogni colpa punita. El bene che è facto fuore
della grazia non è sufficiente né gli vale a vita etterna, come decto (182) è; ma la divina bontá e mia
giustizia da remunerazione imperfecta, come ella è data a me l’operazione imperfecta: alcuna volta
l’è remunerato in cose temporali, alcuna volta ne gli presto el tempo, si come in un altro luogo,
sopra questa materia, di sopra ti narrai, dandoli spazio pure perché egli si possa correggere. Questo
anco alcuna volta gli farò: che gli darò vita di grazia con alcuno mezzo de’ servi miei e’ quali sono
piacevoli e accepti a me; si come feci al glorioso apostolo Pavolo, che, per l’orazioni di sancto
Stefano, si levò da la sua infidelità e persecuzioni che faceva a’ cristiani. Si che vedi bene che, in
qualunque stato l’uomo si sia, non debba mai lassare di b ,n fare.
Dicevoti che i fiori erano putridi; e cosí è la veritá. E’ fiori sonno le puzzolenti cogitazioni
del cuore (le quali sonno spiacevoli a me), e odio e dispiacimento verso el proximo suo. Si come
ladro, l’onore ha furato di me, suo Creatore, e datolo a sé. Questo fiore mena puzza di falso e
miserabile giudicio, el quale giudicio è in due modi: l’uno verso di me, giudicando gli occulti miei
giudici e ogni mio misterio iniquamente, e in odio quello che Io gli ho facto per amore, e in bugia
quello che lo gli ho facto per veritá, e in morte quello che Io do per vita. Ogni cosa condannano e
giudicano secondo el loro infermo parere, perché si sonno aciecati, col proprio amore sensitivo,
l’occhio de l’intelletto e ricoperta la pupilla della sanctissima fede che non lo’ lassa vedere né
cognoscere la veritá.
L’altro giudicio ultimo è inverso del proximo suo, unde spesse volte n’esce molto male; ché
il misero uomo non cognosce sé, e vuolsi ponere a cognoscere il cuore e l’affecto della creatura che
ha in sé ragione, e, per una operazione che vedrà o parola che oda, vorrà giudicare l’affecto del
cuore. Ma e’ servi miei sempre giudicano in bene, perché sonno fondati in me, sommo Bene. Ma
questi cotali sempre giudicano in male, perché sonno fondati nel miserabile male. De’ quali giudici
molte volte ne viene odio, omicidii e dispiacimento verso del proximo suo, e dilungamento da
l’amore della virtú de’ servi miei.
Cosí a mano a mano seguitano le foglie, le quali sonno le parole che escono della bocca in
vitoperio di me e del sangue de l’unigenito mio Figliuolo e in danno del proximo suo. E non si
curano d’altro che di maledire e condepnare l’operazione mie, o di bastemmiare e dire male d’ogni
creatura che ha in sé ragione, come facto lo’ viene, secondo che il loro giudicio porta. E non
tengono a mente (disaventurati a loro!) che la lingua è facta solo per rendere onore a me e per
confessare i difecti loro, e adoperare per amore della virtú e in salute del proximo. Queste sonno le
foglie macchiate della miserabile colpa, perché ‘l cuore, unde sonno procedute, non era schiecto, ma
molto maculato di doppiezza e di molta miseria. Quanto pericolo (oltre al danpno spirituale della
privazione della grazia che ha facta ne l’anima) esce in danno temporale! Ché per le parole avete
udito e veduto venire mutazioni di Stati, disfacimento di città e molti omicidii e altri mali: perché la
parola intrò nel mezzo del cuore a colui a cui ella fu decta; introe dove non sarebbe passato el
coltello colà dove passò e introe la parola.
Dico che l’arbore ha sette rami che chinano infino a terra, de’ quali escono e’ fiori e le foglie
per lo modo che decto t’ho. Questi sonno e’ septe peccati mortali, e’ quali sono pieni di diversi e
molti peccati, legati nella radice e gambone de l’amore proprio di sé e della superbia. La quale ha
facto prima e’ rami e i fiori delle molte cogitazioni; poi procede la foglia delle parole e il fructo di
gattive operazioni. Stanno chinati infino a terra, cioè che i rami de’ peccati mortali non si voltano
altro che a la terra d’ogni fragile e disordinata sustanz’a de mondo, e in altro modo non mira se none
in che modo si possa nutricare della terra insaziabilmente, che mai non si sazia. Insaziabili sonno e
incomportabili a loro medesimi; e cosa convenevole è che egli sieno sempre inquieti, ponendosi a
desiderare e volere quella cosa che lo’ dá sempre insazietà, si come Io ti dixi. Questa è la cagione
perché essi non si possono saziare: Perché sempre apetiscono cosa finita, ed eglino sonno infiniti
quanto ad essere, ché l’essere loro non finisce mai (perché finisca a (184) grazia per la colpa del
peccato mortale) e perché l’uomo è posto sopra tucte le cose create, e non le cose create sopra lui; e
però non si può saziare né stare quieto se none in cosa maggiore di sé. Maggiore di sé non ci è altro
che lo, Dio etterno; e però solo lo gli posso saziare. E perché egli n’è privato per la colpa commessa,
sta in continuo tormento e pena. Dipo’ la pena gli séguita el pianto; e giognendoli e’ venti,
percuotono l’arbore de l’amore della propria sensualità dove egli ha facto ogni suo principio.
XCIV. Come li predecti piangitori mondani sono percossi da quatro diversi
venti.
— O egli è vento di prosperità, o egli è vento d’aversità, o di timore, o di coscienzia, che sonno
quattro venti.
El vento della prosperità notrica la superbia con molta presumpzione, con grandezza di sé e
avilimento del proximo suo. Se egli è signore, va con molta ingiustizia e con vanità di cuore, e con
immondizia di corpo e di mente, e con propria reputazione e con molte altre cose che seguitano
doppo queste, le quali la lingua tua non potrebbe narrare. Questo vento della prosperità è egli
corrocto in sé? No; né questo né veruno; ma è corrocta la principale radice de l’arbore, unde ogni
cosa corrompe. Perché Io, che mando e dono ogni cosa che ha essere, so’ somamente buono; e però
è buono ciò che è in questo vento prospero. Unde ne gli séguita pianto, perché ‘l suo cuore non è
saziato, ché desidera quello che non può avere; e non potendolo avere, ha pena, e nella pena piagne.
Già ti dixi che l’occhio vuole satisfare al cuore.
Dipo’ questo viene uno vento di timore servile, nel quale gli fa paura l’ombra sua, temendo
di perdere la cosa che egli ama. O egli teme di perdere la vita sua medesima, o quella de’ figliuoli o
d’altre creature; o teme di perdere lo stato suo o d’altre per amore proprio di sé, o onore o ricchezza.
Questo (185) timore non gli lassa possedere il dilecto suo in pace, perché ordinatamente, secondo la
mia volontà, non le possiede; e però gli séguita timore servile e pauroso, facto servo miserabile del
peccato, e tale si può reputare quale è quella cosa a cui egli serve. El peccato è non cavelle: adunque
egli è venuto a non cavelle.
Mentre che il vento del timore l’ha percosso, ed eili giogne quello della tribulazione e
aversità della quale egli temeva, e privalo di quello che egli aveva, alcuna volta in particulare e
alcuna volta in generale. Generale è quando è privato della vita, che per forza della morte è privato
d’ogni cosa. Alcuna volta è particulare, ché quando levo una cosa e quando un’altra: o della sanità, o
de’ figliuoli, o ricchezze, o stati, o onori, secondo che lo, dolce medico, vego che è di necessità a la
vostra salute, e però ve l’ho date. Ma, perché la fragilità vostra è tucta corrocta, e senza veruno
cognoscimento guasta el fructo della pazienzia; e però germina impazienzia, scandalo e
mormorazione, odio e dispiacimento verso di me e delle mie creature, e quello che lo ho dato per
vita l’ha ricevuto in morte con quella misura del dolore che egli aveva l’amore.
Ora è condocto a pianto aliggitivo d’impazienzia che disecca l’anima e ucidela tollendole la
vita della grazia; e disecca e consuma el corpo, e acciecalo spiritualmente e corporalmente, e
privalo d’ogni dilecto e tollegli la speranza, perché è privato di quella cosa nella quale aveva dilecto,
dove aveva posto l’affecto e la speranza ‘e la fede sua: si che piagne. E non solamente la lagrima fa
venire tanti inconvenienti, ma el disordinato affecto e dolore del cuore, unde è proceduta la lagrima.
Ché non la lagrima de l’occhio in sé dá morte e pena, ma la radice unde ella procede, cioè l’amore
proprio disordinato del cuore. Ché, se’l cuore fusse ordinato e avesse vita di grazia, la lagrima
sarebbe ordinata e costrignerebbe me, Dio etterno, a farli misericordia. Ma perché dicevo che questa
lagrima dá morte? perché ella è il messo che vi manifesta. la vita o morte che fusse nel cuore.
Dicevo che veniva uno vento di coscienzia; e questo fa la divina mia Bontà, che, avendo
provato con la prosperità per (186) trarli per amore e col timore, ché per importunità dirizzassero el
cuore ad amare con virtú e non senza virtú; provato con la tribolazione, data perché cognoscano la
fragilità e poca fermezza del mondo; ad alcuni altri, poi che questo non giova, perché v’amo
ineffabilemente, do uno stimolo di coscienzia, perché si levino ad aprire la bocca bomicando el
fracidume de’ peccati per la sancta confessione. Ma essi, come obstinati, e drictamente riprovati da
me per le iniquità loro (che non hanno voluto ricevere la grazia mia in veruno modo), fugono lo
stimolo della coscienzia, e vannolo spassando con miserabili dilecti e dispiacere mio e del proximo
loro. Tucto l’adiviene perché è corrocta la radice con tucto l’arbore, e ogni cosa l’è in morte, e
stanno in continue pene, pianti e amaritudine, come decto è. E se non si correggono mentre che
hanno el tempo di potere usare el libero arbitrio, passano da questo pianto dato in tempo finito, e
con esso giongono al pianto infinito. Sí che il finito lo’ torna ad infinito, perché la lagrima fu gittata
con infinito odio della virtú, cioè col desiderio de l’anima, fondato in odio, che è infinito.
Vero è che, se avessero voluto, ne sarebbero esciti mediante la mia divina grazia nel tempo
che essi erano liberi, non obstante ch’Io dicesse essere infinito: infinito è in quanto l’affecto è essere
de l’anima, ma none l’odio e l’amore che fusse ne l’anima; ché, mentre che sète in questa vita, potete
amare e odiare, secondo che è di vostro piacere. Ma se finisce in amore di virtú, riceve infinito
bene, e se finisce in odio, sta in infinito odio ricevendo l’ecterna dannazione, si come Io ti dixi
quando ti contiai che s’annegavano per lo fiume; intanto che non possono desiderare bene, privati
della misericordia mia e della caritá fraterna, la quale gustano e’ sancti l’uno con l’altro, cioè della
caritá di voi, perregrini viandanti in questa vita, posti qui da me per giognere al termine vostro, di
me, vita etterna.
Né orazioni né limosine né verun’aitra operazione lor vale: essi sono membri tagliati dal
corpo della divina mia carità, perché, mentre che vissero, non volsero essere uniti a l’obbedienzia
de’ sanai miei comandamenti nel corpo mistico della (187) sancta Chiesa e nella dolce sua
obbedienzia, unde traete il sangue dello immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo. E però
ricevono el fructo de l’ecterna dannazione con pianto e stridore di denti.
Questi sonno quelli martiri del dimonio, de’ quali lo ti dixi; si che ‘l dimonio lo’ dá quello fructo che
ha per sé. Adunque vedi che questo pianto dá fructo di pene in questo tempo finito, e ne l’ultimo lo’
dá la infinita conversazione delle dimonia.
XCV. De’ fructi de le seconde e de le terze lagrime.
— Ora ti resto a dire de’ fructi che ricevono coloro che si cominciano a levare da la colpa per
timore della pena, ad acquistare la grazia. Alquanti sonno che escono della morte del peccato
mortale per timore della pena. Questo è il generale chiamare, come detto è.
Che fructo riceve questo? che egli comincia a votiare la casa de l’anima sua della
immondizia, mandando el libero arbitrio el messo del timore della pena. Poi che egli ha purificata
l’anima da la colpa, riceve pace di coscienzia, comincia a disponere l’affecto de l’anima e aprire
l’occhio de l’intelletto a vedere il luogo suo, che, prima che fusse vòto, non il vedeva né vedeva altro
che puzza di molti e diversi peccati. Comincia a ricevere consolazioni, perché ‘l vermine della
coscienzia sta in pace, quasi aspectando di prendere il cibo della virtú. Si come fa l’uomo, che, poi
che ha sanato lo stomaco e tractone fuore gli umori, dirizza l’appetito a prendere il cibo; cosí questi
cotali aspectano pure che la mano del libero arbitrio con l’amore del cibo delle virtú gli apparecchi,
ché doppo l’apparecchiare aspecta di mangiare. E cosí è veramente: che, exercitando l’anima el
primo timore, votiato de’ peccati l’affecto suo, ne riceve il secondo fructo, cioè il secondo stato
delle lagrime, dove l’anima, per affecto d’amore, comincia a fornire la casa di virtú. Benché (188)
imperfecta sia ancora, poniamo che sia levata dal timore, riceve consolazione e dilecto perché
l’amore de l’anima sua ha ricevuto dilecto da la mia veritá che so’ esso amore; e, per lo dilecto e
consolazione che truova in me, comincia ad amare molto dolcemente, sentendo la dolcezza della
consolazione mia o dalle creature per me.
Exercitando l’amore nella casa de l’anima sua, che è intrato dentro poi che ‘l timore l’ebbe
purificata, comincia a ricevere i fructi della divina mia bontá, unde ebbe la casa de l’anima sua. Poi
che egli è intrato l’amore a possedere, comincia a gustare ricevendo molti vari e diversi fructi di
consolazione; e ne l’ultimo, perseverando, riceve fructo di ponere la mensa: cioè, poi che l’anima è
trapassata dal timore a l’amore delle virtú, si pone la mensa sua. Gionto a le terze lagrime, egli pone
la mensa della sanctissima croce nel cuore e ne l’anima sua; poi che l’ha posta, trovandovi el cibo
del dolce e amoroso Verbo (el quale dimostra l’onore di me Padre e la salute vostra per la quale fu
aperto el Corpo de l’unigenito mio Figliuolo dandosi a voi in cibo), alora comincia a mangiare
l’onore di me e la salute de l’anime con odio e dispiacimento del peccato.
Che fructo riceve l’anima di questo terzo stato delle lagrime? Dicotelo: riceve una fortezza
fondata in odio sancto della propria sensualità, con uno fructo piacevole di vera umilità, con una
pazienzia che tolle ogni scandalo, e priva l’anima d’ogni pena, perché col coltello de l’odio ucise la
propria volontà, dove sta ogni perìa: ché solo la volontà sensitiva si scandalizza delle ingiurie, delle
persecuzioni e delle consolazioni temporali o spirituali, come di sopra ti dixi, e cosí viene ad
impazienzia. Ma, perché la volontà è morta, con lagrimoso e dolce desiderio comincia a gustare il
fructo della lagrima della dolce pazienzia.
O fructo di grande soavità, quanto se’ dolce a chi ti gusta, e piacevole a me, che stando ne
l’amaritudine gusta la dolcezza! Nel tempo de l’ingiuria ricevi la pace; nel tempo che se’ nel mare
tempestoso che i venti pericolosi percuotono con le grandi onde la navicella de l’anima, tu se’
pacifica e tranquilla senza veruno male, ricoperta la navicella con la dolce, etterna mia (189)
volontà divina. Unde hai ricevuto vestimento di vera e ardentissima carità, perché acqua non vi
possa intrare. O dilectissima figliuola, questa pazienzia è reina, posta nella ròcca della fortezza: ella
vince e non e mai vinta; essa non è sola, ma è acompagnata con la perseveranzia; ella è il mirollo
della carità; ella è colei che manifesta il vestimento d’essa caritá se egli è vestimento nupziale o no;
se egli è rocto d’ imperfeczione, ella el manifesta, sentendo subbito el contrario della inpazienzia.
Tucte le virtú si possono alcuna volta occultare, mostrandosi .perfecte essendo imperfecte, excepto
che a te non si possono nascondere: ché, se ella è ne l’anima questa dolce pazienzia, mirollo di
carità, ella dimostra che tucte le virtú sonno vive e perfecte; e se ella non v’è, manifesta che tucte le
virtú sonno imperfecte e non sonno gionte ancora alla mensa della sanctissima croce, dove essa
pazienzia fu conceputa nel cognoscimento di sé e nel cognoscimento della mia bontá in sé, e
parturita da l’odio sancto e unta di vera umilità. A questa pazienzia non è denegato el cibo de l’onore
di me e salute de l’anime: anco essa è quella che ‘l mangia continuamente, e cosí è la veritá.
Raguarda, carissima figliuola, ne’ dolci e gloriosi martiri, che col sostenere mangiavano el
cibo de l’anime. La morte loro dava vita: resuscitavano e’ morti e cacciavano le tenebre de’ peccati
mortali. El mondo con tucte le sue grandezze e i signori con la loro potenzia non si potevano
difendere da loro, per la virtú di questa reina, dolce pazienzia. Questa virtú sta come lucerna in sul
candelabro. Questo è il glorioso fructo che die’ la lagrima gionta nella caritá del proximo suo,
mangiando con lo svenato e immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo, con crociato e ansietato
desiderio e con pena intollerabile de l’of–. fesa di me, Creatore suo: non pena afliggitiva, ché
l’amore con la vera pazienzia ucise ogni timore e amore proprio che dá pena; ma pena consolativa,
solo de l’offesa mia e danno del proximo, fondata in carità, la quale pena ingrassa l’anima. Godene
in sé, perché ella è uno segno dimostrativo che dimostra me essere per grazia ne l’anima.
XCVI. Del fructo de le quarte e unitive lagrime.
— Decto t’ho del tructo delle terze lagrime. Séguita el quarto e ultimo stato della lagrima
unitiva, lo quale non è separato dal terzo, come decto è, ma uniti insieme, si come la caritá mia con
quella del proximo l’una condisce l’altra. Ma è in tanto cresciuto, gionto al quarto, che, non tanto
che porti con pazienzia (si come di sopra ti dissi), ma con allegrezza le desidera; in tanto che
spregia ogni recreazione, da qualunque lato le viene, pure che si possa conformare con la mia
Verità, Cristo crocifixo.
Questa riceve uno fructo di quiete di mente, una unione, facta per sentimento, nella natura
mia dolce divina, dove gusta el lacte. Si come il fanciullo, che pacificato si riposa al pecto della
madre, traie a sé il lacte col mezzo della carne; cosí l’anima, gionta a questo ultimo stato, si riposa al
pecto della divina mia carità, tenendo nella bocca del sancto desiderio la carne di Cristo crocifixo,
cioè seguitando le vestigie e la doctrina sua, perché cognobbe bene nel terzo stato che non gli
conveniva andare per me, Padre, perché in me, Padre etterno, non può cader%+iena: ma si nel
dilecto mio Figliuolo, dolce e amoroso Verbo. E voi non potete andare senza pena, ma con molto
sostenere giognerete a le virtú provate. Si che si pose al pecto di Cristo crocifixo, che è essa veritá;
e cosí trasse a sé il lacte della virtú, nella quale virtú ebbe vita di grazia, gustando in sé la natura
mia divina che dava dolcezza a le virtú. E cosí è la veritá: che le virtú in loro non erano dolci, ma
perché furono facte e unite in me, amore divino: cioè che l’anima non ebbe alcuno rispecto a sua
propria utilitá, altro che a l’onore di me e salute de l’anime.
Or raguarda, dolce figliuola, quanto è dolce e glorioso questo stato, nel quale l’anima ha
facta tanta unione al pecto della (191) caritá che non si truova la bocca senza el pecto, né il pecto
senza el lacte. Cosí questa anima non si truova senza Cristo crociato, né senza me, Padre etterno, el
quale truova gustando la somma e etterna Deitá. Oh! chi vedesse come s’empiono le potenzie di
quella anima! La memoria s’empie di continuo ricordamento di me, tracto a sé, per amore, i benefizi
miei: non tanto facto de’ benefizi, ma l’affecto della caritá mia con che Io gli l’ho donati; e
singularmente il benefizio della creazione, vedendosi creato a la imagine e similitudine mia. Nel
quale benefizio, nel primo stato decto, cognobbe la pena della ingratitudine che ne gli seguitava; e
però si levò da le miserie nel benefizio del sangue di Cristo, dove Io el ricreai a grazia, lavandovi la
faccia de l’anime vostre da la lebra del peccato, dove l’anima trovò nel secondo stato una dolcezza,
gustando la dolcezza de l’amore e dispiacere della colpa, nella quale egli vidde che tanto era
spiaciuta a me, che lo l’avevo punita sopra el corpo de l’unigenito mio Figliuolo.
Dipo’ questo ha trovato l’avenimento dello Spirito sancto, el quale dichiarò e dichiara
l’anima della veritá. Quando riceve l’anima questo lume? poi che ha cognosciuto, per lo primo e
secondo stato, el benefizio mio in sé. Riceve alora lume perfecto, cognoscendo la veritá di me,
Padre etterno, cioè che per amore l’avevo creata per darle vita etterna. Questa era la veritá: hovelo
manifestato col sangue di Cristo crocifixo. Poi che l’ha cognosciuta l’ama: amandola, el dimostra
amando schiectamente quello ch’ Io amo e odiando quel ch’ Io, odio.
Cosi si truova nel terzo stato della caritá del prossimo. Si che la memoria a questo pecto s’empie,
passata ogni imperfeczione, perché s’è ricordata e ha tenuto in sé i benefizi miei. Lo intellecto ha
ricevuto el lume: mirando dentro nella memoria, cognobbe la veritá; perdendo la ciechità de l’amore
proprio, rimase nel sole de l’obiecto di Cristo crocifixo, dove cognobbe Dio e uomo. Oltre a questo
cognoscimento, per l’unione che ha facta, si leva ad uno lume acquistato non per natura, si come Io
ti dixi, né per sua propria virtú adoperata, ma per grazia data da la mia dolce Verità, la quale none
spregia gli (192) ansietati desidèri né fadighe le quali ha offerte dinanzi da me. Alora l’affecto, che
va dietro a lo ‘ntellecto, s’unisce con perfectts. simo e ardentissimo amore. E chi mi dimandasse: —
Chi è questa anima? — direi: — È uno altro me, facta per unione d’amore. —
Quale sarebbe quella lingua che potesse narrare l’excellenzia di questo ultimo stato unitivo,
e i fructi diversi e divariati che riceve essendo piene le tre potenzie de l’anima? Questa è quella
dolce congregazione della quale, ne’ tre scaloni generali, ti feci menzione, dichiarandoti, di sopra, la
parola della mia Verità. Non è sufficiente la lingua a poterlo narrare, ma ben vel dimostrano e’
sancti doctori illuminati da questo glorioso lume che con esso spianavano la sancta Scriptura. Unde
avete del glorioso Tomaso d’Aquino (che la scienzia sua egli ebbe piú per studio d’orazione ed
elevazione di mente e lume d’ intellecto, che per studio umano), el quale fu uno lume che Io ho
messo nel corpo mistico della sancta Chiesa, spegnendo le tenebre de l’errore. E se ti vòlli al
glorioso Giovanni evangelista, quanto lume egli acquistò sopra el prezioso pecto di Cristo, mia
Verità, col quale lume acquistato evangelizzò me, ha cotanto tempo.
E, cosí discorrendo, tucti ve l’hanno manifestata, chi per uno modo e chi per un altro. Ma lo
intrinseco sentimento, ineffabile dolcezza e perfecta unione, non el potresti narrare con la lingua
tua, perché è cosa finita. Questo parbe che volesse dire Pavolo, dicendo: « Occhio non può vedere,
né orecchia udire, né cuore pensare quanto è il dilecto e ‘l bene che riceve, e ne l’ultimo è
apparecchiato a quelli che in veritá m’amano ». Oh quanto è dolce la mansione, dolce sopra ogni
dolcezza, con perfecta unione che l’anima ha facta in me, che non ci è in mezzo la volontà de
l’anima medesima, perché ella è facta una cosa con meco ! Ella gicta odore per tucto quanto el
mondo, fructo di continue e umili orazioni: l’odore del desiderio, grido della salute de l’anime con
voce senza voce umana, gridando nel conspecto della mia divina maiestà.
Questi sonno e’ fructi unitivi che mangia l’anima in questa vita ne l’ultimo stato, acquistato
con molte fadighe, lagrime e sudori. E cosí passa con vera perseveranzia dalla vita della (193)
grazia, da questa unione che è anco imperfecta, ed è perfecta in grazia. Ma mentre che è legata nel
corpo, perché in questa vita non si può saziare di quello che desidera, e anco perché è legata con la
legge perversa (che s’è adormentata per l’affecto della virtú, ma non è morta, e però si può destare
se levassi lo istrumento della virtú che la fa dormire), e però è decta « imperfecta unione ». Ma
questa imperfecta unione el conduce a ricevere la perfeczione durabile, la quale non gli può essere
tolta per veruna cosa che sia, si come Io ti dixi narrandoti de’ beati. Ine gusta co’ gustatori veri in me
vita etterna, sommo ed etterno Bene, che mai non finisco. Costoro hanno ricevuto vita etterna
incontrario di coloro che ricevettero el fructo del pianto loro, morte etternale. Costoro dal pianto son
gionti a l’allegrezza, ricevendo vita sempiterna. Col fructo della lagrima e con l’affocata caritá
gridano e offerano lagrima di fuoco, per lo modo decto di sopra, dinanzi a me per voi.
Compito ho di narrarti e’ gradi delle lagrime e la loro perfeczione, e il fructo che riceve
l’anima d’esse lagrime: che i perfecti ricevono me vita etterna, e gl’ iniqui l’etterna dannazione.
XCVII. Come questa devota anima, ringraziando Dio de la dechiarazione de’
predecti stati de le lagrime, gli fa tre petizioni.
Alora quella anima, ansietata di grandissimo desiderio per la dolce dichiarazione e
satisfaczione che ebbe da la Verità sopra e’ decti stati, diceva come inamorata:
— Grazia, grazia sia a te, sommo ed etterno Padre, satisfacitore de’ sancti desidèri e amatore
della salute nostra, che per amore ci hai dato l’amore nel tempo che eravamo in guerra con teco, col
mezzo de l’unigenito tuo Figliuolo. Per questo abisso de l’affocata tua caritá t’adimando, di grazia e
di misericordia, che, acciò che schiectamente possa venire a te e con lume e non con tenebre corra
per la doctrina della tua Verità, della (194) quale tu chiaramente m’hai dimostrata la veritá, e acciò
eh, io possa vedere due altri inganni de’ quali io temo che non ci sieno o possano essere, vorrei,
Padre etterno, che, prima che io escisse di questi stati, tu mel dichiarassi.
L’uno si è che, se alcuna volta o a me o ad alcuno altro servo tuo fusse venuto per consiglio
di volere servire a te, che doctrina io gli debbo dare. Benché di sopra so, dolce Dio etterno, che tu
me ne dichiarasti sopra quella parola che tu dicesti: — Io so’ colui che mi dilecto di poche parole e
di molte operazioni; — nondimeno, se piace a la tua bontá toccarne alcuna parola ancora, sarammi
di grande piacere.
E anco, se alcuna volta, pregando io per le tue creature e singularmente per li servi tuoi, io
trovasse, ne l’orazione, ne l’uno la mente disposta, parendomelo vedere che esso si goda di te; e ne
l’altro mi paresse che fusse la mente tenebrosa, debbo io, Padre etterno, o posso giudicare l’uno in
luce e l’altro in tenebre? O che io vedesse l’uno andare con grande penitenzia e l’altro no: debbo io
giudicare che maggiore perfeczione abbi colui che fa penitenzia maggiore, che colui che non la fa?
Pregoti che acciò ch’io non sia ingannata dal mio poco vedere, che tu mi dichiari in particulare
quello che tu m’hai decto in generale.
La seconda cosa della quale io ti dimando, si è che tu mi dichiari meglio, sopra del segno
che tu mi dicesti che riceve l’anima quando è visitata da te, se egli è da te, Dio etterno, o no. Se bene
mi ricorda tu mi dicesti, Verità etterna, che la mente rimaneva in allegrezza e inanimata a la virtú.
Vorrei sapere se questa allegrezza può essere con inganno della propria passione spirituale; ché, se
ci fusse, io m’aterrei solamente al segno della virtú.
Queste sonno quelle cose le quali io t’adimando, acciò che in veritá io possa servire a te e al
proximo mio e non cadere in neuno falso giudicio verso le tue creature e de’ servi tuoi, perché mi
pare che ‘l giudicio, cioè il giudicare, dilonghi l’anima da te: e però non vorrei cadere in questo
inconveniente.
XCVIII. Come el lume de la ragione è necessario ad ogni anima che vuole a Dio
in veritá servire. E prima, del lume generale.
Alora Dio etterno, dilectandosi della sete e fame di quella anima e della schiectezza del
cuore e del desiderio suo con che ella dimandava di volerli servire, volse l’occhio della pietà e
misericordia sua verso di lei, dicendo:
— O dilectissima, o carissima, o dolce figliuola e sposa mia, leva te sopra di te e apre
l’occhio de l’intellecto a vedere me, bontá infinita, e l’amore ineffabile che Io ho a te e agli altri servi
miei. Ed apre l’orecchia del sentimento del desiderio tuo, però che altrementi, se tu non vedessi, non
potresti udire: cioè che l’anima, che non vede con l’occhio de l’intellecto suo ne l’obiecto della mia
Verità, non può udire né cognoscere la mia veritá. E però voglio, acciò che meglio la cognosca, che
ti levi sopra el sentimento tuo, cioè sopra el sentimento sensitivo; ed Io, che mi dilecto della tua
domanda e desiderio, ti satisfarò. Non che dilecto possa crescere a me di voi, però che Io so’ colui
che so’ e che fo crescere voi, e non voi me; ma dilectomi nel mio dilecto medesimo della factura
mia. —
Alora quella anima obbedí, levando sé sopra di sé per cognoscere la veritá di quello che
dimandava. Alora Dio etterno disse a lei: — Acciò che tu meglio possa intendere quello ch’io ti
dirò, lo mi farò al principio di quello che mi dimandi, sopra tre lumi che escono di me, vero lume.
L’uno è uno lume generale in coloro che sonno nella caritá comune: bene che decto te l’abbi
de l’uno e de l’altro, e molte cose di quelle che Io t’ho decte ti dirò, perché ‘l tuo basso intendimento
meglio intenda quello che tu vuoli sapere. E due altri lumi sonno di coloro che sono levati dal
mondo e vogliono la perfeczione. Sopra di questo ti dichiararò di quello che m’hai adimandato,
dicendoti piú in particulare quello che ti toccai in comune.
Tu sai, si come Io ti dixi, che senza ci lume neuno può andare per la via della veritá, cioè
senza ci lume della ragione. El quale lume di ragione traete da me, vero lume, con l’occhio de
l’intelletto e col lume della fede che Io v’ho dato nel sancto baptesmo, se voi non vel tollete per li
vostri difecti. Nel quale baptesmo, mediante e in virtú del sangue de l’unigenito mio Figliuolo,
riceveste la forma della fede. La quale fede, exercitata in virtú col lume della ragione (la quale
ragione è illuminata da questo lume), vi dá vita e favi andare per la via della veritá, e con esso
giognete a me, vero lume; e senza esso giognereste a la tenebre.
Due lumi, tracti da questo lume, vi sonno necessari d’avere, ed anco a’ due ti porrò ci terzo.
El primo è che voi tucti siate illuminati in cognoscere le cose transitorie del mondo, le quali passano
tucte come il vento. Ma non le potete bene cognoscere se prima non cognoscete la propria vostra
fragilità quanto ella è inchinevole, con una legge perversa che è legata nelle membra vostre, a
ribellare a me, vostro Creatore. Non che per questa legge neuno possa essere costrecto a
commectere uno minimo peccato, se egli non vuole; ma bene impugna contra lo spirito. E non dici
questa legge perché la mia creatura, che ha in sé ragione, fusse venta, ma perché ella aumentasse e
provasse la virtú ne l’anima, però che la virtú non si pruova se non per lo suo contrario. La
sensualità è contraria a lo spirito, e però in essa sensualità pruova l’anima l’amore che ha in me,
Creatore suo. Quando si pruova? quando con odio e dispiacimento si leva contra di lei.
E anco le dici questa legge per conservarla nella vera umilità. Unde tu vedi che, creando
l’anima a la imagine e similitudine mia posta in tanta dignità e bellezza, Io l’acompagnai con la piú
vile cosa che sia, dandole la legge perversa, cioè legandola col corpo formato dei piú vile della
terra, acciò che, vedendo la bellezza sua, non levasse il capo per superbia contra di me. Unde il
fragile corpo, a chi ha questo lume, è cagione di fare umiliare l’anima, e non ha alcuna materia
d’insuperbire: anco di vera e perfecta umilità. Si che questa legge non costrigne ad (199) alcuna
colpa di peccato per alcuna sua impugnazione, ma è cagione di farvi cognoscere voi medesimi e
cognoscere la poca fermezza del mondo.
Questo debba vedere l’occhio de l’intellecto col lume della sanctissima fede, della quale ti
dixi che era la pupilla de l’occhio. Questo è quello lume necessario, che generalmente è di bisogno a
ogni creatura che ha in sé ragione, a volere participare la vita della grazia in qualunque stato si sia,
se vuole participare il fructo del sangue dello inmaculato Agnello. Questo è il lume comune, cioè
che comunemente ogni persona ci debba avere, come decto è; e chi non l’avesse, starebbe in stato di
dannazione. E questa è la ragione che essi non sonno in stato di grazia non avendo ci lume: però che
chi non ha ci lume, non cognosce il male della colpa e chi n’è cagione, e però non può schifare né
odiare la cagione sua. E cosí chi non cognosce il bene e la cagione del bene, cioè la virtú, non può
amare né desiderare me, che so’ esso Bene, e la virtú che lo v’ho data come strumento e mezzo a
darvi la grazia mia, me, vero Bene.
Si che vedi di quanto bisogno v’è questo lume, ché in altro none stanno le colpe vostre se
none in amare quel che Io odio o in odiare quel che Io amo. lo amo la virtú e odio ci vizio; chi ama
ci vizio e odia la virtú offende me ed è privato della grazia mia. Questi va come cieco che, non
cognoscendo la cagione del vizio, cioè il proprio amore sensitivo, non odia se medesimo né
cognosce il vizio né il male che gli séguita dipo’ ci vizio. Né cognosce la virtú, né me che so’
cagione di darli la virtú che gli dá vita, né la dignità nella quale egli si conserva e viene a grazia col
mezzo della virtú.
Si che vedi che ‘l non cognoscere gli è cagione del suo male. Évi dunque di bisogno d’avere
questo lume, come decto è.
XCIX. Di quelli e’ quali hanno posto piú el loro desiderio in mortificare el corpo
che in uccidere la propria volontà; el quale è uno lume perfecto piú che il
generale, ed è questo el secondo lume.
— E poi che l’anima è venuta ed ha acquistato el lume generale, del quale Io t’ho decto, non
debba stare contenta; perché, mentre che sète perregrini in questa vita, sète apti a crescere e dovete
crescere: e chi non cresce, ipso facto torna adietro. O debba crescere nel comune lume che egli ha
acquistato mediante la grazia mia, o egli debba con sollicitudine ingegnarsi d’andare al secondo
lume perfecto, e da l’imperfetto giognere al perfecto, però che con lume si vuole andare alla
perfeczione.
In questo secondo lume perfecto sonno due maniere di perfecti: perfecti sonno che si sonno
levati dal comune vivere del mondo. In questa perfeczione ci sonno due. L’uno che sonno alcuni che
perfectamente si dànno a gastigare il corpo loro, facendo aspra e grandissima penitenzia: e acciò che
la sensualità loro non ribelli a la ragione, tucto hanno posto il desiderio loro piú in mortificare il
corpo che in ucidere la loro propria volontà, si come in un altro luogo ti dixi. Costoro si pascono a
la mensa della penitenzia, e sonno buoni e perfecti se ella è fondata in me col lume di discrezione,
cioè con vero cognoscimento di loro e di me, e con grande umilità, tucti conformati ad essere
giudici della volontà mia e non di quella degli uomini.
Ma se non fussero cosí, cioè con vera umilità vestiti della volontà mia, spesse volte
offendarebbero la loro perfeczione, facendosi giudicatori di coloro che non vanno per quella
medesima via che vanno eglino. Sai tu perché a questi cotali l’adiverrebbe? Perché hanno posto piú
studio e desiderio in mortificare il corpo che in ucidere la propria volontà. Questi cotali sempre
vogliono eleggere i tempi e i luoghi e le consolazioni della mente a loro modo, e anco le tribulazioni
del mondo e (199) le bactaglie del dimonio, si come nel secondo stato imperfecto lo ti narrai.
Costoro dicono, per inganno di loro medesimi, ingannati da la propria volontà, la quale ti chiamai «
volontà spirituale» : — Io vorrei questa consolazione e non queste bactaglie né molestie del
dimonio; e giá non el dico per me, ma per piú piacere a Dio e averlo piú per grazia ne l’anima mia,
perché meglio mel pare avere e servirlo in questo modo che in quello. —
E cosí per questo modo spesse volte cade in pena ,e in tedio, e diventane incomportabile a se
medesimo; e cosí offende il suo stato perfecto e non se n’avvede, né che vi caggia dentro la puzza
della superbia; ed ella vi giace, però che, se ella non vi fusse, ma fusse veramente umile e non
presumptuoso, vedrebbe col lume che Io, dolce e prima Verità, do stato e tempo e luogo e
consolazioni e tribulazioni secondo che è necessità a la salute vostra ed a compire la perfeczione ne
l’anima a la quale lo l’ho electe. E vedrebbe che ogni cosa do per amore; e però con amore e
riverenzia debba ricevere ogni cosa. Si come fanno e’ secondi (cioè che viene il terzo), de’ quali Io ti
dirò, che sonno questi due stati che stanno in questo perfectissimo lume.
C. Del terzo e perfectissimo lume de la ragione. E dell’opere che fa l’anima
quando è venuta a esso lume. E d’una bella visione che questa devota anima
ebbe una volta, ne la quale si tracta pienamente del modo da venire ad perfecta
purita, e dove anco si parla del non giudicare.
— Questi cotali (ciò sonno e’ terzi, che viene secondo a questo), gionti a questo glorioso
lume, sonno perfecti in ogni stato che essi sonno. E ciò che lo permecto a loro, ogni cosa hanno in
debita reverenzia, si come nel terzo stato de l’anima e unitivo Io ti feci menzione. Questi si reputano
degni delle pene e scandali del mondo, e d’essere privati delle loro consolazioni proprie di
qualunque cosa si sia. E come si reputano degni delle pene, cosí si reputano indegni del frutto che
séguita a loro doppo (200) la pena. Costoro nel lume hanno cognosciuta e gustata l’etterna volontà
mia, la quale non vuole altro che ‘l vostro bene; e perché siate sanctificati in me, però ve lo do e
permetto.
Poi che l’anima l’ha cognosciuta, si se ne è vestita e non attende ad altro se none a vedere in
che modo possa conservare e crescere lo stato suo perfecto per gloria e loda del nome mio, aprendo
l’occhio de l’intelletto col lume della fede ne l’obietto di Cristo crocifixo, unigenito mio Figliuolo,
amando e seguitando la doctrina sua, la quale è regola e via a’ perfetti e agl’imperfetti. E vede che lo
inamorato Agnello, mia Verità, gli dá doctrina di perfeczione, e vedendola se ne inamora. La
perfeczione è questa che cognobbe vedendo questo dolce e amoroso Verbo, unigenito mio
Figliuolo, che si notricò a la mensa del sancto desiderio, cercando l’onore di me, Padre etterno e
salute vostra; e con questo desiderio corse, con grande sollicitudine, a Pobrobriosa morte della croce
e compi l’obbedienzia che gli fu imposta da me Padre, none schifando fadiga né obbrobri, non
ritraendosi per vostra ingratitudine o ignoranzia di non cognoscere tanto benefizio dato a voi, né per
persecuzione de’ giudei, né per scherni, villania e mormorazioni e grida del popolo. Ma tutte le
trapassò come vero capitano e vero cavaliere, il quale Io avevo posto in sul campo della battaglia a
combattere per trarvi delle mani delle dimonia e perché fuste liberi e tratti della piú perversa
servitudine che voi poteste avere, e perché esso v’insegnasse la via, la doctrina e regola sua e poteste
giognere a la porta di me, vita etterna, con la chiave del suo prezioso Sangue sparto con tanto fuoco
d’amore, con odio e dispiacimento delle colpe vostre. Quasi vi dica questo dolce e amoroso Verbo
mio Figliuolo: — Ecco che Io v’ho fatta la via e aperta la porta col Sangue mio: non siate dunque
voi negligenti a seguitarla, ponendovi a sedere con amore proprio di voi e con ignoranzia di non
cognoscere la via, e con presumpzione di volere eleggere il servire a me’ a vostro modo e non di me,
che ho fatta a voi la via dritta col mezzo della mia Verità, Verbo incarnato, e battuta col Sangue. —
Levatevi dunque suso e seguitatelo, però che neuno può venire (201) a me Padre se non per lui. Egli
è la via e la porta unde vi conviene intrare in me, mare pacifico.
Alora quando l’anima è gionta a gustare questo lume, perché dolcemente l’ha veduto e
cognosciuto, però el gustoe, e corre come inamorata e ansietata d’amore a la mensa del sancto
desiderio. E non vede sé per sé, cercando la propria consolazione né spirituale né temporale, ma
come persona che al tutto in questo lume e cognoscimento ha annegata la propria volontà; non
schifa alcuna fadiga da qualunque lato ella si viene: anco, con pena sostenendo obrobrio e molestie
dal dimonio e mormorazioni dagli uomini, mangia in su la mensa della sanctissima croce il cibo de
l’onore di me, Dio etterno, e della salute de l’anime. E none cerca alcuna remunerazione né da me né
dalle creature, perché elli è spogliato de l’amore mercennaio, cioè d’amare me per rispetto di sé, ed è
vestito del lume perfecto, amando me schiettamente e senza alcuno rispetto, altro che a gloria e loda
del nome mio, non servendo me per proprio. diletto né al proximo per propria utilitá, ma per puro
amore.
Costoro hanno perduti loro medesimi, e spogliatisi de l’uomo vecchio, cioè della propria
sensualità, e vestitisi de l’uomo nuovo, Cristo dolce Iesú, mia Verità, seguitandolo virilmente.
Questi sonno quelli che si pongono a la mensa del sancto desiderio: che hanno posta piú la
sollicitudine loro in ucidere la propria volontà che in ucidere e mortificare il corpo. Essi hanno bene
mortificato el corpo, ma non per principale affetto, ma come strumento che egli è ad aitare ad
ucidere la propria volontà, si come lo ti dixi dichiarandoti sopra quella parola « ch’Io volevo poche
parole e molte operazioni ». E cosí dovete fare, però che ‘l principale affetto debba essere d’ucidere
la volontà, che non cerchi né voglia altro che seguitare la mia dolce Verità, Cristo crocifixo,
cercando l’onore e gloria del nome mio e salute de l’anime.
Questi che sonno in questo dolce lume il fanno; e però stanno sempre in pace e in quiete, e
non hanno chi gli scandalizzi, perché hanno tolta via quella cosa che lo’ dá scandalo, cioè la propria
volontà. E tutte le persecuzioni che’l mondo (202) può dare e il dimonio, tucte corrono sotto e’ piedi
loro. Stanno ne l’acqua delle molte tribolazioni e temptazioni, e non lo’ nuoce perché stanno staccati
al tralcio de l’affocato desiderio. Questo gode d’ogni cosa, e non è facto giudice de’ servi miei né di
veruna creatura che abbi in sé ragione; anco gode d’ogni stato e d’ogni modo che vede, dicendo:
-Grazia sia a te Padre etterno, che nella Casa tua ha molte mansioni. — E piú gode de’ diversi modi
che vede, che se gli vedesse andare tucti per una via, perché vede manifestare piú la grandezza della
mia bontá. D’ogni cosa gode e traie l’odore della rosa. E non tanto che del bene, ma di quella cosa
che vede che expressamente è peccato, non piglia giudicio, ma piú tosto una vera e sancta
compassione, pregando me per loro; e con umilità perfecta dicono: — Oggi tocca a te, e domane a
me se non fusse la divina grazia che mi conserva.—
O carissima figliuola, inamórati di questo dolce ed excellente stato, e raguarda costoro che
corrono in questo glorioso lume e la excellenzia loro, però che hanno menti sancte e mangiano a la
mensa del sancto desiderio; e con lume sonno gionti a notricarsi del cibo de l’anime per onore di
me, Padre etterno, vestiti del vestimento dolce de l’Agnello, unigenito mio Figliuolo, cioè della
doctrina sua, con affocata caritá. Questi non perdono el tempo a dare i falsi giudici né verso de’
servi miei né verso de’ servi del mondo, e non si scandalizzano per veruna mormorazione né per
loro né per altrui: cioè che verso di loro sono contenti di sostenere per lo nome mio; e quando ella è
facta in altrui, la portano con compassione del proximo e non con mormorazione verso colui che dá
e verso colui che riceve, perché l’amore loro è ordinato in me, Dio etterno, e nel proximo, e non
disordinato. E perché egli è ordinato, questi cotali, carissima figliuola, non pigliano mai scandalo
verso coloro che essi amano né in alcuna creatura che ha in sé ragione, perché il loro parere è morto
e non vivo, e però non pigliano giudicio di giudicare la volontà degli uomini, ma solo la volontà
della clemenzia mia.
Questi observano la doctrina, la quale tu sai che al principio della vita tua ti fu data da la
Verità mia, dimandando tu con (203) grande desiderio di volere venire a perfecta purità. Pensando
tu in che modo vi potessi venire, sai che ti fu risposto, es sendo tu adormentata, sopra questo
desiderio: non tanto che nella mente, ma nel suono de l’orecchia tua rinsonò la voce, in tanto che, se
bene ti ricorda, tu ritornasti al sentimento del corpo tuo, dicendoti la mia Verità: — Vuoli tu venire
a perfecta purità ed essere privata degli scandali, e che la mente tua non sarà scandalizzata per
veruna cosa? Or fa’ che tu sempre ti unisca in me per affecto d’amore, però che Io so’ somma ed
etterna purità, e so’ quel fuoco che purifico l’anima: e però quanto piú s’acosta a me, tanto diventa
piú pura; e quanto piú se ne parte, tanto piú è immonda. E però caggiono in,tante nequizie gli
uomini del mondo, perché sonno separati da me; ma l’anima, che senza mezzo si unisce in me,
participa della mia purità.
Un’altra cosa ti conviene fare a giognere a questa unione e purità: che tu non giudichi mai, in
alcuna cosa che tu vedessi fare o dire, da qualunque creatura si fusse, o verso di te o verso d’altrui,
la volontà de l’uomo, ma la volontà mia in loro e in te. E se tu vedessi peccato o difecto expresso,
trae di quella spina la rosa, cioè che tu gli offeri dinanzi a me per sancta compassione. E nelle
ingiurie che fussero facte a te, giudica che la volontà mia el permecte per provare in te e negli altri
servi miei la virtú, giudicando che colui come strumento messo da me faccia quello; vedendo che
spesse volte avaranno buona intenzione, però che neuno è che possa giudicare l’occulto cuore de
l’uomo. Quello che tu non vedi che sia expresso e palese peccato mortale non il debbi giudicare
nella mente tua altro che la volontà mia in loro; e vedendolo, non el pigliare per giudicio, ma per
sancta compassione, come decto è. A questo modo verrai a perfecta purità, però che, facendo cosí,
la mente tua non sarà scandalizzata né in me né nel proximo tuo; però che lo sdegno cade verso del
proximo quando giudicaste la mala volontà loro verso di voi, e non la mia in loro. El quale sdegno e
scandalo discosta l’anima da me e impedisce la perfeczione, e in alcuno tolle la grazia, piú e meno
secondo la gravezza dello sdegno e de l’odio conceputo nel proximo per lo suo giudicio.
In contrario riceve l’anima che giudicarà la volontà mia, come decto t’ho. La quale non vuole
altro che ‘l vostro bene, e ciò ch’ Io do e permecto, do perché aviate il fine vostro per lo quale lo vi
creai. E perché sta sempre nella dileczione del proximo, sta sempre nella mia; e stando nella mia,
sta unita in me. E però t’è di necessità, a volere venire a la purità che tu m’adimandi, di fare queste
tre cose principali, cioè: di unirti in me per affetto d’amore, portando nella memoria tua e’ benefizi
ricevuti da me; e con l’occhio de l’intelletto vedere l’affetto della mia caritá che v’amò
inestimabilemente; e nella volontà de l’uomo giudicare la volontà mia e non la mala volontà loro,
però che Io ne so’ giudice, Io e non voi. E da questo ti verrà ogni perfeczione. —
Questa fu la doctrina data a te da la mia Verità, se ben ti ricorda. Ora ti dico, carissima
figliuola, che questi cotali, de’ quali Io ti dixi che pareva che avessero imparata questa doctrina,
gustano l’arra di vita etterna in questa vita. Se tu avarai tenuta a mente questa doctrina, non cadrai
negl’inganni del dimonio perché gli cognoscerai, né in quello del quale tu m’hai adimandato. Ma
nondimeno, per satisfare al desiderio tuo, piú distinctamente tel dirò e manifestarocti che neuno
giudicio voi potete dare per giudicio, ma per sancta compassione.
CI. Per che modo ricevono l’arra di vita eterna in questa vita quelli che stanno
nel predetto terzo perfectissimo lume.
— E perché ti dixi che ricevevano l’arra di vita etterna? Dico che ricevono l’arra, ma none il
pagamento perché aspettano di riceverlo in me, vita durabile, dove ha vita senza morte, e sazietà
senza fastidio, e fame senza pena; perché di lunga è la pena da la fame, però che essi hanno quel che
desiderano, e di longa è il fastidio dalla sazietà, perché Io lo’ so’ cibo di vita senza alcuno difetto.
É vero che in questa vita ricevono l’arra e gustanla in questo . modo, cioè che l’anima
comincia a essere afamata de l’onore di me, Dio etterno, e del cibo della salute de l’anime; e come
ella ha fame, cosí se ne pasce, cioè che l’anima si notrica della caritá del proximo, del quale ha fame
e desiderio (che gli è uno cibo che, notricandosene, non se ne sazia mai), però che è insaziabile, e
però rimane la continua fame. E si come l’arra è uno comincio di sicurtà che si dá a l’uomo, per la
quale aspecta di ricevere il pagamento (non che l’arra sia perfecta in sé, ma per fede dá certezza di
giognere al compimento di ricevere il pagamento suo), cosí questa anima inamorata e vestita della
doctrina della mia Verità, che giá ha ricevuta l’arra, in questa vita, della caritá mia e del proximo
suo in se medesima, rion è perfecta; ma aspecta la perfeczione della vita mmortale.
Dico che non è perfecta questa arra: cioè che l’anima che la gusta non ha ancora la
perfeczione che non senta le pene in sé e in altrui. In sé, per l’offesa che fa a me per la legge
perversa che è legata nelle membra sue quando vuole impugnare contra lo spirito: in altrui, per
l’offesa del proximo. È ben perfetto a grazia; ma none a questa perfeczione de’ sancti miei, che
sonno gionti a me, vita durabile, si come detto è; ché i desidèri loro sonno senza pena, e i vostri
sonno con pena. Stanno questi servi miei (si come Io ti dixi in un altro luogo, che si notricano a la
mensa di questo sancto desiderio) che stanno beati e dolorosi, si come stava l’unigenito mio
Figliuolo in sul legno della croce sanctissima. Però che la carne sua era dolorosa e tormentata, e
l’anima era beata per l’unione della natura divina. Cosi questi cotali sonno beati per l’unione del
sancto desiderio loro in me, si come detto è, vestiti della dolce mia volontà; e dolorosi sonno per la
compassione del proximo e per tollersi delizie e consolazioni sensuali, affliggendo la propria
sensualità.
CII. Per che modo si debba reprendere el proximo, a ciò che la persona non
caggia in falso giudizio.
— Ora attende, carissima figliuola; ed acciò che tu meglio sia dichiarata di quello che
m’adimandasti, t’ho detto del lume comune il quale tutti dovete avere in qualunque stato voi sète:
ciò dico di coloro che stanno nella caritá comune.
E hocti detto di coloro che sonno nel lume perfetto, el quale lume ti distinsi in due, cioè di
coloro che erano levati dal mondo e studiavano di mortificare il corpo loro, e degli altri che in tutto
ucidevano la propria volontà, e questi erano quegli perfetti che si notricavano a la mensa del sancto
desiderio. Ora ti favellarò in particulare a te: e, parlando a te, parlarò ed agli altri e satisfarò al tuo
desiderio. Io voglio che tre cose singulari tu faccia, acciò che l’ ignoranzia non impedisca la tua
perfeczione a la quale Io ti chiamo, e acciò che ‘l dimonio, col mantello della virtú della caritá del
proximo, non notricasse dentro ne l’anima la radice della presumpzione. Però che da questo cadresti
ne’ falsi giudici, e’ quali Io t’ho vetati, parendoti giudicare a dritto e tu giudicaresti a torto andando
dietro al tuo vedere. E spesse volte il dimonio ti farebbe vedere molte veritá per conducerti nella
bugia. E questo farebbe per farti essere giudice delle menti e delle intenzioni delle creature che
hanno in loro ragione, la quale cosa, si come lo ti dixi, solo lo ho a giudicare.
Questa è una di quelle tre cose che Io voglio che tu abbi e servi in te: cioè che tu giudicio
non dia alcuno senza modo, ma voglio che il dia col modo. El modo suo è questo: che, se giá Io
expressamente, non pure una volta né due ma piú, non manifestasse el difetto del proximo tuo nella
mente tua, non il debbi mai dire in particulare, cioè a colui in cui ti paresse vedere il difetto; ma
debbi in comune correggere i vizi di chi ti venisse a visitare, e piantare la virtú caritativamente
(207) e con benignità, e nella benignità l’asprezza, quando vedi che bisogni E se ti paresse che lo ti
manifestasse spesse volte i difecti altrui, se tu non vedi che ella sia expressa revelazione, come detto
t’ ho, none il dire in particulare, ma actienti a la parte piú sicura, acciò che fuga lo inganno e la
malizia del dimonio. Però che con questo lamo del desiderio ti pigliarebbe, facendoti spesse volte
giudicare nel prossimo tuo quello che non. sarebbe, e spesse volte lo scandalizzaresti.
Unde nella bocca tua stia el silenzio o uno sancto ragionamento della virtú, spregiando el
vizio. E il vizio, che ti paresse cognoscere in altrui, ponlo insiememente a loro ed a te, usando
sempre una vera umilità. E se in veritá quello vizio sarà in quella cotale persona, egli si correggerà
meglio vedendosi compreso cosí dolcemente, e costretto sarà da quella piacevole reprensione di
correggersi, e dirà a te quello che tu volevi dire a lui; e tu ne starai sicura, e avarai tagliata la via al
dimonio, che non ti potrà ingannare né impedire la perfeczione de l’anima tua.
E voglio che tu sappi che d’ogni vedere tu non ti debbi fidare, ma debbiteli ponere doppo le
spalle e non volere vederlo; ma solo debbi rimanere nel vedere e nel cognoscimento di te medesima,
e in te cognoscere la larghezza e bontá mia. Cosí fanno coloro che sonno gionti a l’ultimo stato, di
cui lo ti dixi che sempre tornavano a la valle del cognoscimento di loro, e non impediva però
l’altezza e l’unione che avevano fatta in me. E questa è l’una delle tre cose le quali lo ti dissi ch’Io
volevo che tu facessi, acciò che in veritá servissi me.
CIII. Come, se, pregando per alcuna persona, Dio la manifestasse, ne la mente di
chi prega, piena di tenebre, non si debba però giudicare in colpa.
— Che se alcuna volta ti venisse caso, si come tu mi dimandasti la dichiarazione, che tu
pregassi particularmente per alcune creature, e nel pregare tu vedessi in colui per cui tu preghi (208)
alcuno lume di grazia e in un altro no (e ambedue sonno pure servi miei), ma paressetelo vedere con
la mente aviluppata e tenebrosa, none il debbi né puoi pigliare però in giudicio di difecto di grave
colpa in lui, però che spesse volte il tuo giudicio sarebbe falso. E voglio che tu sappi che alcuna
volta, pregandomi per una medesima persona, adiviene che l’una volta el trovarai con uno lume e
con uno desiderio sancto dinanzi a me, in tanto che del suo bene parrà che l’anima tua ingrassi, si
come vuole l’affecto della caritá che participiate il bene l’uno de l’altro; e un’altra volta el trovarai
che parrà che la mente sua sia di longa da me e tucta piena di tenebre e di molestie, che parrà che a
te medesima sia fadiga a pregare per lui tenendolo dinanzi a me.
Questo adiviene alcuna solta che potrà essere per difecto che sarà in colui per cui tu hai
pregato; ma el piú delle volte non sarà per difecto, ma avrà per sottraimento che Io, Dio etterno,
avarò facto di me in quella anima, si come spesse volte Io fo, per fare venire l’anima a perfeczione,
secondo che negli stati de l’anima Io ti narrai. Sarommi ritracto per sentimento, ma non per grazia;
ma per sentimento di dolcezza e di consolazione. E però rimane la mente sterile, asciucta e penosa.
La quale pena Io fo sentire a quella anima che per lui prega. E questo fo per grazia e per amore che
Io ho a quella anima che riceve l’orazione, acciò che chi prega insiememente con lui aiti a
dissolvere la nuvila che è nella mente sua.
Si che vedi, carissima e dolcissima figliuola, quanto sarebbe ignorante e degno di grande
reprensione questo giudicio, che tu o alcuno altro per questo semplice vedere giudicassi che vizio
fusse in quella anima, perché Io te la manifestasse cosí tenebrosa; dove giá hai veduto che egli non
è privato della grazia, ma del sentimento della dolcezza che Io, per sentimento, gli davo di me.
Voglio dunque, e debbi volere tu e gli altri servi miei, che vi diate a cognoscere
perfectamente voi, acciò che piú perfettamente cognosciate la bontá mia in voi. E questo e ogni
altro giudicio lassate a me, però che egli è mio e non vostro; (209) ma abandonate il giudicio, che è
mio, e pigliate la compassione con fame de l’onore mio e salute de l’anime; e con ansietato desiderio
anunziate la virtú e riprendete il vizio in voi e in loro per lo modo che decto t’ ho di sopra. Per
questo modo verrai a me in veritá e mostrarrai d’avere tenuto a mente e observata la doctrina che ti
fu data dalla mia Verità, cioè di giudicare la volontà mia e non quella degli uomini; e cosí debbi fare
se vuoli avere la virtú schiectamente e stare ne l’ultimo perfectissimo e glorioso lume, pascendoti a
la mensa del sancto desiderio del cibo de l’anime, per gloria e loda del nome mio.
CIV. Come la penitenzia non si die pigliare per fondamento né per principale
affecto, ma l’affecto e l’amore de le virtú.
— Decto t’ho, carissima figliuola, delle due: ora ti dirò della terza, a la quale lo voglio che tu
abbi avertenzia, e riprenda te medesima se alcuna volta el dimonio o el tuo basso vedere ti
molestasse di volere mandare e vedere andare tucti e’ servi miei per quella via che tu andassi tu;
però che questo sarebbe contra la doctrina data a te da la mia Verità.
Perché spesse volte adiviene che, vedendo andare molte creature per la via della molta
penitenzia, tucti gli vorrebbe mandare per quella medesima via; e se vede che non vi vadano, ne
piglia dispiacimento e scandalo in se medesimo, parendoli che non faccian bene. Or vedi quanto è
ingannato, però che spesse volte adiverrà che farà meglio colui di cui gli pare male perché fa meno
penitenzia, e piú virtuoso sarà (poniamo che non facci tanta penitenzia) che colui che ne mormora.
E però ti dixi di sopra che coloro che si pascono ala mensa della penitenzia, se non vanno con vera
umilità e che la ni- . tenzia loro non sia posta per principale affecto ma per strumento di virtú,
spesse volte per questa mormorazione offendaranno la perfeczione loro. E però non debbono essere
ignoranti, ma (210) debbono vedere che la perfeczione non sta solamente in macerare né in ucidere
il corpo, ma in ucidere la propria e perversa volontà. E per questa via della volontà, annegata e
sottoposta a la dolce volontà mia, dovete desiderare, e voglio che tu desideri, che tucti vadano.
Questa è la doctrina della luce di quello glorioso lume, dove l’anima corre inamorata e
vestita della mia Verità. E non dispregio però la penitenzia: perché la penitenzia è buona a macerare
il corpo quando vuole impugnare contra lo spirito. Ma non voglio però, carissima figliuola, che tu
mel ponga per regola a ogniuno. Però che tucti e’ corpi non sonno aguagliati né d’una medesima
forte complessione, però che ha piú forte natura uno che un altro; e anco perché spesse volte, si
com’ Io ti dixi, adiviene che la penitenzia che si comincia, per molti accidenti che possono
adivenire, si conviene lassare. E se ‘l fondamento dunque fusse in te, o che tu ci dessi altrui, facessi
o facessi fare sopra la penitenzia, verrebbe meno e sarebbe imperfecto; e mancarebbevi la
consolazione e la virtú ne l’anima. Essendo poi privati di quella cosa che amavate e dove avavate
facto ci vostro principio, vi parrebbe essere privati di me, e, parendovi essere privati della mia
bontá, verreste a tedio e a grandissima tristizia, amaritudine e confusione. Per questo modo
perdareste l’exercizio e la fervente orazione, la quale solevate fare quando faciavate la vostra
penitenzia. La quale lassata per molti accidenti che vengono, non vi sa l’orazione di ` quello sapore
che vi sapeva prima. Questo adiverrebbe, perché il fondamento sarebbe facto ne l’affecto della
penitenzia e non ne l’ansietato desiderio: desiderio, dico, delle vere e reali virtú.
Si che vedi quanto male ne seguitarebbe per fare solo ci principio nella penitenzia. E però
sareste ignoranti e cadreste nella mormorazione verso de’ servi miei, come decto è, e verrestene a
tedio e a molta amaritudine, e studiareste di fare solo operazioni finite a me che so’ Bene infinito, e
però Io vi richiego infinito desiderio.
Convienvi dunque fare il fondamento in uccidere e annegare la propria volontà, e con essa
volontà, sottoposta a la volontà mia, mi darete dolce e afamato e infinito desiderio, cercando (211)
l’onore di me e la salute de l’anime. E cosí vi pascerete a la mensa del sancto desiderio; ci quale
desiderio non è mai scandalizzato né in sé né nel proximo suo, ma d’ogni cosa gode e trae fructo di
tanti diversi e variati modi che Io do ne l’anima. Non fanno cosí e’ miserabili che non seguitano
questa doctrina, dolce e dricta via data da la mia Verità: anco fanno ci contrario, giudicando
secondo la cechità e infermo vedere loro; e però vanno come farnetichi, e privansi del bene della
terra e del bene del cielo. E in questa vita, si come Io ti dixi in un altro luogo, gustano l’arra de
l’inferno.
CV. Repetizione in somma de le predecte cose, con una agiunta sopra la
reprensione del proximo.
— Ora t’ho decto, carissima figliuola, satisfacendo al desiderio tuo e dichiaratati di quello
che mi dimandasti, cioè in che modo tu debbi riprendere il proximo tuo, acciò che tu non sia
ingannata dal dimonio né dal tuo basso vedere. Cioè che tu debbi riprendere in generale e non in
particulare (se giá per expressa revelazione tu non l’avessi da me), ma con umilità, per lo modo che
decto t’ho, riprendere te e loro.
Anco t’ho decto e dico che in veruno modo del mondo t’è licito ci giudicare in alcuna
creatura, né in comune né in particulare, ne le menti dei servi miei, né trovandola disposta né non
disposta. E decta t’ho la cagione per la quale tu non puoi giudicare, e giudicando rimarresti
ingannata nel tuo giudicio; ma compassione debbi avere tu e gli altri, e il giudicio lassare a me.
E anco t’ho decta la doctrina e il principale fondamento che tu debbi dare a coloro che
venissero a te per consiglio e che volessero escire delle tenebre del peccato mortale e seguitare la
via delle virtú: cioè che tu lo’ dia per principio e fondamento l’affecto e l’amore delle virtú nel
cognoscimento di loro e della (212) mia bontá in loro; e ucidano e annieghino la loro propria
volontà, acciò che in neuna cosa ribellino a me. E la penitenzia lo’ dá come strumento e non per
principale affecto, come decto è non a ogniuno equalmente, ma secondo che sonno apti a portare e
secondo la loro possibilità e stato suo, chi poco e chi assai, secondo che può di questi strumenti di
fuore.
E perch’ Io ti dixi che la riprensione non t’era licito di farla altro che in generale per lo modo
che decto t’ho (e cosí è la veritá), non vorrei però che tu credessi che, vedendo tu
actualmente uno expresso difecto, tu noi possa correggere fra te e lui: anco puoi, e anco, se egli
fusse obstinato che non si correggesse, el puoi fare manifesto a due o a tre; e se questo non giuova,
farlo manifesto al corpo mistico della sancta Chiesa. Ma hotti decto che licito non è per tuo vedere o
sentire dentro nella mente tua: né anco, per ogni vedere di fuore, non ti debbi cosí tosto mutare: se
tu non vedessi expressamente la veritá o che nella mente tua l’avessi per expressa mia revelazione,
non debbi usare la reprensione se non per lo modo che Io ti dissi. Quella è piú sicura per te, da non
potere il dimonio ingannarti col mantello della caritá del proximo.
Compíto t’ho ora, carissima figliuola, di dichiararti sopra questa parte quello che bisogna a
conservare e crescere la perfeczione ne l’anima tua.
CVI. De’ segni da cognoscere quando le visitazioni e visioni mentali sono da Dio
o dal demonio.
— Ora ti dichiararò di quello che tu mi dimandasti sopra el segno che Io ti dixi che Io davo
ne l’anima a cognoscere la visitazione che riceve l’anima o per visioni o altre consolazioni che le
paia ricevere. E dissiti el segno per lo quale ella si potesse cognoscere quando fusse da me o no. El
suo segno era l’allegrezza che rimaneva ne l’anima doppo la visitazione, (213), e la fame delle virtú,
e spezialmente unta della virtú della vera umilità, e arsa nel fuoco della divina caritá.
Ma perché tu m’adimandi se ne l’allegrezza si potesse ricevere inganno alcuno (però che,
cognoscendolo, ti vorresti attenere a la parte piú sicura, cioè al segno della virtú che non può essere
ingannata), lo ti dirò lo inganno che si può ricevere, e a quello che tu cognoscerai che l’allegrezza
sia in veritá o no. Lo inganno si può ricevere in questo modo: lo voglio che tu sappi che di ciò che
la creatura, che ha in sé ragione, ama o desidera d’avere, avendola n’ha allegrezza. E tanto quanto
piú ama quella cosa che egli ha, tanto meno . vede e si dá a cognoscere con prudenzia unde ella
viene, per lo dilecto che ha preso in essa consolazione; però che l’allegrezza nel ricevere la cosa che
ama non gli li lassa vedere, né si cura di discernerla. Cosi coloro, che molto si dilectano e amano la
consolazione mentale, cercano le visioni, e piú hanno posto el principale affecto nel dilecto della
consolazione che propriamente in me; sí come lo ti dixi di coloro che anco erano nello stato
imperfecto, che raguardavano piú al dono delle consolazioni che ricevevano da me donatore, che a
l’affecto della mia caritá con che lo lo’ do.
Qui possono ricevere inganno questi cotali, cioè ne l’allegrezza loro, oltre agli altri inganni
ch’ Io ti contai distinctamente in un altro luogo. In che modo el ricevono? Dicotelo: che poi che essi
hanno conceputo l’amore grande a la consolazione, come decto è, ricevendo poi la consolazione o
visione, in qualunque modo l’avesse, sente allegrezza perché si vede quello che ama e desiderava
d’avere; e spesse volte potrebbe essere dal dimonio, e sentirebbe pure questa allegrezza: della quale
allegrezza lo ti dixi che, quando ella era dal dimonio, questa visitazione della mente veniva con
allegrezza e rimaneva con pena e stimolo di coscienzia e vòtia del desiderio della virtú. Ora ti dico
che alcuna volta potrà avere questa allegrezza, e con essa allegrezza si levarà da l’orazione: se
questa allegrezza si trova senza l’affocato desiderio della virtú, unta d’umilità e arsa nella fornace
della divina mia carità, quella visitazione e consolazione e visione, che ella ha ricevuta, è dal
demonio e non (214) da me, non obstante che si senta el segno de l’allegrezza. Ma perché
l’allegrezza non è unita con l’affetto della virtú per lo modo che detto t’ho, puoi vedere
manifestamente che quella è allegrezza tratta da l’amore che aveva a la propria consolazione
mentale, e però gode ed ha allegrezza perché si vede avere quello che desiderava; perché gli è
condiczione de l’amore di qualunque cosa si sia, sentire allegrezza quando riceve quella cosa che
egli ama.
Si che per pura allegrezza non te ne potresti fidare: poniamo che l’allegrezza ti durasse
mentre che tu hai la consolazione, e anco piú. L’amore ignorante in essa allegrezza non
cognosciarebbe l’inganno del dimonio, non andando con altra prudenzia; ma, se con prudenzia
andarà, vederà se l’allegrezza andarà con l’affetto della virtú, o si o no, e cognoscerà in questo modo
se ella sarà da me o dal dimonio la visitazione che riceve nella mente sua.
Questo è quello segno che lo ti dixi in che modo tu potessi cognoscere che l’allegrezza ti
fusse segno quando fusse visitata da me, se ella fusse unita con la virtú, sí com’ Io t’ho detto.
Veramente questo è segno dimostrativo, che ti dimostra quello che è inganno e quello che non è
inganno: cioè de l’allegrezza che ricevi nella mente tua da me in veritá, da l’allegrezza che ricevessi
per proprio amore spirituale, cioè da l’amore ed affetto che avessi posto a la propria consolazione:
quella che è da me è unita l’allegrezza con l’affetto della virtú, e quella che è dal dimonio sente
solamente allegrezza, e, quando viene a vedere, tanta virtú si truova quanto prima. Questa
allegrezza lo’ procede da l’amore della propria consolazione, come detto è.
E voglio che tu sappi che ogniuno non riceve però inganno da questa allegrezza, se non
solamente questi imperfetti che pigliano diletto e consolazione, e piú raguardano al dono che a me
donatore. Ma quegli, che, schiettamente e senza rispetto alcuno di loro, raguardano come affocati a
l’ affetto solamente di me che dono e non al dono, e il dono amano per me che dono e non per
propria loro consolazione, non possono essere ingannati da questa allegrezza.
E però l’ è a loro subito questo el segno, quando el dimonio alcuna volta volesse per suo
inganno trasformarsi in forma di luce e mostrarsi nella mente loro, giognendo subito con grande
allegrezza. Ma essi, che non sono passionati da l’amore della consolazione nella mente loro, con
prudenzia in veritá cognoscono lo inganno suo: passando tosto l’allegrezza, vegonsi rimanere in
tenebre. E però s’aumiliano con vero cognoscimento di loro, e spregiano ogni consolazione e
abracciano e stringono la dottrina della mia Verità. El dimonio, come confuso, rade volte o non mai
in questa forma vi torna.
Ma quelli, che sonno amatori della propria consolazione, spesse volte ne riceveranno; ma
conosceranno l’inganno loro per lo modo che detto t’ho, cioè trovando l’allegrezza senza la virtú,
cioè che non si vega escire di quello camino con umilità e vera carità, fame de l’onore di me, Dio
etterno, e della salute de l’anime.
Questo ha facto la mia bontá: d’avere proveduto verso di voi, a’ perfetti e agl’imperfetti, in
qualunque stato voi sète, perché neuno inganno voi potiate ricevere, se vorrete conservarvi el lume
de l’intelletto che lo v’ho dato con la pupilla della sanctissima fede, che voi non vel Tassiate
obumbrare dal dimonio e nol veliate con l’amore proprio di voi. Perché, se non vel tollete voi, non è
alcuno che vel possa tollere.
CVII. Come Dio è adempitore de’ sancti desidèri de’ servi suoi, e come molto gli
piace chi dimanda e bussa a la porta de la sua Verità top perseveranzia.
— Ora t’ho detto, carissima figliuola, e in tutto dichiarato e illuminatone l’occhio de
l’intelletto tuo verso gl’inganni che ‘l dimonio ti potesse fare. E ho satisfacto al desiderio tuo in
quello che tu mi dimandasti, perché lo non so’ spregiatore del desiderio de’ servi miei. Anco do a
chimi dimanda, e invitovi a dimandare; e molto mi spiace colui che in veritá non bussa a (216) la
porta della sapienzia de l’unigenito mio Figliuolo, seguitando la doctrina sua; la quale doctrina,
seguitandola, è uno bussare chiamando a me, Padre etterno, con la voce del sancto desiderio, con
umili e continue orazioni. E Io so’ quel Padre che vi do el pane della grazia col mezzo di questa
porta, dolce mia Verità. E alcuna volta,, per provare i desidèri vostri e la vostra perseveranzia, fo
vista di non intendervi; ma Io v’intendo, e dòvi, mentre, quello che bisogna, perché vi do la fame e
la voce con che chiamate a me; e Io, vedendo la sostanzia vostra, compio e’ vostri desidèri, quando
sonno ordinati e dirizzati in me.
A questo chiamare v’ invitoe la mia Verità quando dixe: «Chiamate e saravi risposto; bussate
e saravi aperto; chiedete e saravi dato ». E cosí ti dico che Io voglio che tu facci: che tu non allenti
mai el desiderio tuo di chiedere l’aiutorio mio; né abbassi la voce tua di chiamare a me, ch’ Io facci
misericordia al mondo; né ti ristare di bussare a la porta della mia Verità, seguitando le vestigie sue;
e dilèctati in croce con Lui, mangiando el cibo de l’anime per gloria e loda del nome mio. E con
ansietà di cuore mughiare sopra el morto de l’umana generazione, el quale vedi condotto a tanta
miseria che la lingua non sarebbe sufficiente a narrarlo. Con questo mughio e grido vorrò fare
misericordia al mondo. E questo è quello che lo richiego da’ servi miei, e questo mi sarà segno che
in veritá m’amino. E Io non sarò spregiatore de’ loro desidèri, si come Io t’ho decto.
CVIII. Come questa devota anima, rendendo grazie a Dio, s’umilia. Poi fa
orazione per tutto el mondo e singularmente per lo corpo mistico de la sancta
Chiesa e per li figliuoli suoi spirituali e per li due padri de l’anima sua. E, doppo
queste cose, dimanda d’udire parlare de’ defecti de’ ministri de la sancta Chiesa.
Alora quella anima, come ebbra veramente, pareva fuore di sé, e, alienati e’ sentimenti del
corpo suo, per l’unione de l’amore che fasta aveva nel Creatore suo, levata la mente e specolando
(217) nella Verità etterna con l’occhio de l’intelletto suo, avendo cognosciuta la veritá, s’era
innamorata della veritá, e diceva: O somma ed etterna bontá di Dio, e chi so’ io, miserabile, che tu,
sommo ed etterno Padre, hai manifestata a me la veritá tua e gli occulti inganni del dimonio; e lo
‘nganno del proprio sentimento, che io e gli altri potiamo ricevere in questa vita della
perregrinazione, acciò che io non sia ingannata né dal dimonio né da me medesima? Chi t’ha
mosso? L’amore. Però che tu m’amasti senza essere amato da me. O fuoco d’amore, grazia, grazia
sia a te, Padre etterno. lo, imperfetta, piena di tenebre; e tu, perfetto e luce, hai mostrato a me la
perfeczione e la via lucida della dottrina de l’unigenito tuo Figliuolo. Io ero morta, e tu m’hai
risuscitata; io ero inferma, e tu m’hai data la medicina: e non tanto la medicina del Sangue che tu
desti allo Infermo de l’umana generazione col mezzo del tuo Figliuolo, ma tu m’hai data una
medicina contra una infermità occulta, la quale io non cognoscevo, dandomi tu la dottrina che in
neuno modo io posso giudicare alcuna creatura che abbi in sé ragione, e singularmente verso de’
servi tuoi, de’ quali spesse volte, come cieca e inferma di questa infermità, sotto spezie e colore de
l’onore tuo e salute de l’anime, davo giudicio. E però io ti ringrazio, somma ed etterna bontá, che,
nel manifestare la tua veritá e lo inganno del dimonio e la propria passione, m’hai facto conoscere la
infermità mia. Unde io t’adimando per grazia e misericordia che oggi sia posto termine e fine che io
mai non esca della dottrina tua, data a me da la tua bontá e a chiunque la vorrà seguitare, però che
senza te neuna cosa è fasta.
A te dunque ricorro e rifugo, Padre etterno, e non te l’adimando per me sola, Padre, ma per
tutto quanto el mondo, e singularmente per lo corpo mistico della sancta Chiesa: che questa veritá e
dottrina riluca ne’ ministri tuoi, data da te. Verità etterna, a me miserabile. Ed anso t’adimando
spezialmente per tutti coloro e’ quali m’hai dati che io ami di singulare amore, e’ quali hai fasti una
cosa con meco; però che essi saranno el mio refrigerio per gloria e loda del nome tuo, vedendoli
còrrire per questa dolce e dritta via schietti e morti ad ogni loro (218) volontà e pareri, e senza
alcuno giudicio o scandalo o mormorazione del proximo loro. E pregoti, dolcissimo amore, che
neuno me ne sia tolto delle mani dal dimonio infernale, si che ne l’ultimo giongano a te, Padre
etterno, fine loro.
Anco ti fo un’altra petizione per le due colonne de’ padri che m’hai posti in terra a guardia e
doctrina di me, inferma, miserabile, dal principio della mia conversione infino a ora: che tu gli
unisca e di due corpi facci una anima, e che neuno actenda ad altro che a compire in loro, e nei
misterii che tu l’hai posti nelle mani, la gloria e loda del nome tuo in salute de l’anime. E io, indegna
e miserabile, schiava e non figliuola, tenga quel modo, con debita reverenzia e sancto timore verso
di loro, per amore di te, che sia tuo onore, pace e quiete loro ed edificazione del proximo.
So’ certa, Verità etterna, che tu non dispregiarai el desiderio mio né le petizioni che Io t’ho
adimandate, però che io cognosco per veduta, secondo che t’è piaciuto di manifestare, e molto
maggiormente per pruova, che tu se’ acceptatore de’ sancti desidèri. Io, indegna tua serva, m’
ingegnarò, secondo che mi darai la grazia, d’observare il comandamento e la doctrina tua.
O Padre etterno, ricordato m’è d’una parola che tu dicesti quando mi narravi alcuna cosa de’
ministri della sancta Chiesa, dicendo tu che piú distinctamente in un altro luogo me ne parlaresti: de’
difecti che al di d’oggi essi commectono. Unde, se piacesse a la tua bontá di dirne alcuna cosa, acciò
che io avesse materia di crescere il dolore e la compassione e l’ansietato desiderio per la salute loro
(ché mi ricordo che giá tu dicesti che, col sostenere e lagrime, dolori, sudori e orazioni de’ servi
tuoi, ci daresti refrigerio, riformandola di sancti e buoni pastori); si che, acciò che questo cresca in
me, però te l’adimando.
CIX. Come Dio rende sollicita la predecta anima all’orazione, rispondendo ad
alcuna de le predecte petizioni.
Alora Dio etterno, vollendo l’occhio della sua misericordia e non spregiando el suo
desiderio, ma acceptando le sue petizioni, volendo satisfare a l’ultima petizione che ella aveva facta
sopra la promessa sua, diceva: — O dilectissima e carissima figliuola, lo adempirò in quello che
m’hai adimandato el desiderio tuo, purché da la tua parte non commecta ignoranzia né negligenzia.
Però che molto ti sarebbe piú grave e degna di maggiore reprensione ora che prima, perché piú hai
cognosciuto della mia veritá: E però sia dunque sollicita di dare orazioni per tucte le creature che
hanno in loro ragione, e per lo corpo mistico della sancta Chiesa, e per quegli che Io t’ho dati che tu
ami di singulare amore. E non commectere negligenzia in dare orazioni ed exemplo di vita e la
doctrina della parola, riprendendo il vizio e commendando la virtú giusta ‘l tuo potere. Delle
colonne le quali lo ho date a te, delle quali tu mi dicesti, e cosí è la veritá, fa’ che tu sia uno mezzo
di dare a ciascuno quello che gli bisogna, secondo l’aptitudine loro e come Io, tuo Creatore, ti
ministrarò, però che senza me neuna cosa potresti fare; ed Io adempiroe i desidèri tuoi. Ma non
mancare tu né eglino nello sperare in me, però che la providenzia mia non mancarà in voi; e
ogniuno umilemente riceva quello che esso è apto a ricevere, e ogniuno ministri quello che lo gli
darò a ministrare, ogniuno nel modo suo, secondo che hanno ricevuto e riceveranno da la mia bontá.
CX. De la dignità de’ sacerdoti, e del sacramento del Corpo di Cristo. E di quelli
che comunicano degnamente e indegnamente.
— Ora ti rispondo di quello che m’hai adimandato sopra e’ ministri della sancta Chiesa. E
acciò che tu meglio possa cognoscer la veritá, apre l’occhio de l’intellecto tuo e raguarda
l’excellenzia loro, in quanta dignità lo gli ho posti. E perché meglio si cognosce l’uno contrario per
l’altro, voglioti mostrare la dignità di coloro che exercitano in virtú el tesoro che lo lo’ missi fra le
mani; e per questo, meglio vedrai la miseria di coloro che oggi si pascono al pecto di questa sposa.
—
Alora quella anima, per obbedire, si specolava nella veritá, dove vedeva rilucere le virtú ne’
veri gustatori. Alora Dio etterno diceva: — Carissima figliuola, prima ti voglio dire la dignità loro
dove lo gli ho posti per la mia bontá; oltre a l’amore generale che Io ho avuto a le mie creature
creandovi a la imagine e similitudine mia, e ricreativi tucti a grazia nel sangue de l’unigenito mio
Figliuolo; unde veniste in tanta excellenzia, per l’unione ch’ Io feci della Deitá mia nella natura
umana, che in questo avete maggiore excellenzia e dignità voi che l’angelo, perch’ Io presi la natura
vostra e non quella de l’angelo. Unde, si come Io dixi, Io Dio so’ facto uomo e l’uomo è facto Dio
per l’unione della natura mia divina nella natura vostra umana.
Questa grandezza è data in generale ad ogni creatura che ha in sé ragione; ma tra questi ho
electi e’ miei ministri per 1p salute vostra, acciò che per loro vi sia ministrato el sangue de l’umile e
immaculato Agnello unigenito mio Figliuolo. A costoro ho dato a ministrare il Sole, dando lo’ el
lume della scienzia e il caldo della divina caritá e il colore unito col caldo e col lume, cioè il Sangue
e il Corpo del mio Figliuolo. El quale Corpo è uno sole, perché è una cosa con meco, vero Sole. E
tanto è unito, che l’uno non si può separare da l’altro né tagliare, se non come il sole, che non si può
dividere né il caldo suo (221) da la luce né la luce dal suo colore, per la sua perfeczione de l’unione.
Questo sole, non partendosi da la ruota sua, cioè che non si divide, dá lume a tucto quanto el
mondo e scalda a chiunque da lui vuole essere scaldato; e per alcuna immondizia questo sole non si
lorda, e il lume suo è unito, come detto t’ho. Cosí questo Verbo mio Figliuolo, con el sangue
dolcissimo suo, è uno sole, tucto Dio e tucto uomo, perché egli è una medesima cosa con meco e lo
con lui. La potenzia mia non è separata da la sapienzia sua, né il calore, fuoco di Spirito sancto, non
è separato da me Padre, né da lui Figliuolo, però che egli è una medesima cosa con Noi, perché lo
Spirito sancto procede da me Padre e dal Figliuolo, e siamo uno medesimo Sole.
Io so’ quel Sole, Dio etterno, unde è proceduto el Figliuolo e lo Spirito sancto. Allo Spirito
sancto è appropriato el fuoco; al Figliuolo la sapienzia, nella quale sapienzia e’ ministri miei
ricevono uno lume di grazia, perché hanno ministrato questo lume con lume e con gratitudine del
benefizio ricevuto da me Padre etterno, seguitando la doctrina di questa sapienzia, unigenito mio
Figliuolo.
Questo è quello lume che ha in sé il colore della vostra umanità, unito l’uno con l’altro. Unde
il lume della Deitá mia fu quello lume unito col colore de l’umanità vostra. El quale colore diventò
lucido, quando fu inpassibile in virtú della Deitá, natura divina. E per questo mezzo, cioè de
l’obiecto di questo Verbo incarnato, intriso e impastato col lume della mia Deitá, natura divina, e
col caldo e fuoco dello Spirto sancto, avete ricevuto el lume. A cui l’ho dato a ministrare? A’
ministri miei nel corpo mistico della sancta Chiesa, acciò che aviate vita, dandovi el Corpo suo in
cibo e il Sangue in beveraggio.
Decto t’ho che questo Corpo è sole. Unde non vi può essere dato el Corpo che non vi sia
dato el Sangue, né il Sangue né il Corpo senza l’anima di questo Verbo, né l’anima né il Corpo senza
la Deitá di me Dio etterno, perché l’una non si può separare da l’altra; si come in un altro luogo ti
dixi che la natura divina non si parti mai da la natura umana, né per morte (222) né per verun’altra
cosa non si poteva né può separare. Si che tutta l’essenzia divina ricevete in quello dolcissimo
sacramento sotto quella bianchezza del pane. E si come il sole non si può dividere, cosí non si
divide tutto Dio ed uomo in questa bianchezza dell’ostia. Poniamo che l’ostia si dividesse: se mille
migliaia di minuzzoli fusse possibile di farne, in ciascuno so’ tutto Dio e tutto uomo, come detto ho.
Si come lo specchio che si divide, e non si divide però la imagine che si vede dentro nello specchio;
cosí, dividendo questa ostia, non si divide tutto Dio e tutto uomo, ma in ciascuna parte è tutto. Né
non dimi. nuisce però in se medesimo se non come il fuoco, cioè in questo exemplo.
Se tu avessi uno lume, e tutto ci mondo venisse per questo lume; per quello tollere, ci lume
non diminuisce, e nondimeno ciascuno l’ha tutto. É vero che chi piú o meno participa di questo
lume: secondo la materia che colui, che riceve, porta, cosí riceve il fuoco. E acciò che meglio
m’intenda, pongoti questo exemplo. Se fussero molti che portassero candele, e l’una avesse materia
d’una oncia e l’altra di due o di sei, o chi di libra e chi piú, e andassero al lume e accendessero le
candele loro; poniamo che in ciascuno, ne l’assai e nel poco, vede tutto ci lume, cioè il caldo e il
colore ed esso lume; nondimeno tu giudicarai che meno n’abbi colui che la porta d’una oncia che
quelli di libra. Or cosí adiviene di quegli che ricevono questo sacramento: chi porta la candela sua,
cioè il sancto desiderio con che si riceve e piglia questo Sacramento; la quale candela in sé è spenta,
e accendesi ricevendo questo Sacramento. a Spenta » dico, perché da voi non sète alcuna cosa. È
vero che Io v’ho data la materia con che voi potiate notricare in voi questo lume e riceverlo. La
materia vostra è l’amore, perch’ Io vi creai per amore, e però non potete vivere senza amore.
Questo essere dato a voi per amore ha ricevuta la disposizione nel sancto baptesmo, che
ricevete in virtú del sangue di questo Verbo; ché in altro modo non potreste participare di questo
lume, anco sareste come candela senza ci papeio dentrovi, che non può ardere né ricevere in sé
questo lume. Cosí (223) voi, se ne l’anima vostra non aveste ricevuto ci papeio che riceve questo
lume, cioè la sanctissima fede, ed unita la grazia che ricevete nel baptesmo con l’affetto de l’anima
vostra creata da Ine, apta ad amare; si come detto t’ho che tanto è apta ad amare che senza amore
non può vivere, anco ci suo cibo è l’amore.
Dove s’accende questa anima unita per lo modo che detto t’ho? Al fuoco della divina mia
carità, amando e temendo me e seguitando la dottrina della mia Verità. È vero che s’accende piú e
meno, si com’ Io ti dixi, secondo che portarà e darà materia a questo fuoco; però che, bene che tutti
abbiate una medesima materia, cioè che tutti siate creati a la imagine e similitudine mia e abbiate ci
lume del sancto baptesmo voi cristiani, nondimeno ogniuno può crescere in amore e in virtú,
secondo che piace a voi, mediante la grazia mia. Non che voi mutiate altra forma che quella che lo
v’ho data, ma crescete e aumentate ne l’amore le virtú, usando in virtú e in affetto di caritá ci libero
arbitrio, mentre che avete il tempo; però che, passato ci tempo, non il potreste fare. Si che potete
crescere in amore, come detto t’ho. El quale amore, venendo con esso a ricevere questo dolce e
glorioso lume (del quale Io v’ho dato a ministrare col mezzo dei ministri miei, e dato ve l’ hoe in
cibo, e tanto ricevete di questo lume quanto portarete de l’amore e affocato desiderio), poniamo che
tutto ci ricevete (si com’ Io dixi ponendoti l’exemplo di coloro che portavano candele, e’ quali
secondo la quantità del peso cosí ricevevano), poniamo che in ogniuno ci vedessi tutto intero e non
diviso, però che dividere non si può, come detto è, per veruna vostra imperfeczione, né di voi che ‘l
ricevete né di chi ci ministra; ma tanto participate in voi di questo lume, cioè della grazia che
ricevete in questo sacramento, quanto vi disponete a ricevere con sancto desiderio. E chi andasse a
questo dolce sacramento con colpa di peccato mortale, da questo sacramento non riceve grazia,
poniamo che egli riceva attualmente tutto Dio ed uomo, si come detto t’ho.
Ma sai come sta questa anima che ‘l riceve indegnamente? Sta si come la candela che v’è
caduta l’acqua, che non fa altro (224) che strídare quando è acostata al fuoco: che, subbito che ‘l
fuoco v’è intrato, è spento in quella candela, e non vi rimane altro che ‘l fummo. Cosí questa anima
porta sé, candela, la quale ricevette il sancto baptesmo e poi gittoe l’acqua della colpa dentro ne
l’anima sua, la quale fue una acqua che inacquoe il papeio del lume della grazia del baptesmo. Non
essendosi scaldata al fuoco della vera contrizione, confessandosi della colpa sua, andò alla mensa de
l’altare a ricevere questo lume attualmente. Questo vero lume, non essendo disposta quella anima
come si debba disponere a tanto misterio, non rimane per grazia in quella anima, ma partesi, e ne
l’anima rimane maggiore confusione, spenta con tenebre e aggravata la colpa sua. Di questo
sacramento non sente altro che strido di rimorso della coscienzia, non per difecto del lume, però che
non può ricevere alcuna lesione, ma per difecto de l’acqua che trovò ne l’anima; la quale acqua
impedí l’affetto de l’anima, che non poté ricevere questo lume.
Si che vedi che in neuno modo questo lume, unito el caldo e il colore a esso lume, si può
dividere: né per piccolo desiderio che porti l’anima ricevendo questo Sacramento, né per difecto che
fusse ne l’anima che ‘l riceve né di colui che ‘l ministra; si come Io ti dixi del sole, el quale, stando
in su la cosa immonda, non si lorda però. Cosí questo dolce lume in questo sacramento per neuna
cosa si lorda, né si divide, né diminuisce il lume suo, né non si stacca da la ruota: poniamo che tutto
el mondo si comunichi del lume e del caldo di questo sole. Cosí non si stacca questo Verbo Sole,
unigenito mio Figliuolo, da me Sole, Padre etterno, perché nel corpo mistico della sancta Chiesa sia
ministrato a chiunque il vuole ricevere; ma tutto rimane, e tucto l’avete, Dio e uomo, si come ti diei
exemplo del lume: che se tutto el mondo mandasse per esso lume, tutti l’hanno tutto, e tutto si
rimane.
CXI. Come i sentimenti corporali tucti sono ingannati del predetto sacramento,
ma non quelli dell’anima; e però con quelli si debba vedere, gustare e toccare. E
d’una bella visione che questa anima ebbe sopra questa materia.
— O carissima figliuola, apre bene l’occhio dell’ intéllecto a raguardare l’abisso della mia
carità, ché non è alcuna creatura che abbi in sé ragione che non si dovesse dissolvere il cuore suo
per affetto d’amore a raguardare fra gli altri benefizi che avete ricevuti da me, vedere il benefizio
che ricevete di questo sacramento. E con che occhio, carissima figliuola, debbi tu e gli altri vederlo
e raguardare questo misterio e toccarlo? Non solamente con toccamento e vedere di corpo, però che
tutti e’ sentimenti del corpo ci vengono meno. Tu vedi che l’occhio non vede altro che quella
bianchezza di quel pane, la mano altro non tocca, el gusto altro non gusta che il sapore del pane; si
che i grossi sentimenti del corpo sonno ingannati: ma el sentimento de l’anima non può essere
ingannato, se ella vorrà, cioè che ella non si voglia tollere il lume della sanctissima fede con la
infidelità.
Chi gusta e vede e tocca questo sacramento? el sentimento de l’anima. Con che occhio el
vede? con l’occhio de l’ intellecto, se dentro ne l’occhio è la pupilla della sanctissima fede. Questo
occhio vede in quella bianchezza tutto Dio e tutto uomo, la natura divina unita con la natura umana.
El corpo, l’anima e il sangue di Cristo; l’anima unita nel corpo. El corpo e l’anima uniti con la natura
mia divina, non staccandosi da me. Si come ben ti ricorda che, quasi nel principio della vita tua, lo
ti manifestai. E non tanto con l’occhio de l’intelletto, ma con l’occhio del corpo, bene che, per lo
lume grande, l’occhio del corpo tuo perdé il vedere e rimase solo il vedere a l’occhio de l’intelletto.
Mostra’telo a tua dichiarazione contra la battaglia che ‘l dimonio in esso sacramento t’aveva
data, e per farti crescere in (226)amore e nel lume della sanctissima fede. Unde tu sai che andando
tu la mattina, a l’aurora, a la chiesa per udire la messa, essendo stata dinanzi passionata dal dimonio,
tu ti ponesti ritta a l’altare del Crocifixo. El sacerdote era venuto a l’altare di Maria; e stando ine a
considerare il difetto tuo, temendo di non avere offeso me per la molestia che ‘l dimonio t’aveva
data, e a considerare l’affetto della mia caritá che t’avevo (acta degna d’udire la messa
(conciosiacosaché tu ti reputavi indegna d’entrare nel sancto tempio mio), venendo el ministro a
consdgrare, a la consacrazione tu alzasti gli occhi sopra del ministro; e nel dire le parole della
consacrazione, Io manifestai me a te, vedendo tu escire del petto mio uno lume come il raggio del
sole che esce della ruota del sole, non partendosi da essa ruota. Nel quale lume veniva una colomba,
uniti insieme l’uno con l’altro, e percoteva sopra de l’ostia in virtú delle parole della consacrazione
che ‘l ministro diceva; perché l’occhio tuo corporale non fu sufficiente a sostenere il lume, ma
rimaseti ci vedere solo ne l’occhio intellettuale, e ine vedesti e gustasti l’abisso della Trinitá, tutto
Dio e uomo, nascoso e velato sotto quella bianchezza. Né il lume né la presenzia del Verbo, che tu
in essa bianchezza vedesti intellectualmente, non tolleva però la bianchezza del pane: l’uno non
impediva l’altro, né il vedere Dio e uomo in quello pane, né quel pane era impedito da me, cioè che
non gli era tolto né la bianchezza né il toccare né il sapore.
Questo fu mostrato a te da la mia bontá, come detto t’ho. A cui rimase il vedere? A l’occhio
de (‘intellecto con la pupilla della sanctissima fede; si che nell’occhio de l’intelletto debba essere il
principale vedere, però che egli non può essere ingannato. Adunque con esso dovete raguardare
questo sacramento. Chi el tocca? la mano de l’amore. Con questa mano si tocca quello che l’occhio
ha veduto e cognosciuto in questo sacramento. Per fede il tocca con la mano de l’amore, quasi
certificandosi di quello che per fede vide e cognobbe intellectualmente. Chi ci gusta? el gusto del
sancto desiderio. El gusto del corpo gusta ci sapore del pane; ed il gusto de l’anima, cioè il sancto
desiderio, gusta Dio e uomo. Si che vedi che ‘ sentimenti del (227) corpo sonno ingannati, ma none
il sentimento de l’anima: anco n’è chiarificata e certificata in se medesima, perché l’occhio de l’
intellecto l’ha veduto con la pupilla del lume della sanctissima fede. Perché ‘l vidde e il cognobbe,
però ci tocca con la mano de l’amore, però che quello che vide il tocca per amore con fede. E col
gusto de l’anima, con l’affocato desiderio ci gusta, cioè l’affocata mia carità, amore ineffabile. Col
quale amore l’ho fatta degna di ricevere tanto misterio di questo sacramento, e la grazia che in esso
sacramento si vede ricevere. Si che vedi che non solamente col sentimento corporale dovete
ricevere e vedere questo sacramento, ma col sentimento spirituale, disponendo e’ sentimenti de
l’anima con affetto d’amore a vedere, ricevere e gustare questo sacramento, come detto t’ho.
CXII. De la excellenzia dove l’anima sta, la quale piglia el predetto sacramento
in grazia.
— Raguarda, carissima figliuola, in quanta excellenzia sta l’anima ricevendo, come debba
ricevere, questo pane della vita, cibo degli angeli. Ricevendo questo sacramento, sta in me e Io in
lei; si come il pesce sta nel mare e il mare nel pesce, cosí lo sto ne l’anima e l’anima in me, mare
pacifico. In essa anima riniane la grazia, perché, avendo ricevuto questo pane della vita in grazia,
rimane la grazia, consumato quello accidente del pane. Io vi lasso la imprompta della grazia mia si
come il suggello che si pone sopra la cera calda: partendosi e levando el suggello, vi rimane la
imprompta d’esso suggello. Cosí la virtú di questo sacramento vi rimane ne l’anima, cioè che vi
rimane il caldo della divina carità, clemenzia di Spirito sancto. Rimanvi ci lume della sapienzia de
l’unigenito mio Figliuolo, illuminato l’occhio de l’intelletto in essa sapienzia a cognoscere e a vedere
la dottrina della mia Verità ed essa sapienzia. Rimane forte, participando della fortezza mia e
potenzia, facendola forte e potente (228) contra la propria passione sua sensitiva, contra le dimonia
e contra’l mondo. Si che vedi che le rimane la imprompta, levato che ‘l suggello s’è; cioè che,
consumata quella materia, cioè gli accidenti del pane, questo vero Sole si ritorna a la ruota sua; non
che fusse staccato, come decto t’ho, ma unito insieme con meco. Ma l’abisso della mia carità, per
vostra salute e per darvi cibo in questa vita, dove sète perregrini e viandanti, acciò che aviate
refrigerio e non perdiate la memoria del benefizio del Sangue, ve l’ha dato in cibo per mia
dispensazione e divina providenzia, sovenendo a’ vostri bisogni dandovelo in cibo questa mia dolce
Verità, come decto t’ho.
Si che mira quanto sète tenuti e obligati a me a rendarmi amore, poi che lo tanto v’amo, e
perché Io so’ somma ed etterna bontá, degno d’essere amato da voi.
CXIII. Come le predecte cose, che sono dette intorno a la excellenzia del
sacramento, sono decte per meglio cognoscere la dignità de’ sacerdoti. E come
Dio richiede in essi maggiore purità che nell’altre creature.
— O carissima figliuola, tucto questo t’ho decto acciò che tu meglio cognosca la dignità
dove Io ho posti e’ miei ministri, acciò che piú ti doglia delle miserie loro. Se essi medesimi
raguardassero la loro dignità, non giacerebbero nella tenebre del peccato mortale né lordarebbero la
faccia de l’anima loro. E non tanto che essi offendessero me e la loro dignità, ma, se dessero el
corpo loro ad ardere, non lo’ parrebbe potere satisfare a tanta grazia e a tanto benefizio quanto
hanno ricevuto, però che a maggiore dignità in questa vita non possono venire.
Essi sonno e’ miei unti, e chiàmoli e’ miei « cristi », perché l’ho dato a ministrare me a voi.
Questa dignità non ha l’angelo, ed holla data agli uomini: a quelli che Io ho electi per miei ministri,
e’ quali ho posti come angeli, e debbono essere angeli terrestri in questa vita, però che debbono
essere come angeli. In ogni (229) anima richieggio purità e carità, amando me e il proximo suo, e
sovenendo il proximo di quello che può, ministrandoli l’orazione e stando nella dileczione della
carità, si come in un altro luogo sopra questa materia lo ti narrai. Ma molto maggiormente Io
richieggio purità ne’ miei ministri e amore verso di me e del proximo loro, ministrando lo’ el Corpo
e’l Sangue de l’unigenito mio Figliuolo con fuoco di caritá e fame della salute de l’anime, per gloria
e loda del nome mio.
Si come essi ministri vogliono la nectezza del calice dove si fa questo sacrifizio, cosí
richeggio Io la purità e nectezza del cuore, de l’anima e della mente loro. E il corpo, si come
strumento de l’anima, voglio che si conservi in perfecta purità; e non voglio che si notrichino né
involgano nel loto della immondizia, né siano infiati per superbia cercando le grandi prelazioni, né
crudeli verso di loro e del proximo, però che la crudeltá loro non possono usarla senza el proximo
loro. Perché, se essi sonno crudeli a loro di colpa, sonno crudeli a l’anime de’ proximi loro, perché
non lo’ dànno exemplo di vita né si curano di trare l’anime delle mani del dimonio, né di ministrar
lo’ el Corpo e’l Sangue de l’unigenito mio Figliuolo, e me vera luce, come decto t’ho, negli altri
sacramenti della sancta Chiesa. Si che, se essi sonno crudeli a loro, sonno crudeli in altrui.
CXIV. Come li sacramenti non si debbono vendere né comprare, e come quelli
che el ricevono debbono sovenire li ministri de le cose temporali, quali essi
ministri debbono dispensare in tre parti.
— Voglio che siano larghi e non avari, cioè che per cupidità e avarizia vendano la grazia
mia dello Spirito sancto. Non debbono fare, né Io voglio che faccino cosf : anco, come di dono e
larghezza di caritá hanno ricevuto da la bontá mia, cosi in dono e in cuore largo, per affecto d’amore
verso l’onore mio e salute de l’anime, debbono donare caritativamente a ogni creatura che ha in sé
ragione, che umilemente l’adimandi. E non (230) debbono tollere alcuna cosa per prezzo, però che
non l’hanno comprata, ma ricevuta per grazia da me perché ministrino a voi; ma ben possono e
debbono tollere per limosina. E cosí debba fare il subdito che riceve: che debba da la parte sua,
quando egli può, dare per limosina; però che essi debbono essere pasciuti da voi delle cose
temporali, sovenendo alla necessità loro. E voi dovete essere pasciuti e notricati da loro della grazia
e doni spirituali, cioè de’ sancti sacramenti che lo ho posti nella sancta Chiesa, perché ve li
ministrino in vostra salute.
E fovi a sapere che, senza veruna comparazione, donano piú a voi che voi a loro; però che
comparazione non si può ponere da le cose finite e transitorie, delle quali sovenite loro, a me, Dio,
che so’ infinito, el quale per mia providenzia e divina caritá ho posti loro che il ministrino a voi. E
non tanto di questo misterio, ma di qualunque cosa si sia, e da qualunque creatura vi fusse
ministrato grazie spirituali, o per orazione o per alcuna altra cosa; con tutte le vostre substanzie
temporali non agiongono né potrebbero agiognere a quello che ricevete spiritualmente, senza
veruna comparazione.
Ora ti dico che la substanzia, che essi ricevono da voi, essi sonno tenuti di distribuirla in tre
modi, cioè farne tre parti l’una per la vita loro, l’altra a’ poveri e l’altra mettere nella Chiesa nelle
cose che sonno necessarie; e per altro modo no. Facendone altrementi, offenderebbero me.
CXV. De la dignità de’ sacerdoti, e come la virtú de’ sacramenti non diminuisce
per le colpe di chi gli ministra o riceve. E come Dio non vuole che li secolari s’
inpaccino di corrèggiarli.
— Questo facevano e’ dolci e gloriosi ministri, de’ quali Io ti dixi ché volevo che vedessi
l’excellenzia loro, oltre a la dignità che Io l’avevo data avendoli facci miei cristi, si come Io ti dixi.
Exercitando in virtú questa dignità, sonno vestiti di questo dolce e glorioso Sole el quale Io lo’ diei a
ministrare. Raguarda (231) Gregorio dolce, Silvestro e gli altri antecessori e subcessori che sonno
seguitati doppo el principale pontefice Pietro, a cui furono
date le chiavi del regno del cielo da la mia Verità, dicendo: «Pietro, Io ti do le chiavi del regno del
cielo; e cui tu scioglierai ín terra sarà sciolto in cielo, e cui tu legarai in terra sarà legato in cielo ».
Attende, carissima figliuola, che, manifestandoti l’excellenzia delle virtú di costoro, lo piú
pienamente ti mostrarrò la dignità nella quale Io ho posti questi miei ministri. Questa è la chiave del
sangue de l’unigenito mio Figliuolo. La quale chiave diserrò vita etterna, che grande tempo era stata
serrata per lo peccato d’Adam; ma poi che Io vi donai la Verità mia, cioè il Verbo de l’unigenito mio
Figliuolo, sostenendo morte e passione, con la morte sua destrusse la morte vostra, facendovi bagno
del sangue suo. Sí che ‘l sangue e morte sua, ed in virtú della natura mia divina unita con la natura
umana, diserroe vita etterna. A cui ne lassoe le chiavi di questo Sangue? Al glorioso apostolo Pietro
e a tutti gli altri, che so’ venuti o verranno di qui a l’ultimo di del giudicio; si che tutti hanno e
avaranno quella medesima auctorità che ebbe Pietro. E per neuno loro difetto non diminuisce questa
auctorità, né tolle la perfeczione al Sangue né ad alcuno sacramento, perché giá ti dixi che questo
Sole per neuna immondizia si lordava, e non perde la luce sua per tenebre di peccato mortale che
fusse in colui che ‘l ministra o in colui che ‘l riceve: però che la colpa sua neuna lesione a’
sacramenti della sancta Chiesa può fare, né diminuire la virtú in loro; ma ben diminuisce la grazia, e
cresce la colpa in colui che ‘l ministra e in colui che ‘l riceve indegnamente.
Si che Cristo in terra tiene le chiavi del Sangue, si come, se ben ti ricorda, lo tel manifestai
in questa figura, volendoti mostrare quanta reverenzia e’ secolari debbono avere a questi ministri, o
buoni o gattivi che siano, e quanto mi spiaceva la inreverenzia. Sai che lo ti posi el corpo mistico
della sancta Chiesa quasi in forma d’uno cellaio, nel quale cellaio era il sangue de l’unigenito mio
Figliuolo; nel quale sangue vagliono tutti e’ sacramenti, e hanno vita in virtú di questo sangue. A la
(232) porta di questo cellaio era Cristo in terra, a cui era commesso a ministrare el Sangue, e a lui
stava di mectere i ministratori che l’aitassero a ministrare per tucto l’universale corpo della religione
cristiana. Chi era acceptato e unto da lui n’era facto ministro, e altri no. Da costui esce tucto l’ordine
chericato, e messili, ciascuno ne l’offizio suo, a ministrare questo glorioso Sangue. E come egli gli
ha messi per suoi aitatori, cosí a lui tocca el correggerli de’ difecti loro; e cosí voglio che sia, che,
per l’excellenzia ed auctorità che Io l’ho data, Io gli ho tracti della servitudine, cioè subieczione
della signoria de’ signori temporali. La legge civile non ha a fare cavelle con la legge loro in
punizione; ma solo in colui che è posto a signoreggiare e a ministrare nella legge divina. Questi
sono e’ miei unti, e però dixi per la Scriptura: « Non vogliate toccare e’ cristi miei ». Unde a
maggiore ruina non può venire l’uomo che se ne fa punitore.
CXVI. Come la persecuzione, che si fa a la sancta Chiesa o vero a’ ministri, Dio
la reputa facta a sé, e come questa colpa piú è grave che neuna altra.
— E se tu mi dimandassi per che cagione Io ti mostrai che piú era grave la colpa di coloro
che perseguitavano la sancta Chiesa che tucte l’altre colpe commesse, e perché per li loro difecti Io
non volevo che la reverenzia verso di loro diminuisse, Io ti rispondarei e rispondo: perché ogni
reverenzia che si fa a loro, non si fa a loro, ma a me, per la virtú del Sangue che Io l’ho dato a
ministrare. Unde, se non fusse questo, tanta reverenzia avareste a loro quanta agli altri uomini del
mondo, e non piú. E per questo ministerio sète costrecti a far lo’ reverenzia; e a le loro mani vi
conviene venire, non a loro per loro, ma per la virtú che Io ho data a loro, se volete ricevere i sancti
sacramenti della Chiesa; però che, potendoli avere e non volendogli, sareste e morreste in stato di
dannazione.
Si che la reverenzia è mia e di questo glorioso Sangue (che siamo una medesima cosa per
l’unione della natura divina con (233) la natura umana, come decto è), e non loro. E si come la
reverenzia è mia, cosí la inreverenzia: ché giá t’ho decto che la reverenzia non dovete fare a loro per
loro, ma per l’auctorità che lo ho data a loro. E cosí non debbono essere offesi, però che,
offendendo loro, offendono me e non loro. E giá l’ho vetato, e decto che i miei cristi — non voglio
che sieno toccati per le loro mani; e per questo neuno si può scusare dicendo: — Io non fo ingiuria
né so’ ribello a la sancta Chiesa, ma follo a’ difecti de’ gactivi pastori. — Questi mente sopra el capo
suo e, come aciecato dal proprio amore, non vede; ma elli vede bene, ma fa vista di non vedere per
ricoprire lo stimolo della coscienzia sua. Vedrebbe, e vede, che egli perseguita el Sangue e non loro.
Mia è l’ingiuria, si come mia era la reverenzia. E cosí è mio ogni danno: scherni, villanie, obrobrio e
vitoperio, che fanno a loro; cioè che reputo facto a me quel che fanno a loro, perché Io lo’ dixi e
dico che i miei cristi non voglio che sieno toccati da loro. Io gli ho a punire, e non eglino. Ma eglino
dimostrano, gl’iniqui, la inreverenzia che essi hanno al Sangue, e che poco tengono caro el tesoro
che Io l’ho dato in salute e in vita de l’anime loro.
Piú non potavate ricevere che darmivi tucto Dio e uomo in cibo, sí come Io t’ho decto. Ma
perché la reverenzia non era facta a me per mezzo di loro, però l’hanno diminuita perseguitandoli,
vedendo in loro molti peccati e difecti, si come, in un altro luogo, de’ difecti loro Io ti narraroe. Se
in veritá avessero avuta questa reverenzia in loro per me, non sarebbe levata per neuno difecto loro,
perché non diminuisce, come decto è, la virtú di questo sacramento per neuno difecto. E però non
debba diminuire la reverenzia; e quando diminuisce, n’offendono me.
E però m’è piú grave questa colpa che tucte l’altre, per molte ragioni: ma tre principali te ne
dirò. L’una si è perché quello che fanno a loro fanno a me. L’altra si è perché trapassano el
comandamento: perché giá l’ho vetato che non gli tocchino; unde spregiano la virtú del Sangue che
trassero del sancto baptesmo, perché essi disobediscono facendo quel che l’è vetato. E so’ ribelli a
questo Sangue, perché hanno levata (234) la reverenzia, e levatisi con la grande persecuzione. Essi
sonno come membri putridi, tagliati dal corpo mistico della sancta Chiesa; unde, mentre ché
stessero obstinati in questa rebellione e inreverenzia, morendo con essa, giongono a l’etterna
dapnazione. É vero che, giognendo a l’extremità, umiliandosi e cognoscendo la colpa loro,
volendosi reconciliare col loro capo e non potendo attualmente, riceve misericordia: poniamo che
non debba però aspettare il tempo, perché non è securo d’averlo. L’altra si è perché la loro colpa è
piú aggravata che tutte l’altre, perché egli è peccato facto per propria malizia e con deliberazione, e
cognoscono che con buona coscienzia essi noi possono fare; e, facendolo, offendono. Ed è offesa
con una perversa superbia, senza diletto corporale; anco si consumano l’anima e’l corpo: l’anima si
consuma privata della grazia, e spesse volte lo’ rode il vermine della coscienzia; la sustanzia
temporale si consuma in servigio del dimonio, e i corpi ne sonno morti come animali.
Si che questo peccato è facto propriamente a me, ed è facto senza colore di propria utilitá o
diletto alcuno, se non con malizia e fummo di superbia, la quale superbia nacque dal proprio amore
sensitivo, e da quello timore perverso che ebbe Pilato che, per timore di non perdere la signoria,
uccise Cristo unigenito mio Figliuolo. Cosí hanno facto e fanno costoro.
Tucti gli altri peccati sonno fatti o per simplicità o per ignoranzia di non cognoscere, o per
malizia, cioè che cognosce il male che egli fa, ma per lo disordinato diletto e piacere che ha in esso
peccato, o per alcuna utilitá che vi trovasse, offende, e, offendendo, fa dapno e offende l’anima sua,
e offende me e il proximo suo. Me, perché non rende gloria e loda al nome mio; el proximo, perché
non gli rende la dileczione della caritá. Ma egli non mi percuote attualmente che la faccia
propriamente a me, ma offende sé; la quale offesa mi dispiace per lo dapno suo. Ma questa è offesa
fatta a me proprio, senza mezzo. Gli altri peccati hanno alcuno colore e sonno fatti con alcuno
colore e sonno fatti con mezzo, perché Io ti dixi che ogni peccato si faceva col mezzo del proximo,
e ogni virtú: el peccato si fa per (235) la privazione della caritá di me, Dio, e del proximo; e la virtú
con la dileczione della carità: offendendo il proximo, offendono me col mezzo di loro. Ma perché
tra le mie creature che hanno in loro ragione lo ho eletti questi miei ministri, e’ quali sonno e’ miei
unti, si come lo ti dixi, ministratori del corpo e del sangue de l’unigenito mio Figliuolo, carne vostra
umana unita con la natura mia divina, unde, consecrando, stanno in persona di Cristo mio Figliuolo;
si che vedi che questa offesa è facta a questo Verbo; ed essendo fatta a lui, è fatta a me, perché
siamo una medesima cosa.
Questi miserabili perseguitano el Sangue e privansi del tesoro e del frutto del Sangue. Unde
ella m’è piú grave questa offesa, fatta a me e non a’ ministri, perché loro non reputo ne debba essere
né l’onore né la persecuzione; anco a me, cioè a questo glorioso sangue del mio Figliuolo, che siamo
una medesima cosa, come detto t’ho. Unde lo ti dico che, se tutti gli altri peccati che essi hanno
commessi fussero da l’uno lato, e questo solo da l’altro, mi pesa piú questo uno che gli altri, per lo
modo che detto t’ho, si come lo tel manifestai, acciò che tu avessi piú materia di dolerti de l’offesa
mia e della dapnazione di questi miserabili, acciò che col dolore e con l’amaritudine tua e degli altri
servi miei, per mia bontá e misericordia, si dissolvesse tanta tenebre quanta è venuta in questi
membri putridi, tagliati dal corpo mistico della sancta Chiesa.
Ma lo non truovo quasi chi si doglia della persecuzione che è fatta a questo glorioso e
prezioso Sangue: ma truovo bene chi mi percuote continuamente con le saette del disordinato amore
e timore servile, e con la propria reputazione, come aciecati, recandosi a onore quello che l’è a
vitoperio, e a vitoperio quello che l’è onore, cioè d’aumiliarsi al capo loro. Per questi difetti si sonno
levati e levano a perseguitare il Sangue.
CXVII. Qui si parla contra li persecutori de la sancta Chiesa e de’ ministri, in
diversi modi.
— Perché ti dixi che mi percotevano, e cosí è la veritá. In quanto la intenzione loro mi
percuotono con quello che possono: none che Io in me possa ricevere alcuna lesione né essere
percosso da loro; ma Io fo come la pietra che, gictandole il colpo, nol riceve, ma torna verso colui
che ‘l gicta. Cosí le percosse de l’offese loro, le quali gictano puzza, a me non possono nuocere, ma
ritorna a loro la sancta avelenata della colpa. La quale colpa in questa vita gli priva della grazia,
perdendo el fructo del Sangue; e ne l’ultimo, se essi non si correggono con la sancta confessione e
contrizione del cuore, giongono a l’etterna dapnazione, tagliati da me e legati col dimonio. E hanno
facta lega insieme, perché, subbito che l’anima è privata della grazia, è legata nel peccato d’odio
della virtú e amore del vizio. El quale legame hanno posto col libero arbitrio nelle mani delle
dimonia, e con esso gli lega, però che in altro modo non potrebbero essere legati.
Con questo legame si sonno legati e’ persecutori del Sangue l’uno con l’altro, e’ come
membri legati col dimonio, hanno preso l’offizio delle dimonia. Le dimonia s’ingegnano di
pervenire le mie creature e trarle della grazia e riducerle a la colpa del peccato mortale, acciò che di
quel male che essi hanno in loro medesimi, di quello abbino le creature. Cosí fanno questi cotali, né
piú né meno: però che, si come membri del dimonio, vanno subvertendo e’ figliuoli della Sposa di
Cristo unigenito mio Figliuolo, e sciogliendoli dal legame della caritá e legandoli nel miserabile
legame, privati del fructo del Sangue con loro insieme. Legame annodato col nodo della superbia e
con la propria reputazione, col nodo del timore servile; che, per timore di non perdere le signorie
temporali, perdono la grazia e caggiono nella maggiore confusione che venire possino, essendo
privati della dignità del Sangue. Questo legame è suggellato col (237) suggello della tenebre, però
che essi non cognoscono in quanti inconvenienti e miserie essi sonno caduti e fanno cadere altrui, e
però non si correggono, perché non el cognoscono, ma come aciecati si gloriano della loro
destruczione de l’anima e del corpo.
O carissima figliuola, duolti inextimabilmente di vedere tanta ciechità e miseria in coloro
che sono lavati nel Sangue come tu, e nutricatisi e allevatisi d’esso Sangue al pecto della sancta
Chiesa; e ora, come ribelli, per timore e socto colore di correggere e’ difecti de’ ministri miei (de’
quali lo ho vetato eh’ Io non voglio che siano toccati da loro), si si sonno partiti da questo pecto.
Unde terrore ti debba venire, a te e agli altri servi miei, quando odi ricordare questo cosí facto
miserabile legame. La lingua tua non sarebbe sufficiente a potere narrare quanto m’è abominevole: e
peggio è che col mantello del difecto de’ ministri miei si vogliono amantellare e ricoprire i difecti
loro; e non pensano che con neuno mantello si possono riparare a l’occhio mio ch’ Io nol vegga.
Potrebbersi bene nascondere a l’occhio della creatura, ma none a me, che non tanto che sieno
nascoste a me le cose presenti, ma neuna cosa a me è nascosa. Io v’amai e vi cognobbi prima che
voi fuste.
E questa è una delle cagioni ch’e’ miserabili uomini del mondo non si correggono, perché in
veritá col lume della fede viva non credono ch’ Io li vegga. Però che, se essi credessero in veritá che
lo veggo e’ difecti loro, e che ogni difecto è punito, come ogni bene è remunerato, si come in un
altro luogo ti dixi, non farebbero tanto male, ma correggerebbersi di quello che hanno facto e
dimandarebbero umilemente la misericordia mia. E Io, col mezzo del sangue del mio Figliuolo, lo’
farei misericordia. Ma essi sono come obstinati e riprovatisi da la mia bontá per li difecti loro, e
caduti ne l’ultima ruina, per li loro difecti, d’essere privati del lume, e come ciechi sono facci
persecutori del Sangue. La quale persecuzione non debba essere facta per alcuno difecto che si
vedesse ne’ ministri del Sangue.
CXVIII. Repetizione breve sopra le predecte cose de la sancta Chiesa e de’
ministri.
— Hotti narrato, carissima figliuola, alcuna cosa della reverenzia che si debba fare a’ miei
unti, non obstante i difecti loro; perché la reverenzia non è facta né debba essere facta a loro per
loro, ma per l’auctorità che lo ho data a loro. E perché per li difecti loro el misterio del sacramento
non può diminuire né essere diviso, non debba venire meno la reverenzia verso di loro: non per
loro, come decto è, ma per lo tesoro del Sangue.
Facendo el contrario, hotti mostrato alcuna piccola cosa (per rispecto che ella è) quanto egli
è grave e spiacevole a me e dapno a loro la inreverenzia e persecuzione del Sangue, e il legame
facto contra a me, che essi hanno facto e fanno insieme, legati in servizio del dimonio; acciò che tu
piú ti doglia.
Questo è uno difecto el quale particularmente Io t’ho narrato per la persecuzione della sancta
Chiesa. E cosí ti dico generalmente della religione cristiana: che, stando in peccato mortale,
spregiano el Sangue privandosi della vita della grazia. Questo mi dispiace, ed è grave colpa la loro,
di quelli che narrato t’ho particularmente, sí come decto è.
CXIX. De la excellenzia e de le virtii e de le operazioni sancte de’ virtuosi e
sancti ministri. E come essi hanno la condiczione del sole. E de la correczione
loro verso de’ subditi.
— Ora, per dare un poco di refrigerio a l’anima tua, mitigarò el dolore della tenebre di questi
miserabili subditi con la vita sancta de’ miei ministri, de’ quali Io ti dixi che aveano la condiczione
del sole; si che con l’odore delle loro virtú mitiga la puzza, e con la luce loro la tenebre. E anco con
questa luce (239) meglio vorrò che tu cognosca la tenebre e il difecto de’ ministri miei, de’ quali Io
ti dixi.
Apre l’occhio de l’ intellecto tuo, e raguarda in me, sole di giustizia; e vedrai e’ gloriosi
ministri e’ quali, avendo ministrato el Sole, hanno presa la condiczione del Sole, si come Io ti contai
di Pietro, el principe degli appostoli, el quale ricevette le chiavi del reame del cielo. Cosí ti dico
degli altri che in questo giardino della sancta Chiesa hanno ministrato el Lume, cioè il Corpo e il
Sangue de l’unigenito mio Figliuolo (Sole unito e non diviso come decto è), e tucti e’ sacramenti
della sancta Chiesa, e’ quali tucti vagliono e dànno vita in virtú del Sangue; ogniuno posto in diversi
gradi, secondo lo stato suo, a ministrare la grazia dello Spirito sancto. Con che l’hanno ministrata?
col lume della grazia che hanno tracta da questo vero lume.
Questo lume è egli solo? No, però che egli non può essere solo el lume della grazia, né può
essere diviso: anco si conviene o che egli l’abbi tucto o nonne mica. Chi sta in peccato mortale, esso
facto, è privato del lume della grazia; e chi ha la grazia ha illuminato l’occhio de l’ intellecto suo in
cognoscere me, che gli ho data la grazia e la virtú che conserva la grazia. E cognosce in esso lume
la miseria del peccato e la cagione del peccato, cioè il proprio amore sensitivo, e però e’ l’odia, e
odiandolo riceve il caldo della divina caritá ne l’affecto suo, perché l’affecto va dietro a l’ intellecto.
Riceve il colore di questo glorioso lumei seguitando la doctrina della dolce mia Verità; unde la
memoria sua s’è impita nel ricordamento del benefizio del Sangue.
Si che vedi che non può ricevere il lume che non riceva el caldo e il colore, perché sonno
uniti insieme e sono una medesima cosa. E cosí non può, si com’ Io ti dixi, avere una potenzia de
l’anima ordinata a ricevere me, vero Sole, che tucte e tre non siano ordinate e congregate nel nome
mio. Però che subbito che l’occhio de l’intellecto col lume della fede si leva sopra el vedere
sensitivo speculandosi in me, l’affecto gli va dietro amando quello che l’ intellecto vidde e
cognobbe, e la memoria s’empie di quello che l’affecto ama. E subbito che elle sonno disposte,
participa me, Sole, illuminandolo nella (240) potenzia mia e nella sapienzia de l’unigenito mio
Figiliulo, e nella clemenzia del fuoco dello Spirito sancto.
Si che vedi che essi hanno presa la condíczione del sole, cioè che, essendo vestiti e piene le
potenzie de l’anima loro di me, vero Sole, come decto t’ho, fanno come il sole. El sole scalda e
illumina, e col caldo suo fa germinare la terra: cosí questi miei dolci ministri, electi e unti e messi
nel corpo mistico della sancta Chiesa a ministrare me, Sole, cioè il Corpo e il Sangue de l’unigenito
mio Figliuolo con gli altri sacramenti e’ quali hanno vita da questo Sangue, essi el ministrano
actualmente e ministrarlo mentalmente, cioè rendendo lume nel corpo mistico della sancta Chiesa.
Lume di scienzía sopranaiurale col colore d’onesta e sancta vita, cioè seguitando la doctrina della
mia Verità, e ministrano el caldo de l’ardentissima caritá. Unde col caldo loro facevano germinare
l’anime sterili, illuminandole col lume della scienzia, e con la vita loro sancta e ordinata cacciavano
la tenebre de’ peccati mortali e di molta infidelità, e ordinavano la vita di coloro che
disordenatamente vivevano in tenebre di peccato e in freddezza per la privazione della caritá. Si che
vedi che essi sonno sole, perché hanno presa la condiczione del sole da me, vero Sole, perché per
affecto d’amore son facti una cosa con meco e Io con loro, si come Io in un altro luogo ti narrai.
Ogniuno ha dato, secondo lo stato suo che Io l’ho electo, lume nella sancta Chiesa. Pietro
con la predicazione e doctrina e ne l’ultimo col sangue; Gregorio con la scienzia e sancta Scriptura e
con especchio di vita; Silvestro contra gl’infedeli e maximamente con la disputazione e provazione
che fece della sanctissima fede in parole e in facti, ricevendo la virtú da me. Se tu ti vòlli ad
Agustino e al glorioso Tomaso, Ieronimo e gli altri, vedrai quanto lume hanno gictato in questa
Sposa, extirpando gli errori, si come lucerne poste in sul candelabro, con vera e perfecta umilità. E,
come affamati de l’onore mio e salute de l’anime, questo cibo mangiavano con dilecto in su la
mensa della sanctissima croce: e’ martiri col sangue, el quale sangue gictava odore nel cospecto mio
e con l’odore del sangue e delle virtú e col lume della scienzia facevano fructo in questa (241)
Sposa, dilatavano la fede; e’ tenebrosi venivano al lume, e riluceva in loro el lume della fede; e’
prelati, posti nello stato
della prelazione da Cristo in terra, mi facevano sacrifizio di giustizia con sancta e onesta vita; la
margarita della giustizia, con vera umilità e ardentissima carità, col lume della discrezione, riluceva
in loro e ne’ loro subditi : in loro principalmente, però che giustamente rendevano a me il debito
mio, cioè rendendo gloria e loda al nome mio; a sé rendevano odio e dispiacimento della propria
sensualità, spregiando e’ vizi e abbracciando le virtú con la caritá mia e del proximo loro. Con
umilità conculcavano la superbia, e andavano come angeli a la mensa de l’altare; con purità di cuore
e di corpo e con sincerità di mente celebravano, arsi nella fornace della caritá. E perché prima
avevano facta giustizia di loro, però facevano giustizia de’ subditi, volendoli veder vivere
virtuosamente, e correggevangli senza veruno timore servile, perché non actendevano a loro
medesimi, ma solo a l’onore mio e a la salute de l’anime, si come pastori buoni, seguitatori del
buono Pastore, mia Verità, el quale lo vi diei a governare voi pecorelle e volsi che ponesse la vita
per voi. Costoro hanno seguitato le vestigie sue, e però corressero e non lassàro imputridire e’
membri per non corregere; ma caritativamente correggevano con l’unguento della benignità, e con
l’asprezza del fuoco incendendo la piaga del difecto con la riprensione e penitenzia, poco e assai
secondo la gravezza del peccato. E per lo correggere e dire la veritá non curavano la morte.
Questi erano veri ortolani, che con sollicitudine e sancto timore divellevano le spine de’ peccati
mortali e piantavano piante odorifere di virtú. Unde i subditi vivevano in sancto e vero timore, e
allevavansi come fiori odoriferi nel corpo mistico della sancta Chiesa, perché correggevano senza
timore servile, perché n’erano privati. E perché in loro non era colpa di peccato, però tenevano la
sancta giustizia, riprendendo virilmente e senza veruno timore. Questa era ed è quella margarita, in
cui ella riluce, che dava pace e lume nelle menti delle creature e faceale stare in sancto timore, ed e’
cuori erano uniti. Unde Io voglio che tu (242) sappi che per neuna cosa è venuta tanta tenebre e
divisione nel mondo tra secolari e religiosi, cherici e pastori della sancta Chiesa, se non solo perché
il lume della giustizia è mancato ed è venuta la tenebre della ingiustizia.
Neuno Stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in stato di grazia senza
la sancta giustizia, però che colui che non è correcto e non corregge fa come il membro che è
cominciato a infracidare, che, se ‘l gattivo medico vi pone subbitamente l’unguento solamente e non
incuoce la piaga, tucto il corpo imputridisce e corrompe. Cosí el prelato, o altri signori che hanno
subditi, vedendo il membro del subdito loro essere infracidato per la puzza del peccato mortale, se
esso vi pone solo l’unguento della lusinga senza la reprensione, non guarisce mai, ma guastarà l’altre
membra, che gli sonno d’intorno legate in uno medesimo corpo, cioè a uno medesimo pastore. Ma
se elli sarà vero e buono medico di quelle anime, si come erano questi gloriosi pastori, egli non darà
unguento senza fuoco della reprensione. E se il membro fusse pure obstinato nel suo mal fare, el
tagliarà dalla congregazione, acciò che non imputridisca gli altri con la puzza del peccato mortale.
Ma essi non fanno oggi cosí: anco fanno vista di non vedere. E sai tu perché? perché la
radice de l’amore proprio vive in loro, unde essi traggono il perverso timore servile; però che, per
timore di non perder lo Stato o le cose temporali o prelazione, non correggono; ma e’ fanno come
aciecati, e però non cognoscono in che modo si conserva lo Stato. Che se essi vedessero come egli
si conserva per la sancta giustizia, la manterrebbero. Ma perché essi sonno privati del lume, noi
cognoscono; ma, credendolo conservare con la ingiustizia, non riprendono e’ difecti de’ subditi loro;
ma ingannati sonno da la propria passione sensitiva e da l’appetito della signoria o della prelazione.
E anco non correggono, perché essi sonno in quelli medesimi difecti o maggiori. Sentonsi
compresi nella colpa, e però perdono l’ardire e la sicurtà; e, legati dal timore servile, fanno vista di
non vedere. E se pure veggono, non correggono; anco (243) si lassano legare con le parole
lusinghevoli e con molti presenti, e essi medesimi truovano le scuse per non punirli. In costoro si
compie la parola che dixe la mia Verità, dicendo: « Costoro sono ciechi e guide de’ ciechi ; e se
l’uno cieco guida l’altro, ambedue caggiono nella fossa ».
Non hanno facto né fanno cosí quegli che sonno stati (o se alcuno ne fusse) miei dolci
ministri, de’ quali Io ti dixi che avevano la proprietà e condiczione del sole. E veramente sonno sole,
come decto t’ho, però che in loro non è tenebre di peccato né ignoranzia, perché seguitano la
doctrina della mia Verità; né sonno tiepidi, però che essi ardono nella fornace della mia carità, e
sonno spregiatori delle grandezze e stati e delizie del mondo: e però non temono di correggere. Ché
chi non appetisce la signoria o la prelazione, non temono di perderla, ma riprendono virilmente; ché
chi non si sente ripresa la coscienzia da la colpa, non teme.
E però non era tenebrosa questa margarita negli unti e cristi miei, de’ quali Io t’ho narrato;
anco era lucida, ed erano abbracciatori della povertà voluntaria e cercavano la viltà con umilità
profonda. E però non curavano né scherni né villanie né detraczioni degli uomini né ingiuria né
obrobri né pena né tormento. Essi erano bastemmiati, e eglino benedicevano, e con vera pazienzia
portavano si come angeli terrestri e piú che angeli: non per natura, ma per lo misterio e grazia data a
loro, sopranaturale, di ministrare il Corpo e ‘l Sangue de l’unigenito mio Figliuolo.
E veramente sonno angeli, però che, come l’angelo che Io do a vostra guardia vi ministra le
sancte e buone spirazioni, cosí questi ministri erano angeli, e cosí dovarebbero essere: dati a voi da
la mia bontá a vostra guardia. E però essi continuamente tenevano l’occhio sopra e’ subditi loro sí
come veri guardiani, spirando ne’ cuori loro sancte e buone spirazioni cioè che per loro offerivano
dolci e amorosi desidèri dinanzi a me con continua orazione, con la doctrina della parola e con
l’exemplo della vita. Si che vedi che essi sonno angeli posti da l’affocata mia caritá come lucerne
nel corpo mistico della (244) sancta Chiesa per vostra guardia, acciò che voi, ciechi, abbiate guida
che vi dirizzi nella via della veritá, dandovi le buone spirazioni, con orazioni ed exemplo di vita e
dottrina, come detto è.
Con quanta umilità governavano e conversavano co’ subditi loro! Con quanta speranza e
fede viva che non curavano né temevano che a loro né a’ subditi loro venisse meno la substanzia
temporale; e però con larghezza distribuivano a’ poveri la substanzia della sancta Chiesa! Unde essi
observavano a pieno quello che erano tenuti e obligati di fare, cioè di distribuire la substanzia
temporale, a la loro necessità, a’ poveri e nella sancta Chiesa. Essi non facevano diposito, e doppo la
morte loro non rimaneva la molta pecunia: anco erano alcuni che, per li poveri, lassavano la Chiesa
in debito. Questo era per la larghezza della loro caritá e della speranza che avevano posta nella
providenzia mia. Erano privati del timore servile, e però non temevano che alcuna cosa lo’ venisse
meno, né spirituale né temporale.
Questo è il segno che la creatura spera in me e non in sé: cioè quando ella non teme di
timore servile. Ma coloro che sperano in loro medesimi sonno quegli che temono e hanno paura de
l’ombra loro, e dubbitano che non lo’ venga meno el cielo e la terra. Con questo timore e perversa
speranza che pongono nel loro poco sapere, pigliano tanta miserabile sollicitudine in acquistare e in
conservare le cose temporali, che pare che le spirituali si pongano doppo le spalle, e non si truova
chi se ne curi.
Ma e’ non pensano, e’ miserabili, infedeli e superbi, che Io so’ solo Colui che proveggo in
tutte quante le cose che sono di necessità a l’anima e al corpo; benché con quella misura che voi
sperate in me, con quella vi sarà misurata la providenzia mia. E’ miserabili presumptuosi non
raguardano che Io so’ Colui che so’, ed essi sonno quegli che non sono: l’essere loro hanno ricevuto
da la mia bontá e ogni grazia che è posta sopra l’essere. E però invano si può colui reputare
affadigarsi che guarda la città, se ella non è guardata da me. Vana sarà ogni sua fadiga, se egli per
sua fadiga la crede guardare o per sua sollicitudine: però che solo Io la guardo. È vero che l’essere e
le (245) grazie che Io ho poste sopra l’essere vostro voglio che nel tempo l’exercitiate in virtú,
usando el libero arbitrio, che Io v’ho dato, col lume della ragione. Però che Io vi creai senza voi, ma
senza voi non vi salvarò.
Io v’amai prima che voi fuste; e questo videro e cognobbero questi miei diletti. E però
m’amavano ineffabilemente e, per l’amore che essi avevano, speravano con tanta larghezza in me e
in neuna cosa temevano. Non temeva Silvestro, quando stava dinanzi a l’ imperadore Gostantino
disputando con quegli dodici giuderi dinanzi a tutta la turba; ma con fede viva credeva che, essendo
lo per lui, neuno sarebbe contra lui. E cosí tutti gli altri perdevano ogni timore, perché non erano
soli, ma acompagnati; però che, stando nella dileczione della carità, stavano in me, e da me
acquistavano el lume della sapienzia de l’unigenito mio Figliuolo; da me ricevevano la potenzia,
essendo forti e potenti contra e’ principi e tiranni del mondo; e da me avevano el fuoco dello Spirito
sancto, participando la clemenzia e l’affocato amore d’esso Spirito sancto. Questo amore era ed è
acompagnato, a chi el vuole participare, col lume della fede, con la speranza, con la fortezza, con
pazienzia vera e con longa perseveranzia infino a l’ultimo della morte. Si che vedi che non erano
soli, ma erano acompagnati; e però non temevano. Solamente colui che si sente solo, che spera in
sé, privato della dileczione della carità, teme: e ogni piccola cosa gli fa paura, perché è solo, privato
di me, che do somma sicurtà a l’anima che mi possiede per affetto d’amore. Bene il provavano,
questi gloriosi e diletti miei, che neuna cosa a l’anime loro poteva nuocere: anco essi nocevano agli
uomini e a le dimonia, e spesse volte ne rimanevano legate per la virtú e potenzia che Io l’avevo
data sopra di loro. Questo era perch’ Io rispondevo a l’amore, fede e speranza che avevano posta in
me.
La lingua tua non sarebbe sufficiente a narrare le virtú di costoro, né l’occhio de l’intelletto
tuo a vedere il frutto che essi ricevono nella vita durabile, e riceverà chiunque seguitarà le vestigie
loro. Essi sonno come pietre preziose, e cosí stanno nel cospetto mio, perch’ Io ho ricevute le
fadighe loro e il lume (245) che essi gictarono e missero con l’odore della virtú nel corpo mistico
della sancta Chiesa. E però gli ho collocati nella vita durabile in grandissima dignità, e ricevono
beatitudine e gloria nella mia visione, perché diéro exemplo d’onesta e sancta vita e con lume
ministràro el Lume del Corpo e del Sangue de l’unigenito mio Figliuolo e tutti gli altri sacramenti. E
però sonno molto singularmente amati da me, si per la dignità nella quale Io gli ho posti, che sonno
miei unti e ministri, e si perché il tesoro che lo lor missi nelle mani non l’hanno sotterrato per
negligenzia e ignoranzia: anco l’hanno riconosciuto da me, e exercitatolo con sollicitudine e
profonda umilità, con vere e reali virtú. E perché Io in salute de l’anime gli avevo posti in tanta
excellenzia, non si ristavano mai, si come pastori buoni, di rimettere le pecorelle ne l’ovile della
sancta Chiesa. Unde essi per affetto d’amore e fame de l’anime si mettevano a la morte per trarle
delle mani delle dimonia.
Eglino infermavano, cioè facendosi infermi con quegli che erano infermi; cioè che spesse
volte per non confóndare loro di disperazione, e per dar lo’ piú larghezza di manifestare la loro
infermità, davano vista, dicendo: — Io so’ infermo con teco insieme. — Essi piangevano co’
piangenti e godevano co’ godenti, e cosí dolcemente sapevano dare a ciascuno el cibo suo: i buoni
conservando, e godendo delle loro virtú, perché non si rodevano per invidia, ma erano dilatati nella
larghezza della caritá del proximo e de’ subditi loro; e quegli che erano defectuosi traevano del
difetto, facendosi defectuosi e infermi con loro insieme (come detto è), con vera e sancta
compassione, e con la correczione e penitenzia de’ difetti loro commessi, facendo eglino per caritá
la penitenzia con loro insieme. Cioè che, per l’amore che essi avevano, portavano maggiore pena
essi che la davano, che coloro che la ricevevano. E alcuna volta erano di quelli che attualmente la
facevano, e spezialmente quando avessero veduto che al subdito fusse paruto molto malagevole.
Unde per quello atto la malagevolezza lo’ tornava in dolcezza.
O diletti miei! essi si facevano subditi, essendo prelati; essi si facevano servi, essendo
signori; essi si facevano infermi, essendo (247) sani e privati della infermità e lebbra del peccato
mortale; essendo forti, si facevano debili; coi macti e semplici si mostravano semplici, e co’ piccoli,
piccoli. E cosí con ogni maniera di gente, per umilità e carità, sapevano essere, e a ciascuno davano
el cibo suo. Questo chi el faceva? la fame e il desiderio, che avevano conceputo in me, de l’onore
mio e salute de l’anime. Essi corrivano a mangiarlo in su la mensa della sanctissima croce, non
rifiutando labore né fuggivano alcuna fadiga; ma, come zelanti de l’anime e bene della sancta
Chiesa e dilatazione della sancta fede, si mettevano tra le spine delle molte tribulazioni, e
mectevansi a ogni pericolo con vera pazienzia, gictando incensi odoriferi d’ansietati desidèri e
d’umile e continua orazione. Con le lagrime e sudori ugnevano le piaghe de’ proximi loro, cioè le
piaghe della colpa de’ peccati mortali, unde ricevevano perfetta sanità, se essi umilemente
ricevevano cosí facto unguento.
CXX. Repetizione in somma del precedente capitolo; e de la reverenzia che si
debba rendere a’ sacerdoti, o buoni o rei che siano.
— Ora t’ho mostrato, carissima figliuola, una sprizza de l’excellenzia loro: una sprizza, dico,
per rispetto di quello che ella è; e narrato della dignità nella quale Io gli ho posti, perché gli ho eletti
e fatti miei ministri. E per questa auctorità e dignità che lo ho dato a loro, Io non voleva né voglio
che sieno toccati, per veruno loro difetto, per mano di secolari; e, toccandoli, offendono me
miserabilemente. Ma voglio che gli abbino in debita reverenzia: non loro per loro, come detto t’ho,
ma per me, cioè per l’autorità che Io l’ho data. Unde questa reverenzia non debba diminuire mai
perché in loro diminuisca la virtú, né nei virtuosi de’ quali Io t’ho narrato delle virtú loro e postiteli
ministratori del Sole, cioè del Corpo e del Sangue del mio Figliuolo e degli altri sacramenti, però
che questa dignità (248) tocca a’ buoni e a’ gattivi : ogniuno l’ha a ministrare, colpe decto è.
Dixiti che questi perfecti avevano la condiczione del sole; e cosí è, illuminando e scaldando,
per la dileczione della carità, e’ proximi loro, e con questo caldo facevano fructo e germinare le
virtú ne l’anime de’ subditi loro. Hocteli posti che essi sono angeli; e cosí è la veritá: dati da me a
voi per vostra guardia, perché vi guardino e spirino le buone spirazioni ne’ cuori vostri per sancte
orazioni e doctrina con specchio di vita, e che vi servano ministrandovi e’ sancti sacramenti, si come
fa l’angelo che vi serve e guardavi e spira le buone e sancte spirazioni in voi.
Si che vedi che, oltre alla dignità nella quale Io gli ho posti, essendovi l’adornamento delle
virtú (si come di questi cotali Io t’ho narrato, e come tucti sonno tenuti e obligati d’essere), quanto
essi sonno degni d’essere amati! E doveteli avere in grande reverenzia questi, che sonno dilecti
figliuoli ed uno sole messo nel corpo mistico della sancta Chiesa per le loro virtú. Però che ogni
uomo virtuoso è degno d’amore, e molto maggiormente costoro per lo ministerio che lo l’ho dato in
mano. Sí che, per virtú e per la dignità del sacramento, gli dovete amare: e odiare dovete e’ difecti di
quegli che vivono miserabilmente; ma non però farvene giudici, ché Io non voglio, perché sonno e’
miei cristi, e dovete amare e reverire l’auctorità che Io ho data a loro.
Voi sapete bene che, se uno immondo e male vestito vi recasse uno grande tesoro del quale
traeste la vita, che per amore del tesoro e del signore che vel mandasse voi non odiareste però el
portatore, non obstante che egli fusse stracciato e immondo. Dispiacerebbevi bene, e ingegnarestevi,
per amore del signore, che si levasse la immondizia e si rivestisse. Cosí dunque dovete fare per
debito, secondo l’ordine della carità, e voglio che voi el facciate, di questi cotali miei ministri poco
ordinati, che con inmondizia e col vestimento de’ vizi, stracciati per la separazione della carità, vi
recano e’ grandi tesori, cioè i sacramenti della sancta Chiesa; da’ quali sacramenti ricevete la vita
(249) della grazia, ricevendoli degnamente (non obstante che essi siano in tanto difecto) per amore
di me, Dio etterno, che ve
li mando, e per amore della vita della grazia che ricevete dal grande tesoro ministrandovi tucto Dio
e uomo, cioè il Corpo e ‘l Sangue del mio Figliuolo, unito con la natura mia divina. Debbanvi
dispiacere e dovete odiare i difecti loro e ingegnarvi, con affecto di caritá e con l’orazione sancta, di
rivestirli, e con lagrime lavare la immondizia loro, cioè offerirli dinanzi a me con lagrime e grande
desiderio che Io gli rivesta, per la mia bontá, del vestimento della caritá.
Voi sapete bene che lo’ voglio fare grazia, pure che essi si dispongano a ricevere e voi a
pregarmi. Però che di mia volontà non è che essi vi ministrino el Sole in tenebre, né che sieno
dinudati del vestimento della virtú, né immondi, vivendo disonestamente: anco gli ho posti e dati a
voi perché siano angeli terrestri e sole, come decto t’ho. Non essendo, mi dovete pregare per loro e
non giudicarli, e il giudicio lassate a me. E Io, con le vostre orazioni, volendo eglino ricevere, lo’
farò misericordia; e, non correggendosi la vita loro, la dignità, che essi hanno, lo’ sarà in ruina. E
con grande rimproverio da me, sommo giudice, ne l’ultima extremità della morte non correggendosi
né pigliando la larghezza della mia misericordia, saranno mandati al fuoco etternale.
CXXI. De’ difecti e de la malavita degl’ iniqui sacerdoti e ministri.
— Ora actende, carissima figliuola, che, acciò che tu e gli altri servi miei aviate piú materia
d’offerire a me, per loro, umili e continue orazioni, ti voglio mostrare e dire la scellerata vita loro.
Benché da qualunque lato tu ti vòlli, e secolari e religiosi, cherici e prelati, piccoli e grandi, giovani
e vecchi e d’ogni altra maniera gente, non vedi altro che offesa; e tucti mi gictano puzza di peccato
mortale. La quale puzza a me non fa danno veruno né nuoce, ma a loro medesimi.
Io t’ho contiato infino a qui de l’excellenzia de’ miei ministri e della virtú de’ buoni, si per
dare refrigerio a l’anima tua, e si perché tu meglio cognosca la miseria di questi miserabili, e vegga
quanto sonno degni di maggiore riprensione e di sostenere piú intollerabili pene; si come gli eletti e
diletti miei, perché hanno exercitato in virtú el tesoro dato a loro, sonno degni di maggiore premio e
d’essere posti come margarite nel cospetto mio. El contrario questi miserabili, però che riceveranno
crudele pena.
Sai tu, carissima figliuola (e attende con dolore e amaritu. dine di cuore), dove essi hanno
facto el principio e il fondamento loro? Ne l’amore proprio di loro medesimi, unde è nato l’arbore
della superbia col figliuolo della indiscrezione; ché, come indiscreti, pongono a loro l’onore e la
gloria, cercando le grandi prelazioni, con adornamenti e delicatezza del corpo loro, e a me rendono
vitoperio e offesa, e retribuiscono a loro quello che non è loro, e a me dànno quello che non è mio.
A me debba essere dato gloria e loda al nome mio, e a loro debbono rendere odio della propria
sensualità con vero cognoscimento di loro, reputandosi indegni di tanto ministerio quanto essi
hanno ricevuto da me.
Ed essi fanno el contrario, però che, come infiati di superbia, non si saziano di rodere la terra
delle ricchezze e delizie del mondo, stretti, cupidi e avari verso e’ poveri. Unde per questa
miserabile superbia e avarizia, la quale è nata dal proprio amore sensitivo, hanno abandonata la cura
de l’anime; e solo si dànno a guardare e avere cura delle cose temporali, e lassano le mie pecorelle,
ch’ Io l’ho messe nelle mani, come pecore senza pastore. E non le pascono né le notricano né
spiritualmente né temporalmente. Spiritualmente ministrano e’ sacramenti della sancta Chiesa (e’
quali sacramenti per veruno loro difetto vi possono essere tolti, né diminuisce la virtú loro); ma non
vi pascono d’orazioni cordiali, di fame e desiderio della salute vostra con sancta e onesta vita. E non
pascono e’ subditi delle cose temporali (ciò sonno e’ poverelli), della quale substanzia lo ti dixi che
se ne die fare tre parti: l’una a la loro necessità, l’altra a’ poverelli e l’altra in utilitá della Chiesa.
Ed essi fanno el contrario: ché non tanto che diano quella substanzia che sonno tenuti ed
obligati di dare a’ poveri, ma essi tolgono l’altrui per simonia e appetito di pecunia, e vendono la
grazia dello Spirito sancto. Però che spesse volte sonno di quelli, che sonno tanto sciagurati che non
vorranno dare a chi n’ha bisogno quello ch’ Io l’ho dato per grazia e perché ‘l diano a voi, che non lo’
sia piena la mano, o proveduti con molti presenti. E tanto amano e’ subditi loro quanto ne
ritraggono, e piú no. Tutto el bene della Chiesa non spendono in altro che in vestimenti corporali e
in andare vestiti delicatamente, non come cherici e reli
giosi, ma come signori o donzelli di corte. E studiansi d’avere i grossi cavagli e molti vaselli d’oro e
d’argento con adornamento di casa, tenendo e possedendo quello che non possono tenere, con molta
vanità di cuore. El cuore loro favella con disordinata vanità. E tutto il desiderio loro è in vivande,
facendosi del ventre loro dio, mangiando e beiendo disordinatamente. E però caggiono subbito nella
immondizia, vivendo lascivamente.
Guai, guai a la loro misera vita: ché quello che il dolce Verbo, unigenito mio Figliuolo,
acquistò con tanta pena in sul legno della sanctissima croce, essi lo spendono con le publiche
meretrici. Sonno devoratori de l’anime ricomprate del sangue di Cristo, divorandole con molta
miseria, in molti e in diversi modi; e di quello de’ poveri ne pascono e’ figliuoli loro. O templi del
diavolo, Io- v’ho posti perché voi siate angeli terrestri in questa vita, e voi sète dimòni e preso avete
l’officio delle dimonia. Le dimonia dànno tenebre di quelle che hanno per loro, e ministrano crociati
tormenti; sottraggono l’anime dalla grazia con molte molestie e temptazioni, per reducerle a la colpa
del peccato mortale, ingegnandosi di farne quello che essi possono: bene che neuno peccato possa
cadere ne l’anima piú che essa voglia; ma essi ne fanno quel che possono. Cosí questi miserabili,
non degni d’essere chiamati ministri, sonno dimòni incarnati, perché per loro difetto si sonno
conformati con la volontà delle dimonia, e però fanno l’officio loro ministrando me, vero Sole, con
la tenebre del peccato mortale, e ministrano la tenebre della disordinata e scellerata vita loro ne’
subditi e ne (252) l’altre creature che hanno in loro ragione. E dànno confusione, e ministrano pene
nelle menti delle creature che disordinatamente gli veggono vivere: anco sonno cagione di
ministrare pene e confusione di coscienzia in coloro che spesse volte sottraggono dallo stato della
grazia e via della veritá, e, conducendoli a la colpa, gli fanno andare per la via della bugia.
Benché, colui che gli séguita non è però scusato dalla colpa sua, perché non può essere
costrecto a colpa di peccato mortale né da questi dimòni visibili né dagl’invisibili, però che neuno
debba guardare a la vita loro né seguitare quello che fanno; ma come v’amuní la mia Verità nel
sancto Evangelio, dovete fare quello che essi vi dicono (cioè la doctrina che v’è data nel corpo
mistico della sancta Chiesa pòrta per la sancta Scriptura, per lo mezzo de’ banditori, ciò sonno i
predicatori, che vanno ad anunziare la parola mia), e i loro guai che meritano, e la mala vita loro
non seguitare, né punirli voi, però che offendareste me. Ma lassate la mala vita a loro, e voi pigliate
la doctrina, e la punizione lassate a me; però che lo so’ il dolce Dio etterno, che ogni bene remunero
e ogni colpa punisco.
Non lo’ sarà risparmiata da me la punizione per la dignità che egli hanno d’essere miei
ministri: anco saranno puniti, se non si correggeranno, piú miserabilmente che tucti gli altri,
perché piú hanno ricevuto da la mia bontá. Offendendo tanto miserabilmente, sonno degni di
maggiore punizione. Si che vedi che essi sonno dimòni, si come degli electi miei ti dixi che egli
erano angeli terrestri e però facevano l’officio degli angeli.
CXXII. Come ne’ predecti iniqui ministri regna la ingiustizia, e singularmente
non correggendo i subditi.
— Io ti dissi che in questi miei dilecti riluceva la margarita della giustizia. Ora ti dico che
questi miserabili tapinelli portano nel pecto loro per fibbiale la ingiustizia. La quale ingiustizia
procede (253) ed è affibbiata con l’amore proprio di loro medesimi, però che per lo proprio amore
commectono ingiustizia verso de l’anime loro e verso me, con la tenebre della indiscrezione. A me
non rendono gloria, e a loro non rendono onesta e sancta vita né desiderio della salute de l’anime né
fame delle virtú. E per questo commectono ingiustizia verso e’ subditi e proximi loro, e non
correggono e’ vizi: anco, come ciechi che non cognoscono, per lo disordinato timore di non
dispiacere alle creature, li lassano dormire e giacere nelle loro infermità. Ma essi non s’aveggono
che, volendo piacere alle creature, dispiacciono a loro e a me, Creatore vostro. E alcuna volta
correggeranno, per mantellarsi con quella poca della giustizia: e non si faranno al maggiore, che
sarà in maggiore difecto che ‘l minore, per timore che essi avaranno che non lo’ impedisca lo stato o
la vita loro; ma farannosi al minore, perché veggono che non lo’ può nuocere né toller lo’ lo stato
loro.
Questo commecte la ingiustizia col miserabile amore proprio di loro medesimi. El quale
amore proprio ha atoscato tucto quanto el mondo e il corpo mistico della sancta Chiesa, e ha
insalvatichito el giardino di questa Sposa e adornato di fiori putridi. El quale giardino fu dimesticato
al tempo che ci stavano e’ veri lavoratori, cioè i ministri sancti miei; adornato di molti odoriferi
fiori, perché la vita de’ subditi, per li buoni pastori, non era scellerata, anco erano virtuosi con
onesta e sancta vita.
Oggi non è cosí: anco è il contrario, però che per li gattivi pastori sonno gattivi e’ subditi.
Piena è questa Sposa di diverse spine, di molti e variati peccati. Non che in sé possa ricever puzza
di peccato, cioè che la virtú de’ sancti sacramenti possa ricevere alcuna lesione; ma quegli che si
pascono al pecto di questa Sposa ricevono puzza ne l’anima loro, tollendosi la dignità nella quale Io
gli ho posti: none che la dignità in sé diminuisca, ma in verso di loro medesimi. Unde per li loro
difecti n’è avilito el Sangue, cioè perdendo e’ secolari la debita reverenzia che debbono fare a loro
per lo Sangue. Benché essi non el debbano fare, e, se la perdono, non è però di minore la (254)
colpa loro per li difetti de’ pastori; ma pure e’ miserabili sonno specchio di miseria, dove Io gli ho
posti perché siano specchio di virtú.
CXXIII. Di molti altri defecti de’ predetti ministri, e singularmente dell’andare
per le taverne e del giocare e del tenere le concubine.
— Unde riceve l’anima loro tanta puzza? da la propria loro sensualità. La quale sensualità
con amore proprio hanno fatta donna, e la tapinella anima hanno fatta serva; dove Io gli feci liberi,
col sangue del mio Figliuolo, della liberazione generale, quando tutta l’umana generazione fu tratta
della servitudine del dimonio e della sua signoria. Questa grazia ricevette ogni creatura che ha in sé
ragione; ma questi miei unti gli ho liberati dalla servitudine del mondo e postigli a servire solo me,
Dio etterno, a ministrare i sacramenti della sancta Chiesa. E hogli fatti tanto liberi, che non ho
voluto né voglio che neuro signore temporale di loro si faccia giudice. E sai che merito, dilettissima
figliuola, essi mi rendono di tanto benefizio quanto hanno ricevuto da me? El merito loro è questo:
che continuamente mi perseguitano in tanti diversi e scellerati peccati, che la lingua tua non gli
potrebbe narrare e a udirlo ci verresti meno. Ma pure alcuna cosa te ne voglio dire, oltre a quel ch’
Io t’ho detto, per darti piú materia di pianto e di compassione.
Eglino debbono stare in su la mensa della croce per sancto desiderio, e ire notricarsi del cibo
de l’anime per onore di me. E benché ogni creatura che ha in sé ragione questo debba fare, molto
maggiormente el debbono fare costoro che Io ho eletti perché vi ministrino el Corpo e ‘l Sangue di
Cristo crocifixo unigenito mio Figliuolo, e perché vi diano exemplo di sancta e buona vita, e, con
pena loro e con sancto e grande desiderio seguitando la mia Verità, prendano el cibo de l’anime
vostre. Ed essi hanno presa per mensa loro le taverne: ire, giurando e spergiurando, con molti
miserabili difetti, pubblicamente, come (255) uomini aciecati e senza lume di ragione, sonno fatti
animali per li loro difetti e stanno in atti, in fatti e in parole lascivamente.
E non sanno che si sia Officio; e se alcuna volta el dicono, ci dicono con la lingua, e ‘l cuore
loro è dilunga da me! Essi stanno come ribaldi e barattieri; e poi che hanno giocata l’anima loro e
messala nelle mani delle dimonia, ed essi giuocano e’ beni de la Chiesa, e la sustanzia temporale, la
quale ricevono in virtú del Sangue, giuocano e sbaractano. Unde i poveri non hanno el debito loro; e
la Chiesa n’è sfornita, e non con quelli fornimenti che le sonno necessari. Unde, perché essi sonno
fatti templo del diavolo, non si curano del templo mio. Ma quello adornamento, che debbono fare
nel templo e nella Chiesa per riverenzia del Sangue, egli el fanno nelle case loro dove essi abitano.
E peggio è però che essi fanno come lo sposo che adorna la sposa sua; cosí questi dimòni incarnati,
del bene della Chiesa adornano la diavola sua, con la quale egli sta iniquamente e immondamente. E
senza veruna vergogna le faranno andare, stare e venire, mentre ch’e’ miseri dimòni saranno a
celebrare a l’altare. E non si curaranno che questa miserabile diavola vada, co’ figliuoli a mano, a
fare l’offerta con l’altro popolo.
O dimòni sopra dimòni ! Almeno le iniquità vostre fussero piú nascoste negli occhi de’ vostri
subditi; ché, facendole nascoste, offendete me e fate danno a voi, ma non fate danno al proximo,
ponendo attualmente la vita vostra scellerata dinanzi a loro, però che per lo vostro exemplo gli sète
materia e cagione, non che egli esca de’ peccati suoi, ma che egli Gaggia in quegli simili e maggiori
che avete voi. È questa la purità che lo richeggio al mio ministro quando egli va a celebrare a
l’altare? Questa è la purità che egli porta: che la mattina si levarà con la mente contaminata e col
corpo suo corrotto, stato e giaciuto nello immondo peccato mortale, e andarà a celebrare. O
tabernacolo del dimonio, dove è la vigilia della notte col solenne e devoto Officio? dove è la
continua e devota orazione? Nel quale tempo della notte tu ti debbi disponere al misterio che (256)
hai a fare la mattina, con uno cognoscimento di te, cognoscen. doti e reputandoti indegno a tanto
misterio, e con uno cogno, scimento di me che per la mia bontá te n’ hoe facto degno e non per li
tuoi meriti, e fattoti mio ministro, acciò che ‘l ministri a l’altre mie creature.
CXXIV. Come ne’ predetti ministri regna el peccato contra natura, e d’una bella
visione che questa anima ebbe sopra questa materia.
— Io ti fo a sapere, carissima figliuola, che tanta purità lo richeggio a voi e a loro in questo
sacramento, quanta è possibile a uomo in questa vita; in quanto da la parte vostra e loro ve ne
dovete ingegnare d’acquistarla continuamente. Voi dovete pensare che, se possibile fusse che la
natura angelica si purificasse, a questo misterio sarebbe bisogno che ella si purificasse; ma non è
possibile, perché non ha bisogno d’essere purificata, perché in loro non può cadere veleno di
peccato. Questo ti dico perché tu vega quanta purità lo richeggio da voi e da loro in questo
sacramento, e singularmente da loro. Ma el contrario mi fanno, però che tutti inmondi vanno a
questo misterio; e non tanto della immondizia e fragilità, a la quale sète inchinevoli naturalmente
per fragile natura vostra (benché la ragione, quando el libero arbitrio vuole, fa stare queta la sua
rebellione); ma e’ miseri non tanto che raffrenino questa fragilità, ma essi fanno peggio,
commettendo quel maledetto peccato contra natura. E come ciechi e stolti, obfuscato el lume de
l’intelletto loro, non cognoscono la puzza e la miseria nella quale eglino sonno: che non tanto che
ella puta a me, che so’ somma e etterna purità (ed emmi tanto abominevole che per questo solo
peccato profondaro cinque città per divino mio giudicio, non volendo piú sostener la divina
giustizia, tanto mi dispiacque questo abominevole peccato); ma non tanto a me, come detto t’ho, ma
a le demonia (le quali dimonia e’ miseri s’hanno facto
(257) signori) lo’ dispiace. Non che lo’ dispiaccia el male perché lo’ piaccia alcuno bene, ma perché
la natura loro fu natura angelica, e però la natura loro schifa di vedere o di stare a vedere
commectere quello enorme peccato attualmente. Hagli bene inanzi gittata la saetta avelenata del
veleno della concupiscenzia, ma, giognendo a l’atto del peccato, egli si va via per la cagione e per lo
modo che detto t’ho.
Si come tu sai, se bene ti ricorda innanzi la mortalità, che lo el manifestai a te quanto m’era
spiacevole, e quanto el mondo di questo peccato era corrotto. Unde, levando Io te sopra di te per
sancto desiderio ed elevazione di mente, ti mostrai tutto quanto el mondo, e quasi in ogni maniera di
gente tu vedevi questo miserabile peccato. E vedevi e’ dimòni, si come Io ti mostrai, che fuggivano
come detto è. E sai che fu tanta la pena che tu ricevesti nella mente tua e la puzza, che quasi ti
pareva essere in su la morte. Tu non vedevi luogo dove tu e gli altri servi miei vi poteste ponere,
acciò che questa lebbra non vi si a_accasse. E non vedevi di potere stare né tra piccoli né tra grandi,
né vecchi né giovani, né religiosi né cherici, né prelati né subditi, né signori né servi, che di questa
malediczione non fussero contaminati le menti e i corpi loro. Mostra’telo in generale, non ti dico, ne
mostrai de’ particulari, se alcuno ce n’ha a cui non tocchi, ché pure tra ‘ gactivi ho riserbato alcuno
de’ miei, de’ quali per le loro giustizie Io ritengo la mia giustizia che non comando a le pietre che si
rivolgano contra di loro, né alla terra che gl’inghiottisca, né agli animali che gli devorino, né alle
dimonia che ne portino l’anime e i corpi. Anco vo trovando le vie e i modi per poter lo’ fare
misericordia, cioè perché correggano la vita loro; e metto per mezzo e’ servi miei che sonno sani e
non lebbrosi, perché per loro mi preghino.
E alcuna volta lo’ mostraròe questi miserabili peccati acciò che sieno piú solliciti a cercare la
salute loro, offerendoli a me con maggiore compassione; e con dolore de’ loro difetti e de l’offesa
mia pregare me per loro, si come Io feci a te per lo modo che tu sai e detto t’ho. E se bene ti ricorda,
facendoti sentire una sprizza di questa puzza, tu eri venuta a tanto che (258) tu non potevi piú, si
come tu dicesti a me: — O Padre etterno, abbi misericordia di me e delle tue creature! O tu mi traie
l’anima del corpo, però che non pare che io possa piú; o tu mi dà’ refrigerio e mostrami in che luogo
io e gli altri servi tuoi ci possiamo riposare, acciò che questa lebbra non ci possa nuocere né tollere
la purità de l’anime e de’ corpi nostri.—
Io ti risposi vollendomi verso di te con l’occhio della pietà, e dixi, e dico: — Figliuola mia,
el vostro riposo sia di render gloria e loda al nome mio, e gittarmi oncenso di continua orazione per
questi tapinelli che si sonno posti in tanta miseria, facendosi degni del divino giudicio per li loro
peccati. El vostro luogo, dove voi stiate, sia Cristo crocifixo unigenito mio Figliuolo, abitando e
nascondendovi nella caverna del costato suo, dove voi gustarete, per affetto d’amore, in quella
natura umana la natura mia divina. In quello cuore aperto trovarete la caritá mia e del proximo
vostro, però che per onore di me, Padre etterno, e per compire l’obbedienzia ch’Io posi a lui per la
salute vostra, corse a l’obbrobriosa morte della sanctissima croo,. Vedendo voi e gustando questo
amore, seguitarete la dottrina sua, notricandovi in su la mensa della croce, cioè portando per carità,
con vera pazienzia, el proximo vostro, pena, tormento e fadiga, da qualunque lato elle si vengano. A
questo modo camparete e fuggirete la lebbra. —
Questo è il modo che lo diei e do a te e agli altri. Ma per tutto questo, da l’anima tua non si
levava però el sentimento della puzza, né a l’occhio de l’intelletto la tenebre. Ma la mia providenzia
providde; però che, comunicandoti del Corpo e del Sangue del mio Figliuolo tutto Dio e tutto uomo,
si come ricevete nel sacramento de l’altare, in segno che questo era veritá, levossi la puzza per
l’odore che ricevesti nel sacramento, e la tenebre si levò per la luce che in esso sacramento ricevesti.
E rimaseti, per admirabile modo, si come piacque a la mia bontá, l’odore del Sangue nella bocca e
nel gusto del corpo tuo per piú di, si come tu sai.
Si che vedi, carissima figliuola, quanto m’è abominevole in ogni creatura: or ti pensa che
molto maggiormente in questi (259) che Io ho tratti che vivano nello stato della continenzia. E fra
questi continenti che sonno levati dal mondo, chi per religione e chi come pianta piantata nel corpo
mistico della sancta Chiesa, tra ‘ quali sonno e’ ministri, non potresti tanto udire quanto piú mi
dispiace questo peccato in loro; oltre al dispiacere che lo ricevo dagli uomini generali del mondo, e
de’ particulari continenti, de’ quali Io t’ho detto; perché costoro sono lucerne poste in sul
candelabro, ministratori di me, vero Sole, in lume di virtú, di sancta e onesta vita; ed essi ministrano
in tenebre. E tanto sonno tenebrosi, che la sancta Scriptura, che in sé è illuminata, perché la trassero
e’ miei eletti col lume sopranaturale da me, vero lume (si come in un altro luogo lo ti narrai), per la
enfiata loro superbia, e perché sonno immondi e lascivi, non ne veggono né intendono altro che la
corteccia, licteralmente, e quella ricevono senza alcuno sapore, perché ‘l gusto de l’anima non è
ordinato: anco è corrotto da l’amore proprio e da la superbia, ripieno lo stomaco della immondizia,
desiderando di compire i disordenati diletti loro; ripieni di cupidità e d’avarizia, e senza vergogna
publicamente commettono e’ difecti loro. E l’usura, che è vetata da me, saranno molti miserabili che
la commectaranno.
CXXV. Come per gli predetti defecti li subditi non si correggono. E de’ defecti
de’ religiosi. E come, per lo non correggere li predetti mali, molti altri ne
seguitano.
— In che modo possono questi, pieni di tanti difecti, correggere e fare giustizia e riprendere
i difecti de’ subditi loro? Non possono, perché i loro difecti lo’ tolgono l’ardire e’l zelo della sancta
giustizia. E se alcuna volta la facessero, sanno dire i subditi scellerati con loro insieme: — Medico,
medica innanzi te medesimo, e poi medica me; e io pigliarò la medicina che tu mi darai. Egli è in
maggiore difetto che non so’ io, e dice (260) male a me! — Male fa colui la cui reprensione è solo
con la parola e non con buona e ordinata vita: non che egli non debba però riprendere il male (o
buono o gattivo che egli si sia) nel suo subdito; ma male fa che egli non corregge con sancta e
onesta vita. E molto peggio fa colui che, per qualunque modo gli è facta la reprensione, o da buono
o da gattivo pastore che sia, che egli non la riceve umilemente, correggendo la vita sua scellerata;
però che egli fa male pure a sé e non altrui, ed egli è quello che sosterrà le pene de’ difecti suoi.
Tucti questi mali, carissima figliuola, adivengono per non correggere con buona e sancta
vita. Perché non correggono? Perché sonno acciecati da l’amore proprio di loro medesimi, nel quale
amore proprio sonno fondate tucte le loro iniquità, e non mirano se none in che modo possano
compire i loro disordinati dilecti e piaceri, e subditi e pastori, e cherici e religiosi. Doh ! figliuola
mia dolce, dove è l’obbedienzia de’ religiosi, e’ quali sonno posti nella sancta religione come angeli,
ed eglino sonno peggio che dimòni; posti perché adnunzino la parola mia in doctrina e in vita, e essi
gridano solo col suono della parola, e però non fanno fructo nel cuore de l’uditore? Le loro
predicazioni sonno facte piú a piacere degli uomini e per dilectare l’ orecchie loro che ad onore di
me; e però studiano non in buona vita, ma in favellare molto pulito.
Questi cotali non seminano el seme mio in veritá, perché non actendono a divellere i vizi e
piantare le virtú. Onde, perché non hanno tracte le spine de l’orto loro, non si curano di trarle de
l’orto del loro proximo. Tucti e’ loro dilecti sonno d’adornare i corpi e le celle loro e d’andare
discorrendo per le città. E adiviene di loro come del pesce, el quale, stando fuore de l’acqua, muore.
Cosí questi cotali religiosi con vana e disonesta vita, stando fuore della cella, muoiono. Partonsi
dalla cella, della quale si debba fare un cielo, e vanno per le contrade cercando le case de’ parenti e
d’altre genti secolari, secondo che piace a’ loro miseri subditi e a’ gattivi prelati, che gli hanno legati
longhi e none corti. E come miserabili pastori non si curano di vedere il loro frate subdito nelle
mani delle (261) dimonia, anco spesse volte essi stessi ve ne mectono; e alcuna volta, cognoscendo
che essi sonno dimòni incarnati, gli mandaranno per li monasterii a quelle che sonno dimonie
incarnate con loro insieme, e cosí l’uno guasta l’altro con molti e sottili ingegni ed inganni. E il loro
principio porrà el dimonio socto colore di devozione; ma perché la Trita loro è lasciva e miserabile,
non sta molto colorato col colore della devozione: anco subbito appariscono e’ fructi delle loro
devozioni: prima si veggono e’ fiori puzzolenti de’ disonesti pensieri con le foglie corrocte delle
parole, e con miserabili modi compiono e’ desidèri loro. E’ fructi che se ne vegono, bene lo sai tu
che n’hai veduti, che sonno e’ figliuoli. E spesse volte si conducono a tanto che l’uno e l’altra esce
della sancta religione. Egli è facto uno ribaldo, ed ella una publica meretrice.
Di tucti questi mali e di molti altri sono cagione i prelati, perché non ebbero l’occhio sopra el
loro subdito, anco gli davano largo, ed esso medesimo el mandava e faceva vista di non vedere le
miserie sue. E perché il subdito non si dilectòe della cella, cosí per difecto dell’uno e de l’altro n’è
rimaso morto. La lingua tua non potrebbe narrare tanti difecti, né per quanti miserabili modi essi
m’offendono. Facti sonno arme del diavolo, e con le puzze loro avelenano dentro e di fuore. Di
fuore ne’ secolari, e dentro nella religione. Privati sonno della caritá fraterna, e ogniuno vuole essere
il maggiore e ogniuno mira di possedere. Unde essi fanno contra el comandamento e contra el voto
che hanno facto. Essi hanno facta promessa d’observare l’ordine, ed eglino il trappassano: ché non
tanto che l’observino eglino, ma essi faranno come lupi affamati sopra gli agnelli che vorranno
essere observatori de l’ordine, beffandoli e schernendoli. E credono, e’ miserabili, con le
persecuzioni, beffe e scherni che fanno a’ buoni religiosi e observatori de l’ordine, ricoprire i difecti
loro: ed essi gli scuoprono molto piú. E tanto male è venuto ne’ giardini delle sancte religioni, però
che sancte sonno in loro, perché sonno facte e fondate dallo Spirito sancto; e però l’ordine, in sé,
non può essere guasto né corrocto per lo difecto del subdito né del prelato. E però (262) colui che
vuole intrare ne l’ordine non debba mirare a quegli che sonno gattivi, ma debba navigare sopra le
braccia de l’ordine, che non è infermo né può infermare, observandolo infino alla morte. Dicevoti
che a tanto erano venuti per li mali correggitori e per li gattivi subditi, che quelli, che tengono
l’ordine schiettamente, lo’ pare che trapassino l’ordine, non tenendo i loro costumi e non observando
le loro cerimonie, le quali hanno ordinate e observanole negli occhi de’ secolari, volendo
compiacere, per mantellare i difetti loro.
Si che vedi che il primo voto de l’obbedienzia, d’observare l’ordine, non l’adempiono; della
quale obbedienzia in un altro luogo ti parlarò. Fanno vato ancora d’observare volontaria povertà e
d’essere continenti. Questo come essi l’observano, mira le possessioni e la molta pecunia che essi
tengono in particulare, separati dalla caritá comune di comunicare co’ frati suoi le substanzie
temporali e le spirituali, sí come vuole l’ordine della caritá e l’ordine suo. Ed essi non vogliono
ingrassare altro che loro e gli animali; e l’una bestia nutrica l’altra, e il suo povero frate muore di
freddo e di fame. E poi che è bene foderato egli e ha le buone vivande, di lui non pensa, né con lui
si vuole ritrovare a la povera mensa del refettorio. El suo dilecto è di potere stare dove egli si possa
empire di carne e saziare la gola sua. Impossibile gli è a questo cotale di observare il terzo voto
della continenzia, però che ‘l ventre pieno non fa la mente casta, anco diventano lascivi con
disordinati riscaldamenti. E cosí vanno di male in male, e molto ne l’adiviene del male per lo
possedere; perché, se essi non avessero che spendere, non viverebbero tanto disordinatamente e non
avarebbero le curiose amistà, però che, non avendo che donare, non si tiene l’amore né l’amistà, che
è fondata per amore del dono e per alcuno dilecto e piacere che l’uno traie de l’altro, e non in
perfetta caritá.
Oh miseri, posti in tanta miseria per li loro difetti, e da me sonno posti in tanta dignità ! Essi
fuggono dal coro, come se fusse uno veleno. E se essi vi stanno, gridano con la voce, e il cuore loro
è dilonga da me. A la mensa de l’altare se (263) l’hanno presa per una consuetudine d’andarvi senza
veruna disposizione, si come a la mensa corporale. Tucti questi mali e molti altri, de’ quali Io non ti
voglio pia dire per non appuzzare l’orecchie tue, seguitano per difetto de’ gattivi pastori, che non
correggono né puniscono e’ difetti de’ subditi e non si curano né sonno zelanti che l’ordine sia
observato, perché essi non sonno observatori de l’ordine. Porranno bene le pietre in capo, delle
grandi obbedienzie, a coloro che ‘l vogliono observare, punendoli delle colpe che non hanno
commesse. E tutto questo fanno, perché in loro non riluce la margarita della giustizia, ma della
ingiustizia. E però ingiustamente danno, a colui che merita grazia e benivolenzia, penitenzia e odio:
a quegli che sonno membri del diavolo, come eglino, dànno amore dilecto e stato, commettendo in
loro gli offizi de l’ordine. Come aciecati vivono, e come aciecati dànno gli offizi e governano e’
subditi. E se essi non si correggono, con questa ciechità giongono a la tenebre de l’etterna
danazione, e convie’ lo’ rendere ragione a me, sommo giudice, de l’anime de’ subditi loro: anale e
gattivamente me la possono rendere, e però ricevono da me, giustamente, quello che hanno
meritato.
CXXVI. Come ne’ predecti iniqui ministri regna el peccato de la luxuria.
— Detto t’ho, carissima figliuola, alcuna sprizzarella della vita di coloro che vivono nella
sancta religione, con quanta miseria egli stanno ne l’ordine col vestimento della pecora, ed essi
sonno lupi rapaci. Ora ti ritorno a’ cherici e ministri della sancta Chiesa, lamentandomi con teco de’
loro difetti, oltre a quegli che Io t’ho narrati, sopra tre colonne di vizi, de’ quali un’altra volta ti
mostrai, lagnandomi con teco di loro: cioè della immondizia e della infiata superbia e della cupidità,
ché per cupidità vendevano la grazia dello Spirito sancto, sí come Io t’ho decto.
Di questi tre vizi l’uno dipende da l’altro, e il loro fondamento di queste tre colonne è l’amore
proprio di loro medesimi. Queste tre colonne, mentre che elle stanno ricte, che per forza de l’amore
delle virtú elle non diano a terra, sonno sufficienti a tenere l’anima ferma e obstinata in ogni altro
vizio. Però che tucti e’ vizi, come decto t’ho, nascono da l’amore proprio, perché da l’amore proprio
nasce il principale vizio della superbia; e l’uomo superbo è privato della dileczione della carità, e da
la superbia viene alla immondizia e a l’avarizia. E cosí s’incatenano essi medesimi con la catena del
diavolo.
Ora ti dico, carissima figliuola, guarda con quanta miseria d’ immondizia essi lordano el
corpo e la mente loro, si come decto lo te n’ho alcuna cosa. Ma un’altra te ne voglio dire, perché tu
cognosca meglio la fontana della mia misericordia e abbi maggiore compassione a’ miserabili a cui
tocca. E’ sonno alcuni che tanto sonno dimòni, che, non che essi abbino in reverenzia el sacramento
e tengano cara la excellenzia loro nella quale Io gli ho posti per la mia bontá, ma essi, come al tucto
fuore della memoria, per l’amore che avaranno posto ad alcune creature, e non potendo avere di loro
quello che desiderano, faranno con incantagioni di dimonia e col sacramento che v’ è dato in cibo di
vita, faranno malie per volere compire i loro miserabili e disonesti pensieri e volontà loro mandarle
in effecto. E quelle pecorelle, delle quali essi debbono avere cura e pascere l’anime e i corpi loro,
essi le tormentano in questi cotali modi e in molti altri, e’ quali Io trapassarò per non darti piú pena.
Si come tu hai veduto, le fanno andare sciarrate fuore della memoria, venendo lo’ in volontà, per
quello che quel dimonio incarnato l’ha facto, di fare quello che elle non vogliono; e per la
resistenzia che elle fanno a loro medesime, e’ corpi loro ne ricevono gravissime pene. Questo e
molti altri miserabili mali e’ quali tu sai, e non bisogna che Io te li narri, chi l’ha facto? la disonesta e
miserabile vita sua.
O carissima figliuola, la Carne che è levata sopra tucti e’ cori degli angeli, per la natura mia
divina unita con la natura vostra umana, questi la dànno a tanta miseria. O abominevole (265) e
miserabile uomo, non uomo, ma animale, che la carne tua, unta e consacrata a me, tu la dài alle
meritrici e anco peggio!
A la carne tua e di tucta l’umana generazione fu tolta la piaga, che Adam l’aveva facta per lo
peccato suo, in sul legno della sanctissima croce col Corpo piagato de l’unigenito mio Figliuolo. O
misero! Egli ha facto a te onore; e tu gli fai vergogna! Egli t’ha sanate le piaghe col sangue suo, e
piú, ché ne se’ facto ministro; e tu el percuoti con lascivi e disonesti peccati ! li pastore buono ha
lavate le pecorelle nel sangue suo; e tu gli lordi quelle che sonno pure, tu ne fai la tua possibilità di
mecterle nel letame. Tu debbi essere specchio d’onestà; e tu se’ specchio di disonestà. Tucte le
membra del corpo tuo hai dirizzate in adoperarle miserabilemente, e fai el contrario di quello che
per te ha facto la mia Verità. Io sostenni che li fussero fasciati gli occhi per te illuminare; e tu con
gli occhi tuoi lascivi gitti saette avelenate ne l’anima tua e nel cuore di coloro in cui con tanta
miseria raguardi. lo sostenni che Elli fusse abeverato di fiele e d’aceto; e tu, come animale
disordinato, ti dilecti in cibi delicati, facendoti del ventre tuo Dio. Nella lingua tua stanno disoneste
e vane parole; con la quale lingua tu se’ tenuto d’amonire il proximo tuo e d’anunziare la parola mia
e dire l’Offizio col cuore e con la lingua tua, e lo non ne sento altro che puzza, giurando e
spergiurando come se tu lussi uno baractiere, e spesse volte bastemiandomi. lo sostenni che li
fussero legate le mani per sciogliere te e tucta l’umana generazione dal legame della colpa, e le mani
tue unte e consacrate ministrando el sanctissimo Sacramento; e tu laidamente le exerciti in
miserabili toccamenti. Tucte le tue operazioni, le quali s’intendono per le mani, sonno corrocte e
dirizzate nel servizio del dimonio. Oh! misero, e Io t’ho posto in tanta dignità perché tu serva
solamente a me, te ed ogni creatura che ha in sé ragione!
Io volsi che gli fussero conficti e’ piei, facendoti scala del Corpo suo; e il costato aperto,
acciò che tu vedessi el secreto del cuore, Io ve l’ho posto per una bottiga aperta dove voi potiate
vedere e gustare l’amore ineffabile che lo v’ho, trovando e vedendo la natura mia divina unita nella
natura vostra umana: (266) ine vedi che ‘l Sangue, il quale tu ministri, Io te n’ hoe facto bagno per
lavare le vostre iniquità. E tu del tuo cuore hai facto tempio del dimonio. E l’affecto tuo, il quale è
significato per li piei, non tiene né offera a me altro che puzza e vitoperio; e’ piei de l’affecto tuo
non portano l’anima altro che ne’ luoghi del dimonio. Si che con tucto el corpo tuo tu percuoti el
Corpo del Figliuolo mio, facendo tu el contrario di quello che ha facto Egli e di quello che tu e ogni
creatura sète tenuti e obligati di fare. Questi strumenti del corpo tuo hanno ricevuto in male il
suono, perché le tre potenzie de l’anima tua sonno congregate nel nome del dimonio; colà dove tu le
debbi congregare nel nome mio.
La memoria tua debba essere piena de’ benefizi miei, e’ quali tu hai ricevuti da me; ed ella è piena di
disonestà e di molti altri mali. L’occhio de l’intelletto el debbi ponere col lume della fede ne
l’obiecto di Cristo crocifixo unigenito mio Figliuolo, di cui tu se’ facto ministro; e tu gli hai posto
dinanzi delizie, stati e ricchezza del mondo con misera vanità. L’affecto tuo debba solamente amare
me senza alcuno mezzo; e tu l’hai posto miseramente in amare le creature e nel corpo tuo, e i tuoi
animali amarai piú che me. E chi mel dimostra? la tua impazienzia che tu hai verso di me quando Io
ti tollesse la cosa che tu molto ami, e il dispiacimento che tu hai al proximo tuo quando ti paresse
ricevere alcuno danno temporale da lui, e odiandolo e bastemmiandolo ti parti dalla caritá mia e sua.
Oh! disaventurato te! se’ facto ministro del fuoco della divina mia carità; e tu, per li tuoi propri e
disordinati dilecti e per picciolo danno che ricevi dal proximo tuo, la perdi.
O figliuola carissima, questa è una di quelle tre miserabili colonne che Io ti narrai.
CXXVII.Come ne’ predecti ministri regna l’avarizia, prestando ad usura; ma
singularmente vendendo e comprando li benefizi e le prelazioni. E de’ mali che
per questa cupidità sono advenuti ne la sancta Chiesa.
— Ora ti dirò della seconda, cioè de l’avarizia; ché quello che il mio Figliuolo ha dato in
tanta larghezza (unde tu el vedi tucto aperto il Corpo suo in sul legno della croce che da ogni parte
versa), e non l’ha ricomprato d’oro né d’argento, anco di sangue; per larghezza d’amore non ci capie
solo una metà del mondo, ma tucta l’umana generazione, e’ passati, e’ presenti e i futuri. Non v’è
ministrato Sangue che non v’abbi ministrato e dato fuoco, perché per fuoco d’amore egli ve l’ha
dato; né fuoco né Sangue senza la natura mia divina, perché perfectamente si uni la natura divina
nella natura umana; e di questo Sangue unito per larghezza d’amore, te misero Io n’ho facto
ministro: e tu, con tanta avarizia e cupidità, quello che il mio Figliuolo ha acquistato in su la croce
(ciò sonno l’anime ricomprate con tanto amore), e quello che Elli t’ha dato essendo facto ministro
del Sangue, e tu ne se’ facto, misero, in tanta strettezza che per avarizia ti poni a vendere la grazia
dello Spirito sancto, volendo che i tuoi subditi si ricomprino da te, quando ti chieggono, quello che
tu hai ricevuto in dono.
La tua gola non hai disposta a mangiare anime per onore di me, ma a devorare pecunia. E
tanto se’ facto strecto in caritá di quel che tu hai ricevuto in tanta larghezza, che lo non cappio in te
per grazia, né il proximo tuo per amore. La substanzia che tu ricevi temporale in virtú di questo
Sangue, la ricevi largamente; e tu, misero avaro, non se’ buono altro che per te, e come ladro e furo,
degno della morte etternale, imboli quel de’ poveri e della sancta Chiesa, e spendilo luxuriosamente
con femmine e uomini disonesti e co’ parenti tuoi, e spendilo in delizie e règgine i tuoi figliuoli.
O miserabili, dove sonno e’ figliuoli delle reali e dolci virtú, le quali tu debbi avere? dove è
l’affocata caritá con che tu debbi ministrare? dove è l’ansietato desiderio de l’onore di me e salute de
l’anime? dove è il crociato dolore che tu debbi portare di vedere il lupo infernale che ne porta le tue
pecorelle? Non ci è, perché nel tuo cuore strecto non v’è né amore di me né di loro : tu ami
solamente te medesimo d’amore proprio sen. sitivo, col quale amore aveleni te e altrui. Tu se’ quel
dimonio infernale che le inghiottisci con disordinato amore; altro non appetisce la gola tua, e però
non ti curi perché ‘l dimonio invisibile ne le porti: tu, esso dimonio visibile, ne se’ facto istrumento
a mandarle a l’inferno. Cui ne vesti e ne ingrassi di quel della Chiesa? te e gli altri dimòni con teco
insieme e gli animali, cioè i grossi cavagli che tu tieni per tuo diletto disordinato e non per
necessità. E tu debbi tenere per necessita e non per diletto; questi diletti sonno degli uomini del
mondo, e i tuoi diletti debbono essere i poveri e il visitare gl’infermi, sovenendoli ne’ loro bisogni
spiritualmente e tenporalmente, però che per altro non t’ho Io facto ministro né datati tanta dignita.
Ma, perché tu se’ facto animale bruto, però ti diletti in essi animali. Tu non vedi, ché, se tu vedessi e’
supplíci che ti sonno apparecchiati se tu non ti correggi, tu non faresti così: anco ti dorresti di quello
che tu hai facto nei tempo passato e correggeresti el presente.
Vedi quanto, carissima figliuola, Io ho ragione di lagnarmi di questi miseri, e quanta
larghezza Io ho usata in loro; ed essi verso me tanta strettezza. Che piú? Come Io ti dixi, saranno
alcuni che prestaranno a usura; non che tengano la tenda come i publichi usurai, ma con molto
sottili modi vendaranno el tempo al proxirno loro per la loro cupidità; la qual cosa non è licita per
veruno modo del mondo. Se egli fusse uno presente d’una piccola cosa, e con la sua intenzione egli
el ricevesse per prezzo sopra el servizio che egli ha facto a colui prestandoli el suo, quello è usura, e
ogni altra cosa che ricevesse per quel tempo, come detto è. E Io ho posto il misero che le vieti a’
secolari, e egli fa quel medesimo e piú; ché, andandoli uno a chiedere (269) consiglio sopra questa
materia, perché egli è in quello simile difecto e perché egli ha perduto il lume della ragione, el
consiglio che egli li dae è tenebroso e passionato, per quella passione che è dentro ne l’anima sua.
Questo e molti altri difecti nascono dal cuore suo strecto, cupido e avaro. E’ si può dire
quella parola che dixe la mia Verità quando entrò nel tempio, che egli vi trovò coloro che
vendevano e compravano, cacciandoli fuore con la ferza della fune, dicendo: — « Della casa del
Padre mio, che è casa d’orazione, n’avete fatta spilonca di ladroni ». —
Tu vedi bene, dolcissima figliuola, che egli è cosí che della Chiesa mia, che è luogo
d’orazione, n’è facto spilonca di ladroni: eglino vendono e comprano, e hanno fatta mercanzia della
grazia dello Spirito sancto. Unde tu vedi che chi vuole le prelazioni e i benefizi della sancta Chiesa,
gli comprano con molti presenti, presentando quegli che sonno d’ atorno di derrate e di denari; e i
miserabili non raguardano che elli sia buono piú che gattivo, ma, per compiacerli e pèr amore del
dono che hanno ricevuto, s’ingegnano di mettere questa pianta putrida nel giardino della sancta
Chiesa, e faranno per questo, e’ miseri, buona relazione di lui a Cristo in terra. E cosí l’uno e l’altro
usano la falsità e l’inganno verso Cristo in terra, colà dove essi debbono andare schietti e con ogni
veritá. Ma se il vicario del mio Figliuolo s’avede de’ difecti dell’uno e de l’altro, li debba punire: e a
colui tollere l’ofizio suo, se non si corregge e non amenda la sua mala vita; e a colui che compra gli
starebbe bene che egli li desse, in quello scambio, la pregione, si che egli sia corretto del suo
difecto, e gli altri ne prendano exemplo e temano, acciò che neuno si levi piú a farlo. Se Cristo in
terra el fa, fa el debito suo; e se non el fa, non sarà impunito questo peccato, quando li converrà
rendere ragione dinanzi a me delle sue pecorelle.
Credemi, figliuola mia, che oggi egli non si fa, e però è venuta la Chiesa mia in tanti difecti
e abominazioni. Essi non cercano né vanno investigando de la vita loro, quando danno le prelazioni,
se essi sono buoni o gattivi; e se alcuna cosa (270) ne cercano, ne dimandano e cercano da coloro
che sonno gattivi con loro insieme, e’ quali non renderebbero altro che buona testimonianza, perché
quegli simili dífecti sonno in loro medesimi. E non raguardano ad altro se non a grandezza di stato e
a gentilezza e a ricchezza e che sappiano parlare molto polito. E peggio, ché alcuna volta allegarà el
concestoro che egli abbi bella persona..Odi cose di dimòni ! ché dove essi debbono cercare
l’adornamento e bellezza delle virtú, ed essi raguardano a la bellezza del corpo! Debbono cercare gli
umili poverelli che per umilità fuggano le prelazioni, ed essi tolgono coloro che vanamente e con
infiata superbia le cercano.
Mirano a la scienzia. La scienzia in sé è buona e perfetta, quando lo scienziato ha
insiememente la scienzia e la buona e onesta vita e con vera umilità. Ma se la scienzia è nel
superbo, disonesto e scellerato nella vita sua, ella è uno veleno, e della Scriptura non intende se non
secondo la lettera: in tenebre l’intende perché ha perduto el lume della ragione e ha obfuscato
l’occhio de l’intelletto suo. Nel quale lume, col lume sopranaturale, fu dichiarata e intesa la sancta
Scriptura, si come in un altro luogo piú chiaramente ti dixi. Si che vedi che la scienzia è buona in
sé, ma none in colui che non l’usa come egli la debba usare: anco gli sarà fuoco pennate se egli non
correggerà la vita sua. E però debbono piú tosto raguardare a la sancta e buona vita che allo
scienziato che gattivamente guidi la vita sua. Ed eglino ne fanno el contrario: anco e’ buoni e
virtuosi, che siano grossi in scienzia, reputano matti e sonno spregiati da loro; e i povaregli
schifano, perché non hanno che donare.
Si che vedi che nella casa mia, che debba essere casa d’orazione, e dove debba rilucere la
margarita della giustizia e il lume della scienzia con onesta e sancta vita, e debbavi essere l’odore
della veritá, ed egli v’abbonda la men gna. Debbono possedere povertà volontaria, e con vera
sollicitudine conservare l’anime e trarle delle mani delle dimonià; ed essi appetiscono ricchezze. E
tanto hanno presa la cura delle cose temporali che al tutto hanno abandonata la cura delle spirituali,
e non attendono ad altro che a giuoco e a riso e a crescere (271) e multiplicare le substanzie
temporali. E’ miseri non s’avegono che questo è il modo da perderle, però che, se eglino
abondassero in virtú e pigliassero la cura delle spirituali, si come debbono, abbondarebbero nelle
temporali. E molte rebellioni ha avute la sposa mia di quelle che ella non avarebbe avute. Eglino
debbono lassare i morti sepellire a’ morti, ed essi debbono seguitare la dottrina della mia Verità e
compire in loro la volontà mia, cioè fare quello per che Io gli ho posti. Ed essi fanno tutto el
contrario, ché le cose morte e transitorie si pongono a sepellire con disordinato affetto e
sollicitudine, e tragono l’officio di mano agli uomini del mondo. Questo è spiacevole a me e danno a
la sancta Chiesa. Debbonle lassare a loro, e l’uno morto sepellisca l’altro, cioè che coloro, che sonno
posti a governare le cose temporali, le governino.
E perché ti dixi « l’uno morto sepellisca l’altro »? Dico che «morto » s’intende in due modi:
l’uno è quando ministra e governa le cose corporali con colpa di peccato mortale per disordinato
affetto e sollicitudine; l’altro modo è perché egli è offlzio del corpo che sonno cose manuali, e il
corpo è cosa morta, che non ha vita in sé se non quanto l’ha tratta da l’anima, e participa della vita
mentre che l’anima sta nel corpo, e piú no.
Debbano dunque questi miei unti, che debbono vivere come angeli, lassare le cose morte a’
morti ed essi governare l’anime, che sonno cosa viva e non muoiono mai quanto che ad essere,
governandole e ministrando lo’ e’ sacramenti e i doni e le grazie dello Spirito sancto, e pascerle del
cibo spirituale con buona e sancta vita. A questo modo sarebbe la casa mia casa d’orazione,
abondando delle grazie e virtú loro. E perché essi nol fanno, ma fanno el contrario, posso dire che
ella sia (acta spilonca di ladroni, perché son fatti mercatanti per avarizia, vendendo e comprando,
come detto è. Ed è (acta receptacolo d’animali, perché vivono come animali bruti disonestamente;
unde per questo n’hanno (acta stalla, perché ine giacciono nel loto della disonestà, e cosí tengono le
dimonia loro nella Chiesa, come lo sposo tiene la sposa nella casa sua.
Si che vedi quanto male, e molto piú, e quasi senza comparazione che quello che Io t’ho
narrato, ci quale nasce da queste due colonne fetide e puzzolenti, cioè la immondizia e la cupidità e
avarizia.
CXXVIII. Come ne’ predecti ministri regna la superbia, per la quale si perde el
co. gnoscimento; e come, avendo perduto el cognoscimento, caggiono in questo
defecto, cioè che fanno vista di consecrare e non consacrano.
— Ora ti voglio dire della terza, cioè della superbia, che, per ché Io te l’abbi posta per
l’ultima, ella è ultima e prima, perché tucti e’ vizi sonno conditi dalla superbia, sí come le virtú
sonno condite e ricevono vita dalla caritá.
E la superbia nasce ed è nutricata da l’amore proprio sensitivo, del quale Io ti dixi che era
fondamento di queste tre colonne e di tucti quanti e’ mali che commectono le creature: però che chi
ama sé di disordinato amore, è privato de l’amore di me perché non m’ama; e, non amandomi,
m’offende, perché non observa ci comandamento della legge, cioè d’amare me sopra ogni cosa e il
prossimo come se medesimo. Questa è la cagione che, amandosi d’amore sensitivo, essi non
servono né amano me, ma servono e amano ci mondo: perché l’amore sensitivo né il mondo non
hanno conformità con meco. Non avendo conformità insieme, di bisogno è che chi ama ci mondo
d’amore sensitivo e servelo sensitivamente, odii me; e chi ama me in veritá, odii ci mondo. E però
dixe la mia Verità che neuno può servire a due signori contrari, però che, se egli serve a l’uno, sarà
incontempto a l’altro. Si che vedi che l’amore proprio priva l’anima della mia caritá e vestela del
vAio della superbia, unde nasce ogni difecto per lo principio de l’amore proprio.
D’ogni creatura la quale ha in sé ragione mi doglio e mi lamento, ma singularmente degli
unti miei, e’ quali debbono essere umili si perché ogniuno debba avere la virtú de l’umilità, la quale
nutrica la carità, e si perché sonno facoi ministri (273) de l’umile e immaculato Agnello, unigenito
mio Figliuolo. E non si vergognano essi e tucta l’umana generazione d’insuperbire vedendo me, Dio,
umiliato a l’uomo, dandovi ci Verbo del mio Figliuolo nella carne vostra? E questo Verbo veggono,
per l’obbedienzia ch’ Io li posi, corrire e umiliarsi a l’obrobriosa morte della croce. Egli ha ci capo
chinato per te salutare, la corona in capo per te ornare, le braccia stese per te abracciare e i piei
conficti per teco stare. E tu, misero uomo, che se’ facto ministro di questa larghezza e di tanta
umilità, debbi abbracciare la croce; e tu la fuggi ed abracciti con le inique e inmonde creature. Tu
debbi stare fermo e stabile, seguitando la doctrina della mia Verità, conficcando il cuore e la mente
tua in Lui; e tu ti vòlli come la foglia al vento, e per ogni cosa vai a vela. Se ella è prosperità, ti
muovi con disordinata allegrezza; e se ella è adversità, ti muovi per impazienzia, e cosí trai fuore il
mirollo della superbia, cioè la impazienzia; però che come la caritá ha per suo merollo la pazienzia,
cosí la impazienzia è il merollo della superbia. Unde d’ogni cosa si turbano e si scandalizzano
coloro che sonno superbi e iracundi.
E tanto m’è spiacevole la superbia, che ella cadde di cielo quando l’angelo volse insuperbire.
La superbia non saglie in cielo, ma vanne nel profondo de l’inferno; e però dixe la mia Verità: K
Chi si exaltarà, cioè per superbia, sarà umiliato; e chi se umilia, sarà exaltato ». In ogni generazione
di gente mi dispiace la superbia, ma molto piú in questi ministri, si come Io t’ho decto, perché Io gli
ho posti nello stato umile a ministrare l’umile Agnello; ma essi fanno tucto el contrario. E come non
si vergogna ci misero sacerdote insuperbire, vedendo me umiliato a voi dandovi el Verbo de
l’unigenito mio Figliuolo? E loro n’ho facoi ministri, e il Verbo per l’obbedienzia mia s’è umiliato a
l’obrobriosa morte della croce! Egli ha ci capo spinato; e questo misero leva ci capo contra me e
contra ci proximo suo, e d’agnello umile, che egli debba essere, è facto montone con le corna della
superbia, e chiunque se gli accosta, percuote.
O disaventurato uomo ! Tu non pensi che tu non puoi escire di me. È questo l’officio che Io
t’ho dato, che tu percuota me (274) con le corna della superbia tua, facendo ingiuria a me e al
proximo tuo, e con ingiuria e con ignoranzia conversi con lui? È questa la mansuetudine con che tu
debbi andare a celebrare il Corpo e’l Sangue di Cristo mio Figliuolo? Tu se’ facto come uno animale
feroce, senza veruno timore di me. Tu devori el proximo tuo e stai in divisione, e facto se’
acceptatore delle creature, acceptando quelli che ti servono e che ti fanno utilitá, o altri che ti
piaccino che siano di quella medesima vita che tu; e’ quali tu debbi correggere e dispregiare i difecti
loro. E tu fai el contrario, dando lo’ exemplo che faccino quello, e peggio. Ma se tu fussi buono, el
faresti; ma, perché tu se’ gattivo, non sai riprendere né ti dispiace il difecto altrui.
Tu dispregi gli umili e virtuosi poveregli. Tu li fuggi: ma tu hai ragione di fuggirli, poniamo
che tu nol debba fare; tu li fuggi perché la puzza del vizio tuo non può sostenere l’odore della virtú.
Tu ti rechi a vile di vederti a l’uscio e’ miei poveregli. Tu schifi ne’ loro bisogni d’andare, a visitarli:
vedili morire di fame e non li sovieni. E tucto questo fanno le corna della superbia, che non si
vogliono inchinare a usare uno poco d’acto d’umilità. Perché non s’inchina? perché l’amore proprio,
che notrica la superbia, non l’ha punto tolto da sé; e però non vuole conscendere né ministrare a’
poveregli né substanzia temporale né la spirituale senza rivendaría.
O maladecta superbia, fondata ne l’amore proprio, come hai acciecato l’occhio de l’ intellecto
loro per si facto modo, che, parendo lo’ amare e essere teneri di loro medesimi, essi ne sonno facti
crudeli; e parendo lo’ guadagnare, pérdono; parendo lo’ stare in delizie e in ricchezze e in grande
altezza, essi stanno in grande povertà e miseria, perché sonno privati della ricchezza della virtú;
sonno discesi da l’al zza della grazia alla bassezza del peccato mortale. Par lo’ vedere; ed e’ sonno
ciechi, perché non conoscono loro né me. Non conoscono lo stato loro né la dignità dove lo gli ho
posti, né conoscono la fragilità del mondo e la poca fermezza sua; però che, se ‘l cognoscessero,
non se ne farebbero Dio. Chi l’ha tolto il (275) cognoscimento? la superbia. E a questo modo sonno
diventati din,òni, avendoli lo electi per angeli e perché siano angeli terrestri in questa vita; ed essi
caggiono da l’altezza del cielo alla bassezza della tenabre. E tanta è multiplicata la tenebre e la loro
iniquità, che alcuna volta caggiono nel difecto che Io ti dirò.
Sono alcuni che sonno tanto dimòni incarnati, che spesse volte faranno vista di consecrare, e
non consecraranno, per timore del mio giudicio, e per tollersi ogni freno e timore del loro mal fare.
Sarannosi levati la mactina dalla immondizia, e la sera dal disordinato mangiare e bere. Saragli
bisogno di satisfare al popolo, e egli, considerando le sue iniquità, vede che con buona conscienzia
egli non debba né può celebrare. Unde gli viene un poco di timore del mio giudicio; non per odio
del vizio, ma per amore proprio che egli ha a se medesimo. Vedi, carissima figliuola, quanto egli è
cieco! Non ricorre egli a la contrizione del cuore e al dispiacimento del difecto suo con
proponimento di correggersi; anco piglia questo remedio: che non consecrarà. E, come cieco, non
vede che l’errore e il difecto di poi è maggiore che quello di prima, perché fa el popolo idolatro,
facendo lo’ adorare quella ostia, non consecrata, per lo Corpo e Sangue di Cristo, mio unigenito
Figliuolo tucto Dio e tucto Uomo, si come Egli è quando è consecrato: ed egli è solamente pane.
Or vedi quanta è questa abominazione e quanta è la pazienzia mia che gli sostengo! Ma se
essi non si correggeranno, ogni grazia lo’ tornerà a giudicio. Ma che dovarebbe fare il popolo acciò
che non venisse in quello inconveniente? Debba orare con condiczione: se questo ministro ha decto
quel che debba dire, credo veramente che tu sia Cristo Figliuolo di Dio vivo, dato a me in cibo dal
fuoco della tua inextimabile carità, e in memoria della tua dolcissima passione e del grande
benefizio del Sangue, il quale spandesti con tanto fuoco d’amore per lavare le nostre iniquità.
Facendo cosí, la ciechità di colui non lo’ darà tenebre, adorando una cosa per un’altra: benché la
colpa di peccato è solo del miserabile ministro, ma eglino pure ne facto farebbero quello che non si
debba fare.
O dolcissima figliuola, chi tiene la terra che non gl’ inghioc. tisce? chi tiene la mia potenzia
che non gli fa essere immobili e statue ferme innanzi a tucto el popolo per loro confusione? La
misericordia mia. E tengo me medesimo, cioè che con la misericordia tengo la divina mia giustizia
per vincerli per forza di misericordia. Ma essi, come obstinati dimòni, non cognoscono né veggono
la misericordia mia; ma, quasi come se credessero avere per debito ciò che egli hanno da me, perché
la superbia gli ha aciecati, non veggono che l’hanno solo per grazia e non per debito.
CXXIX. Di molti altri defecti e’ quali per superbia e per l’amore proprio si
comectono.
— Tucto questo t’ho decto per darti piú materia di pianto e d’amaritudine della ciechità loro,
cioè di vederli stare in stato di dannazione, e perché tu cognosca meglio la misericordia mia, acciò
che tu in questa misericordia pigli fiducia e grandissima sicurtà, offerendo loro ministri della sancta
Chiesa e tucto quanto el mondo dinanzi a me, chiedendo a me, per loro, misericordia. E quanto piú
per loro m’offerirai dolorosi e amorosi desidèri, tanto piú mi mostrarrai l’amore che tu hai a me.
Però che quella utilitá che tu a me none puoi fare, né tu né gli altri servi miei, dovete farla e
mostrarla col mezzo di loro. E Io allora mi lassarò costrignere al desiderio, alle lagrime e a
l’orazioni de’ servi miei, e farò misericordia alla sposa mia, riformandola di buoni e sancti pastori.
Riformatala di buoni pastori, per forza sì correggeranno e’ subditi, però che, quasi, de’ mali
che si fanno per li subditi sonno colpa e’ gattivi pastori; però che, se essi correggessero, F rilucesse
in loro la margarita della giustizia, con onesta e sancta vita, non farebbero cosí. E sai che n’adiviene
di questi cotali perversi modi? che l’uno séguita le vestigie de l’altro; (277) però che i subditi non
sonno obbedienti, perché, quando el prelato era subdito, non fu obbediente al prelato suo. Unde
riceve da’ subditi suoi quel che die’ egli; e perché fu gattivo subdito, è gattivo pastore.
Di tucto questo, e d’ogni altro difecto, è cagione la superbia fondata in amore proprio.
Ignorante e superbo era subdito, e molto piú è ignorante e superbo ora che è prelato. E tanta è la sua
ignoranzia che, come cieco, darà l’offizio del sacerdote a uomo idiota, il quale a pena saprà pure
leggere e non saprà l’officio suo. E spesse volte, per la sua ignoranzia, non sapendo bene le parole
sacramentali, non consecrarà. Unde, per questo, commecte quello medesimo difecto di non
consecrare, che quegli hanno facto per malizia, non consecrando ma facendo vista di consecrare.
Colà dove egli debba scegliere uomini experti e fondati in virtú che sappino e intendano quello che
dicono. Ed essi fanno tucto il contrario, perché non mirano che egli sappi e non mirano a tempo ma
a dilecto: pare che scelgano fanciulli e non uomini maturi. E non mirano che essi siano di sancta e
onesta vita, né che cognoscano la dignità alla quale essi vengono, né il grande misterio che essi
hanno a fare; ma mirano pure di moltiplicare gente, ma non virtú. Essi sonno ciechi e ragunatori di
ciechi, e non veggono che Io di questo e de l’altre cose lo’ richiedarò ragione ne l’ultima extremità
della morte. E poi che egli hanno facti e’ sacerdoti cosí tenebrosi come decto è, ed essi lo’ danno ad
avere cura d’anime, e veggonó che di loro medesimi non sanno avere cura.
Or come potranno costoro, che non cognoscono el difecto loro, correggerlo e cognoscerlo in
altrui? Non può né vuole fare contra se medesimo. E le pecorelle, che non hanno pastore che curi di
loro né che le sappi guidare, agevolemente si smarriscono e spesse volte sonno .devorate e sbranate
da’ lupi. E perché è gattivo pastore, non si cura di tenere il cane che abbai vedendo venire il lupo;
ma tale il tiene quale è egli. E cosí questi ministri e pastori perché non hanno sollicitudine né hanno
el cane della coscienzia, né il bastone della sancta giustizia, né la verga per correggere, e la
conscienzia non abbaia riprendendo se medexima, né (278) reprendendo le pecorelle vedendole
smarrite e non tenere per la via della veritá, cioè non observando e’ comandamenti miei, el lupo
infernale le divora. Abbaiando questo cane, ponendo e’ difecti loro sopra di sé con la verga della
sancta giustizia, come decto è, camparebbe le pecorelle sue e tornarebbero a l’ovile. Ma perché egli
è pastore senza verga e senza cane di conscienzia, periscono le sue pecorelle, e non se ne cura,
perché il cane della coscienzia sua è indebilito, e però non abbaia, perché non gli ha dato el cibo.
Però che il cibo che si debba dare a questo cane è il cibo de l’Agnello mio Figliuolo; però che piena
che la memoria è del Sangue, si come vasello de l’anima, la coscienzia se ne notrica; cioè che per la
memoria del Sangue l’anima s’accende ad odio del vizio e amore della virtú. El quale odio e amore
purificano l’anima dalla macchia del peccato mortale, e dá tanto vigore a la conscienzia che la
guarda, che subbito che veruno nemico de l’anima, cioè il peccato, volesse intrare dentro (non tanto
l’affetto, ma el pensiero), subbito la coscienzia come cane abbaia con stimolo, tanto ché desta la
ragione. E però non commecte ingiustizia, però che colui che ha coscienzia ha giustizia. E però
questi cotali iniqui, non degni d’essere chiamati non tanto ministri ma creature ragionevoli, perché
sonno facti animali per li loro difecti, non hanno cane (perché si può dire per la debilezza sua che
essi non l’abbino), e però non hanno la verga della sancta giustizia. E tanto gli hanno facti timidi e’
difecti loro, che l’ombra lo’ fa paura, non di timore sancto, ma di timore servile. Eglino si debbono
dispónare a la morte per trare l’anime delle mani delle dimonia, ed essi ve le mectono, non dando lo’
dottrina di buona e sancta vita, né volendo sostenere una parola ingiuriosa per la salute loro.
E spesse volte sarà l’anima del subdito inviluppata in gravissimi peccati, e avara a satisfare
ad altre ; e per l’amore disordinato che egli avara a la sua fameglia, per none spropriarli, non renderà
il debito suo. La vita sua sarà nota a grande quantità di gente e anco al misero sacerdote; e
nondimeno anco gli sarà facto sapere, acciò che, come medico che egli debba essere, curi quella
anima. El misero ministro andarà per fare quello che (279) debba fare; e una parola che gli sia decta
ingiuriosa o una mala miratura che gli sia facta, per timore non se ne impacciarà piú. E alcuna volta
gli sarà donato; unde, fra el dono e il timore servile, lassarà stare quella anima nelle mani delle
dimonia, e daragli el sacramento del Corpo di Cristo, unigenito mio Figliuolo. E vede e sa che
quella anima non è sviluppata dalla tenebre del peccato mortale; e nondimeno, per compiacere agli
uomini del mondo e per lo disordinato timore e dono che ha ricevuto da loro, gli ha ministrato e’
sacramenti e sepellitolo a grande onore nella sancta Chiesa, colà dove, come animale e membro
tagliato dal corpo, el dovarebbe gictare fuore. Chi n’è cagione di questo? l’amore proprio e le corna
della superbia. Però che, se egli avesse amato me sopra ogni cosa e l’anima di quel tapinello, e fusse
stato umile e senza timore, avarebbe cercata la salute di quella anima.
Vedi dunque quanto male séguita di questi tre vizi, e’ quali Io t’ho posti per tre colonne unde
procedono tucti gli altri peccati: la superbia, avarizia e inmondizia delle menti e corpi loro.
L’orecchie tue non sarebbero sufficienti a udirli, quanti sonno e’ mali che di costoro escono si come
membri del dimonio. E per la superbia, disonestà e cupidità loro fanno che alcuna volta (e tu hai
veduto coloro a cui egli toccò) saranno cotali semplicelle di buona fede che si sentiranno cotali
difecti di paura nelle menti loro. Temendo di non avere il dimonio, vannosene al misero sacerdote,
credendo che egli le possa liberare; e vanno perché l’uno diavolo cacci l’altro. E egli, come cupido,
riceve il dono, e, come disonesto, bructo, lascivo e miserabile, dirà a quelle tapinelle: — Questo
difecto che voi avete non si può levare se non per lo tale modo; — e cosí, miserabilemente, Io’ farà
fiaccare il collo con lui insieme.
O dimonio sopra dimonio ! in tutto se’ facto peggio che il dimonio. Molti dimòni sonno che
hanno a schifo questo peccato; e tu, che se’ facto peggio di lui, vi t’ involli dentro come il porco nel
loto. O immondo animale, è questo quel ch’ Io ti richiego, che tu con la virtú del Sangue, del quale
Io t’ho facto ministro, cacci le dimonia da l’anime e da’ corpi; e tu ve li metti dentro? Non (280)
vedi che la scure della divina giustizia è giá posta a la radice de l’arbore tuo? E dicoti che elle ti
stanno a usura e a l’ora e al tempo suo, se tu non punisci le tue iniquità con la penitenzia e
contrizione del cuore: tu non sarai riguardato perché tu sià sacerdote, anco sarai punito
miserabilemente e portarai le pene per te e per loro. E piú crudelmente sarai cruciato che gli altri:
staracti a mente alora di cacciare il dimonio col dimonio della concupiscenzia. E l’altro misero, che
andarà la creatura a lui che l’absolva perché sarà legata in peccato mortale, e egli la legarà in cotale
e maggiore, e per nuove vie e modi cadrà in peccato con lei. E se ben ti ricorda, tu vedesti la
creatura con gli occhi tuoi, a cui egli toccò. Bene è dunque pastore senza cane di coscienzia: anco
affoga la coscienzia altrui non tanto che la sua.
Io gli ho posti perché cantino e psalmeggino la nocte, dicendo l’officio divino; e essi hanno
imparato a fare malie e incantare le dimonia, facendosi venire per incanto di demonio, di mezza
nocte, quelle creature che miseramente amano. Parrà che vengano, ma non sarà. Or hotti Io posto
perché la vigilia della nocte tu la spenda in questo? Certo no, ma perché tu la spenda in vigilia ed
orazione, acciò che la mactina, disposto, tu vada a celebrare, e dia odore di virtú al popolo e non
puzza di vizio. Se’ posto nello stato angelico, acciò che tu possa conversare con gli angeli per sancta
meditazione in questa vita, e poi ne l’ultimo gustare me con loro insieme; e tu ti dilecti d’essere
dimonio, e di conversare con loro prima che venga el punto della morte. Ma le corna della tua
superbia t’hanno percosso dentro ne l’occhio de l’intelletto la pupilla della sanctissima fede, e hai
perduto el lume, e però non vedi in quanta miseria tu stai. E non credi in veritá che ogni colpa è
punita e ogni bene è remunerato: ché, se in veritá tu el credessi, non faresti cosí, e non cercaresti né
vorresti si facta conversazione, anco ti verrebbe in terrore pure d’udire mentovare il nome suo. Ma
perché tu séguiti la volontà sua, di lui e delle sue operazioni pigli dilecto. Cieco sopra cieco, Io
vorrei che tu dimandassi el dimonio che merito egli ti può rendere del servizio che tu li fai. Esso ti
(281) risponderebbe, dicendo che ti darà quel fructo che ha per sé. Però che altro non ti può dare se
non quelli crociati tormenti e fuoco nel quale arde continuamente, dove esso cadde, per la superbia
sua, da l’altezza del cielo.
E tu, angelo terrestre, cadi da l’altezza (per la superbia tua) della dignità del sacerdote e dal
tesoro delle virtú nella povertà di molte miserie e, se tu non ti correggerai, nel profondo . de
l’inferno. Tu t’hai facto dio e signore il mondo e te medesimo: or di’ al mondo con tucte le sue
delizie che tu hai prese in questa vita, e a la propria tua sensualità con che tu hai usate le cose del
mondo (colà dove Io ti posi nello stato del sacer. dozio perché tu le spregiassi, e te e il mondo
sensualmente); di’ che rendano ragione per te dinanzi a me, sommo giudice. Rispondarannoti che
non ti possono aitare e farannosi beffe di te, dicendo: — Per te conviene che riesca. — E tu rimani
confuso e vitoperato dinanzi a me e dinanzi al mondo. Tucto questo tuo danno tu nol vedi, però che,
come decto è, le corna della superbia tua t’hanno aciecato. Ma tu el vedrai ne l’ultima extremità
della morte, dove tu non potrai pigliare rimedio in alcuna tua virtú, però che, non l’hai se non solo
nella misericordia mia, sperando in quello dolce Sangue del quale fusti facto ministro. Questo né a
te né ad alcuno sarà mai tolto, mentre che vorrai sperare nel Sangue e nella misericordia mia;
benché neuno debba essere si matto né tu si cieco che tu ti conduca a l’extremità.
Pensa che in su quella extremità l’uomo che iniquamente è vissuto le dimonia l’accusano, el
mondo e la propria fragilità; e none il lusenga né li mostra il dilecto colà dove era l’amaro, né la
cosa perfetta colà dove era imperfeczione, né il lume per la tenebre, si come fare solevano nella vita
sua: anco mostrano la veritá di quello che è. El cane della coscienzia, che era debile, comincia ad
abbaiare tanto velocemente che quasi conduce l’anima a la disperazione. Benché neuna ve ne debba
giognere, ma debba pigliare con esperanza il Sangue, non obstante i difecti che abbi commessi; però
che senza veruna comparazione è maggiore la misericordia mia, la quale ricevete nel Sangue, (282)
che tutti e’ peccati che si commettono nel mondo. Ma ncuno s’indugi, come detto è; ché forte cosa è
a l’uomo trovarsi disarmato nel campo della battaglia tra molti nemici.
CXXX. Di molti altri defecti e’ quali comectono li predetti iniqui ministri.
— O carissima figliuola, questi miseri, de’ quali Io t’ho narrato, non ci hanno alcuna
considerazione; però che, se essi l’avessero, non verrebbero a tanti difetti né eglino né gli altri, ma
farebbero come gli altri che virtuosamente vivevano. E’ quali prima eleggevano la morte che
volessero offender me e sozzare la faccia de l’anima loro e diminuire la dignità nella quale lo gli
avevo posti, ma crescevano la dignità e la bellezza de l’anime loro. Non che la dignità del sacerdote,
puramente la dignità, possa crescere per virtú né minuire per difetto, come detto t’ho; ma le virtú
sonno uno adornamento e una dignità che dànno a l’anima, oltre a la pura bellezza de l’anima che
ella ha dal suo principio quando Io la creai a la imagine e similitudine mia. Questi cognobbero la
veritá della bontá mia e la bellezza e dignità loro, perché la superbia e amore-,proprio non l’aveva
obfuscato né tolto el lume della ragione, però che n’erano privati e amavano me e la salute de
l’anime.
Ma questi tapinelli, perché al tutto sonno privati del lume, non si curano d’andare di vizio in
vizio, in fine che giongono a la fossa. E del tempio de l’anima loro e della sancta Chiesa, che è uno
giardino, ne fanno riceptacolo d’animali. O carissima figliuola, quanto m’è abominevole che le case
loro che debbono essere riceptacolo de’ servi miei e de’ poverelli, e debbono tenere per sposa el
breviario, e i libri della sancta Scriptura per figliuoli, e ine dilettarsi per dare dottrina al proximo
loro in prendere sancta vita; e esse sono riceptacolo d’ inmondizie e d’inique persone. La sposa sua
non è il breviario, anco tratta la detta sposa del breviario come adultera, ma è una (283) miserabile
dimonia che immondamente vive con lui; e’ libri suoi sonno la brigata de’ figliuoli ; e co’ figliuoli,
che egli ha acquistati in tanta bruttura e miseria, si diletta senza vergogna alcuna. Le pasque e i di
solempni, ne’ quali egli debba rendere gloria e loda al nome mio col divino officio e gictarmi
oncenso d’umili e devote orazioni, e egli sta in giuoco e in sollazzo con le sue dimonie e va
brigatando co’ secolari, cacciando e ucellando come se fusse uno secolare e uno signore di corte.
O misero uomo, a che se’ venuto? Tu debbi cacciare e ucellare ad anime per gloria e loda del
nome mio, e stare nel giardino della sancta Chiesa; e tu vai per li boschi. Ma perché tu se’ facto
bestia, tieni dentro ne l’anima tua gli animali de’ molti peccati mortali; e però se’ facto cacciatore e
ucellatore di bestie, perché l’orto de l’anima tua è insalvatichito e pieno di spine: però hai preso
diletto d’andare per li luoghi deserti cercando le bestie salvatiche. Vergògnati, uomo, e raguarda e’
tuoi difetti, però che hai materia di vergognarti da qualunque lato tu ti vòlli. Ma tu non ti vergogni,
perché hai perduto el sancto e vero timore di me. Ma, come la meretrice che è senza vergogna, ti
vantarsi di tenere il grande stato nel mondo e d’aver la bella fameglia e la brigata de’ molti figliuoli.
E se tu non gli hai, cerchi d’averli, perché rimangano eredi del tuo. Ma tu se’ ladro e furo, però che
tu sai bene che tu non el puoi lassare, perché le tue erede sonno e’ poveri e la sancta Chiesa. O
dimonio incarnato, senza lume, tu cerchi quel che tu non debbi cercare; loditi e vantiti di quello che
tu debbi venire a grande confusione e vergognarti dinanzi a me, che veggo lo intrinsico del cuore
tuo, e dinanzi a le creature. Tu se’ confuso, e le corna della tua superbia non ti lassano vedere la tua
confusione.
O carissima figliuola, lo l’ho posto in sul ponte della dottrina della mia Verità a ministrare a
voi perregrini e’ sacramenti della sancta Chiesa; ed egli sta nel miserabile fiume di sotto al ponte, e
nel fiume delle delizie e miserie del mondo ve li ministra, e non se n’avede che li giogne l’onda della
morte, e vanne insieme co’ suoi signori dimòni, a’ quali esso ha servito e lassatosi guidare per la via
del fiume senza alcuno ritegno. (284) E se egli non si corregge, giogne a l’etterna danpnazione con
tanta reprensione e rimproverio, che la lingua tua non sarebbe sufficiente a narrarlo. E molto piú
egli che un altro, secolare: unde una medesima colpa è piú punita in lui che in un altro che fusse
nello stato del mondo; e con piú rimproverio si levano e’ nemici suoi nel ponto della morte ad
accusarlo, si come Io ti dixi.
CXXXI. De la differenzia de la morte de’ giusti ad quella de’ peccatori. E prima,
de la morte de’ giusti.
— E perché lo ti narrai come il mondo, le dimonia e la propria sensualità l’accusavano, e
cosí è la veritá, ora tel voglio dire in questo ponto sopra questi miseri piú distesamente (perché tu
l’abbi maggiore compassione) quante sonno differenti le bactaglie che riceve l’anima del giusto da
quelle del peccatore, e quanto è differente la morte loro, e in quanta pace è la morte del giusto, piú e
meno, secondo la perfeczione de l’anima.
Unde Io voglio che tu sappi che tucte quante le pene, che le creature che hanno in loro
ragione hanno, stanno nella volontà; però che, se la volontà fusse ordinata e accordata con la
volontà mia, non sosterrebbe pena.. Non che fussero però tolte le fadighe; ma a quella volontà, che
volontariamente porta per lo mio amore, non le sarebbe pena, perché questi cotali volontieri
portano, vedendo che è la volontà mia. E per l’odio sancto, che hanno di loro medesimi, hanno facto
guerra col mondo, col dimonio e con la propria loro sensualità. Unde, venendo el punto della morte,
la morte loro è in pace, perché i nemici suoi nella vita sua sonno stati sconficti da lui. El mondo nol
può accusare, però che egli cognobbe i suoi inganni, e però renunziò al mondo e a tucte le delizie
sue. La fragile sensualità e corpo suo non l’accusa, però che egli la tenne come serva col freno della
ragione, macerando la carne con la penitenzia, con la vigilia e umile e continua orazione. La volontà
(285) sensitiva ucise con odio e dispiacimento del vizio e amore della virtú, in tuctO perduta la
tenerezza del corpo suo; la quale te nerezza e amore, che è tra l’anima e’l corpo, naturalmente fa
parere la morte malagevole, e però naturalmente l’uomo teme la morte.
Ma perché la virtú nel giusto perfecto passa la natura, cioè che ‘l timore, che gli è naturale,
lo spegne e trapassa con odio sancto e col desiderio di tornare al fine suo, si che la tenerezza
naturale non gli può fare guerra, la coscienzia sta queta, perché nella vita sua fece buona guardia,
abbaiando quando e’ nemici passavano per volere tollere la città de l’anima. Si come il cane che sta
a la porta, il quale, vedendo e’ nemici, abbaia, e abbaiando desta le guardie; cosí questo cane della
coscienzia destòe la guardia della ragione, e la ragione insieme col libero arbitrio cognobbero, col
lume de l’ intellecto, se era amico o nemico. A l’amico, cioè le virtú e i sancoi pensieri del cuore,
diéro dileczione e affecto d’amore, exercitandole con grande sollicitudine; e al nemico, cioè al vizio
e alle perverse cogitazioni, diéro odio e dispiacimento; e col coltello de l’odio e de l’amore, e col
lume della ragione, e con la mano del libero arbitrio percossero e’ nemici suoi; si che poi, al ponto
della morte, la coscienzia non si rode, perché ella fece buona guardia, ma stassi in pace.
È vero che l’anima per umilità e perché meglio nel tempo della morte cognosce il tesoro del
tempo e le pietre preziose delle virtú, riprende se medesima, parendole poco aver exercitato questo
tempo; ma questa non è pena afiggitiva, anco è pena ingrassativa, però che fa ricogliere l’anima
tucta in se medesima, ponendosi inanzi el sangue de l’umile e immaculato Agnello mio Figliuolo. E
non si vòlle adietro a mirare le virtú sue passate, perché non vuole né può sperare in sue virtú, ma
solo nel Sangue, dove ha trovata la misericordia mia. E come è vissuta con la memoria del Sangue,
cosí nella morte s’ innebria e anniegasi nel Sangue. Le dimonia perché non la possono riprendere di
peccato? perché ella nella vita sua con sapienzia vinse la loro malizia; ma giongono per volere
vedere se potessero (286) acquistare alcuna cosa. Unde giongono’orribili, per farle paura con
laidissimo aspetto e con molte e diverse fantasie; ma, perché ne l’anima non è veleno di peccato,
l’aspetto loro non le dá quel timore né mette paura come a uno altro el quale iniquamente sia vissuto
nel mondo. Vedendo le dimonia che l’anima è intrata nel Sangue con ardentissima carità, non la
possono sostenere, ma stanno da la longa a gittare le saette loro. E però la loro guerra e le loro grida
a quella anima non nocciono, però che ella giá comincia a gustare vita etterna, si come in un altro
luogo ti dixi ; però che con l’occhio de l’intelletto, che ha la pupilla del lume della sanctissima fede,
vede me, suo infinito ed etterno Bene, el quale aspetta d’avere per grazia e non per debito nella virtú
di Iesu Cristo mio Figliuolo. Unde distende le braccia della speranza e con le mani de l’amore lo
strigne, intrando in possessione prima che vi sia, come detto t’ho el modo in un altro luogo. Subbito
passando (annegata nel Sangue) per la porta stretta del Verbo, giogne in me, mare pacifico, che
siamo insieme uniti lo, mare, e la porta: perché Io e la mia Verità, unigenito mio Figliuolo, siamo
una medesima cosa.
Quanta allegrezza riceve l’anima che tanto dolcemente si vede gionta a questo passo, però
che gusta el bene della natura angelica! Questo ricevono coloro che passano cosí dolcemente; ma e’
ministri miei, de’ quali lo ti dixi che erano vissuti come angeli, molto maggiormente, perché in
questa vita vissero con piú cognoscimento e con piú fame de l’onore di me e salute de l’anime. Non
dico puramente del lume della virtú, che generalmente ogniuno può avere, ma perché questi,
aggionto al lume del vivere virtuosamente, che è lume sopranaturale, ebbero el lume della sancta
scienzia, per la quale scienzia cognobbero piú della mia Verità. E chi piú cognosce, piú ama: e chi.
piú ama, piú riceve. El merito vostro v’è misurato secondo la misura de l’amore. E se tu mi
dimandassi: — Un altro, che non abbi scienzia, può giognere a questo amore? — si bene che egli è
possibile che egli vi gionga; ma veruna cosa particulare non fa legge comunemente per ogniuno, e
Io ti favello (287) in generale. E anco ricevono maggiore dignità per lo stato del sacerdote, perché
propriamente lo’ fu dato l’officio del mangiare anime per onore di me. E poniamo che a ciascuno sia
dato che tuctí doviate stare nella dileczione del proximo vostro, a costoro è dato a ministrare il
Sangue e a governare l’anime; unde, facendolo sollicitamente e con affetto di virtú, come detto è,
ricevono costoro piú che gli altri.
Oh, quanto è beata l’anima-loro quando vengono a l’extremità della morte, perché sonno stati
annunziatori e difenditori della fede al proximo loro. Eglino se l’hanno incarnata intro le mirolla de
l’anima, con la quale fede veggono el luogo loro in me. La speranza con la quale sonno vissuti,
sperando nella providenzia mia, perdendo ogni speranza di loro medesimi (cioè di none sperare nel
loro proprio sapere); e perché essi perdéro la speranza di loro, non posero affetto disordinato in
veruna creatura né in veruna cosa creata, perché vissero poveri volontariamente; e però con grande
diletto distendono la speranza loro in me. El cuore loro (che fu uno vasello di dileczione che portava
el nome mio con ardentissima carità, l’annunziavano con exemplo di buona e sancta vita e con la
dottrina della parola al proximo loro) levasi adunque con amore ineffabile e strigne me per affetto
d’amore, che so’ suo fine, recandomi la margarita della giustizia, perché la portò sempre dinanzi da
sé, facendo giustizia a ogniuno e rendendo discretamente il debito suo. E però rende a me giustizia
con vera umilità e rende gloria e loda al nome mio, perché retribuisce aver avuto da me grazia
d’avere corso el tempo suo con pura e sancta conscienzia; e a sé rende indegnazione, reputandosi
indegno d’avere ricevuta e ricevere tanta grazia.
La coscienzia sua mi rende buona testimonianza, e Io a lui giustamente rendo la corona della
giustizia adornata delle margarite delle virtú, cioè del frutto che la caritá ha tratto delle virtú. O
angelo terrestre! beato te che non se’ stato ingrato de’ benefizi ricevuti da me e non hai conmessa
negligenzia né ignoranzia; ma sollicito, con vero lume, tenesti l’occhio tuo aperto sopra e’ subditi
tuoi, e come fedele e virile pastore hai seguitata (288) la doctrina del vero e buono Pastore Cristo,
dolce Iesú, unigenito mio Figliuolo. E però realmente tu passi per lui bagnato e annegato nel
Sangue suo con la torma delle tue pecorelle, delle quali, con la sancta doctrina e vita tua, molte n’hai
condocte a la vita durabile, e molte n’hai lassate in stato di grazia.
O figliuola carissima, a costoro non nuoce la visione delle dimonia, però che per la visione
di me (la quale per fede veggono e per amore tengono, perché in loro non è veleno di peccato) la
obscurità e terribilezza loro non lo’ dá noia né alcuno timore, perché in loro non hanno timore
servile, anco timore sancto. Unde non temono e’ loro inganni, perché col lume sopranaturale e col
lume della sancta Scriptura cognoscono gl’inganni suoi, si che non ricevono tenebre né turbazione
di mente. Or cosí gloriosamente passano bagnati nel Sangue, con la fame della salute ‘de l’anime,
tucti affocati nella caritá del proximo, passati per la porta del Verbo e intrati in me. E dalla mia
bontá sonno conlocati ciascuno nello stato suo, e misurato lo’ secondo la misura che hanno recata a
me de l’affecto della caritá.
CXXXII. De la morte de’ peccatori e de le pene loro nel punto de la morte.
— O carissima figliuola, non è tanta l’excellenzia di costoro, che e’ non abbino molta piú
miseria e’ miseri tapinelli de’ quali Io t’ho narrato. Quanto è terribile e obscura la morte loro! Però
che nel punto della morte, si come Io ti dixi, le dimonia gli accusano con tanto terrore e obscurità,
mostrando la figura loro, che sai che è tanto orribile che ogni pena che in questa vita si potesse
sostenere eleggerebbe la creatura, inanzi che vederlo nella visione sua. E anco se li rinfresca lo
stimolo della coscienzia, che miserabilemente il rode nella coscienzia sua. Le disordinate delizie e
la propria sensualità (la quale si fece signora, e la ragione fece serva), l’acusano miserabilmente,
(289) perchémalora cognosce la veritá di quello che in prima non cognosceva. Unde viene a grande
confusione de l’errore suo, perché
nella vita sua vixe come infedele e non fedele a me, perché l’amore proprio gli velò la pupilla del
lume della sanctissima fede. El dimonio el molesta d’ infedelità, per farlo venire a disperazione.
Oh! quanto gli è dura questa bactaglia, perché’l truova disarmato e non gli truova Tarme de
l’affecto della carità, perché in tucto, come membri del diavolo, ne sonno stati privati. Unde non
hanno lume sopranaturale né quel della scienzia, perché non l’intesero, però che le corna della
superbia non lo’ lassano intendere la dolcezza del suo merollo; unde ora nelle grandi bactaglie non
sanno che si fare. Nella speranza essi non sonno notricati, però che non hanno sperato in me né nel
Sangue, del quale lo gli feci ministri, ma solo in loro medesimi e negli stati e delizie del mondo. E
non vedeva il misero dimonio incarnato che ogni cosa gli stava ad usura, e come debitore gli
conveniva rendere ragione dinanzi a me? Ora si truova innudo e senza alcuna virtú, e, da qualunque
lato egli si vòlle, non ode altro che rimproverio con grande confusione.
La ingiustizia sua, la quale egli ha usata nella vita, l’accusa a la coscienzia, unde non
s’ardisce di dimandare altro che giustizia. E dicoti che tanta è quella vergogna e confusione, che, se
non che essi s’hanno preso nella vita loro per uno uso di sperare nella misericordia mia, bene che
per li loro difecti el?a è grande presumpzione (perché condì che offende col braccio della
misericordia, in effecto non si può dire che questa sia speranza di misericordia, ma è piú tosto
presumpzione), ma pure ha preso facto della misericordia; unde, venendo a l’extremità della morte e
cognoscendo il difecto suo e scaricando la cóscienzia per la sancta confessione, è levata la
presumpzione, che non offende piú, e rimane la misericordia. E con questa misericordia possono
pigliare atacco di speranza, se essi vogliono. Che se non fusse questo, neuno sarebbe che non si
disperasse, e con la disperazione giognarebbe con le dimonia a l’etterna dannazione.
Questo fa la mia misericordia: di farli sperare, nella vita loro, nella misericordia, bene che Io
non lo’ ‘l do perché essi of. fendano con la misericordia, ma perché si dilatino in caritá e in
considerazione della bontá mia. Ma essi l’usano tucta in contrario, però che con la speranza, che essi
hanno presa della mia misericordia, m’offendono. E nondimeno Io gli pure conservo nella speranza
della misericordia, perché ne l’ultimo della morte egli abbino a che ataccarsi e al tucto non vengano
meno nella reprensione e non giongano a disperazione. Però che molto piú è spiacevole a me e
danno a loro questo ultimo peccato del dispe. rarsi, che tucti gli altri peccati che egli hanno
commessi. E questa è la cagione perché egli è piú danno a loro e spiacevole a me: perché gli altri
peccati essi gli fanno con alcuno dilecto della propria sensualità, e alcuna volta se ne dolgono, unde
se ne possono dolere per modo che per quello dolere ricevono misericordia. Ma al peccato della
disperazione non ve li muove fragilità, però che non vi truovano alcuno dilecto né altro che pena
intollerabile; e nella disperazione spregia la misericordia mia, facendo maggiore il difecto suo che
la misericordia e bontá mia. Unde, caduto che egli è in questo peccato, non si pente né ha dolore de
l’offesa: mia in veritá come si debba dolere: duolsi bene del danno suo, ma non si duole de l’offesa
che ha facta a me; e cosí riceve la etterna dannazione.
Si che vedi che solo questo peccato el conduce a l’inferno, e ne l’inferno è crociato di questo
e di tucti gli altri difecti che egli ha commessi. E se egli si fusse doluto e pentutosi de l’offesa che
aveva (acta a me e avesse sperato nella misericordia, avarebbe trovato misericordia. Però che senza
alcuna comparazione, si come io ti dixi, è maggiore la misericordia mia che tucti e’ peccati che
potesse commectere neuna creatura. E però molto mi dispiace che essi pongano maggiori e’ difecti
loro; e questo è quel peccato che non è perdonato né di qua né di là. E perché nel punto della morte
(poi che la vita loro è passata disordinatamente e scelleratamente), perché molto mi dispiace la
disperazione, vorrei che pigliassero speranza nella misericordia mia, e però nella vita loro Io uso
questo (291) dolce inganno, cioè di farli sperare largamente nella misericordia mia; però che,
quando vi sonno nutricati dentro in questa speranza, giognendo a la morte non sonno cosí
inchinevoli a lassarla per le dure reprensioni che odono, si come farebbero non essendovisi nutricati
dentro.
Tucto questo lo’ dá el fuoco e l’abisso della inextimabile caritá mia. Ma, perché essi l’hanno
usata con la tenebre de l’amore proprio, unde l’è proceduto ogni difecto, non l’hanno cognosciuta in
veritá; e però l’è reputato a grande presumpzione, quanto che ne l’affecto loro, la dolcezza della
misericordia. E questa è un’altra reprensione che lo’ dá la coscienzia ne l’aspecto delle dimonia,
rimproverando che ‘l tempo e la larghezza della misericordia, nella quale egli sperava, si doveva
dilatare in caritá e in amore delle virtú e con virtú spendere il tempo che lo per amore lo’ diei; e
eglino, col tempo e con la larga speranza della misericordia, m’offendevano miserabilemente. O
cieco, sopra cieco! Tu sotterravi la margarita e il talento che Io ti missi nelle mani perché tu
guadagnassi con esso; e tu, come presumptuoso, non volesti fare la volontà mia, anco el sotterrasti
socto la terra del disordinato amore proprio di te medesimo, il quale ora ti rende fructo di morte.
Oh, misero te! quanta è grande la pena tua, la quale tu ora ne l’extremità ricevi. Elle non ti sonno
occulte le tue miserie, però che ‘l vermine della coscienzia ora non dorme, anco rode. Le dimonia ti
gridano e rendonti el merito che egli usano di rendere a’ servi loro: confusione e rimproverio. Acciò
che nel punto della morte tu non l’esca delle mani, vogliono che tu gionga a la disperazione, e però
ti dànno la confusione, acciò che poi, con loro insieme, ti rendano di quello che egli hanno per loro.
Oh, misero! la dignità, nella quale Io ti posi, ti si rapresenta lucida cpme ella è. E per tua
vergogna, cognoscendo che tu l’hai tenuta e usata in tanta tenebre di colpa la substanzia della sancta
Chiesa, ti pone innanzi che tu se’ ladro e debitore, el quale dovevi rendere il debito a’ poveri e a la
sancta Chiesa. Alora la coscienzia tua tel rapresenta che tu l’hai speso e dato a le publiche meritrici,
e nutricati e’ figliuoli e aricchiti e’ parenti (292) tuoi, e haitelo cacciato giú per la gola con
adornamento di casa e con molti vasi de l’argento, colà dove tue dovevi vivere con povertà
volontaria.
L’officio divino ti rapresenta la tua coscienzia, ché tu el lassavi, e non ti curavi perché
cadessi nella colpa del peccato mortale; e, se tu el dicevi con la bocca, el cuore tuo era di longa da
me. E’ subditi tuoi, cioè la caritá e la fame, che verso di loro dovevi avere di notricarli in virtú,
dando lo’ exemplo di vita e batterli con la mano della misericordia e con la verga della giustizia; e,
perché tu facesti el contrario, la coscienzia ne l’orribile aspetto delle dimonia ti riprende. E se tu,
prelato, hai date le prelazioni o cura d’anime a veruno tuo subdito ingiustamente, cioè che tu non
abbi veduto a cui e come tu l’hai dato, ti si pone dinanzi a la coscienzia, perché tu le dovevi dare
non per parole lusinghevoli né per piacere alle creature né per doni, ma solo per rispetto di virtú, per
onore di me e salute de l’anime. E perché tu non l’hai facto, ne se’ ripreso; e per maggiore tua pena e
confusione hai dinanzi a la coscienzia e al lume de l’intelletto quello che tu hai facto, che non
dovevi fare, e quello che tu dovevi fare, che tu non hai facto.
E voglio che tu sappi, carissima figliuola, che piú perfettamente si cognosce la bianchezza
allato al nero e il nero allato a la bianchezza, che separati l’uno da l’altro. Cosí adiviene a questi
miseri, a costoro in particulare e a tutti gli altri generalmente, che nella morte (dove l’anima
comincia piú a vedere i guai suoi, e il giusto la beatitudine sua) ella è rapresentata al misero la vita
sua scellerata. E non bisogna che alcuno l’ il ponga dinanzi, però che la coscienzia sua si pone
innanzi e’ difecti che egli ha commessi e le virtú che doveva adoperare. Perché la virtú? per
maggiore sua vergogna: perché, essendo allato il vizio e la virtú, per la virtú cognosce meglio el
difetto, e quanto piú el cognosce, maggiore vergogna n’ha. E per lo difetto suo cognosce meglio la
perfeczione della virtú, unde ha maggiore dolore, perché si vede nella vita sua essere stato fuore
d’ogni virtú. E voglio che tu sappi che nel cognoscimento, che essi hanno della virtú e del vizio,
veggono troppo bene el bene (293) che séguita doppo la virtú a l’uomo virtuoso, e la pena che
séguita a quel che è giaciuto nella tenebre del peccato mortale.
Questo cognoscimento do non perché venga a disperazione, ma perché venga a perfetto
cognoscimento di sé e a vergogna del difetto suo con esperanza; acciò che con la vergogna e
cognoscimento sconti de’ difecti suoi e plachi l’ira mia, dimandando umilmente misericordia. El
virtuoso ne cresce in gaudio e in cognoscimento della mia carità, perché retribuisce la grazia d’avere
seguitate le virtú e d’essere ito per la dottrina della mia Verità, da me e non da sé, e però exulta in
me. Con questo vero lume e cognoscimento gusta e riceve il dolce fine suo per lo modo che Io in un
altro luogo ti dixi. Si che l’uno exulta in gaudio, cioè il giusto che è vissuto con ardentissima carità,
e lo iniquo tenebroso si confonde in pena. Al giusto la tenebre e visione delle dimonia non gli
nuoce, e non teme, però che solo el peccato è quel che teme e riceve nocimento. Ma quegli, che
lascivamente e con molte miserie hanno guidata la vita loro, ricevono nocimento e timore ne
l’aspetto delle dimonia. Non è nocimento di disperazione, se essi non vorranno, ma di pena di
riprensione, di rinfrescamento di coscienzia e di paura e timore ne l’orribile aspetto loro.
Ora vedi quanto è differente, carissima figliuola, la pena della morte e la battaglia che
ricevono nella morte, quella del giusto da quella del peccatore, e quanto è differente il fine loro.
Una piccola, piccola particella te n’ho narrato e mostrato a l’occhio de l’intelletto tuo: ed è si piccola
per rispetto di quel che ella è, cioè della pena che riceve l’uno e del bene che riceve l’altro, che è
quasi non tavelle. Or vedi quanta è la ciechità dell’uomo, e spezialmente di questi miserabili, però
che tanto quanto hanno ricevuto piú da me e piú sonno illuminati della sancta Scriptura, piú sonno
obligati e ricevono piú intollerabile confusione. E perché piú cognobbero della sancta Scriptura
nella vita loro, piú cognoscono nella morte loro e’ grandi difecti che hanno commessi, e sonno
conlocati in maggiori tormenti che gli altri, si come e’ buoni sonno posti in maggiore excellenzia. A
costoro adiviene come del falso cristiano, che ne (294) l’inferno è posto in maggiore tormento che
uno pagano, perché esso ebbe il lume della fede e renunziò al lume della fede, e colui non l’ebbe.
Cosí questi miseri avaranno piú pena d’una medesima colpa che gli altri cristiani, per lo misterio che
Io lo’ diei dando lo’ a ministrare il Sole del sancto Sacramento, e perché ebbero el lume della
scienzia a potere discernere la veritá e per loro e per altrui, se essi avessero voluto. E però
giustamente ricevono maggiori pene.
Ma e’ miseri nol cognoscono; ché, se essi avessero punto di considerazione dello stato loro,
non verrebbero in tanti mali, ma sarebbero quel che debbono essere e non sonno. Anco tucto el
mondo è corrocto, facendo molto peggio essi che i secolari nel grado loro. Unde con le loro puzze
lordano la faccia de l’anime loro e corrompono e’ subditi e succhiano il sangue a la sposa mia, cioè
alla sancta Chiesa. Unde per li loro difecti essi la impalidiscono, cioè che l’amore e l’affetto della
carità, che debbono avere a questa sposa, l’hanno posto a loro medesimi, e non attendono ad altro
che a piluccarla e a trarne le prelazioni e le grandi rendite, dove essi debbono cercare anime. Unde
per la loro mala vita vengono e’ secolari ad inreverenzia e a disobbedienzia alla sancta Chiesa,
benché essi nol debbano fare. E non è scusato il difetto loro per lo difetto de’ ministri.
CXXXIII. Repetizione breve sopra molte cose gin dette, e come Dio in tutto vieta
che i sacerdoti non siano toccati per le mani de’ secolari, e come invita la
predetta anima a piangere sopra essi miseri sacerdoti.
— Molti difetti t’avarei a dire; ma non voglio piú apuzzare l’orecchie tue. Hotti narrato
questo per satisfare al desiderio tuo, e perché tu sia piú sollicita a offerire dolci, amorosi e amari
desidèri dinanzi a me per loro. E hotti contata della excellenzia nella quale Io gli ho posti, e del
tesoro che v’è ministrato per (295) le mani loro, cioè del sancto Sacramento tucto Dio e tutto uomo,
dandoti la similitudine del sole, acciò che tu vedessi che per li loro difecti non diminuisce la virtú di
questo Sacramento: e però non voglio che diminuisca la reverenzia verso di loro. E hotti mostrata la
excellenzia de’ virtuosi ministri miei, in cui riluceva la margarita delle’ virtú e della sancta giustizia.
E hotti mostrato quanto m’è spiacevole l’offesa che fanno e’ persecutori della sancta Chiesa, e la
inreverenzia che essi hanno al Sangue; però che, perseguitando loro, el reputo facto al Sangue e non
a loro, però che Io l’ho vetato che non tocchino e’ cristi miei.
Ora t’ho contiato della vitoperosa vita loro, e quanto miseramente vivono, e quanta pena e
confusione hanno nella morte, e quanto crudelmente, piú che gli altri, sonno cruciati doppo la
morte. Ora t’ho atenuto quel ch’ Io ti promissi, cioè di narrarti della vita loro alcuna cosa; e hotti
satisfacto di quel che mi dimandasti, volendo tu che Io t’actenessé quel che promesso t’aveva.
Ora ti dico da capo che, con tutti quanti e’ loro difetti, e se fussero ancora piú, Io non voglio
che neuno secolare s’impacci di punirli. E se essi el faranno, non rimarrà impunita la colpa loro, se
giá non la puniscono con la contrizione del cuore, ammendandosi de’ difetti loro. Ma l’uno e gli altri
sonno dimòni incarnati, e per divina giustizia l’uno dimonio punisce l’altro; e l’uno e l’altro offende.
El secolare non è scusato per lo peccato del prelato, né il prelato per lo peccato del secolare. Ora
invito te, carissima figliuola, e tutti gli altri servi miei a piagnere sopra questi morti, e a stare come
pecorelle nel giardino della sancta Chiesa a pascere per sancto desiderio e continue orazioni,
offerendole dinanzi a me per loro, però che Io voglio fare misericordia al mondo. E non vi ritraete
da questo pascere né per ingiuria né per alcuna prosperità, cioè che non voglio che alziate il capo né
per impazienzia né per disordinata allegrezza, ma umilmente attendete a l’onore di me e alla salute
de l’anime e alla reformazione della sancta Chiesa. E questo mi sarà segno che tu e gli altri m’amiate
in veritá. Tu sai bene che Io ti manifestai che volevo che tu e gli altri fuste pecorelle, (296) le quali
sempre pasceste nel giardino della sancta Chiesa, sostenendo con fadiga, infino a l’ultimo della
morte. E, cosí facendo, adempirò e’ desidèri tuoi.
CXXXIV.Come questa devota anima, laudando e ringraziando Dio, fa orazione
per la sancta Chiesa.
Alora quella anima, come ebbra, ansietata e affocata d’amore, ferito el cuore di molta
amaritudine, si vòlleva alla somma ed etterna bontá, dicendo: — O Dio etterno, o luce sopra ogni
altra luce, ché da te esce ogni luce! o fuoco sopra ogni fuoco, però che tu se’ solo quello fuoco che
ardi e non consumi; e consumi ogni peccato e amore proprio che trovassi ne l’anima; e non la
consumi afliiggitivamente, ma ingrassila d’amore insaziabile, però che, saziandola, non si sazia, ma
sempre ti desidera, e quanto piú t’ha piú ti cerca, e quanto piú ti desidera piú truova e gusta di te,
sommo ed etterno fuoco, abisso di caritá ! O sommo ed etterno Bene, chi t’ha mosso te, Dio infinito,
d’aluminare me, tua creatura finita, del lume della tua veritá? Tu, esso medesimo fuoco d’amore, ne
se’ cagione. Però che sempre l’amore è quello che ha costretto e costrigne te a crearci a la imagine e
similitudine tua, e a farci misericordia donando smisurate e infinite grazie alle tue creature che
hanno in loro ragione. O Bontà sopra ogni bontá ! tu solo se’ colui che se’ sommamente buono, e
nondimeno tu donasti el Verbo de l’unigenito tuo Figliuolo a conversare con noi, puzza e pieni di
tenebre. Di questo chi ne fu cagione? L’amore, però che ci amasti prima che noi fussimo. O buono,
o etterna grandezza, facestiti basso e piccolo per fare l’uomo grande. Da qualunque lato Io mi vòllo,
non truovo altro che abisso e fuoco della tua caritá.
E sarò io quella misera che possa restituire alle grazie e a l’affocata caritá che tu hai
mostrata, e mostri tanto affocato amore in particulare, oltre a la caritá comune e amore che (297) tu
mostri a le tue creature? No: ma solo tu, dolcissimo e amoroso Padre, sarai quello che sarai grato e
cognoscente per me, cioè che l’affetto della tua caritá medesima ti renderà grazie; però che io so’
colei che non so’. E se io dicesse alcuna cosa per me, io mentirei sopra el capo mio e sarei mendace
figliuola del dimonio, che è padre delle bugie. Però che tu se’ solo colui che se’; e l’essere e ogni
grazia, che hai posta sopra l’essere, ho da te, che mel desti e dài per amore e non per debito. O
dolcissimo Padre, quando l’umana generazione giaceva inferma per lo peccato di Adam, e tu le
mandasti el medico del dolce e amoroso Verbo, tuo Figliuolo. Ora, quando Io giacevo inferma della
infermità della negligenzia e di molta ignoranzia, e tu, soavissimo e dolcissimo medico, Dio etterno,
m’hai data una soave, dolce e amara medicina, acciò che io guarisca e mi levi da la mia infermità.
Soave m’è, però che con la soavità e caritá tua hai manifestato te a me: dolce sopra ogni dolce m’è,
però che hai illuminato l’occhio de l’intelletto mio col lume della sanctissima fede. Nel quale lume,
secondo che t’è piaciuto di manifestare, cognobbi la excellenzia e la grazia che hai data a l’umana
generazione, ministrando tutto Dio e tutto uomo nel corpo mistico della sancta Chiesa, e la dignità
de’ tuoi ministri, e’ quali hai posti che ministrino te a noi.
Io desideravo che tu satisfacessi a la promessa la quale facesti a me; e tu desti molto piú,
dando quello che io non sapevo adomandare. Unde io cognosco veramente in veritá che ‘l cuore
dell’uomo non sa tanto adimandare né desiderare quanto tu piú dài; e cosí veggo che tu se’ colui che
se’, infinito e etterno Bene, e noi siamo coloro che non siamo. E perché tu se’ infinito e noi finiti,
però dài tu quello che la tua creatura, che ha in sé ragione, non può né sa tanto desiderare: né per
quel modo che tu sai, puoi e vuogli satisfare a l’anima e saziarla di quelle cose che ella non
t’adimanda, né per quel modo tanto dolce e piacevole quanto tu le dài. E però ho ricevuto lume nella
grandezza e caritá tua per l’amore, che hai manifestato che tu hai a tutta l’umana generazione, e
singularmente agli unti tuoi, e’ quali debbono essere angeli terrestri in questa (298) vita. Mostrato
hai la virtú e beatitudine di questi tuoi unti, e’ quali sonno vissuti come lucerne ardenti con la
margarita della giustizia nella sancta Chiesa. E, per questo, meglio ho cognosciuto el difecto di
coloro che miserabilemente vivono. Unde ho conceputo grandissimo dolore de l’offesa tua e danno
di tucto quanto el mondo: perché fanno danno al mondo, essendo specchio di miseria, dove essi
debbono essere specchio di virtú. E perché tu a me, misera, cagione e strumento di molti difecti, hai
manifestate e lamentatoti delle iniquità loro, ho trovato dolore intollerabile.
Tu, amore inextimabile, l’hai manifestato dandomi la medicina dolce e amara, perché io mi
levi in tucto da la infermità della ignoranzia e negligenzia, e con sollicitudine e anxietato desiderio
ricorra a te, cognoscendo me e la bontá tua, e l’offese che sonno facte a te da ogni maniera di gente
e spezialmente da’ ministri tuoi, acciò che io distilli uno fiume di lagrime Sopra me miserabile,
traendole del cognoscimento della tua infinita bontá, e sopra questi morti, e’ quali tanto
miserabilmente vivono. Unde io non voglio, ineffabile fuoco e dileczione di carità, Padre etterno,
che ‘l desiderio mio si stanchi mai di desiderare il tuo onore e la salute de l’anime, e gli occhi miei
non si ristiano; ma dimandoti per grazia che sieno facti due fiumi d’acqua, che esca di te, mare
pacifico. Grazia, grazia sia a te, Padre, che, satisfacendo a me di quel che io ti dimandai e di quello
che io non cognoscevo e non ti dimandai, tu m’hai invitata, dandomi la materia del pianto, e
d’offerire dolci e amorosi e anxietati desidèri dinanzi da te con umile e continua orazione. Ora
t’adimando che tu facci misericordia al mondo e alla sancta Chiesa tua. Pregoti che tu adempia
quello che tu mi fai adimandare. Oimè, misera, dolorosa l’anima mia, cagione d’ogni male! Non
indugiare piú a fare misericordia al mondo: conscende e adempie il desiderio de’ servi tuoi. Oimè!
tu se’ colui che gli fai gridare: adunque ode la voce loro. La tua Verità disse che noi chiamassimo e
sarebbeci risposto, bussassimo e sarebbeci aperto, chiedessimo e sarebbeci dato. O Padre etterno, e’
servi tuoi chiamano a te misericordia: risponde lo’ (299) dunque. lo so bene che la misericordia t’è
propria, e però non la puoi stollere che tue non la dia a chi te l’adomanda. Essi bussano a la porta
della tua Verità, però che nella Verità tua, unigenito tuo Figliuolo, cognoscono l’amore ineffabile
che tu hai a l’uomo, si che bussano a la porta. Unde il fuoco della tua caritá non si debba né può
tenere che tu non apra a chi bussa con perseveranzia.
Adunque apre, diserra e spezza e’ cuori indurati delle tue creature: non per loro che non
bussano, ma fallo per la tua infinita bontá e per amore de’ servi tuoi, che bussano a te per loro. Dà
lo’, Padre etterno, ché vedi che stanno a la porta della Verità tua e chiegono. E che chiegono? il
Sangue di questa porta, Verità tua. E nel sangue tu hai lavate le iniquità, e tracta la marcia del
peccato d’Adam. El Sangue è nostro, però che ce n’hai facto bagno: noi puoi né vuogli disdire a chi
te l’adimanda in veritá. Dà’ dunque il fructo del Sangue a le tue . creature: pone nella bilancia el
prezzo del sangue del tuo Figliuolo, acciò che le dimonia infernali non ne portino le tue pecorelle.
Oli! tu se’ pastore buono, che ci desti el Pastore vero de l’unigenito tuo Figliuolo, el quale, per
l’obbedienzia tua, pose la vita per le tue pecorelle e del Sangue ci fece bagno. Questo è quel Sangue
che t’adimandano come affamati e’ servi tuoi a questa porta: per lo quale Sangue adimandano che tu
facci misericordia al mondo, e rifiorisca la sancta Chiesa di fiori odoriferi di buoni e sancti pastori,
e con l’odore spenga la puzza degl’iniqui fiori e putridi. Tu dicesti, Padre etterno, che per l’amore
che tu hai alle tue creature, che hanno in loro ragione, che con l’orazioni dei servi tuoi e col molto
loro sostenere fadighe senza colpa, faresti misericordia al mondo e riformaresti la Chiesa tua, e cosí
ci daresti refrigerio. Adunque non indugiare a vòllere l’occhio della tua misericordia, ma risponde,
però che vuoli rispondere prima che noi chiamiamo, con la voce della tua misericordia.
Apre la porta della tua inextimabile carità, la quale ci donasti per la porta del Verbo. Si, so io
che tu apri prima che noi bussiamo, però che con l’affecto e amore, che hai dato (300) a’ servi tuoi,
bussano e chiamano a te, cercando l’onore tuo e la salute de l’anime. Dona lo’ dunque il pane della
vita, cioè il fructo del sangue de l’unigenito tuo Figliuolo, el quale t’adimandiamo per gloria e loda
del nome tuo e per salute de l’anime. Però che piú gloria e loda pare che torni a te a salvare tante
creature, che a lassarle obstinate permanere nella durizia loro. A te, Padre etterno, ogni cosa è
possibile: poniamo che tu ci creasti senza noi, ma salvare senza noi questo non vuogli fare; ma
pregoti che sforzi la volontà loro e dispongali a volere quello che essi non vogliono. Questo
t’adimando per la tua infinita misericordia. Tu ci creasti di non cavelle; adunque, ora che noi siamo,
facci misericordia e rifa’ e’ vaselli che tu hai creati e formati a la imagine e similitudine tua.
Riformagli a grazia nella misericordia e nel sangue del tuo Figliuolo, Cristo dolce Iesú.
DE LA PROVIDENZIA
CXXXV. Qui comincia el tractato de la providenzia di Dio. E prima de la
providenzia in generale, cioè come providde creando l’uomo a la imagine e
similitudine sua. E come provide con la incarnazione del Figliuolo suo, essendo
serrata la porta del paradiso per lo peccato d’Adam. E come providde dandocisi
in cibo continuamente nell’altare.
Alora el sommo ed etterno Padre con benignità ineffabile voileva l’occhio della sua
clemenzia inverso di lei, quasi volendo mostrare che in tucte le cose la providenza sua non mancava
mai a l’uomo, pure che egli la voglia ricevere, manifestandolo con uno dolce lagnarsi dell’uomo in
questo modo, dicendo: — O carissima figliuola mia, si come in piú luoghi Io t’ho decto, Io voglio
fare misericordia al mondo e in ogni necessità provedere a la mia creatura che ha in sé ragione. Ma
lo ignorante uomo piglia in morte quello che lo do in vita, e cosí si fa crudele a se medesimo. Io
sempre proveggo; e si ti lo sapere che ciò che Io ho dato a l’uomo è somma providenzia. Unde con
providenzia el creai: quando raguardai in me medesimo, inamora’ mi della mia creatura; piacquemi
di crearla a la imagine e similitudine mia con molta providenzia. Unde providdi di darle la memoria
perché ritenesse i. benefizi miei, facendole participare della potenzia di me Padre etterno. Die’ le
l’intellecto acciò che nella sapienzia de l’unigenito mio Figliuolo ella intendesse e cognoscesse la
volontà di me Padre etterno, donatore delle grazie a lei con tanto fuoco d’amore. Die’ le la volontà
ad amare, participando la clemenzia dello Spirito sancto, acciò che potesse amare quello che lo
‘ntellecto vide e cognobbe.
Questo fece la dolce mia providenzia solo perché ella fusse capace ad intendere e gustare
me, e godere de l’etterna mia (304) bontá ne l’etterna mia visione. E, si come in molti luoghi Io t’ho
narrato, perché giognesse a questo fine, essendo serrato el cielo per la colpa d’Adam, il quale non
cognobbe la sua dignità, raguardando con quanta providenzia e amore ineffabile Io l’avevo creato;
unde, perché egli non la conobbe, pera cadde nella disobbedienzia, e dalla disobbedienzia a la
immondizia, con superbia e piacere feminile, volendo piú tosto conscendere e piacere a la
compagna sua (poniamo che non credesse però a lei quello che ella diceva), consenti piú tosto di
trapassare l’obbedienzia mia che contristarla; cosí per questa disobbedienzia vennero e sonno venuti
poi tucti quanti e’ mali; tucti contraeste di questo veleno (della quale disobbedienzia in uno altro
luogo ti narrarò come ella è pericolosa, ad commenda. zione de l’obbedienzia); unde, per tollere via
questa morte, Io providi a l’uomo dandovi el Verbo de l’unigenito mio Figliuolo con grande
prudenzia e providenzia per provedere a la vostra necessità. Dico « con prudenzia », però che con
l’esca della vostra umanità e l’amo della mia Deitá Io presi el dimonio, el quale non poté cognoscere
la mia Verità. La quale Verità, Verbo incarnato, venne a consumare e a distruggere la sua bugia con
la quale aveva ingannato l’uomo.
Si che usai grande providenzia e prudenzia. Pensa, carissima figliuola, che maggiore non la
poteva usare che darvi el Verbo de l’unigenito mio Figliuolo. A lui posi la grande obbedienzia per
trare il veleno, che per la disobbedienzia era caduto ne l’umana generazione. Unde egli, come
inamorato vero obbediente, corse a l’obrobriosa morte della sanctissima croce, e con la morte vi die’
la vita. None in virtú de l’umanità, ma in virtú della mia Deitá; la quale, per mia providenzia, unii
con la natura umana per satisfare a la colpa che era facta contra a me, Bene infinito, la quale
richiedeva satisfaczione infinita, cioè che la natura umana, che aveva offeso (che era finita), fusse
unita con cosa infinita, acciò che infinitamente satisfacesse a me infinito, e a la natura umana,
a`passati, a’ presenti e a’ futuri, e tanto quanto offendesse l’uomo, volendo ritornare a me nella vita
sua, trovasse perfecta satisfaczione. E però unii la natura divina con (305) natura umana, per la
quale unione avete ricevuta satisfaczione perfecta. Questo ha facto la mia providenzia: che, con
l’operazione finita (ché finita fu la pena della croce nel Verbo), avete ricevuto fructo infinito in virtú
della Deitá, come decto è.
Questa infinita ed etterna providenzia di me Dio, Padre vostro, Trinitá etterna, provide di
rivestire l’uomo. El quale, avendo perduto el vestimento della innocenzia e dinudato d’ogni virtú,
periva di fame e moriva di freddo in questa vita della perregrinazione. Soctoposto era ad ogni
miseria, serrata era la porta del cielo e perduta n’aveva ogni speranza; la quale speranza, se l’avesse
potuta pigliare, gli sarebbe stato uno refrigerio in questa vita. None l’aveva, e però stava in grande
affliczione. Ma Io, somma providenzia, providi a questa necessità: unde, non costrecto dalle vostre
giustizie né virtú, ma dalla mia bontá, vi diei el vestimento per mezzo di questo dolce e amoroso
Verbo unigenito mio Figliuolo. El quale, spogliando sé della vita, rivesti voi di innocenzia e di
grazia; la quale innocenzia e grazia ricevete nel sancto baptesmo in virtú del Sangue, lavando la
macchia del peccato originale, nel quale sète conceputi, contraendolo dal padre e dalla madre
vostra. E però la mia providenzia provide non con pena di corpo, si come era usanza nel Testamento
vecchio, quando erano circuncisi, ma con la dolcezza del sancto baptesmo.
Si che egli è rivestito. Anco l’ho scaldato, manifestandovi l’unigenito mio Figliuolo, per
l’apriture del Corpo suo, el fuoco della mia carità, el quale era velato sotto questa cennere de
l’umanità vostra. E non die questo riscaldare l’affreddato cuore de l’uomo, se egli non è giá
obstinato, aciecato dal proprio amore, che egli non si vegga amare da me tanto ineffabilemente? La
mia providenzia gli ha dato el cibo per confortarlo mentre che egli è perregrino e viandante in
questa vita, si come. in un altro luogo ti dixi. Facto ho indebilire i nemici suoi, che veruno gli può
nocere se non esso medesimo. La strada è battuta nel Sangue della mia Verità, acciò che possa
giognere al termine suo, a quello fine per lo quale Io el creai. E che cibo è questo? Si come in un
altro luogo lo ti narrai, è il Corpo (306) e ‘l Sangue di Cristo crocifixo tucto Dio e tucto uomo, cibo
degli angeli e cibo di vita. Cibo che sazia ogni affamato che di questo pane si dilecta, ma none colui
che non ha fame; però che egli è uno cibo che vuole essere preso con la bocca del sancto desiderio e
gustato per amore. Si che vedi che la mia providenzia ha proveduto di darli conforto.
CXXXVI. Come Dio providde dando la speranza ne le sue creature. E come chi
piú perfectamente spera, piú perfectamente gusta la providenzia sua.
— Anco gli ho dato el refrigerio della speranza, se col lume della sanctissima fede raguarda
el prezzo del Sangue che è pagato per lui, el quale gli dá ferma speranza e certezza della salute sua.
Negli obrobri di Cristo crocifixo gli è renduto l’onore; ché se con tucte le membra del corpo suo egli
offende me, e Cristo benedecto, dolcissimo mio Figliuolo, in tucto el Corpo suo ha sostenuti
grandissimi tormenti, e con la sua obbedienzia ha levata la vostra disobbedienzia. Dalla quale
obbedienzia tucti avete contracto la grazia, si come per la disobbedienzia tucti contraeste la colpa.
Questo v’ha conceduto la mia providenzia, la quale, dal principio del mondo infino al di
d’oggi, ha proveduto e provederà, infino a l’ultimo, a la necessità e salute dell’uomo in molti e
diversi modi (secondo che Io, giusto e vero medico, veggo che vi bisogna a le vostre infermità),
secondo che n’ha bisogno per renderli sanità perfecta o per conservarlo nella sanità. La mia
providenzia non mancarà mai, a chi la vorrà ricevere, in quegli che perfectamente sperano in me. E
chi spera in me, bussa e chiama in veritá, non solamente con la parola, ma con affetto e col lume
della sanctissima fede, gustaranno me nella providenzia mia; ma non coloro che solamente bussano
e suonano col suono della parola, chiamandomi: — Signore, Signore! — Dicoti che, se essi con
altra virtú non m’adimandano, non saranno (307) conosciuti da me per misericordia, ma per
giustizia. Si che lo ti dico che la mia providenzia non mancarà a chi in veritá spera in me, ma in chi
si dispera di me e spera in sé.
Sai che speranza in due cose contrarie non si può ponere. Questo volse dire a voi la mia
Verità nel sancto Evangelio, quando dixe: «Veruno può servire a due signori»; ché, se serve a l’uno,
è incontempto a l’altro. Servire non è senza speranza, però che ‘l servo, che serve, serve con
esperanza che ha nel prezzo e utilitá che se ne vede trare, o con esperanza che egli ha di piacere al
signore suo. Onde al nemico del suo signore punto non servirebbe; el quale servizio fare non
potrebbe senza alcuna speranza. Onde, servendo e sperando, si vederebbe privare di quello che
aspectava dal signore suo. Or cosí pensa, carissima figliuola, che adiviene a l’anima: o egli si
conviene che ella serva e speri in me, o serva e speri nel mondo e in se medesima: però che tanto
serve al mondo, Cuore di me, di servizio sensuale, quanto serve e ama la propria sensualità; del
quale amore e servizio spera d’avere dilecto, piacere e utilitá sensitiva. Ma, perché la speranza sua è
posta in cosa finita, vana e transitoria, però gli viene meno, e non giogne in effecto di quel che
desiderava. Mentre che egli spera in sé e nel mondo, none spera in me: perché ‘l mondo, cioè i
desidèri mondani dell’uomo sono a me in odio, e in tanta abominazione mi furono che Io diei
l’unigenito mio Figliuolo a l’obrobriosa morte della croce; onde il mondo non ha conformità meco,
né Io con lui. Ma l’anima, che perfectamente spera in me e serve con tucto el cuore e con tucto
l’affecto suo, subbito per necessità, per la cagione decta, si conviene che si disperi di sé e del
mondo, di speranza posta con propria fragilità.
Questa vera e perfecta speranza è meno e piú perfecta, secondo la perfeczione de l’amore
che l’anima ha in me. E cosí, perfecta e imperfecta, gusta della providenzia mia: piú perfettamente
la gustano e la ricevono quegli che servono e sperano di piacere solamente a me, che quegli che
servono con esperanza del fructo e per dilecto che trovassero in me. Questi primi sonno quegli che,
ne l’ultimo stato de l’anima, Io ti narrai della (308) loro perfeczione. E questi, che Io ora ti conto,
sonno e’ secondi e i terzi, che vanno con esperanza del diletto e del fructo, e sonno quegli imperfecti
de’ quali Io ti contai narrandoti degli stati de l’anima.
Ma, in veruno modo, a’ perfetti e agli imperfecti non mancarà la mia providenzia, purché
l’uomo non presummi né speri in sé. El quale presummere e sperare in sé, perché esce da l’amore
proprio, obfusca l’occhio de l’intelletto, .traendone el lume della sanctissima fede. Unde non va con
lume di ragione, e però non cognosce la mia providenzia, non che egli non ne pruovi. Però che
neuno è, né giusto né peccatore, che non sia proveduto da me, perché ogni cosa è facta e creata da la
mia bontá, però che Io so’ Colui che so’, e senza me veruna cosa è facta, se non solo el peccato che
non è. Si che essi ricevono bene della mia providenzia, ma non la intendono, perché non la
cognoscono: non’cognoscendola, non l’amano: e però non ne ricevono fructo di grazia. Ogni cosa
veggono torta, dove ogni cosa è dricta. E, si come ciechi, ogni cosa vegono in tenebre, e la tenebre
in luce, perché hanno posta la speranza e il servizio loro nella tenebre, unde caggiono in
mormorazione e vengono ad impazienzia.
E come sonno tanto macti? Doh, carissima figliuola, come possono essi credere che Io,
somma ed etterna bontá, possa volere altro che il loro bene nelle cose piccole che tucto di Io
permecto per salute loro, quando pruovano che Io non voglio altro che la loro sanctificazione nelle
cose grandi? Ché, con tucta la loro ciechità, non possono fare che almeno con uno poco di lume
naturale non veggano la bontá mia e il benefizio della mia providenzia, la quale truovano (e non la
possono dinegare) nella prima creazione e nella ricreazione che ha ricevuto l’uomo nel Sangue,
ricreandolo a grazia, si come detto t’ho. Questa è cosa si chiara e manifesta che non possono dire di
no. Poi mancano e vengono meno a l’ombra loro, perché questo lume naturale non è stato exercitato
in virtú. El macto uomo non vede che di tempo in tempo Io ho proveduto generalmente al mondo, e
in particulare a ogniuno secondo el suo (309) Stato. E perché veruno è che in questa vita stia fermo,
ma sempre si muta di tempo in tempo insino che egli è gionto a lo stato suo fermo, sempre il
provego di quel che gli bisogna nel tempo che egli è.
CXXXVII. Come Dio provide nel Testamento vecchio con la legge e co’ profeti; e
poi con mandare el Verbo; poi con gli apostoli, co’ martiri e con gli altri sancti
uomini. Come nulla adiviene a le creature, che tucto non sia providenzia di Dio.
— Generalmente Io providi con la legge, che Io diei a Moisé nel Testamento vecchio, e con
molti altri sancti profeti. Anco ti fo sapere che, innanzi l’avenimento del Verbo mio Figliuolo, poco
stecte il popolo giudaico senza profeta, per confortare il popolo con le profezie, dando lo’ speranza
che la mia Verità, profeta de’ profeti, li traesse della servitú e facesseli liberi e diserrasse lo’ el cielo
col sangue suo, che tanto tempo era stato serrato. Ma, poi che venne il dolce e amoroso Verbo,
neuno profeta si levò tra loro: per certificarli che quello, che egli aspettavano, l’avevano avuto, unde
non bisognava che piú profeti l’annunziassero: benché essi nol cognobbero né cognoscono per la
ciechità loro. Doppo costoro, providi venendo el Verbo, si come decto è, il quale fu vostro
tramezzatore tra me, Dio etterno, e voi. Doppo lui, gli appostoli, martiri, doctori e confessori, si
come in un altro luogo Io ti dixi. Ogni cosa ha facto la mia providenzia, e cosi ti dico che infino a
l’ultimo provederà. Questa è generale, data a ogni creatura che ha in sé ragione, che di questa
providenzia vorrà ricevere el frutto. In particulare lo’ do ogni cosa per mia providenzia: e vita e
morte (per qualunque modo lo la dia), fame, sete, perdimento di stato nel mondo, nudità, freddo,
caldo, ingiurie, scherni e villanie. Tucte queste cose permetto che lo’ siano facte o decte dagli
uomini. Non che lo faccia la malizia della mala volontà di colui che fa el male e la ingiuria, ma el
tempo e l’essere che egli ha avuto da (310) me. El quale essere gli dici non perché offendesse me né
il prossimo suo, ma perché servisse me e lui con dileczione di caritá. Unde Io permecto quello acto
o per provare la virtú della pazienzia in quella anima di colui che riceve, o per farlo ricognoscere.
Alcuna volta permectarò che al giusto tucto el mondo gli sarà contrario, e ne l’ultimo farà
morte la quale darà grande admirazione agli uomini del mondo. Parrà a loro una cosa ingiusta di
vedere perire uno giusto quando in acqua, quando in fuoco, quando strangolato da l’animale e
quando per cadimento di casa sopra di lui, nel quale perderà la vita corporale. Oh, quanto paiono
fuore di modo queste cose a quello occhio che non v’è dentro el lume della sanctissima fede! Ma
none al fedele: però che’l fedele ha trovato e gustato, per affecto d’amore, nelle cose grandi
sopradecte la mia providenzia; e cosí vede e tiene che con providenzia Io fo ciò ch’ Io fo, solo per
procurare a la salute dell’uomo. E però ha ogni cosa in reverenzia: non si scandalizza in sé, né ne
l’operazioni mie, né nel proximo suo; ma ogni cosa trapassa con vera pazienzia. La providenzia mia
non è tolta a veruna creatura, perché tucte le cose sonno condite con essa. Alcuna volta parrà a
l’uomo, o grandine o tempesta o saetta che Io mandi sopra el corpo della creatura, che ella sia
crudeltá, quasi giudicando che Io non abbi proveduto a la salute di colui. E Io l’ho facto per
camparlo della morte etternale; ed egli tiene il contrario. E cosí gli uomini del mondo in ogni cosa
vogliono contaminare le mie operazioni e intenderle secondo el loro basso intendimento.
CXXXVIII. Come ciò che Dio ci permecte è solamente per nostro bene e per
nostra salute. E come sono ciechi e ingannati quelli che giudicano el contrario.
— E voglio che tu vegga, dilectissima figliuola, con quanta pazienzia a me conviene portare
le mie creature, le quali Io ho create, come decto è, a la imagine e similitudine mia con tanta (311)
dolcezza d’amore. Apre l’occhio de l’intelletto e raguarda in me; e ponendoti Io uno caso particulare
avenuto, del quale se ben ti ricorda, tu mi pregasti ch’ Io provedesse, e io providi, si come tu sai, che
senza pericolo di morte riebbe lo stato suo. E come egli è questo particulare, cosí è generalmente in
ogni cosa. —
Alora quella anima, aprendo l’occhio de l’intellecto col lume della sanctissima fede nella
divina sua maestà con anxietato desiderio (perché per le parole decte piú conosceva della sua veritá
nella dolce providenzia sua) per obbedire al comandamento suo, specolandosi ne l’abisso della sua
carità, vedeva come egli era somma e etterna Bontà, e come per solo amore ci aveva creati e
ricomprati del sangue del suo Figliuolo, e che con questo amore medesimo dava ciò che egli dava e
permecteva: tribulazioni e consolazioni; ogni cosa era dato per amore e per provedere a la salute de
l’uomo, e non per verun altro fine.
El Sangue sparto con tanto fuoco d’amore vedeva che manifestava che questa era la veritá.
Alora diceva el sommo ed etterno Padre: — Questi sono come aciecati per lo proprio amore che
hanno di loro medesimi, scandalizzandosi con molta impazienzia. Io ti parlo ora in particulare e in
generale, ripigliando quel ch’ Io dicevo. Essi giudicano in male, in loro danno, in ruina e in odio
quello che Io fo per amore e per loro bene, per privarli dalle pene etternali, per guadagno e per dar
lo’ vita etterna. E perché dunque si lagnano di me? perché none sperano in me, ma in loro
medesimi; e giá t’ho decto che per questo vengono a tenebre, si che non cognoscono. Unde odiano
quel che debbono avere in reverenzia, e, come superbi, vogliono giudicare gli occulti miei giudizi,
e’ quali sonno tucti dricti. Ma essi fanno come il cieco, che col tacto della mano, o alcuna volta col
sapore del gusto, e quando col suono della voce, vorrà giudicare in bene e in male, secondo el suo
basso, infermo e picciolo sapere. E non si vorranno actenere a me, che so’ vero lume e so’ Colui che
gli nutrico spiritualmente e corporalmente, e senza me veruna cosa possono avere. E se alcuna volta
sonno serviti da la creatura, Io so’ Colui che l’ho data la volontà, l’aptitudine, el sapere, el potere a
poterlo fare. Ma, come macto, (312) egli andare vuole col sentimento della malto, che è ingannata
nel suo toccare perché non ha lume per discernere il colore: e cosí el gusto s’inganna, perché non
vede l’animale immondo che si pone alcuna volta in sul cibo; l’orecchia è ingannata nel diletto del
suono, perché non vede colui che canta; se non si guardasse da lui, per lo diletto egli li può dare la
morte.
Cosí fanno costoro e’ quagli, come aciecati, perduto el lume della ragione, toccano con la
mano del sentimento sensitivo. E’ diletti del mondo lo’ paiono buoni; ma, perché essi non veggono,
non si guardano che egli è uno panno meschiato di molte spine, con molta miseria e grandi affanni,
in tanto che il cuore, che le possiede fuore di me, è incomportabile a se medesimo. Cosí la bocca del
desiderio, che disordinatamente l’ama, gli paiono dolci e soavi a prendere, ed egli v’è su l’animale
immondo di molti peccati mortali, e’ quali fanno immonda l’anima e dilonganla dalla similitudine
mia e tolgonla della vita della grazia. Unde, se egli non va col lume della sanctissima fede a
purificarla nel Sangue, n’ha morte etternale. L’udire è l’amore proprio di sé, che gli pare che facci
uno dolce suono. Perché gli pare? perché l’anima corre dietro a l’amore della propria. sensualità; ma,
perché non vede, è ingannato dal suono, e, perché gli andò dietro con disordinato diletto, truovasi
condotto nella fossa, legato col legame della colpa, menato nelle mani de’ nemici suoi, però che,
come aciecato dal proprio amore e confidanza che hanno posta a loro medesimi e al loro proprio
sapere, non s’attengono a me, che so’ guida e via loro.
Fatta v’è questa via dal Verbo mio Figliuolo, el quale dixe che era « via, veritá e vita », ed è
lume. Unde chi va per lui non può essere ingannato né andare in tenebre; e neuno può venire a me
se non per lui, perché egli è una cosa con meco; e giá ti dixi che Io ve n’avevo facto ponte, acciò che
tutti poteste venire al termine vostro. E nondimeno, con tutto questo, non si fidano di me, che non
voglio altro che la loro sanctificazione. Per questo fine, e con grande amore lo’ do e permetto ogni
cosa, ed essi sempre si scandalizzano in me; e Io con pazienzia gli porto e gli sostengo, perché Io gli
amai senza essere (313) amato da loro. Ed essi sempre mi perseguitano con molta impazienzia, odio
e mormorazioni e con molta infedelità, volendosi ponere ad investigare, secondo el loro cieco
vedere, gli occulti miei giudici, e’ quali sonno fatti tucti giustamente e per amore. E non cognoscono
ancora loro medesimi, e però vegono falsamente, però che chi non cognosce se medesimo non può
cognoscere me né le giustizie mie in veritá.
CXXXIX. Come Dio providde in alcuno caso particulare a la salute di quella
anima ad cui adivenne el caso.
— Vuogli ti mostri, figliuola, quanto el mondo è ingannato de’ misteri miei? Or apre l’occhio de l’
intelletto, e raguarda in me; e, mirando, vedrai nel caso particulare del quale lo ti dixi che ti narrarei.
E come egli è questo, cosí generalmente ti potrei contare degli altri. —
Alora quella anima, per obbedire al sommo etterno Padre, raguardava in lui con ansietato
desiderio. Alora Dio etterno dimostrava la dannazione di colui per cui era adivenuto el caso,
dicendo: — Io voglio che tu sappia che, per camparlo di questa etternrna dannazione nella quale tu
vedi che egli era, lo permissi questo caso, acciò che col sangue suo nel Sangue della mia Verità
unigenito mio Figliuolo avesse vita. Però che non avevo dimenticato la reverenzia e amore che egli
aveva a la dolcissima madre, Maria, dell’unigenito mio Figliuolo. A la quale è dato questo, per
reverenzia del Verbo, da la mia bontá: cioè che qualunque sarà colui, o giusto o peccatore, che
l’abbi in debita reverenzia, non sarà tolto né devorato dal demonio infernale. Ella è come una esca
posta da la mia bontá a pigliare le creature che hanno in loro ragione. Si che per misericordia ho
facto quello, cioè permessolo, none (acta la mala volontà degl’ iniqui, che gli uomini tengono
crudeltá. E tutto questo l’adiviene per l’amore proprio di loro medesimi, che l’ha tolto (314) el lume,
e però non cognoscono la veritá mia. Ma, se essi si volessero levare la nuvila, la cognoscerebbero e
amarebbero, e cosí avarebbero ogni cosa in reverenzia, e nel tempo della ricolta riceverebbero el
frutto delle loro fadighe. Ma non dubbitare, figliuola mia, ché di quello che tu mi preghi Io
adempirò e’ desidèri tuoi e de’ servi miei. Io so’ lo Dio vostro remuneratore d’ogni fadiga e
adempitore de’ sancti desidèri, purché Io trovasse chi in veritá bussasse a la porta de la mia
misericordia con lume, acciò che non errassero né mancassero in speranza della mia providenzia.
CXL. Qui, narrando Dio la providenzia sua verso de le sue creature in diversi
altri modi, si lagna de la infedelità d’esse sue creature. Ed exponendo una figura
del vecchio Testamento, dá una utile doctrina.
— Hotti narrato di questo caso particulare: ora ti ritorno al generale. Tu non potresti mai
vedere quanta è la ignoranzia dell’uomo. Egli è senza veruno senno o cognoscimento, avendoselo
tolto per sperare in sé e confidarsi nel suo proprio sapere. O stolto uomo, e non vedi tu che il sapere
tuo tu non l’hai da te, ma la mia bontá, che provide al tuo bisogno, te l’ha dato? Chi tel mostra? Quel
che tu in te medesimo pruovi: che tale ora vuoli tu fare una cosa, che tu non la puoi fare né saprai
fare. Alcuna volta non avarai el tempo, e, se avarai el tempo, ti mancarti el volere. Tucto questo t’è
dato da me per provedere a la salute tua, perché tu cognosca te non essere e abbi materia d’umiliarti
e non d’insuperbire. Unde in ogni cosa truovi mutazione e privazione, però che non stanno in tua
libertà: solo la grazia mia è quella che è ferma e stabile, che non ti può essere tolta né mutata , (cioè
di farti partire da essa grazia e tornare a la colpa), se tu medesimo non te la muti.
Dunque, come puoi levare il capo contra la mia bontá? Non puoi, se tu vuoli seguitare la
ragione, né puoi sperare in te (315) né confidarti del tuo sapere. Ma, perché se’ facto animale senza
ragione, non vedi che ogni cosa si muta, excepto la grazia mia. E perché non ti confidi di me, che
so’ el tuo Creatore? perché ti confidi in te. E non so’ Io fedele e leale a te? Certo si: e questo non t’ è
nascosto, però che continuamente l’hai per pruova.
O dolcissima e carissima figliuola, l’uomo non fu leale né fedele a me, trapassando
l’obbedienzia che Io gli avevo imposta, per la quale cadde nella morte. E Io fui fedele a lui,
attenendoli quello per che lo l’avevo creato, volendogli dare il sommo ed etterno Bene. E, per
compire questa mia veritá, unii la Deitá mia, somma altezza, con la bassezza della sua umanità,
essendo ricomprato e restituito a grazia col mezzo del sangue de l’unigenito mio Figliuolo. Si che
egli l’ha provato. Ma e’ pare che essi non credano che Io sia potente a poterli sovenire, forte a poterli
aitare e difendere da’ nemici loro, e sapiente per illuminarli l’occhio de l’intelletto loro, né che Io
abbi clemenzia a voler lo’ dare quello che è di necessità a la salute loro, né sia ricco per poterli
aricchire, né sia bello per poter lo’ dare bellezza, né abbi cibo per dar lo’ mangiare, né vestimento
per rivestirli. L’operazioni loro mi manifestano che essi nol credono: però che, se il credessero in
veritá, sarebbe con opera di sancte e buone operazioni.
E nondimeno essi pruovano continuamente che Io so’ forte, perché li conservo ne l’essere e
difendoli da’ nemici loro. E veggono che neuno può ricalcitrare contra la potenzia e fortezza mia;
ma essi nol veggono, ché nol vogliono vedere. Con la mia sapienza Io ho ordinato e governo tucto
quanto el mondo con tanto ordine, che veruna cosa vi manca e veruno ci può apponere. Ne l’anima e
nel corpo, in tucto ho proveduto; non costretto a farlo da la volontà vostra, però che voi non eravate,
ma solo da la mia clemenzia, costrecto da me medesimo, facendo el cielo e la terra e il mare e il
fermamento; cioè il cielo, perché si movesse sopra di voi; l’acre, perché respiraste; el fuoco e
l’acqua, per temperare contrario con contrario; el sole, perché non steste in tenebre; tucti facti e
ordinati, perché sovenganO a la necessità dell’uomo. El cielo adornato degli (316) ucelli ; la terra
germina e’ fructi, con molti animali, per la vita dell’uomo; ci mare, adornato di pesci. Ogni cosa ho
facto con grandissimo ordine e providenzia.
Poi che Io ebbi facta ogni cosa buona e perfecta, Io creai la creatura razionale a la imagine e
similitudine mia, e missila in questo giardino. El quale giardino, per lo peccato di Adam, germinoe
spine, dove in prima ci erano fiori odoriferi di innocenzia e di grandissima soavità. Ogni cosa era
obbediente a l’uomo; ma, per la colpa e disobbedienzia commessa, trovò ribellione in sé e in tucte le
creature. Insalvatichi ci mondo e l’uomo, ci quale uomo è un altro mondo. Ma io providi che,
mandando nel mondo la mia Verità, Verbo incarnato, gli tolse il salvaticume, trassene le spine del
peccato originale e fecilo uno giardino inaffiato del sangue di Cristo crocifixo, piantandovi le piante
de’ septe doni dello Spirito sancto e traendone il peccato mortale. E questo fu doppo la morte de
l’unigenito mio Figliuolo, ché inanzi no.
Si come fu figurato nel vecchio Testamento, quando fu pregato Eliseo che risuscitasse quel
giovano che era morto. Eliseo non andò, ma mandò Giezzi col bastone suo, dicendo che egli ci
ponesse sopra’l dosso del garzone. Andando Giezzi e facendo quello che Eliseo gli disse, non ci
risuscitò però. Vedendo Eliseo che egli non era risuscitato, andò egli con la propria persona e
conformarsi tucto col garzone con tucte le membra sue, e spirò aciando septe volte nella bocca sua.
E il garzone respirò septe volte, in segno che egli era resuscitato. Questo fu figurato per Moisé, che
lo mandai col bastone della legge sopra ci morto de l’umana generazione, ci quale per questa legge
non aveva vita. Mandai ci Verbo de l’unigenito mio Figliuolo (ci quale fu figurato per Eliseo), che si
conformò con questo figliuolo morto, per l’unione della natura divina unita con la natura vostra
umana. Con tucte le membra si uni questa natura divina, cioè con la potenzia mia, con la sapienzia
del mio Figliuolo e con la clemenzia dello Spirito sancto, tucto me, Dio, abisso di Trinitá,
conformato e unito con la natura vostra umana.
Doppo questa unione fece l’altra il dolce e amoroso Verbo, correndo come inamorato a
l’obrobriosa morte della croce. In, si distese. E doppo questa unione donò e’ septe doni dello Spirito
sancto a questo figliuolo morto, aciando nella bocca del desiderio de l’anima, tollendole la morte nel
sancto baptesmo. Egli spira in segno che egli ha vita, gittando fuore di sé e’ septe peccati mortali. Si
che egli è facto giardino adornato di dolci e soavi fructi. È vero che l’ortolano di questo giardino,
cioè il libero arbitrio, ci può insalvatichire e dimesticare secondo che li piace. Se egli ci semina il
veleno de l’amore proprio di sé, unde nascono e’ septe principali peccati e tucti gli altri che
procedono da questi, esso facto ne caccia e’ septe doni dello Spirito sancto e privasi d’ogni virtú. Ine
non è fortezza, ché egli è indebilito; non v’è temperanzia né prudenzia, ché egli ha perduto ci lume
col quale usava la ragione; non v’è fede né speranza né giustizia, però che egli è facto ingiusto,
spera in sé e crede con fede morta a se medesimo, fidasi delle creature e non di me suo Creatore;
non v’è caritá né pietà veruna, perché se l’ha tolta con l’amore della propria fragilità: è facto crudele
a sé, unde non può essere pietoso al proximo suo. Privato è d’ogni bene e caduto in sommo male. E
unde riavarà la vita? da questo medesimo Eliseo, Verbo incarnato, unigenito mio Figliuolo. In che
modo? che questo ortolano divella queste spine della colpa con odio (ché, se non si odiasse, non ne
le trarrebbe mai), e con amore corra a conformarsi con la doctrina della mia Verità, innaffiandola
col Sangue. El quale Sangue gli è gictato sopra ci capo suo dal ministro, andando a la confessione
con contrizione di cuore e dispiacimento della colpa, e con satisfaczione e con proponimento dl
none offendere piú.
Per questo modo può dimesticare questo giardino de l’anima mentre che vive: ché, passata
questa vita, non ha piú rimedio veruno, si come in piú altri luoghi Io t’ho narrato.
CXLI. Come Dio provede verso di noi, che noi siamo tribolati per la nostra
salute. E de la miseria di quelli che si confidano in sé e non ne la providenzia
sua. E de la excellenzia di quelli che si confidano in essa providenzia.
— Vedi dunque che con la mia providenzia lo raconciai el secondo mondo de l’uomo. Al
primo non fu tolto, che non germinasse spine di molte tribolazioni e che in ogni cosa l’uomo non
trovasse ribellione. Questo non è facto senza providenzia né senza vostro bene, ma con molta
providenzia e vostra utilitá, per tòllere la speranza del mondo all’uomo e farlo córrire e dirizzare a
me che so’ suo fine, si che almeno, per importunità di molestie, egli ne levi el cuore e l’affecto suo.
E tanto ignorante è l’uomo a non cognoscere la veritá, ed è tanto fragile a dilatarsi nel mondo, che,
con tucte queste fadighe e spine che egli ci truova, non pare che egli se ne voglia levare, né curi di
tornare a la patria sua. Or sappi dunque, figliuola, quel che farebbe se nel mondo trovasse perfecto
dilecto e riposo senza veruna pena.
E però con providenzia lo’ permecto e do che ‘l mondo lo’ germini le molte tribulazioni : e
per provare in loro la virtú, e della pena, forza e violenzia che fanno a loro medesimi abbi di che
remunerarli. Si che in ogni cosa ha ordinato e proveduto con grande sapienzia la providenzia mia.
Ho lo’ dato, si come decto è, perché lo so’ ricco e potevolo e posso dare, e la ricchezza mia è
infinita; anco ogni cosa è facta da me, e senza me veruna cosa può essere. Unde, se esso vuole
bellezza, lo so’ bellezza; se vuole bontá, Io so’ bontá, perché so’ sommamente buono; Io so’
sapienzia; Io benigno, Io giusto e misericordioso Dio; Io largo e none avaro; Io so’ Colui che do a
chi m’adimanda, apro a chi bussa in veritá e rispondo a chi mi chiama. Non so’ ingrato, ma grato e
conoscente a remunerare chi per me s’afadigarà, cioè per gloria e loda del nome (319) mio. Io so’
giocondo, che tengo l’anima, che si veste della mia volontà, in sommo dilecto. Io so’ quella somma
providenzia, che non manco mai a’ servi miei, che sperano in me, né ne l’anima né nel. corpo.
E come può credere l’uomo, che mi vede pascere e nutricare il vermine intro el legno secco,
pascere gli animali bruti e i pesci del mare, tucti gli animali della terra e gli ucelli de l’aria; sopra le
piante mando el sole e la rugiada che ingrassi la terra: e non crederà che Io nutrichi lui, el quale è
mia creatura, creata a l’ imagine e similitudine mia? Conciossiacosaché tucto questo è facto da la
mia bontá in servizio suo. Da qualunque lato egli si vòlle, e spiritualmente e temporalmente, non
truova altro che ‘l fuoco e l’abisso della mia caritá con maxima, dolce e perfecta providenzia. Ma
egli non vede, perché s’ha tolto el lume e non si dá a vederlo, e però si scandelizza. Ristrigne la
caritá verso el proximo suo, e con avarizia pensa el di di domane: el quale li fu vetato da la mia
Verità, dicendo: « Non voliate pensare del di di domane; basti al di la sollicitudine sua »,
riprendendovi della vostra infedelità e mostrandovi la mia providenzia e la brevità del tempo,
dicendo: « Non voliate pensare il di di domane ». Quasi dica la mia Verità: — Non pensate di
quello che non sète sicuri d’avere; basta il presente di. — E insegnavi a dimandare prima el regno
del cielo (cioè la buona e sancta vita), ché di queste cose minime ben so Io, Padre vostro di cielo,
che elle vi bisognano, e però l’ho facte e comandato a la terra che vi doni de’ fructi suoi.
Questo miserabile, perché la sconfidenzia sua ha ristrecto el cuore e le mani nella caritá del
prossimo, non ha lecta questa doctrina che gli ha data el Verbo mia Verità. Perché non séguita le
vestigie sue, esso diventa incomportabile a se medesimo; èscene, di questo fidarsi in sé e none
sperare in me, ogni male: essi si fanno giudici della volontà degli uomini, non veggono che Io gli ho
a giudicare: Io e non eglino. La volontà mia non intendono né giudicano in bene, se non quando si
veggono alcuna prosperità, dilecto o piacer del mondo. E, venendo lo’ meno questo, perché l’affecto
loro con esperanza era tucto posto (320) ine, non lo’ pare sentire né ricevere né providenzia mia né
bontá veruna: par lo’ essere privati d’ogni bene., E, perché sonno aciecati dalla propria passione, non
vi cognoscono la ricchezza che v’è dentro, né il frutto della vera pazienzia: anco ne tragono morte, e
gustano in questa vita l’arra de l’inferno. E Io, con tutto questo, non lasso per la mia bontá che lo
non lo’ provegga. Cosí, comando a la terra che dia de’ frutti al peccatore come al giusto, e cosí
mando el sole e la piova sopra el campo suo come sopra quello del giusto, e piú n’avarà spesse volte
il peccatore che ‘l giusto.
Questo fa la mia bontá per dare piú a pieno delle ricchezze spirituali ne l’anima del giusto
che per mio amore s’è spogliato delle temporali, renunziando al mondo, con tutte le sue delizie, e a
la propria volontà. Questi sonno quegli che ingrassano l’anima loro, dilatandosi ne l’abisso della mia
carità: pèrdono in tutto la cura di loro medesimi, che non tanto delle mondane ricchezze, ma di loro
non possono avere cura. Alora , Io so’ facto el loro governatore spiritualmente e temporalmente: uso
una providenzia particulare, oltre a la generale; ché la clemenzia mia, Spirito sancto, se lo’ fa servo
che gli serve. Questo sai, se ben ti ricorda d’avere letto nella vita de’ sancoi padri, che, essendo
infermato quello solitario, sanctissimo uomo che tutto aveva lassato sé per gloria e loda del nome
mio, la clemenzia mia providde e mandò ulto angelo perché ‘l governasse e provedesse a la sua
necessità. El corpo era sovenuto nel suo bisogno, e l’anima stava in admirabile allegrezza e dolcezza
per la conversazione de l’angelo.
Lo Spirito sancto gli è madre che ‘l nutrica al petto della divina mia caritá. Egli l’ha facto
libero, si come signore, tollendoli la servitudine de l’amore proprio; ché dove è il fuoco della mia
caritá non vi può essere l’acqua di questo amore, che spegne questo dolce fuoco ne l’anima. Questo
servidore dello Spirito sancto, che io l’ho dato per mia providenzia, la veste, nutrica e inebbria di
dolcezza e dalle somma ricchezza. Perché tutto lassoe, tutto truova; perché si spogliò tutto di sé, si
truova vestito di me; fecesi in tutto servo per umilità, e però è facto (321) signore signoreggiando el
mondo e la propria sensualità. Perché tutto s’aciecò nel suo vedere, sta in perfectissimo lume:
disperandosi di sé, è coronato di fede viva e di perfetta e compíta speranza; gusta vita etterna,
privato d’ogni pena e amaritudine afiiiggitiva. Ogni cosa giudica in bene, perché in tutte giudica la
volontà mia, quale vide col lume della fede che Io non volevo altro che la sua sanctificazione, e
però è facto paziente.
Oh, quanto è beata questa anima, la quale, essendo anco nel corpo mortale, gusta il bene
immortale! Ogni cosa ha in reverenzia; tanto gli pesa la mano manca quanto la ritta, tanto la
tribolazione quantó la consolazione; tanto la fame e la sete quanto el mangiare e il bere, tanto el
freddo, el caldo e la nudità quanto el vestimento, tanto la vita quanto la morte, tanto l’onore quanto
el vitoperio e tanto l’afliczione quanto la recreazione. In ogni cosa sta solido, fermo e stabile, perché
è fondato sopra la viva pietra. Ha cognosciuto e veduto, col lume della fede e con ferma speranza,
che ogni cosa do con uno medesimo amore e per uno medesimo rispetto, cioè per la salute vostra, e
che in ogni cosa Io proveggo. Però che nella grande fadiga lo do la grande fortezza, e non pongo
maggiore peso che si possa portare, pure che si disponga a volere portare per lo mio amore. Nel
Sangue v’è facto manifesto che Io non voglio la morte del peccatore, ma voglio che si converta e
viva; e per sua vita gli do ciò ch’ Io gli do.
Questo ha veduto l’anima spogliata di sé, e però gode in ciò che ella vede o sente in sé o in
altrui. Non dubbita che le vengano meno le cose minime, perché col lume della fede è certificata
nelle cose grandi, delle quali nel principio di questo trattato Io ti narrai. Oh! quanto è glorioso
questo lume della sanctissima fede, col quale vide e cognobbe, e cognosce la mia veritá; el quale
lume ha dal servidore dello Spirito sancto, el quale è uno lume sopranaturale, che l’anima acquista
per la mia bontá, exer`citando el lume naturale che Io l’ho dato.
CXLII. Come Dio providde verso de l’anime dando i sacramenti, e come
provede a’ servi suoi affamati del sacramento del Corpo di Cristo; narrando
come providde piú volte, per mirabile modo, verso d’una anima affamata d’esso
sacramento.
— Sai tu, carissima figliuola, come Io provego questi miei servi che sperano in me? In due
modi: cioè che tutta la providenzia, che Io uso a le mie creature che hanno in loro ragione, è sopra
l’anima e sopra ‘l corpo. E ciò, chi Io adopero di providenzia nel corpo, è facto in servizio de
l’anima, per farla crescere nel lume della fede, farla sperare in me e perdere la speranza di sé, e
perché vega e cognosca che Io so’ Colui che so’, che posso, voglio e so sovenire al suo bisogno e
salute. Tu vedi che ne l’anima, per la vita sua, Io l’ho dati e’ sacramenti della. sancta Chiesa, perché
sonno suo cibo: none il pane, che è cibo grosso corporale, e però è dato al corpo; ma, perché ella è
incorporea, vive della parola mia. Però disse la mia Verità nel sancto Evangelio che di solo pane
non viveva l’uomo, ma d’ogni parola che procede da me, cioè di seguitare con spirituale intenzione
la dottrina di questa mia Parola incarnata, la quale parola in virtú del Sangue suo e’ sacramenti vi
dànno vita.
Sí che i sacramenti spirituali sonno dati a l’anima: poniamo che si pongano e si diano con lo
strumento del corpo; non darebbe a l’anima vita di grazia solamente quello atto, se essa anima non
si disponesse a riceverli con espirituale, sancto e vero desiderio. E però ti dixi che egli erano
spirituali, che si dànno a l’anima perché è cosa incorporea: non obstante che sieno pórti per lo
mezzo del corpo, come detto è, al desiderio de l’anima è dato che ‘l riceva. Alcuna volta, per
crescerla in fame e sancto desiderio, gli le farò desiderare e non potrà averli; non potendoli avere,
cresce la fame, e bella fame il cognoscimento di.sé, reputandosene indegna per umilità. E Io alora la
fo degna, provedendo spesse volte in diversi modi sopra questo sacramento. E tu sai che egli è.cosí,
se ben ti ricorda d’averlo (323) udito e provato in te medesima. Perché la clemenzia mia dello
Spirito sancto, che gli ha presi a servire (dato lo’ da me per la mia bontá), spirarà la mente d’alcuno
ministro che l’ha a dare questo cibo, che, costrecto dal fuoco della mia caritá d’esso Spirito sancto,
el quale gli dá stimolo di coscienzia, unde per coscienzia si muove a pascere la fame e compire il
desiderio di quella anima. Farò indugiare alcuna volta in su l’extremità e, quando in tutto ella
n’avarà perduta la speranza, ed ella avara quel che desidera.
E non poteva Io cosí provedere nel principio come ne l’ultimo? Si bene: ma follo per
crescerla nel lume della fede, acciò che mai non manchi che ella none speri nella mia bontá; e per
farla cauta e prudente, ché imprudentemente non volti el capo a dietro, allentando la fame del sancto
desiderio: e però la indugio. Sí come ti ricorda di quella anima, che, giognendo nella sancta chiesa
con grande fame della comunione, e giognendo el ministro a l’altare, ella dimandò el Corpo di
Cristo tutto Dio e uomo: egli rispose che non volea darlele. In lei crebbe il pianto e il desiderio: e in
lui, quando venne ad offerire il calice, crebbe lo stimolo della coscienzia, costrecto dal servidore
dello Spirito sancto che provedeva a quella anima. E come provedeva e lavorava in quel cuore
dentro, cosí el mostroe di fuore, dicendo a quel che ‘l serviva: — Dimanda se ella si vuole
comunicare, ché lo lei darò volontieri. — E se ella aveva una sprizza di fede e d’amore, crebbe in
grandissima abondanzia il desiderio; intantoché pareva che la vita si volesse partire dal corpo. E
però l’avevo lo permesso: per farla crescere e farle diseccare ogni amore proprio, infidelità e
speranza che avesse in sé. Alora providi col mezzo della creatura. Un’altra volta provederà el
servidore dello Spirito sancto solo, senza questo mezzo, si come piú volte a molte persone è
adivenuto e adiviene tutto di a’ servi miei. Ma, tra l’altre, due admirabili, si come tu sai, te ne
narrarò per farti dilatare in fede e a commendazione della mia providenzia.
Ricordati e rammentati in te medesima d’avere udito di quella anima, che, stando nel tempio
mio della sancta chiesa, el di della conversione del glorioso appostolo Pavolo mio dolce banditore,
(324) con tanto desiderio di giognere a questo sacramento, pane di vita, cibo degli angeli dato a voi
uomini, che ella provò quasi a quanti ministri vennero a celebrare; e da tutti le fu denegato per mia
dispensazione, perché volsi che ella cognoscesse che, mancandole gli uomini, non le mancavo Io,
suo Creatore. E però a l’ultima messa lo tenni questo modo che Io ti dirò, e usai uno dolce inganno
per farla inebbriare della providenzia mia. Lo inganno fu questo: che, avendo ella detto di volersi
comunicare, quel che serviva noi volse dire al ministro. Vedendo ella che egli non rispondeva del
no, aspettava con grande desiderio di potersi comunicare. Detta la messa e trovandosi di no, crebbe
in tanta fame e in tanto desiderio, con vera umilità reputandosene indegna e riprendendo la sua
presumpzione, parendole avere presumpto di giognere a tanto misterio. lo, che exalto gli umili,
trassi a me il desiderio e l’affetto di quella anima, dandole cognoscimento ne l’abisso della Trinitá di
me, Dio etterno, illuminando l’occhio de l’intelletto suo nella potenzia di me, Padre etterno, nella
sapienzia de l’unigenito mio Figliuolo e nella clemenzia dello Spirito sancto, e’ quali siamo una
medesima cosa. E in tanta perfeczione si uni quella anima, che ‘l corpo si sospendeva da la terra,
perché, come nello stato unitivo de l’anima Io ti narrai, era piú perfetta l’unione che l’anima aveva
fatta per affetto d’amore in me che nel corpo suo. E in questo abisso grande, per satisfare al
desiderio suo, ricevette da me la sancta comunione. E in segno di ciò che Io in veritá l’avevo
satisfacto, per piú di senti per admirabile modo nel gusto corporale il sapore e odore del Sangue e
del Corpo di Cristo erocifixo, mia Verità: Unde ella si rinnovellò nel lume della mia providenzia,
avendola gustata cosí dolcemente.
Tucto questo fu visibile a lei, ma invisibile agli occhi delle creature. Ma el secondo fu
visibile agli occhi del ministro a cui adivenne il caso: ché, essendo quella anima con grande
desiderio d’udire la messa e della comunione, per passione corporale non era potuta andare alla
chiesa a quella ora che bisognava. Pur gionse, essendo l’ora tardi, a la consecrazione, cioè che
gionse in su quella ora che ‘l ministro consecrava. Ed essendo egli da (325) l’uno capo della chiesa,
ella si pose da l’altro, però che l’obbedienzia non le concedeva che ella stesse ine. Ella si pose con
grandissimo pianto, dicendo: — O miserabile anima mia! e non vedi tu quanto di grazia tu hai
ricevuto, che tu se’ nel tempio sancto di Dio e hai veduto il ministro, che se’ degna d’abitare ne
l’inferno per li tuoi peccati? — El desiderio però non si quietava, ma quanto piú si profondava nella
valle de l’umilità, tanto piú era levata in su, dandole a cognoscere con fede e speranza la mia bontá,
confidandosi che ‘l servitore dello Spirito sancto notricasse la fame sua. lo alora le diei quello che
ella in quello modo non sapeva desiderare. El modo fu questo: che, venendo el sacerdote per
comunicarsi, nel dividere ne cadde uno pezzuolo, el quale per mia dispensazione e virtú (il
moccolino de l’ostia, cioè quella particella che se n’era levata) si parti da l’altare e andò ne l’altro
capo della chiesa, dove ella era. E, credendosi ella che non fosse cosa visibile ma invisibile,
sentendosi comunicata, pensossi con grande e affocato desiderio che, come piú volte l’era
adivenuto, Io l’avesse satisfacto invisibilmente. Ma egli non parbe cosí al ministro, che, non
trovandola, sentiva intollerabile dolore. Se non che ‘l servdore della mia clemenzia gli manifestò
nella mente sua chi l’aveva avuta, sempre però dubitando infino che dichiarato si fu con lei. E non
potevo lo tollerle lo impedimento del difetto corporale e farla andare ad ora, dacciò che ella avesse
potuto ricevere il sacramento dal ministro? Si; ma volevo farle provare che, col mezzo della
creatura e senza il mezzo della creatura, in qualunque stato e in qualunque tempo si sia, in
qualunque modo sa desiderare e piú che non sa desiderare, Io la posso, so e voglio satisfare, come
detto è, con meravigliosi modi.
Questo ti basti, carissima figliuola, averti narrato della providenzia mia, la quale Io uso con
l’anime affamate di questo dolce sacramento. E cosí in tutti gli altri, secondo che lo’ bisogna, uso
questa dolce providenzia. Ora ti dirò alcuna cosellina come Io l’uso dentro ne l’anima, la quale uso
senza il mezzo del corpo, cioè con estrumento di fuore. Benché parlandoti degli stati de l’anima Io
te ne dicesse, nondimeno anco te ne dirò.
CXLIII. De la providenzia di Dio verso di coloro che sono in peccato mortale.
— L’anima o ella è in stato di peccato mortale, o ella è imperfecta in grazia, o ella è perfecta.
In ogniuno uso, dilargo e do la mia providenzia; ma in diversi modi, con grande sapienzia, secondo
che lo veggo che gli bisogna. Agli uomini del mondo, che giacciono nella morte del peccato
mortale, provego destandoli con lo stimolo della coscienzia, o con fadiga che sentiranno nel mezzo
del cuore per nuovi e diversi modi. E sonno tanti questi modi, che la lingua tua non sarebbe
sufficiente a narrarli. Unde spesse volte si partono, per questa importunità delle pene e stimolo di
coscienzia che è dentro ne l’anima, da la colpa del peccato mortale. E alcuna volta (perché Io delle
spine vostre sempre traggo la rosa), concependo el cuore de l’uomo amore al peccato mortale o alla
creatura fuore della mia volontà, Io gli tollarò el luogo e il tempo che non potrà compire le volontà
sue, intantoché con la stanchezza della pena del cuore, la quale egli ha acquistata per suo difecto,
non potendo compire le sue disordinate volontà, torna a se medesimo con compunzione di cuore e
stimolo di coscienzia, e con esse gicta a terra il farnetico suo. El quale drictamente si può chiamare
«farnetico », ché, credendosi ponere l’affecto suo in alcuna cosa, quando viene a vedere, non era
cavelle. Era bene ed è alcuna cosa la creatura cui egli amava di miserabile amore; ma quello, che
egli ne pigliava, era non cavelle, però che ‘l peccato non è cavelle. Di questo non cavelle della
colpa, che è una spina che pugne l’anima, Io ne traggo questa rosa, come decto è, per provedere a la
salute sua.
Chi mi costrigne a farlo? Non egli, che non mi cerca né adimanda l’aiutorio e providenzia
mia se none in colpa di peccato, in delizie, ricchezze e stati del mondo: ma l’amore mi costrigne,
perché v’amai prima che voi fuste; senza essere amato (327) da voi, lo v’amai ineffabilemente.
Questo mi costrigne a farlo, e l’orazioni de’ servi miei, e’ quali (el servidore dello Spirito sancto,
clemenzia mia, ministrando lo’ l’onore di me e la dileczione del proximo loro) cercano con
inextimabile caritá la salute loro, studiandosi di placare l’ira mia e di legare le mani della divina mia
giustizia, la quale merita lo iniquo uomo che Io usi contra di lui. Essi mi strengono con le lagrime,
umili e continue orazioni. Chi gli fa gridare? La mia providenzia, che proveggo a la necessità di
quel morto, perché decto è ch’ Io non voglio la morte del peccatore, ma che egli si converta e viva.
Inamórati, figliuola, della mia providenzia. Se tu apri l’occhio della mente tua e. del corpo,
tu vedi che gli scellerati uomini che giacciono in tanta miseria, e’ quali so’ facti puzza di morte,
obscuri e tenebrosi per la privazione del lume, essi vanno cantando e ridendo, spendendo il tempo
loro in vanità, in delizie e grandi disonestà: tucti lascivi, mangiatori e bevitori, fintantoché del
ventre loro si fanno dio, con odio, con rancore, con superbia e con ogni miseria (delle quali miserie
piú distintamente sai ch’Io te ne narrai), e non cognoscono lo stato loro. Vanno per la via a giognere
alla morte etternale, se non si correggono nella vita loro, e vanno cantando! E non sarebbe reputata
grande stoltizia e pazzia se quelli, che è condannato a la morte e va a la giustizia, andasse cantando
e ballando, mostrando segni d’allegrezza? Certo si. In questa stoltizia stanno questi miseri, e tanto
piú senza comparazione veruna, quanto essi ricevono, quegli pena finita, e costoro pena infinita,
morendo in stato di danpnazione. E vanno cantando! Ciechi sopra ciechi! stolti e macti sopra ogni
stoltizia !
E i servi miei stanno in pianto, in affíiczione di corpo e in contrizione di cuore, in vigilia e
continua orazione, con sospiri e lamenti, macerando la carne loro per procurare a la loro salute; ed
essi si fanno beffe di loro! Ma elle caggiono sopra e’ loro capi, tornando la pena della colpa in cui
ella debba tornare, e i fructi delle fadighe portate per amore di me si dànno in cui la bontá mia gli ha
facti meritare, però che io so’ lo Idio (328) vostro giusto, che a ogniuno rendo secondo che averà
meritato. Ma e’ veri servi miei non allentano e’ passi per le beffe, persecuzioni e ingratitudine loro;
anco crescono in maggiore sollicitudine e desiderio. Questo chi ci fa, che con tanta fame bussino
alla porta della mia misericordia? La providenzia mia, che proveggo e procuro insiememente la
salute di questi miseri, e augmento la virtú e cresco il fuoco della dileczione della caritá ne’ servi
miei.
Infiniti sonno questi modi di providenzia, ch’ Io uso ne l’anima del peccatore per trarlo della
colpa del peccato mortale. Ora ti parlaró di quello che fa la mia providenzia in coloro che sonno
levati dalla colpa, e sonno ancora inperfecti ; non ricapitolando gli stati de l’anima, perché giá
ordinatamente te gli ho narrati, ma breve breve alcuna cosa ti dirò.
CXLIV. De la providenzia che Dio usa verso di coloro che sono ancora
nell’amore inperfecto.
— Sai tu, carissima figliuola, che modo lo tengo per levare l’anima inperfecta dalla sua
inperfeczione? Che alcuna volta Io la proveggo con molestie di molte e diverse cogitazioni, e con la
mente sterile. Parrà che sia tutto abandonata da me, senza veruno sentimento: né nel mondo gli pare
essere, ché non v’è; né in me gli pare essere, ché non ha sentimento veruno, fuore che sente che la
volontà sua non vuole offendere.
Questa porta della volontà, che è libera, non do Io licenzia a’ nemici che l’aprano. Ma do
bene licenzia alle dimonia e agli altri nemici de l’uomo che percuotano l’altre porte; ma questa, che
è la principale, no, ché conserva la città de l’anima. È vero che ha la guardia del libero arbitrio, che
sta a questa porta: hogliele dato libero, che dica si e no, secondo che gli piace. Molte sonno le porte
che ha questa città. Le principali sonno tre (ché l’una è quella che sempre si tiene, se ella vuole, ed è
guardia de l’altre): ciò sonno la memoria, lo ‘ntellecto e la volontà. Unde, se la volontà consente,
v’entra il nemico de l’amore proprio e tutti gli (329) altri nemici che seguitano doppo lui. Subbito lo
‘ntellecto riceve la tenebre, che è nemica della luce; e la memoria riceve el odio per ricordamento
della ingiuria (ci quale odio è nemico della dileczione della caritá del proximo suo); ritiene e’ diletti
e piaceri del mondo in diversi modi, come sonno diversi e’ peccati e’ quali sonno contrari alle virtú.
Subito che sonno aperte le porte, s’aprono li sportegli de’ sentimenti del corpo, e’ quali sonno
tutti strumenti che rispondono a l’anima. Unde tu vedi che l’affetto disordenato de l’uomo, che ha
uperte le porte sue, risponde con questi organi; unde tutti e’ suoni sonno guasti e contaminati, cioè le
sue operazioni. L’occhio non porge altro che morte, perché è posto a vedere cosa morta con
disordenato guardare colà dove non debba; con vanità di cuore, con leggerezza, con modi e
guardature disoneste è cagione di dare morte a sé e ad altrui. Oh misero te! quel ch’ Io t’ho dato
perché tu raguardi ci cielo e tutte l’altre cose e la bellezza della creatura per me e perché tu raguardi
e’ misteri miei; e tu raguardi in loto e in miseria, e cosa n’acquisti la morte.
Cosí l’orecchia si diletta in cose disoneste, o in udire e’ fatti del proximo suo per giudicio;
dove lo gli li dici perché udisse la parola mia e la necessità del proximo suo. La lingua ho data
perché annunzi la parola mia e confessi e’ difetti suoi, e perché l’aduopari in salute de l’anime; ed
egli l’aduopera in bastemmiare me, che so’ suo Creatore, e in ruina del proximo, nutricandosi delle
carni sue, mormorando e giudicando l’operazioni buone in male e le gattive in bene; bastemiando,
dando falsa testimonanza; con parole lascive pericola sé e altrui; gitta parole d’ingiuria, che
trapassano ne’ cuori de’ proximi come coltella, le quali parole li provocano ad ira. Oh, quanti sonno
e’ mali e omicidii, quanta disonestà, quanta ira, odio e perdimento di tempo che escono per questo
menbro !
Se egli è l’odorato, né piú né meno offende ne l’essere suo con disordenato piacere nel suo
odorare. E, se egli è il gusto, con golosità insaziabile, con disordenato appetito volendo le molte e
varie vivande, non mira se non d’empire il ventre suo, (330) non raguardando la misera anima, che
aperse la porta, che per lo disordenato prendere de’ cibi viene a riscaldamento la fragile carne sua,
con disordenato desiderio di corrómpare se medesimo. Le mani, in tòllere le cose del proximo suo,
e con laidi e miserabili toccamenti, le quali sonno fatte per servire il proximo quando il vede nella
infermità, sovenendo con la elemosina nella necessità sua. E’ piei, gli sono dati perché servino e
portino il corpo in luogo sancto e utile a sé e al proximo suo per gloria e loda del nome mio; ed egli
spende e porta el corpo in luoghi vitoperosi in molti e diversi modi, novellando e
spiacevoleggiando, corrompendo con le loro miserie l’altre creature in molti modi, secondo che
piace alla disordenata volontà.
Tutto questo t’ho detto, carissima figliuola, per darti materia di pianto di vedere gionta a
tanta miseria la nobile città de l’anima, e perché tu vegga quanto male esce della principale porta
della volontà. Alla quale Io non do licenzia che i nimici de l’anima entrino, come detto è; ma, come
lo ti dicevo, do bene licenzia ne l’altre che i nimici le percuotano. Unde lo ‘ntellecto sostengo che sia
percosso da una tenebre di mente; e la memoria pare molte volte che sia privata del riscadamento di
me. E alcuna volta tutti gli altri sentimenti del corpo parrà che siano in diverse bactaglie. Nel
guardare, le cose sancte e toccandole e udendole e odorandole e andandovi, ogni cosa parrà che gli
dia mutazione, disonestà e corrompimento. Ma tutto questo non è a morte, però che Io non voglio la
morte sua (guarda che egli non fusse si stolto che egli aprisse la porta della volontà): Io permetto
che eglino stiano di fuore, ma non che entrino dentro. Dentro non possono intrare se non quando la
propria volontà vuole.
E perché tengo Io in tanta pena e affîiczione questa anima atorniata da tanti nemici? Non
perché ella sia presa e perda la ricchezza della grazia; ma follo per mostrarle la mia providenzia,
acciò che ella si fidi di me e non in sé, levisi dalla negligenzia e con sollicitudine rifugga a me, che
so’ suo difenditore, so’ Padre benigno, che procuro la salute sua; acciò che ella stia umile e vegga sé
non essere, ma l’essere e ogni grazia (331) che è posta sopra l’essere ricognosca da me, che so’ sua
vita. Come ella cognosce questa vita e providenzie mie in queste bactaglie? Ricevendo la grande
liberazione, ché non la lasso perInanere continuamente in questo tempo; ma vanno e vengono,
secondo ch’ Io veggo che le bisognino. Talora gli parrà essere ne lo ‘nferno, che, senza veruno suo
exercizio che allora faccia, ne sarà privata e gustarà vita etterna. L’anima rimane serena: ciò che
vede le pare che gridi Dio, tutta infiammata d’amoroso fuoco per la considerazione che fa allora
l’anima nella mia providenzia, perché si vede essere uscita di si grande pelago non con suo
exercizio, ché il lume venne inproviso, non exercitandosi, ma solo per la mia inextimabile carità,
che volsi provedere alla sua necessità nel tempo del bisogno, che quasi non poteva più.
Perché ne l’exercizio, quando s’exercitava a l’orazione e a l’altre cose che bisognano, non le
risposi col lume, tollendole la tenebre? Perché, essendo ancora inperfecta, non reputasse in suo
exercizio quello che non era suo. Si che vedi che lo inperfecto nelle bactaglie, exercitandosi, viene a
perfeczione, perché in esse bactaglie pruova la divina mia providenzia, unde egli s’è levato da
l’amore inperfecto.
Anco uso uno sancto inganno, solo per levarli dalla inperfeczione: ch’ Io lo’ farò concipere
amore ad alcuna creatura spiritualmente e in particulare, oltre a l’amore generale. Unde con questo
mezzo s’exercita alla virtù, leva la sua inperfeczione, fallo spogliare il cuore d’ogni altra creatura
che egli amasse sensualmente, di padre, madre, suoro, frategli : ne trae ogni propria passione, e
amali per me, Dio. E, con questo amore ordinato del mezzo ch’Io gli ho posto, caccia il disordinato,
col quale in prima amava le creature. Adunque vedi che tolle questa inperfeczione. Ma attende che
un’altra cosa fa questo amore di questo mezzo: che egli fa provare se perfettamente egli ama me e il
mezzo che lo gli ho dato, o no. E però gli li diei Io, perché egli el provasse, acciò che avesse materia
di cognoscerlo; ché, non cognoscendolo, né a se medesimo dispiacerebbe, né piacerebbe quello che
avesse in sé che fusse mio. Per questo (332) modo el cognosce: e giá t’ho detto che ella è ancora
inper. fetta. E non è dubbio che, essendo inperfecto l’amore che ha a me, è inperfecto quello che ha
alla creatura che ha in sé ragione, però che la caritá perfetta del proximo dipende dalla perfetta
caritá mia. Si che con quella misura perfetta e inperfecta che ama me, con quella ama la creatura.
Come el cognosce per questo mezzo? In molte cose. Anco, quasi, se voi aprite l’occhio de l’
intelletto, non passarà tempo che egli nol vegga e pruovi. Ma, perché in un altro luogo Io tel
manifestai, poco te ne narrarò.
Quando della creatura cui egli ama di singulare amore, come detto è, egli si vede diminuire
il diletto, la consolazione o conversazioni usate, dove trovava grandissima consolazione, o di molte
altre cose, o che vedesse che ella avesse piú conversazioni con altrui che con lui, sente pena; la
quale pena el fa intrare a cognoscimento di sé. Se vuole andare con lume e con prudenzia, come
debba, con piú perfetto amore amerà quel mezzo, perché, col cognoscimento di se medesimo e odio
che amerà conceputo al proprio sentimento, si tolle la inperfeczione e viene ad perfeczione. Essendo
poi perfetto, séguita piú perfetto e maggiore amore nella creatura generale, e nel particulare mezzo
posto dalla mia bontá, che ho proveduto a farla spronare con odio di sé e amore delle virtú in questa
vita della perregrinazione, pure che ella non sia ignorante a recarsi, nel tempo delle pene, a
confusione e tedio di mente, a tristizia di cuore e senza exercizio. Questa sarebbe cosa pericolosa:
verrebbeli a ruina e a morte quello che Io gli ho dato per vita. Non die fare cosí; ma con buona
sollicitudine e con umilità reputandosi indegno di quel che desidera (cioè non avendo la
consolazione la quale egli voleva), e con lume vegga che la virtú, per la quale principalmente la
debba amare, non è diminuita in lui con fame e desiderio di volere portare ogni pena, da qualunque
lato ella venga, per gloria e loda del nome mio. Per questo modo adempirà la volontà mia in sé,
ricevendo il frutto della perfeczione, per la quale Io ho permesso le battaglie, el mezzo e ogni altra
cosa perché ella venga a lume di perfeczione.
In questo modo negl’imperfetti uso la providenzia mia, e in tanti altri modi che lingua non
sarebbe sufficiente a narrarli.
CXLV. De la providenzia che Dio usa verso di coloro che sono ne la caritá
perfetta.
— Ora ti dico de’ perfetti, che Io gli proveggo per conservarli e provare la loro perfeczione e
per farli crescere continuamente. Però che neuno è in questa vita, sia perfetto quanto vuole, che non
possa crescere a magiore perfeczione. E però tengo questo modo tra gli altri, si come disse la mia
Verità quando dixe: « Io so’ vite vera, el Padre mio è il lavoratore, e voi sète i tralci ». Chi sta in
Lui, che è vite vera, perché procede da me Padre, seguitando la dottrina sua, fa frutto. E, àcciò che
‘l frutto vostro cresca e sia perfetto, lo vi poto con le molte tribulazioni, infamie, ingiurie, scherni e
villanie e rimproverio; con fame e sete, in detti e in fatti, secondo che piace alla mia bontá di
concederle a ogniuno, secondo ch’egli è atto a portare. Però che la tribulazione è uno segno
dimostrativo, che dimostra la perfetta caritá de l’anima e la inperfeczione colà dove ella è. Nelle
ingiurie e fadighe, che lo permetto a’ servi miei, si pruova la pazienzia, e cresce il fuoco della caritá
in quella anima per compassione che ha a l’anima di colui che gli fa ingiuria; ché piú si duole de
l’offesa che fa a me e dapno suo, che della sua ingiuria. Questo fanno quelli che sonno nella grande
perfeczione; si che crescono, e però lo lo’ permetto questo e ogni altra cosa. Io lo’ lasso uno stimolo
di fame della salute de l’anime, che di e notte bussano alla porta della mia misericordia, intanto che
dimenticano loro medesimi, si come nello stato de’ perfetti Io ti narrai. E quanto piú abandonano
loro, piú truovano me. E dove mi cercano? Nella mia Verità, andando con perfeczione per la dolce
dottrina sua. Hanno letto in questo dolce e glorioso (334) libro, e, leggendo, hanno trovato che,
volendo compire l’obbedienzia mia e mostrare quanto amava il mio onore e l’umana generazione,
corse con pena e obrobrio alla mensa della sanctissima croce, dove, con sua pena, mangiò il cibo de
l’umana generazione. Si che, col sostenere e col mezzo de l’uomo, mo. strò a me quanto amasse il
mio onore.
Dico che questi diletti figliuoli, e’ quali sonno gionti a per, fectissimo stato con
perseveranzia, con vigilie, umili e continue orazioni, mi dimostrano che in veritá amino me e che
essi hanno bene studiato, seguitando questa sancta doctrina della mia Verità, con loro pena e fadiga
che portano per la salute del proximo loro, perché altro mezzo non hanno trovato, in cui dimostrare
l’amore che hanno a me, che questo. Anco ogni altro mezzo, che ci fusse a potere dimostrare che
amano, si è posto sopra questo principale mezzo della creatura che ha in sé ragione, si come in un
altro luogo io ti dixi che ogni bene si faceva col mezzo del proximo tuo e ogni operazione. Perché
neuno bene può essere facto se non nella caritá mia e del proximo; e, se non è facto in questa carità,
non può essere veruno bene, poniamo che gli acri suoi fussero virtuosi. E cosí el male anco si fa con
questo mezzo per la privazione della caritá. Si che vedi che in questo mezzo, che Io v’ho posto,
dimostrano la loro perfeczione e l’amore schietto che hanno a me, procurando sempre la salute de’
proximi col molto sostenere. Adunque Io gli purgo, perché facciano maggiore e piú soave frutto,
con le molte tribulazioni. Grande odore gicta a me la pazienzia loro.
Quanto è soave e dolce questo frutto e di quanta utilitá a l’anima che sostiene senza colpa!
Ché, se ella el vedesse, non sarebbe veruna che con grande sollicitudine e allegrezza non cercasse di
portare. Io, per dar lo’ questo grande tesoro, gli proveggo di poner lo’ il peso delle molte fadighe,
acciò che la virtú della pazienzia non irrugginisca in loro; si che, venendo poi el tempo che ella
bisogna provare, non la trovassero ruginosa, trovandovi, per non averla abituata, la ruggine della
inpazienzia, la quale rode l’anima.
Alcuna volta uso uno piacevole inganno con loro per conservarli nella virtú de l’umilità:
ch’io lo’ farò adormentare il sentimento loro, che non parrà che nella volontà né nel sentimento essi
sentano veruna cosa adversa, se non come persone adormentate, non dico morte. Però che ‘I
sentimento sensitivo dorme ne l’anima perfecta, ma non muore; però che, subbito ch’egli allentasse
l’exercizio e il fuoco del sancto desiderio, si destarebbe piú forte che mai. E però non sia veruno che
se ne fidi, sia perfetto quanto si vuole: egli gli bisogna stare nel sancto timore di me; ché molti per
lo fidarsi caggiono miserabilemente, ché altrementi non cadrebbero eglino. Si che dico che in loro
pare che dormano i sentimenti, e, sostenendo e portando i grandi pesi, non pare che sentano. A
mano a mano, in una picciola cosellina che sarà non tavelle, che essi medesimi se ne faranno beffe
poi, si sentiranno per si facto modo in loro medesimi, che vi diventaranno stupefatti. Questo fa la
providenzia mia perché l’anima cresca e vada nella valle de l’umilità: però che ella allora, come
prudente, si leva sé sopra di sé, non perdonandosi; ma coll’odio e rimproverio gastiga il sentimento;
el quale gastigare è uno farlo adormentare piú fortemente.
Alcuna volta proveggo ne’ grandi servi’ miei di dar lo’ uno stimolo, si com’ Io feci al dolce
appostolo Pavolo, vasello d’eleczione. Avendo ricevuta la doctrina della mia Verità ne l’abisso di
me, Padre etterno; e nondimeno gli lassai lo stimolo e inpugnazione della carne sua. E non potevo
lo fare, e posso, a Pavolo e agli altri in cui Io lasso lo stimolo in diversi modi, che essi non
l’avessero? Si. Perché il fa la mia providenzia? Per farli meritare, per conservarli nel cognoscimento
di loro, unde traggono la vera umilità, e per farli pietosi e non crudeli verso de’ proximi loro, che
siano conpassionevoli a le loro fadighe. Però che molta piú conpassione hanno a’ tribolati e
passionati, sentendo eglino passione, che se non l’avessero. Crescono in maggiore amore, e corrono
a me tutti unti di vera umilità e arsi nella fornace della divina caritá. E con questi mezzi e con
infiniti altri giongono ad perfecta unione, si come lo ti dixi. In tanta unione e cognoscimento della
mia bontá che, essendo nel (336) corpo mortale, gustano il bene degl’ inmortagli ; stando nella
carcere del corpo, ne lo’ pare essere di fuore; e, perché molto hanno cognosciuto di me, molto
m’amano. E chi molto ama, molto si duole; unde a cui cresce amore, cresce dolore.
In su che dolore e pene rimangono? Non in ingiurie che lo’ fussero fatte, né per pene
corporali, né per molestie di dimonio, né per veruna altra cosa che lo’ potesse avenire, propriamente
a loro, che l’avesse a dare pena; ma solo si dolgono de l’offese fatte a me (vedendo e cognoscendo
ch’ Io so’ degno d’essere amato e servito) e del danno de l’anime, vedendoli andare per la tenebre del
mondo e stare in tanta ciechità. Perché ne l’unione, che l’anima ha (acta in me per affetto d’amore,
raguardò e cognobbe in me quanto Io amo la mia creatura ineffabilemente. E, vedendola
rappresentare la imagine mia, s’ inamorò di lei per amore di me. Unde sente intollerabile dolore
quando gli vede dilongare dalla mia bontá; e so’ si grandi queste pene, che ogni altra pena fanno
diminuire e venire meno in lei, che niente l’apprezza se non come non fusse egli che ricevesse.
Io gli proveggo. Con che? Con la manifestazione di me medesimo a loro, facendo lo’ in me
vedere, con grande amaritudine, le iniquità e miserie del mondo, la danpnazione de l’anime in
comune e in particulare, secondo che piace alla mia bontá, per farli crèsciare in amore e in pena;
acciò che, stimolati dal fuoco del desiderio, gridino a me, con speranza ferma e col lume della
sanctissima fede, a chiedere l’aiutorio mio che sovenga a tante loro necessita. Sí che insiememente
proveggo con divina providenzia per sovenire al mondo, lassandomi costringere da’ penosi, dolci e
anxietati desidèri de’ servi miei, e a loro nutricandoli e crescendoli, per questo, in maggiore e piú
perfetto cognoscimento e unione di me.
Adunque vedi che Io proveggo questi perfetti per molte vie e diversi modi; perché, mentre
che voi vivete, sempre sète atti a crèsciare lo stato della perfeczione e a meritare. E però Io gli
purgo d’ogni proprio e disordenato amore spirituale e temporale; e potogli con le molte tribulazioni,
acciò che faccino maggiore e piú perfetto frutto, come detto è. E con la grande (337) tribulazione
che sostengono, vedendo offendere me e privare l’anima della grazia, si spegne ogni sentimento di
questa mi nore. Intantoché tutte le fadighe loro, che in questa vita possino sostenere, le reputano
meno che non cavelle. E per questo, si cum’ Io ti dixi, si curano tanto della tribulazione quanto della
consolazione, perché non cercano le loro consolazioni, e non m’amano d’amore mercennaio per
proprio diletto, ma cercano la gloria e loda del nome mio.
Adunque vedi, carissima figliuola, che in ogni creatura che ha in sé ragione Io distendo e
uso la providenzia mia in molti e infiniti luoghi, con modi admirabili non cognosciuti dagli uomini
tenebrosi, perché la tenebre non può conprendere la luce. Solo da quegli che hanno lume sonno
cognosciuti perfettamente e inperfectamente, secondo la perfeczione del lume ch’egli hanno. El
quale lume s’acquista nel cognoscimento che l’anima ha di sé, unde si leva con perfectissimo odio
della tenebre.
CXLVI. Repetizione breve de le predette cose. Poi parla sopra quella parola che
dixe Cristo a sancto Pietro, quando dixe: « Mette la rete da la parte dextra de la
nave».
— Hotti narrato e hai veduto, meno che l’odore d’una sprizza che è non cavelle a
comparazione del mare; come Io proveggo le mie creature, avendoti parlato in generale e in
particulare. E ora per questi stati, contandoti prima del Sagramento, come Io proveggo e per che
modo a fare crèsciare la fame ne l’anima, e come Io procuro dentro nel sentimento de l’anime,
ministrando lo’ la grazia col mezzo del servidore dello Spirito sancto: allo iniquo per riducerlo in
stato di grazia, allo inperfecto per farlo giognere a perfeczione, al perfetto per augmentare e
crescere la perfeczione in lui, perché sète atti a crescere, e per farli buoni e perfetti mezzi tra l’uomo,
che è caduto in guerra, e me. Perché giá ti dixi, se ben ti ricorda, che col (338) mezzo de’ servi miei
Io farei misericordia al mondo e col molto sostenere riformarei la sposa mia.
Veramente questi cotali si possono chiamare un altro Cristo crocifixo unigenito mio
Figliuolo, perché hanno preso a fare l’offizio suo. Egli venne come tramezzatore, per levare la
guerra e reconciliare in pace con meco l’uomo, col molto sostenere infino a l’obbrobriosa morte
della croce. Cosí questi cotali vanno crociati, facendosi mezzo con l’orazione, con la parola e con la
buona e sancta vita, ponendola per exempro dinanzi a loro. Rilucono le pietre preziose delle virtú
con pazienzia, portando e sopportando i loro difecti. Questi sonno e’ lami con che essi pigliano
l’anime. Essi gictano la rete da la mano dricta e non da la manca, come dixe la mia Verità a Pietro e
agli altri discepoli doppo la resurreczione; però che la mano manca del proprio amore è morta in
loro, e la mano dricta è viva d’uno vero e schiecto, dolce e divino amore, col quale gictano la rete
del sancto desiderio in me, mare pacifico. E giugnendo la storia che fu inanzi a la resurreczione con
quella che fu doppo, sappi che, tirando a loro la rete, richiudendola nel cognoscimento di loro,
pigliano tanta abondanzia di pesci d’anime, che si conviene che chiamino il compagno perché gli
aiti a trarli della rete, però che solo non può. Perché nello strignere e nel gittare gli conveniva la
compagnia della vera umilità, chiamando il proximo per dileczione, chiedendo che gli aiti a trare
questi pesci de l’anime.
E che questo sia vero, tu il vedi ne’ servi miei e pruovi ché si grande peso lo’ pare a tirare
queste anime che sonno prese nel sancto desiderio loro, che chiamano compagnia, e vorrebero che
ogni creatura che ha in sé ragione gli aitasse, con umilità reputandosi insufficienti. E però ti dixi che
chiamavano l’umilità e la caritá del proximo, ché gli aitasse a trare questi pesci. Tirando, ne trae in
grandissima abondanzia: poniamo che molti per li loro difecti n’escono, che non stanno rinchiusi
nella rete. La rete del desiderio gli ha ben tucti presi, perché l’anima, affamata de l’onore mio, non si
chiama contenta a una particella, ma tucti gli vuole: e’ buoni dimanda perché gli aitino (339) a
niectere e’ pesci nella rete sua, acciò che si conservino e crescano la perfeczione. Gl’imperfecti
vorrebbe che fussero perfecti, e’ gattivi vorrebbe che fussero buoni, gl’infedeli tenebrosi vorrebbe
che tornassero al lume del sancto baptesimo. Tucti gli vuole: di qualunque stato o condizione si
siano, perché tucti gli vede in me, creati dalla mia bontá in tanto fuoco d’amore e ricomprati del
sangue di Cristo crocifixo unigenito mio Figliuolo. Si che tucti gli ha presi nella rete del sancto
desiderio suo. Ma molti n’escono, come decto è, che si partono dalla grazia per li difecti loro: e
gl’infedeli e gli altri che stanno in peccato mortale. Non è però che essi non siano in quello desiderio
per continua orazione: però che, quantunque l’anima si parta da me per le colpe sue, e da l’amore e
conversazione che debbono avere a’ servi miei, e debita reverenzia; non è però diminuito, né debba
diminuire, l’affecto della caritá in loro. Si che essi gictano questa dolce rete dalla mano dricta.
O figliuola carissima, se tu considerrai punto facto che fece il glorioso appostolo Pietro, il
quale si conta nel sancto Evangelio, che gli fece fare la mia Verità quando gli comandò che gittasse
la rete nel mare, Pietro rispose che tucta nocte s’era afadigato e neuno n’aveva potuto avere,
dicendo: — « Ma nel comandamento e alla parola tua, io la gittarò »; — gittandola, ne prese in tanta
abondanzia, che solo non poté tirarla fuore, e chiamò e’ discepoli che l’aitassero. Dico che in questa
figura, la quale fu in veritá cosí (ma figura te per quello che decto Io t’ho), tu la troverai che ella t’è
propria. E fotti sapere che tucti e’ misteri e modi che tenne la mia Verità nel mondo, e co’ discepoli
e senza e’ discepoli, erano figurativi dentro ne l’anima de’ servi miei, e in ogni maniera di genti ;
acciò che in ogni cosa poteste avere regola e doctrina, speculandovi col lume della ragione: e a’
grossi e a’ sottili, a quegli che hanno basso intendimento e alto; ogniuno può pigliare la parte sua,
pure che voglia.
Dixiti che Pietro al comandamento del Verbo gittò la rete. Si che fu obbediente, credendo
con fede viva poterli pigliare; (340) e però ne prese assai, ma non nel tempo della nocte. Sai tu qual
è il tempo della nocte? È la scura nocte del peccato mortale, quando l’anima è privata del lume della
grazia. In questa nocte veruna cosa prende, però che gitta l’affetto suo non nel mare vivo, ma nel
morto, dove truova la colpa, che è non tavelle. Indarno s’affadiga con grandi e intollerabili pene,
senza veruna utilitá: fannosi màrteri del dimonio e non di Cristo crocifixo. Ma, apparendo el di, che
egli esce della colpa e torna a lo stato della grazia, gli appariscono nella mente sua e’ comandamenti
della Legge, e’ quali li comandano che gitti questa rete nella parola del mio Verbo, amando me
sopra ogni cosa e il proximo come se medesimo. Allora con obbedienzia e col lume della fede, con
ferma speranza, la gitta nella parola sua, seguitando la dottrina e le vestigie di questo dolce e
amoroso Verbo, e discepoli. E come gli piglia, e cui egli chiama, giá te l’ho detto di sopra, e però
non te gli ricapitolo piú.
CXLVII. Come la predetta rete la gitta; piú perfettamente uuo; che un altro,
unge piglia piú pesci. E de la excellenzia di questi perfetti.
— Questo t’ho detto, acciò che col lume de l’intelletto cognosca con quanta providenzia
questa mia Verità, nel tempo che conversò con voi, egli adoperò e’ ministeri suoi e tutti e’ suoi atti;
perché tu cognosca quello che vi conviene fare, e quello che fa l’anima che sta in questo
perfectissimo stato. E pensa che piú perfetto il fa uno che un altro, secondo che va ad obbedire a
questa parola piú promptamente e con piú perfetto lume, perduta ogni speranza di sé, ma solo
ricolta in me, suo Creatore. Piú perfettamente la gitta colui che obedisce, observando e’
comandamenti e consigli mentalmente e attualmente, che colui che observa solo i comandamenti, e
i consigli mentalmente. Ché chi non osservasse i consigli mentalmente, giá non observarebbe e’
comandamenti attualmente, perché sonno legati insieme, (341) sí come in un altro luogo piú
pienamente lo ti narrai. Si che perfettamente piglia, secondo che perfectamente gitta. Ma e’ perfecti,
de’ quali Io t’ho narrato, pigliano in abbondanzia e in grande perfeczione.
Oh! come hanno ordinati gli organi loro per la buona e dolce guardia che fece la guardia del
libero arbitrio alla porta della volontà. Tutti e’ sentimenti loro fanno un suono soavissimo, el quale
esce dentro della città de l’anima, perché le porte sonno tutte chiuse e aperte. Chiusa è la volontà
all’amore proprio; ed è aperta a desiderare e amare il mio onore e la dileczione del proximo: Lo
intell’ecto è chiuso a raguardare le delizie, vanità e miserie del mondo, le quali sonno tutte una notte
che dànno tenebre allo ‘ntellecto che disordenatamente le guarda; ed è aperto col lume posto ne
l’obietto del lume della mia Verità. La memoria è serrata nel ricordamento del mondo e di sé
sensitivamente; ed è aperta a ricevere e reducersi a memoria el ricordamento de’ benefizi miei.
L’affetto de l’anima fa allora uno giubilo e uno suono, temparate e acordate le corde con prudenzia e
lume; accordate tutte a uno suono, cioè a gloria e loda del nome mio.
In questo medesimo suono, che sonno acordate le corde grandi delle potenzie de l’anima,
sonno acordate le piccole de’ sentimenti e strumenti del corpo. Si com’ Io ti dixi, parlandoti degl’
iniqui uomini, che tutti sonavano morte, ricevendo e’ loro nemici; cosí questi suonano vita,
ricevendo gli amici delle vere e reali virtú, stormentano con sancte e buone operazioni. Ogni
menbro lavora el lavorio che gli è dato a lavorare, ogniuno perfettamente nel grado suo: l’occhio nel
suo vedere, l’orecchia nel suo udire, l’odorato nel suo odorare, il gusto nel suo gustare, la mano nel
toccare e adoperare, e’ piei ne l’andare. Tutti s’accordano in uno medesimo suono: a servire il
proximo per gloria e loda del nome mio, e servire l’anima con buone e sancte e virtuose operazioni,
obbedienti a l’anima a rispondere come organi. Piacevoli sonno a me, piacevoli a la natura angelica,
e piacevoli a’ veri gustatori, che gli aspettano con grande gaudio e allegrezza dove participarà il
bene l’uno de (342) l’altro, e piacevoli al mondo. Voglia il mondo o no, non possono fare gl’ iniqui
uomini che non sentano de la piacevolezza di questo suono. Anco, molti e molti con questo ]amo e
stor. mento ne rimangono presi: partonsi dalla morte e vengono alla vita.
Tucti e’ sancti hanno preso con questo organo. El primo che solfasse in suono di vita fu il
dolce e amoroso Verbo, pigliando la vostra umanità. E con questa umanità unita con la Deitá,
facendo uno dolce suono in su la croce, prese il figliuolo de l’umana generazione, e prese il
dimonio, che ne li tolse la signoria che tanto tempo l’aveva posseduto per la colpa sua. Tucti voi
altri sonate inparando da questo Maestro. Con questo imparare da lui presero gli appostoli,
seminando la parola sua per tucto il mondo; e’ màrteri e confessori e doctori e le vergini, tucti
pigliavano l’anime col suono loro. Raguarda la gloriosa vergine Orsina, che tanto dolcemente sonò
il suo stormento, che solo di vergini n’ebbe undici migliaia, e piú d’altretanti d’altra gente ne prese
con questo medesimo suono. E cosí tucti gli altri, chi in uno modo e chi in un altro. Chi n’è cagione?
La mia infinita providenzia, che ho proveduto in dar lo’ gli strumenti, e dato l’ho la via e ‘l modo
con che possino sonare. E ciò ch’ Io do e permetto in questa vita l’è via ad augmentare questi
stormenti, se essi la vogliono cognoscere, e che non si voglino tollere il lume, con che e’ veggono,
con la nuvila de l’amore proprio, piacere e parere di loro medesimi.
CXLVIII. De la providenzia di Dio in generale, la quale usa verso le sue creature
in questa vita é nell’altra.
— Dilarghisi, figliuola, el cuore tuo, e apre l’occhio de l’ intellecto col lume della fede a
vedere con quanto amore e providenzia Io ho creato e ordinato l’uomo acciò che goda nel mio
sommo, etterno bene. E in tutto ho proveduto, come detto (343) t’ ho, ne l’anima e nel corpo, negl’
imperfecti e ne’ perfecti, a’ buoni e a’ gattivi, spiritualmente e temporalmente, nel cielo e nella terra,
in questa vita mortale e nella inmortale.
In questa vita mortale, mentre che sète viandanti, Io v’ho legati nel legame della carità:
voglia ]’uomo o no, egli ci è legato. Se egli si scioglie per affecto che non sia nella caritá del
proximo, egli ci è legato per necessità. Unde, acciò che in acto e in affecto usasse la caritá (e se la
perdete in affecto per le iniquità vostre, almeno sète constrecti per vostro bisogno d’usare facto),
providdi di non dare a uno uomo, né a ogniuno a se medesimo, el sapere fare quello che bisogna
fare in tucto alla vita de l’uomo; ma chi n’ha una parte, e chi n’ha un’altra, acciò che l’uno abbi
materia, per suo bisogno, di ricòrrire a l’altro. Unde tu vedi che l’artefice ricorre al lavoratore, e il
lavoratore a l’artefice: l’uno ha bisogno de l’altro, perché non sa fare l’uno quello che l’altro. Cosi el
cherico e il religioso ha bisogno del secolare, e il secolare del religioso; e l’uno non può fare senza
l’altro. E cosí d’ogni altra cosa.
E non potevo Io dare a ogniuno tucto? Si bene; ma volsi, con providenzia, che s’aumiliasse
l’uno a l’altro, e costrecti fussero d’usare facto e l’affecto della caritá insieme. Mostrato ho la
magnificenzia, bontá e providenzia mia in loro, e essi si lassano guidare alla tenebre della propria
fragilità. Le menbra del corpo vostro vi fanno vergogna, perché usano caritá insieme, e non voi:
unde, quando il capo ha male, la mano il soviene; e se il dito, che è cosí piccolo menbro, ha male, il
capo non si reca a schifo perché sia maggiore e piú nobile che tucta l’altra parte del corpo, anco il
soviene con l’udire, col vedere, col parlare e con ciò ch’egli ha. E cosí tucte l’altre menbra. Non fa
cosí l’uomo superbo, che, vedendo il povero membro suo infermo e in necessità, non el soviene, non
tanto con ciò che egli ha, ma con una minima parola; ma con rimproverio e schifezza volta la faccia
adietro. Abbonda in ricchezze, e lassa lui morire di fame; ma egli non vede che la sua miseria e
crudeltá gitta puzza a me, e infino al profondo de lo ‘nferno ne va la puzza sua.
Io proveggo quel povarello, e per la povertà gli sarà data somma ricchezza. E a lui, con
grande rimproverio, gli sarà rimproverato dalla mia Verità, se egli non si corregge, per lo modo che
conta nel sancto Evangelio, dicendo: « Io ebbi fame e non mi desti mangiare; ebbi sete, e non mi
desti bere; nudo fui, e non mi vestisti; infermo e in carcere, e non mi visitasti ». E non gli varrà in
quello ultimo di scusarsi, dicendo: — Io non ti viddi mai, ché, se io t’avesse veduto, io farei facto.
— El misero sa bene (e cosí dixe Egli) che quello che fa a’ suoi povaregli, fa a lui. E però
giustamente gli sarà dato etterno supplicio con le demonia.
Si che vedi che nella terra Io ho proveduto perché non vadano all’etternale dolore.
Se tu raguardi di sopra, in me vita durabile, nella natura angelica e ne’ cittadini che sonno in
essa vita durabile, che in virtú del sangue dell’Agnello hanno avuta vita etterna, Io ho ordinato con
ordine la caritá loro, cioè che Io non ho posto che l’uno gusti pure il bene suo proprio, nella beata
vita che egli ha da me, e non sia participato dagli altri. Non ho voluto cosí: anco è tanto ordinata e
perfecta la caritá loro, che il grande gusta el bene del piccolo, e il piccolo quello del grande.
Piccolo, dico, quanto a misura, non che ‘l piccolo non sia pieno come il grande, ognuno nel grado
suo, si come in un altro luogo Io ti narrai. Oh! quanto è fraterna questa carità, e quanto è unitiva in
me, e l’uno con l’altro, perché da me l’hanno e da me la ricognoscono, con quello timore sancto e
debita reverenzia, che rendono loro, s’affogano in me, e in me veggono e cognoscono la loro dignità
nella quale Io gli ho posti. L’angelo si comunica con l’uomo, cioè con l’anime de’ beati, e i beati con
gli angeli. SI che ognuno in questa dileczione della carità, godendo el bene l’uno de l’altro, exultano
in me con giubilo e allegrezza senza alcuna tristizia, dolce senza alcuna amaritudine, perché, mentre
che vissero e nella morte loro, gustàro me per affecto d’amore nella caritá del proximo.
Chi l’ha ordinato? La sapienzia mia con admirabile e dolce providenzia. E se tu ti vòlli al
purgatorio, vi trovarrai la mia (345) dolce e inextimabile providenzia in quelle tapinelle anime che
per ignoranzia perdéro il tempo, e perché sonno separate dal corpo, non hanno piú el tempo di
potere meritare: unde Io l’ ho provedute col mezzo di voi, che anco sète nella vita mortale, che
avete il tempo per loro; cioè che con le limosine e divino offizio che facciate dire a’ ministri miei,
con digiuni e con orazioni facte in istato di grazia, abbreviate a loro il tempo della pena mediante la
mia misericordia. Odi dolce providenzia !
Tucto questo ho decto a te che s’appartiene, dentro ne l’anima, alla salute vostra, per farti
inamorare e vestire col lume della fede, con ferma speranza nella providenzia mia, e perché tu gitti
te fuore di te, e in ciò che tu hai a fare speri in me senza veruno timore servile.
CXLIX. De la providenzia che Dio usa verso de’ poveri servi suoi, sovenendoli
ne le cose temporali.
— Ora ti voglio dire una picciola particella de’ modi ch’ Io tengo a sovenire i servi miei, che
sperano in me, nella necessità corporale. E tanto la ricevono perfectamente e inperfectamente,
quanto essi sonno perfecti e inperfecti, spogliati di loro e del mondo: ma ogniuno proveggo. Unde i
povaregli miei, povari per spirito e di volontà, cioè per spirituale intenzione, non semplicemente
dico povari, però che molti sonno povari e non vorrebbero essere: questi sonno ricchi quanto alla
volontà e sonno mendichi, perché non sperano in me né portano volontariamente la povertà che Io
l’ho data per medicina de l’anima loro, perché la ricchezza farebbe facto male e sarebbe stata loro
dannazione; ma e’ servi miei sonno poveri e non mendichi. El mendico spesse volte non ha quello
che gli bisogna e pate grande necessità; ma el povaro non abonda, ma ha apieno la sua necessità. Io
non gli manco mai mentre ch’egli spera in me: conducoli bene alcuna volta (346) in su la extremità,
perché meglio cognoscano e veggano che lo gli posso e voglio provedere, inamorinsi della
providenzia mia e abbraccino la sposa della vera povertà. Unde il servo loro dello Spirito sancto,
clemenzia mia, vedendo che non abbino quello che lo’ bisogna alla necessità del corpo, accenderà
uno desiderio con uno stimolo nel cuore di coloro che possono sovenire, che essi andaranno e
soverrannoli de’ loro bisogni. Tucta la vita de’ dolci miei povaregli si governa per questo modo: con
sollicitudine che lo do di loro a’ servi del mondo. È vero che, per provarli in pazienzia, in fede e
perseveranzia, Io sosterrò che lo’ sia decto rimproverio ingiuria e villania; e nondimeno quel
medesimo che lo’ dice e fa ingiuria è costretto dalla mia clemenzia di dar lo’ Pelimosina e sovenire
ne’ loro bisogni.
Questa è providenzia generale data a’ miei povarelli. Ma alcuna volta I’usarò ne’ grandi servi
miei senza il mezzo della creatura, solo per me medesimo, si come tu sai d’avere provato. E hai
udito del glorioso padre tuo Domenico che, nel principio dell’ordine, essendo e’ frati in necessità,
intantoché essendo venuta l’ora del mangiare e non avendo che, il dilecto mio servo Domenico, col
lume della fede sperando che Io provedesse, dixe: — Figliuoli, ponetevi a mensa. — Obbediendolo
e’ frati, alla parola sua si posero a mensa. Allora Io, che proveggo chi spera in me, mandai due
angeli con pane bianchissimo, intantoché n’ebbero in grandissima abondanzia per piú volte. Questa
fu providenzia non con mezzo d’uomini, ma £acta dalla clemenzia mia dello Spirito sancto.
Alcuna volta proveggo multiplicando una piccola quantità, la quale non era bastevole a loro,
si come tu sai di quella dolce vergine sancta Agnesa. La quale, dalla sua puerizia infino a l’ultimo,
servi a me con vera umilità, con esperanza ferma, intantoché non pensava di sé né della sua famiglia
con dubbitazione. Unde ella con viva fede, per comandamento di Maria, si mosse, poverella e senza
alcuna substanzia temporale, a fare il mònasterio. Sai che era luogo di peccatrici. Ella non pensò: —
Come potrò io farequesto? — Ma sollicitamente, con la mia providenzia, (348) ne fece luogo
sancto, monasterio ordinato a religiose. Ine congregò nel principio circa diciotto fanciulle vergini
senza avere cavelle, se non come Io la provedevo: tra l’altre volte, avendo Io sostenuto che tre di
erano state senza pane, solo con l’erba. E se tu mi dimandassi : — Perché le tenesti a quel modo,
conciosiacosaché di sopra mi dicesti che tu non manchi mai a’ servi tuoi che sperano in te, e che essi
hanno la loro necessità? In questo mi pare che lo’ mancasse il loro bisogno, perché pure de l’erba
non vive il corpo della creatura, parlando comunemente e in generale di chi non è perfecto: ché, se
Agnesa era perfecta ella, non erano l’altre in quella perfeczione; — Io ti risponderei ch’ Io el feci e
permissi per farla inebriare della providenzia mia; e quelle, che anco erano inperfecte, per lo
miracolo che poi seguitò, avessero materia di fare il principio e fondamento loro nel lume della
sanctissima fede. In quella erba o in altro a cui divenisse simile caso, o per verun altro modo, davo e
do una disposizione a quel corpo umano, intantoché meglio starà con quella poca dell’erba, o alcuna
volta senza cibo, che inanzi non faceva col pane e con l’altre cose che si dànno e sonno ordinate per
la vita de l’uomo. E tu sai che egli è cosí, che l’hai provato in te medesima.
Dico che Io proveggo col moltiplicare. Ché, essendo ella stata in questo spazio del tempo, che Io
t’ho decto, senza pane, vollendo ella l’occhio della mente sua col lume della fede a me, disse: —
Padre e Signore mio, sposo etterno, ed ha’ mi tu facte trare queste figliuole delle case de’ padri loro
perché elle periscano di fame? Provede, Signore, alla loro necessità. — Io ero Colui che la facevo
adimandare: piacevami di provare la fede sua, e l’umile sua orazione era a me piacevole. Distesi la
mia providenzia in quello che con la mente sua stava dinanzi a me, e costrinsi per spirazione una
creatura, nella sua mente, che le portasse cinque panuccioli. E, manifestandolo a lei nella sua mente,
dixe, vollendosi a le suore: — Andate, figliuole mie, rispondete alla ruota, e tollete quel pane. —
Arrecandolo elle, si posero a mensa. Io le diei tanta virtú, nello spezzare el pane che ella fece, che
tucte se ne saziarono apieno, e tanto ne levarono (348) di su la mensa, che pienamente un’altra volta
n’ebbero abondantemente alla necessità del corpo loro.
Queste sonno delle providenzie che Io uso co’ servi miei a quelli che son povari
volontariamente; e non pure volontariamente, ma per spirito. Però che senza spirituale intenzione
nulla lo’ varrebbe. Si come divenne a’ filosofi, che, per amore che avevano alla scienzia e volontà
d’impararla, spregiavano le ricchezze e facevansi povari volontariamente; cognoscendo, di
cognoscimento naturale, che la sollicitudine delle mondane ricchezze gli aveva ad inpedire di non
lassarli giognere al termine loro della scienzia, el quale ponevano, per uno loro fine, dinanzi
all’occhio de l’intelletto loro. Ma, perché questa volontà de la povertà non era spirituale, fatta per
gloria e loda del nome mio, però non avevano vita di grazia né perfeczione, ma morte etternale.
CL. Dei mali che procedono dal tenere o desiderare disordinatamente le
ricchezze temporali.
— Doh ! raguarda, carissima figliuola, quanta vergogna a’ miseri uomini amatori delle
ricchezze, che non seguitano il cognoscimento che lo’ porge la natura per acquistare il sommo ed
etterno Bene! Lo fanno questi filosofi, che, per amore della scienzia, cognoscendo che e’ l’era
inpedimento, le gittavano da loro. E questi de le ricchezze si vogliono fare uno idio. E questo
manifesta ch’egli è cosí : che essi si dogliono piú quando perdono la ricchezza e substanzia
temporale che quando perdono me, che so’ somma ed etterna ricchezza. Se tu raguardi bene, ogni
male n’esce di questo disordenato desiderio e volontà della ricchezza.
Egli n’esce la superbia, volendo essere il maggiore; la ingiustizia in sé e in altrui; l’avarizia, che per
l’appetito della pecunia non si cura di robbare il fratello suo, né di tollere quello della sancta Chiesa,
che è acquistato col sangue del Verbo unigenito (349) mio Figliuolo. Èscene rivendarìa delle carni
del proximo suo e del tempo: come sonno. gli usurai, che, come ladri, vendono quel che non è loro.
Èscene golosità per li molti cibi e disordenatamente prenderli, e disonestà. Ché, se non avesse che
spendere, spesse volte non starebbe in conversazioni di tanta miseria. Quanti omicidii, odio e
rancore verso il suo proximo, e crudeltá con infidelità verso di me, presumendo di loro medesimi,
come se per loro virtú l’avessero acquistate! Non vedendo che per loro virtú non le tengono né
l’acquistano, ma solo per mia, perdono la speranza di me, sperando solo nelle loro ricchezze. Ma la
speranza loro è, vana, ché, non avedendosene, elle vengono meno: o essi le perdono in questa vita
per mia dispensazione e loro utilitá, o essi le perdono col mezzo della morte. Allora cognoscono che
vane e none stabili elle erano. Elle inpoveriscono e uccidono l’anima: fanno l’uomo crudele a se
medesimo, tolgonli la dignità dello infinito e fannolo finito, cioè che’l desiderio suo, che debba
essere unito in me che so’ bene infinito, egli l’ha posto e unito per affetto d’amore in cosa finita. Egli
perde il gusto del sapore della virtú e de l’odore della povertà, perde la signoria di sé, facendosi
servo delle ricchezze. È insaziabile, perché ama cosa meno di sé; però che tutte le cose che sonno
create sonno fatte per l’uomo perché il servissero e non perché egli se ne faccia servo, e l’uomo die
servire a me che so’ suo fine.
A quanti pericoli e a quante pene si mette l’uomo, per mare e per terra, per acquistare la
grande ricchezza, per tornare poi nella città sua con delizie e stati; e non si cura d’acquistare le virtú
né di sostenere un poca di pena per averle, che sonno la ricchezza de l’anima. Essi sonno tutti,
ammersi il cuore, e l’affetto, che debba servire a me, egli l’hanno posto nelle ricchezze, e con molti
guadagni inliciti carica la conscienza loro. Vedi a quanta miseria egli si recano e di cui e’ si sonno
fatti servi: non di cosa ferma né stabile, ma mutabile, ché oggi son ricchi e domane povari ; ora
sonno in alto, ora sonno a basso; Ora sono temuti e avuti in reverenzia dal mondo per la loro
ricchezza, e ora è facto beffe di loro avendola perduta, con (350) rimproverio e vergogna e senza
conpassione eglino son trattati, perché si facevano amare e erano amati per le ricchezze e non per
virtú che fussero in loro. Ché, se fussero stati amati e fussersi facti amare per le virtú che fussero
state in loro, non sarebbe levata la reverenzia né l’amore, perché la sustanzia temporale fuxe perduta
e non la ricchezza delle virtú.
Oh, come è grave loro a portare nella coscienzia loro questi pesi! E l’è si grave, che in questo
camino della perregrinazione non può còrrire né passare per la porta stretta. Nel `sancto Evangelio
vi disse cosí la mia Verità: che « egli è piú inpossibile ad intrare uno ricco a vita etterna che uno
camello per una cruna d’aco ». Ciò sonno coloro che con disordenato e miserabile affetto
posseggono o desiderano la ricchezza. Però che molti sonno quelli che sonno povari, si com’ Io ti
dixi, e per affetto d’amore disordenato posseggono tutto il mondo con la loro volontà, se essi el
potessero avere. Questi non possono passare per la porta, però che ella è stretta e bassa; unde, se
non gittano il carico a terra e non ristrengono l’affetto loro nel mondo e chinano il capo per umilità,
non ci potranno passare. E non ci è altra porta che gli conduca ad vita se non questa. Ècci la porta
larga che gli mena a l’etterna dannazione; e, come ciechi, non pare che veggano la loro ruina, che in
questa vita gustano l’arra de l’inferno. Però che in ogni modo ricevono pena, desiderando quello che
non possono avere. Non avendo, hanno pena, e se e’ perdono, perdono con dolore. Con quella
misura hanno il dolore, che essi la possedevano con amore. Perdono la dileczione del proximo, non
si curano d’acquistare veruna virtú. Oh, fracidume del mondo! non le cose del mondo in loro, però
che ogni cosa creai buona e perfetta, ma fracido è colui che con disordenato amore le tiene e cerca.
Mai non potresti con la tua lingua narrare, figliuola mia, quanti sonno e’ mali che n’escono e
veggonne e pruovanne tutto di; e non vogliono vedere né cognoscere il danno loro.
CLI. De la excellenzia de’ poveri per spirituale intenzione. E come Cristo ci
amaestrò di questa povertà non solamente per parole, ma per exemplo. E de la
providenzia di Dio verso di quelli che questa povertà pigliano.
— Hottene toccato alcuna cosa perché meglio cognosca il tesoro della povertà volontaria per
spirito. Chi la cognosce? I diletti povaregli servi miei, che, per potere passare questo camino e
intrare per la porta stretta, hanno gittato a terra il peso delle ricchezze. Alcuno le gitta attualmente e
mentalmente; e questi sonno quegli che observano e’ comandamenti e consigli attualmente e
mentalmente. E gli altri observano i consigli solo mentalmente, spogliatosi l’affetto della ricchezza,
ché non la possiede con disordenato amore, ma con ordine e timore sancto; fattone non posessore,
ma dispensatore a’ povari. Questo è buono; ma el primo è perfetto, con piú frutto e meno inpaccio,
in cui si vede piú rilucere la providenzia mia attualmente. Della quale, insiememente commendando
la vera povertà, Io ti compirò di narrare. L’uno e l’altro hanno chinato il capo, facendosi piccoli per
vera umilità. E perché in un altro luogo, se ben ti ricorda, di questo secondo alcuna cosa ti parlai,
però ti dirò solo di questo primo.
Io t’ho mostrato e detto che ogni male, danno e pena in questa vita e ne l’altra esce da l’amore
delle ricchezze. Ora ti dico, per contrario, che ogni bene, pace e riposo e quiete esce della vera
povertà. Mirami pure l’aspetto de’ veri povaregli: con quanta allegrezza e giocundità stanno; mai
non si contristano se non de l’offesa mia, la quale tristizia non affligge ma ingrassa l’anima. Per la
povertà, hanno acquistata la somma ricchezza; per lassare la tenebre, truovansi perfectissima luce;
per lassare la tristizia del mondo, posseggono allegrezza; per li beni mortali, truovano gl’ inmortali e
ricevono maxima consolazione. Le fadighe e’l sostenere l’è uno rifrigerio, con giustizia e caritá
fraterna con ogni (352) creatura che ha in sé ragione. Non sono acceptatori delle creature in cui
riluce la virtú della sanctissima fede e vera speranza, dove arde il fuoco della divina caritá in loro:
ché, col lume della fede che ebbero in me, somma e etterna ricchezza, levarono la speranza loro dal
mondo e da ogni vana ricchezza, e abbracciarono la sposa della vera povertà con le serve sue. E sai
quali sonno le serve della povertà? La viltà e dispiacimento di sé e la vera umilità, che servono e
notricano l’affecto della povertà ne l’anima. Con questa fede e speranza, accesi di fuoco di carità,
saltavano e saltano e’ veri servi miei fuore delle ricchezze e del proprio sentimento. Si come il
glorioso Matteo appostolo lassò le grandi ricchezze saltando il banco, e seguitò la mia Verità, che
v’insegnò il modo e regola, insegnandovi amare e seguitare questa povertà. E non ve la insegnò
solamente con parole, ma con exemplo; unde, dal principio della sua natività infino a l’ultimo della
vita sua, in exemplo v’insegnò questa doctrina.
Egli la sposò per voi questa sposa della vera povertà, conciosiacosaché egli fusse somma
ricchezza per l’unione della natura divina, unde egli è una cosa con meco e Io con lui, che so’ etterna
ricchezza. E se tu il vuoli vedere umiliato in grande povertade, raguarda Dio essere facto uomo,
vestito della viltà e umanità vostra. Tu vedi questo dolce e amoroso Verbo nascere in una stalla,
essendo Maria in camino, per mostrare a voi viandanti che voi dovete sempre rinascere nella stalla
del cognoscimento di voi, dove trovarrete nato me, per grazia, dentro ne l’anima vostra.
Tu il vedi stare ine in mezzo degli animali in tanta povertà, che Maria non ha con che
ricoprirlo. Ma, essendo tempo di freddo, col fiato de l’animale e col fieno, si el riscaldava. Essendo
fuoco di carità, vuole sostenere freddo ne l’umanità sua in tucta la vita. Mentre che visse nel mondo
volse sostenere, e senza e’ discepoli e co’ discepoli: unde alcuna volta, per la fame, sgranellavano i
discepoli le spighe e mangiavano le granella. E, ne l’ultimo della vita sua, nudo fu spogliato e
fragellato alla colonna, e assetato sta in sul legno della croce, in tanta povertà, (353) che la terra e il
legno gli venne meno, non avendo luogo dove riposare il capo suo; ma convennesi che sopra la
spalla sua riposasse il capo, e, come ebbro d’amore, vi fa bagno del sangue suo, aperto il Corpo di
questo Agnello, che da ogni parte versa.
Essendo in miseria, dona a voi la grande ricchezza; stando in sul legno strecto della croce,
egli spande la larghezza sua a ogni creatura che ha in sé ragione; assaggiando l’amaritudine del
fiele, egli dá a voi perfectissima dolcezza; stando in tristizia, vi dá consolazione; stando confitto e
chiavellato in croce, vi scioglie dal legame del peccato mortale; essendosi facto servo, ha facti voi
liberi e tracti de la servitudine del dimonio; essendo venduto, v’ha ricomperati di Sangue; dando a sé
morte, ha dato a voi vita.
Bene v’ha dato dunque regola d’amore, mostrandovi maggiore amore che mostrare vi potesse, dando
la vita per voi, che eravate facti nemici a lui e a me, sommo ed etterno Padre. Questo non cognosce
lo ignorante uomo, che tanto m’offende e tiene a vile si facto prezzo. Havi data regola di vera
umilità, umiliandosi a l’obrobriosa morte della croce; e di viltà, sostenendo gli obrobri e i grandi
rimprovèri; e di vera povertà, unde parla di lui la Scrittura, lamentandosi in sua persona: « Le volpi
hanno tana e gli uccelli hanno il nido, e’l Figliuolo della Vergine non ha dove riposare il capo suo ».
Chi el cognosce questo? Quello che ha il lume della sanctissima fede. In cui truovi questa fede? Ne’
povaregli per spirito, che hanno presa per sposa la reina della povertà, perché hanno gittato da loro
le ricchezze che dànno tenebre d’ infidelità.
Questa reina ha il reame suo che non v’è mai guerra, ma sempre ha pace e tranquilità. Ella
abbonda di giustizia, perché quella cosa che commecte ingiustizia è separata da lei; le mura della
città sua son forti, perché ‘l fondamento non è facto Sopra la terra, ma sopra la viva pietra: Cristo,
dolce Iesú, unigenito mio Figliuolo. Dentro v’è luce senza tenebre, perché la madre di questa reina è
l’abisso della divina caritá. L’addornamento di questa città è la pietà e misericordia, perché (354)
n’ha tracto il tiranno della ricchezza che usava crudeltá. Ine v’è una benivolenzia con tucti i cittadini,
cioè la dileczione del proximo. Avi la longa perseveranzia con la prudenzia, che non va né governa
la città sua imprudentemente, ma con molta prudenzia e solicita guardia. Unde l’anima, che piglia
questa dolce reina della povertà per sposa, si fa signore di tucte queste ricchezze, e non può essere
de l’uno che ella non sia de l’altro.
Guarda giá che la morte de l’appetito delle ricchezze non cadesse in quella anima: allora
sarebbe divisa da quello bene, e trovarebbesi di fuore della città in somma miseria. Ma, se ella è
leale e fedele a questa sposa, sempre in etterno le dona la ricchezza sua. Chi vede tanta excellenzia?
in cui riluce il lume della fede. Questa sposa riveste lo sposo suo di purità, tollendo via la ricchezza
che ‘l faceva inmondo; privalo delle gattive conversazioni e dagli le buone; tra’ne la marcia della
negligenzia, gittando fuore la sollicitudine del mondo e delle ricchezze; tra’ne l’amaritudine e
rimane la dolcezza; taglia le spine e rimanvi la rosa; vòta lo stomaco de l’anima d’umori corrocti del
disordenato amore, e fallo leggiero; e, poi che egli è vòto, l’empie del cibo delle virtú, che dànno
grandissima soavità. Ella gli pone il servo de l’odio e de l’amore, acciò che purifichi il luogo suo:
unde el odio del vizio e della propria sensualità spazza l’anima, e l’amore delle virtú l’addorna; tra’ne
ogni dubbitazione, privandola del timore servile e dalle sicurtà con timore sancto.
Tucte le virtú, tucte le grazie, piaceri e dilecti che sa desiderare truova l’anima che piglia per
sposa la reina della povertà. Non teme briga, ché non è chi le facci guerra; non teme di fame né di
caro, perché la fede vide e sperò in me, suo Creatore, unde procede ogni ricchezza e providenzia,
che sempre gli pasco e gli notrico. E trovossi mai uno vero mio servo, sposo della povertà, che
perisse di fame? No, ché si sonno trovati di quelli che sonno abondati nelle grandi ricchezze,
confidandosi nelle lore ricchezze e non in me, e però perivano; ma a questi non manco lo mai,
perché non mancano in speranza, e però gli proveggo come benigno e pietoso padre. E con quanta
allegrezza e larghezza sonno venuti a me, avendo cognosciuto col (355) lume della fede che, dal
principio infino a l’ultimo del mondo, ho usato e uso e usarò in ogni cosa la providenzia mia
spiritualmente e temporalmente, come decto è. Fogli Io bene sostenere, si com’ Io ti dixi, per farli
crescere in fede e in speranza e per rimunerarli delle lore fadighe; ma non lo’ manco mai in veruna
cosa che lo’ bisogni. In tucto hanno provato l’abisso della mia providenzia, gustandovi el lacte della
divina dolcezza, e però non temono l’amaritudine della morte: ma con ansietato desiderio corrono,
come morti al proprio sentimento di loro e delle ricchezze, abbracciati con la sposa della povertà
come inamorati, e vivi nella volontà mia, a sostenere freddo, nudità, caldo, fame, sete, strazi e
villanie; e a la morte, con desiderio di dare la vita per amore della Vita (cioè di me, che so’ toro vita)
e il sangue per amore del Sangue.
Raguarda gli appostoli povarelli e gli altri gloriosi màrteri, Pietro, Pavolo, Stefano e
Lorenzo, che non pareva che stesse sopra ‘l fuoco, ma sopra fiori di grandissimo dilecto, quasi
stando in mocti col tiranno, dicendo: — Questo lato è cocto: vòllelo e comincialo a mangiare. —
Col fuoco grande della divina caritá spegneva il piccolo nel sentimento de l’anima sua. Le pietre a
Stefano parevano rose: chi n’era cagione? L’amore, col quale aveva preso per sposa la vera povertà,
avendo Tassato il mondo per gloria e loda del nome mio, e presala per sposa col lume della fede,
con ferma speranza e prompta obbedienzia: fattisi obbedienti a’ comandamenti e a’ consigli che lo’
die’ la mia Verità actualmente e mentalmente, come decto è.
La morte hanno in desiderio e la vita in dispiacere e ad inpazienzia, non per fuggire labore
né fadiga, ma per unirsi in me, che so’ loro fine. E perché non temono la morte che naturalmente
l’uomo teme? Perché la sposa, la quale egli hanno presa della povertà, gli ha facci sicuri, tollendo lo’
l’amore di sé e delle ricchezze. Unde con la virtú hanno conculcato l’amore naturale e ricevuto
quello lume e amore divinq che è sopra naturale. E come potrà l’uomo che è in questo stato dolersi
della . morte sua, che desidera di lassare la vita, e pena gli è di portarla quando la vede tanto
prolongare? Potrassi dolere di lassare (356) le ricchezze del mondo, che l’ha spregiate con tanto
desiderio? Non è grande facto ponto, ché chi non ama non si duole, anco si dilecta quando lassa la
cosa che odia. Si che, da qualunque lato tu ti vòlli, truovi in loro perfecta pace e quiete e ogni bene;
e ne’ miseri, che posseggono con tanto disordenato amore, sommo male e intollerabili pene:
poniamo che all’aspecto di fuore paresse il contrario; ma in veritá egli è pure cosí.
E chi non avarebbe giudicato che Lazzaro povero fusse stato in somma miseria, e il ricco
danpnato in grande allegrezza e riposo? E nondimeno non era né fu cosí: ché sosteneva maggiore
pena quello ricco con le sue ricchezze, che Lazzaro povarello crociato di lebbra; perché in lui era
viva la volontà unde procede ogni pena, e in Lazzaro era morta, e viva in me, che nella pena aveva
rifrigerio e consolazione. Essendo cacciato dagli uomini, e maximamente dal ricco danpnato, non
forbito né governato da loro, Io provedevo che l’animale, che non ha ragione, leccasse le piaghe sue;
e ne l’ultimo della loro vita vedete, col lume della fede, Lazzaro a vita etterna e il ricco ne l’inferno.
Si che i ricchi stanno in tristizia e i dolci miei povarelli in allegrezza. Io me gli tengo al
pecto mio, dando lo’ del lacte delle molte consolazioni: perché tucto lassarono, però tucto mi
posseggono; lo Spirito sancto si fa baglia de l’anime e de’ corpicelli loro in qualunque stato e’ sieno.
Agli animali li fo provedeve in diversi modi, secondo che hanno bisogno: agl’infermi solitari farò
escire l’altro solitario della cella per andare a sovenirlo; e tu sai che molte volte t’adivenne ch’ Io ti
trassi di cella per satisfare alla necessità delle povarele che avevano bisogno. Alcuna volta te la feci
provare in te questa medesima providenzia, facendoti sovenire alla tua necessità, e, quando
mancava la creatura, non mancavo Io; tuo Creatore. In ogni modo Io gli proveggo. E unde verrà che
l’uomo, stando nelle ricchezze e in tanta cura del corpo suo e con molti panni, e sempre starà
infermiccio; e spregiando poi sé e abbracciando la povertà per amore di me, el vestimento terrà solo
per ricoprire il corpo suo, e diventarà forte e sano, e veruna cosa parrà che gli sia nociva, che a
quello corpo non pare che gli faccia danno piú (357) né freddo né caldo né grossi cibi? Dalla mia
providenzia gli venne, che providdi e tolsi ad avere cura di lui, perché tucto si lassò.
Adunque vedi, dilectissima figliuola, in quanto riposo e dilecto stanno questi dilecti miei
povaregli.
CLII. Repetizione in somma de la predecta divina providenzia.
— Ora t’ho narrato alcuna picciola particella della providenzia mia in ogni creatura e in ogni
maniera di gente, come decto è; mostrandoti che, dal principio ch’ Io creai el mondo primo, e il
secondo mondo della mia creatura, dandole l’essere alla imagine e similitudine mia, infino a
l’ultimo, Io ho usato, facto e fo ciò che Io fo con providenzia per procurare alla salute vostra, perché
Io voglio la vostra sanctificazione; e ogni cosa data a voi, che abbia essere, vi do per questo fine.
Questo non veggono gl’ iniqui uomini del mondo che s’hanno tolto il lume; e decto t’ho che, però
che non cognoscono, si scandelizzano in me. Nondimeno Io con pazienzia gli porto, aspectandogli
infine a l’ultimo, procurando sempre al loro bisogno, si com’ Io ti dissi, a loro che sonno peccatori,
come de’ giusti, in queste cose temporali e nelle spirituali. Anco t’ho contata la inperfeczione delle
ricchezze, una sprizza della miseria nella quale conducono colui che le possiede con disordinato
affecto, e della excellenzia della povertà: della ricchezza che dá nell’anima che la elegge per sua
sposa, aconpagnata con la sorella della viltà. Della quale viltà insieme con l’obbedienzia ti narrarò.
Anco t’ho mostrato quanto è piacevole a me e come Io la tengo cara e come Io la proveggo
con la providenzia mia. Tucto l’ho decto a comendazione di questa virtú e della sanctissima fede,
con la quale gionse a questo perfectissimo stato ed excellentissimo, per farti crescere in fede e in
speranza, e perché bussi alla porta della mia misericordia. Con fede viva tiene (358) che il desiderio
tuo e de’ servi miei lo l’adempirò col molto sostenere infino alla morte. Ma confortati ed exulta in
me, che so’ tuo difenditore e consolatore.
Ora ho satisfacto al parlare della providenzia, della quale tu mi pregasti che lo provedesse
alla necessità delle mie creature, e hai veduto che lo non so’ dispregiatore de’ sancti e veri desidèri.
CLIII. Come questa anima, laudando e ringraziando Dio, el prega che esso le
parli de la virtú de la obedienzia.
Allora quella anima, come ebbra, innamorata della vera e sancta povert~, dilatata nella
somma, etterna grandezza, e transformata ne l’ abisso della somma e inextimabile providenzia
(intantoché, stando nel vassello del corpo, si vedeva fuore del corpo per la obunbrazione e rapire
che facto aveva il fuoco della sua caritá in lei), teneva l’occhio de l’ intellecto suo fixo nella divina
maiestà, dicendo al sommo e etterno Padre:
— O Padre etterno ! O fuoco e abisso di caritá ! O etterna bellezza, o etterna sapienzia, o
etterna bontá, o etterna clemenzia, o speranza, o refugio de’ peccatori, o larghezza inextimabile, o
etterno e infInito bene, o pazzo d’amore! E hai tu bisogno della tua creatura? Sí, pare a me; ché tu
tieni modi come se senza lei tu non potessi vivere, conciosiacosaché tu sia vita, dal quale ogni cosa
ha vita e senza te neuna cosa vive. Perché dunque se’ cosí inpazzato? Perché tu t’ innamorasti della
tua factura, piacestiti e dilectastiti in te medesimo di lei, e, come ebbro della sua salute, ella ti fugge,
e tu la vai cercando; ella si dilonga, e tu t’appressimi: piú presso non potevi venire che vestirti della
sua umanità. E che dicerò? Farò come Troglio.che dicerò: — A, a, — perché non so che Ini dire
altro, però che la lingua finita non può exprimere l’affecto de l’anima che infinitamente desidera te.
Parrai ch’io possa dire la parola di Pavolo, quando disse: «Né lingua (359) può parlare, né urecchia
udire, né occhio vedere, né cuore pensare quello che io viddi ». Che vedesti? Vidde «arcana Dei ».
E io che dico? Non ci aggiongo con questi sentimenti grossi; ma tanto ti dico che hai gustato e
veduto, anima mia, l’abisso della somma, etterna providenzia. Ora rendo grazie a te, sommo etterno
Padre, della smisurata tua bontá mostrata a me, miserabile, indegna d’ogni grazia. Ma perch’io
veggo che tu se’ adempitore de’ sancti desidèri, e la tua Veritá non può mentire, e perché io desidero
che ora un poco tu mi parlassi della virtú de l’obbedienzia e della excellenzia sua, si come tu, Padre
etterno, mi promectesti che mi narrarestí, acciò che io d’essa virtú m’ inamori, e mai non mi parta da
l’obbedienzia tua; piacciati, per la tua infinita bontà, di dirmi della sua perfeczíone, e dove io la
posso trovare, e quale è la cagione che me la tolle, e chi me la dá, e il segno che io l’abbi o non
l’abbi.
DELL’ OBEDIENZIA
CLIV. Qui comincia el trattato dell’obedienzia. E prima, dove l’obedienzia si
truova, e che è quello che ce la tolle, e quale è il segno che l’uomo l’abbi o no, e
chi è la sua compagna e da cui è notricata.
Allora el sommo ed etterno Padre, e pietoso, volse l’occhio della misericordia e clemenzia
sua inverso di lei, dicendo: — O carissima e dolcissima figliuola, el sancto desiderio e giuste
petizioni debbono essere exauditi ; e però Io, somma veritú, adempirò la veritá mia, satisfacendo
alla promessa che Io ti feci e al desiderio tuo. E se tu mi dimandi : dove la truovi, e quale è la
cagione che te la tolle, e il segno che tu l’abbi o no, lo ti rispondo: che tu la truovi conpitamente nel
dolce e amoroso Verbo, unigenito mio Figliuolo. Fu tanto pronpta in lui questa virtú che, per
conpirla, corse all’obrobriosa morte della croce. Chi te la tolle? Raguarda nel primo uomo, e vedrai
la cagione che gli tolse l’obbedienzia inposta a lui da me, Padre etterno: la superbia che esci e fu
producta da l’amore proprio e piacimento della compagna sua. Questa fu quella cagione che gli tolse
la perfeczione de l’obbedienzia e diègli la disobbedienzia; unde gli tolse la vita della grazia e diègli
la morte, perdette la innocenzia e cadde in inmondizia e in grande miseria. E non tanto egli, ma e’
v’incorse tutta l’umana generazione, si come lo ti dixi.
El segno che tu abbi questa virtú è la pazienzia; e, non avendola, ti dimostra che tu non l’hai,
la inpazienzia. Unde contiandoti di questa virtú, trovarrai che egli è cosí. Ma actende: ché. in due
modi s’observa obbedienzia. L’una è piú perfetta che l’altra; e non so’ però separate, ma unite, si
com’ Io ti dixi de’ (364) comandamenti e de’ consigli. L’uno è buono e perfetto, l’altro è
perfectissimo; e neuno è che possa giognere a vita etterna se non l’obbediente, però che senza
l’obbedienzia veruno è che vi possa intrare, perché ella fu diserrata con la chiave de l’obbedienzia, e
con la disobbedienzia di Adam si serrò.
Essendo poi Io costretto dalla mia infinita bontá, vedendo che l’uomo, cui Io tanto amavo,
non tornava a me, fine suo, tolsi le chiavi de l’obbedienzia e posile in mano del dolce e amoroso
Verbo, mia Verità; ed egli, come portonaio, diserrò questa porta del cielo. E senza questa chiave e
portonaio, mia Verità, veruno ci può andare. E però dixe egli nel sancto evangelio che veruno
poteva venire a me, Padre, se non per lui. Egli vi lassò questa dolce chiave de l’obbedienzia, quando
egli ritornò a me, exultando, in cielo, e levandosi dalla conversazione degli uomini per l’ascensione.
Si come tu sai, egli lassò il vicario suo, Cristo in terra, a cui sète tutti obligati d’obbedire infino alla
morte. E chi è fuore de l’obbedienzia sua, sta in stato di danpnazione, si come in un altro luogo Io ti
dixi.
Ora Io voglio che tu vegga e cognosca questa excellentissima virtú ne l’umile e inmaculato
Agnello, e unde ella procede. Unde venne che tanto fu obbediente questo Verbo? Da l’amore ch’egli
ebbe a l’onore mio e alla salute vostra.
Unde procedette l’amore? Dal lume della chiara visione con la quale vedeva, l’anima sua,
chiaramente la divina Essenzia e la Trinitá etterna; e cosí sempre vedeva me, Dio etterno. Questa
visione adoperava perfectissimamente in lui quella fedeltà, la quale inperfectamente adopera in voi
ci lume della sanctissima fede. Ché fu fedele a me, suo Padre etterno, e però corse col lume
glorioso, come innamorato, per la via de l’obbedienzia. E perché l’amore non è solo, ma è
aconpagnato di tutte le vere e reali virtú, però che tutte le virtú hanno vita da l’amore della caritá
(benché àltrementí fussero le virtú in lui e altrementi in voi); ma tra l’apre ha la pazienzia, che è il
mirollo suo, uno segno dimostrativo che ella fa ne l’anima se ella è in grazia e ama in veritá o no; e
però la madre della caritá l’ha data per sorella alla virtú de l’obbedienzia, e halle si unite insieme,
che (365) mai non si perde l’una senza l’altra: o tu l’hai amendune, o tu non hai veruna.
Questa virtú ha una nutrice che la notrica, cioè la vera umilità; unde tanto è obbediente
quanto umile, e umile quanto obbediente. Questa umilità è baglia e nutrice della carità, e però ci
latte suo medesimo notrica la virtú de l’obbedienzia. El vestimento suo, che questa nutrice le dà, è
l’avilire se medesimo, vestirsi d’obrobri, dispiacere a sé e piacere a me. In cui ci truovi? In Cristo,
dolce Iesú, unigenito mio Figliuolo. E chi s’avilí piú di lui? Egli si satollò d’obrobri, di scherni e di
villanie; dispiacque a sé, cioè la vita sua corporale, per piacere a me. E chi fu piú paziente di lui, che
non fu udito ci grido suo per alcuna mormorazione, ma con pazienzia abbracciando le ingiurie,
come inamorato compi l’obbedienzia mia, inposta a lui da me, suo Padre etterno?
Addunque in lui la trovarrete compitamente. Egli vi lassò la regola e questa dottrina, e prima
l’osservò in sé; ella vi dá vita, perché ella è via dritta. Egli è la via, e però dixe egli che era via,
veritá e vita; e chi va per essa va per la luce, e colui che va per la luce non può offendere né essere
offeso che egli non s’avegga, perché ha tolto da sé la tenebre de l’amore proprio unde cadeva nella
disobbedienzia: che, com’ Io ti dixi, la conpagna, e unde procedeva l’obbedienzia, è l’umilità. Cosí ti
dixi e dico che la disobbedienzia viene dalla superbia, che esce da l’amore proprio di sé, privandosi
de l’umilità. La sorella, che è data da l’amore proprio alla disobbedienzia, è la inpazienzia, e la
superbia la notrica; con tenebre d’ infidelità corre per la via tenebrosa, che gli dá morte etternale.
Tutti vi conviene leggere in questo gloricsc libro, dove trovate scripta questa e ogni altra
virtú.
CLV. Come l’obedienzia é una chiave con la quale si disera el cielo, e come
debba avere el funicello e debbasi portare attaccata a la cintura. E de le
excellenzie sue.
— Poi che Io t’ho mostrato dove tu la truovi, e unde ella viene, e chi è la sua compagna, e da
cui è nutricata; ora ti parlarò degli obbedienti insieme co’ disobbedienti, e de l’obbedienzia generale
e della particolare, cioè di quella de’ comandamenti e di quella de’ consigli.
Tucta la fede vostra è fondata sopra l’obbedienzia, ché ne l’obbedienzia mostrate d’essere
fedeli. Posti vi so’ dalla mìa Verità, a tutti generalmente, i comandamenti della legge. El principale
si è d’amare me sopra ogni cosa e ‘l proximo come voi medesimi; e sonno legati questi insieme con
gli altri, che non si può observare l’uno che tutti non si observino, né lassarne uno che tutti non si
lassino. Chi observa quest’o observa tutti gli altri, è fedele a me e al proximo suo, ama me e sta nella
dileczione della mia creatura; e però è obbediente, fassi subdito a’ comandamenti della legge e alle
creature per me, con umiltà e pazienzia porta ogni fadiga e detrazione dal proximo.
Questa obbedienzia fu ed è di tanta excellenzia, che tutti ne contraeste la grazia, si come
perla disobbedienzia tutti avavate tratta la morte. Ma e’ non bastarebbe, se ella fusse stata solo nel
Verbo, e ora non l’usaste voi. Giá ti dixi che ella era una chiave che diserris il cielo, la quale chiave
pose nelle mani del vicario suo. Que., to vicario la pone in mano d’ogniuno, ricevendo il sancto
baptesmo, dove egli promette di renunziare al dimonio, al mondo e alle ponpe e delizie sue.
Promettendo d’obbedire, riceve la chiave de l’obbedienzia; si che ogniuno l’ha in particolare, ed è la
medesima chiave del Verbo. E se l’uomo non va col lume della fede e con la mano de l’amore a
diserrare con questa chiave la porta del cielo, giá mai dentro non vi entrarrà, non obstante che ella
sia aperta (367) per lo Verbo; però che lo vi creai senza voi, ma non vi salvarò senza Voi.
Addunque vi conviene portare in mano la chiave, e convienvi andare e non sedere: andare
per la dottrina della mia Verità e non sedere, cioè ponendo l’affetto suo in cosa finita, si come fanno
gli uomini stolti che seguitano l’uomo vecchio, il primo padre loro, facendo quello che fece egli, che
gittò la chiave de l’obbedienzia nel loto della immondizia; schiacciandola col martello della
superbia, arrugginilla con l’amore proprio. Se non poi che venne il Verbo, unigenito mio Figliuolo,
che si recò questa chiave de l’obbedienzia in mano e purificolla nel fuoco della divina carità;
trassela del loto, lavandola col Sangue suo; dirizzolla col coltello della giustizia, fabricando le
iniquità vostre in su l’ancudine del corpo suo. Egli la racconciò si perfectamente che, tanto quanto
l’uomo guastasse la chiave sua per lo libero arbitrio, con questo medesimo libero arbitrio, mediante
la grazia mia, con questi medesimi strumenti la può racconciare. O cieco sopra cieco uomo, che, poi
che tu hai guasta la chiave de l’obbedienzia, tu anco non ti curi di raconciarla! E credi tu che la
disobbedienzia, che serrò el cielo, te l’apra? Credi che la superbia, che ne cadde, vi salga? Credi col
vestimento stracciato e bructo andare alle nozze? Credi, sedendo e legandoti nel legame del peccato
mortale, potere andare? o senza chiave potere aprire l’uscio? Non te lo imaginare di potere, ché
ingannata sarebbe la tua imaginazione. E’ ti conviene essere sciolto. Esce del peccato mortale per la
sancta confessione e contrizione di cuore e satisfazione, e con proponimento di non offendere piú.
Gittarai allora a terra el bructo e laido vestimento, e corrirai, col vestimento nunpziale, con lume e
con la chiave de l’obbedienzia in mano, a diserrare la porta. Lega, lega questa chiave col funicello
della viltà e dispiacimento di te e del mondo; attaccala al piacere di me tuo Creatore del quale debbi
fare uno cingolo e cignerti, acciò che tu non la perda.
Sappi, figliuola mia, che molti sonno quegli che hanno presa questa chiave de l’obbedienzia,
perché hanno veduto col lume (368) della fede che in altro modo non possono campare dall’etterna
danpnazione. Ma tengonla in mano senza el cingolo cinto e senza el funicello dentrovi: cioè che non
si vestono perfectamente del piacere di me, ma anco piacciono a loro medesimi. E non v’hanno
posto el funicello della viltà, desiderando d’essere tenuti vili, ma piú tosto dilectatisi della loda degli
uomini. Questi sonno acti a smarrire la chiave, pure che lo’ soprabondi un poca di fadiga o
tribulazione mentale o corporale; e, se non s’hanno ben cura, spesse volte, allentando la mano del
sancto desiderio, la perdarebbero. El qual perdere è uno smarrire, ché, volendola ritrovare, possono,
mentre che vivono; e non volendo, non la truovano mai. E chi gli li manifestarà che l’abbino
smarrita? La inpazienzia: perché la pazienzia era unita con l’obbedienzia; non essendo paziente, si
dimostra che l’obbedienzia non è ne l’anima.
Oh, quanto è dolce e gloriosa questa virtú, in cui sonno tucte l’altre virtú! Perché ella è
conceputa e partorita dalla carità; in lei è fondata la pietra della sanctissima fede; ella è una reina
che, di cui ella è sposa, non sente veruno male: sente pace e quiete. L’onde del mare tempestoso non
gli possono nuocere, che l’offendano per alcuna sua tempesta il mirollo de l’anima. Non sente l’odio
nel tempo della ingiuria, però che vuole obbedire, ché sa che gli è comandato che perdoni; non ha
pena che l’appetito suo non sia pieno, perché l’obbedienzia l’ha facto ordinare a desiderare
solamente me, che posso, so e voglio conpire i desidèri suoi, e hallo spogliato delle mondane
ricchezze. E cosí in tucte le cose (le quali sarebbero troppo lunghe a narrare) truova pace e quiete,
avendo questa reina de l’obbedienzia presa per sposa, la quale t’ho posta come chiave.
O obbedienzia, che navighi senza fadiga, e senza pericolo giogni a porto di salute! Tu ti
conformi col Verbo, unigenito mio Figliuolo; tu sali nella navicella della sanctissima croce,
recandoti a sostenere per non trapassare l’obbedienzia del Verbo, né escire della doctrina sua; tu te
ne fai una mensa, dove tu mangi el cibo de l’anime, stando nella dileczione del proximo! (369) Tu
se’ unta di vera umilità, e però non appetisci le cose del proximo fuore della volontà mia. Tu se’
dricta senza veruna tortura, ché fai el cuore dricto e non ficto, amando liberalmente e non
fictivamente la mia creatura. Tu se’ una aurora, che meni teco la luce della divina grazia. Tu se’ uno
sole che scaldi, perché non se’ senza el calore della caritá. Tu fai germinare la terra, cioè che gli
strumenti de l’anima e del corpo tucti producono fructo, che dá vita in sé e nel proximo suo. Tu se’
tucta gioconda, perché non hai turbata la faccia per inpazienzia, ma ha’ la piacevole con la
piacevolezza della pazienzia, tucta serena di fortezza. Se’ grande con longa perseveranzia, si grande
che tieni dal cielo alla terra, perché con essa si diserra il cielo. Tu se’ una margarita nascosta e non
cognosciuta, calpestata dal mondo, avilendo te medesima, sottoponendoti alle creature. Egli è si
grande la tua signoria, che veruno è che ti possa signoreggiare, perché se’ escita della mortale
servitudine della propria sensualità, la quale ti tolleva la dignità tua. Morto questo nemico, con
l’odio e dispiacimento del proprio piacere, hai riavuta la tua libertà.
CLVI. Qui insiememente si parla de la miseria de li inobedienti e de la
excellenzia de li obedienti.
— Ma Io ti dico, carissima figliuola, tucto questo ha facto la bontá e providenzia mia, che
providdi che ‘l Verbo racconctasse la chiave, come decto è, di questa obbedienzia; ma gli uomini
del mondo, privati d’ogni virtú, fanno tucto il contrario. Essi, si come animali sfrenati, perché non
hanno il freno de l’obbedienzia, corrono, andando di male in peggio, di peccato in peccato, di
miseria in miseria, di tenebre in tenebre e di morte in morte; tanto che si conducono in su la fossa
della extremità della morte col vermine della conscienzia che sempre gli rode. E poniamo che anco
possano ripigliare l’obbedienzia di volere (370) obbedire a’ comandamenti della legge, avendo il
tempo e dolendosi di quello che hanno disobbedito, nondimeno è molto malagevole per la longa
consuetudine del peccato. E però non sia veruno che se ne fidi, indugiando a pigliare la chiave de
l’obbedienzia ne l’ultima extremità della morte, benché ogniuno possa e debba sperare infine che
egli ha il tempo; ma non se ne debba fidare, che per questo pigli indugio a corrèggiare la vita sua. E
chi è cagione di tanto loro male e di tanta ciechità, che non cognoscono questo tesoro? La nuvila de
l’amore proprio con la miserabile superbia, unde sonno partiti da l’obbedienzia e caduti nella
disobbedienzia. Non essendo obbedienti, non sonno pazienti, come detto è, e nella inpazienzia
sostengono intollerabili pene. Halli tratti della via della veritá e menali per la via della bugia,
facendosi servi e amici delle dimonia, e con loro insieme, se non si correggono con l’obbedienzia,
vanno co’ loro signori dimòni a l’etterno supplicio; si come i diletti figliuoli observatori della legge
e obbedienti godono ed exultano nella etterna mia visione con lo inmaculato e umile Agnello,
facitore, adempitore e donatore della legge. In questa vita, observandola, hanno gustata la pace, e
nella beata vita ricevono e vestonsi della perfectissima pace, dove è pace senza veruna guerra, e
ogni bene senza veruno male, sicurtà senza veruno timore, ricchezza senza povertà, sazietà senza
fastidio, fame senza pena, luce senza tenebre, uno sommo bene infinito e non finito, e uno bene
partecipato con tutti e’ veri gustatori.
Chi l’ha messo in tanto bene? Il sangue de l’Agnello, nella virtú del quale sangue la chiave
de l’obbedienzia perde la ruggine, acciò che con essa potesse diserrare la porta. Si che
l’obbedienzia, in virtú del sangue, te l’ha diserrata. O stolti e matti, non tardate piú a escire del loto
delle inmondizie, che pare che fatiate come il porco che s’ involle nel loto, cosí voi nel loto della
carnalità.
Lassate le ingiustizie, omicidii, odio e rancore, le detrazioni, mormorazioni, giudici e
crudeltá, e’ quali usate verso il proximo vostro, furti e tradimenti, col disordenato piacere e diletti
del mondo. Tagliate le corna della superbia, col quale tagliare (371) spegnerete l’odio che avete nel
cuore verso di chi vi fa ingiuria, :Misurate le ingiurie che fate a me e al proximo vostro con quelle
che sonno facte a voi, e trovarrete che, a rispecto di quelle che fate a me e a loro, le vostre non
sonno cavelle. Voi vedete bene che, stando ne l’odio, voi fate ingiuria a me, perché trapassate il
comandamento mio, e fate ingiuria a lui, privandovi della dileczione della caritá. E giá v’è stato
comandato che voi amiate me sopra ogni cosa e ‘l proximo come voi medesimi. Non vi fu messa
chiosa veruna, che vi fusse detto: — Se egli vi fa ingiuria, non l’amate: -no; ma libero e schietto,
perché fu dato a voi dalla mia Verità, che con schiettezza l’osservò e fece. Con questa schiettezza il
dovete observare voi, e, se non l’osservate, fate danno a voi e ingiuria a l’anima vostra, privandola
della vita della grazia.
Tollete, dunque, tollete la chiave de l’obbedienzia col lume della fede; non andate piú con
tanta ciechità né freddo; ma con fuoco d’amore tenete questa obbedienzia, acciò che, insiememente
con gli observatori della legge, gustiate vita etterna.
CLVII. Di quelli e’ quali pongono tanto amore all’obedienzia che non rimangono
contenti de la obedienzia generale de’ comandamenti, ma pigliano l’obedienzia
particulare.
— Alcuni sonno, dilettissima figliuola mia, che tanto crescerà in loro el dolce e amoroso
fuoco d’amore verso questa obbedienzia; e, perché fuoco d’amore non è senza odio della propria
sensualità, crescendo el fuoco, cresce l’odio; unde, per odio e per amore, non si chiamano contenti a
l’obbedienzia generale de’ comandamenti della legge (a’ quali, come detto è, tutti sète tenuti e
obligati d’obbedire, se volete avere la vita: se non che, avareste la morte), ma pigliano la particulare,
cioè l’obbedienzia particulare che va dietro alla grande perfeczione, unde si fanno observatori de’
consigli attualmente e mentalmente.
Voglionsi questi cotali, per odio di loro e per uccidere in tucto la loro volontà, legarsi piú
corti. O essi si legano al giogo de l’obbedienzia nella sancta religione; o egli si legano fuore della
religione ad alcuna creatura, sottomectendo la loro volontà in lei, per andare piú expediti a diserrare
il cielo. Questi son quegli, de’ quali Io ti dixi che eleggevano l’obbedienzia perfectissima.
Decto t’ho della generale obbedienzia; e, perché Io so che la tua volontà è che Io ti parli de
l’obbedienzia piú particulare, perfectissima, però ti narrarò ora di questa seconda, la quale non esce
però della prima, ma è piú perfecta: perché giá ti dixi che elle erano unite insieme per si facto modo,
che separare non si possono.
Hotti decto unde procede e dove si truova l’obbedienzia generale, e quale è quella cosa che
ve la tolle. Ora ti dirò della particulare, non traendoti di questo principio.
CLVIII. Per che modo si viene da l’obedienzia generale a la particulare. E de la
excellenzia de le religioni.
— L’anima che con amore ha preso il giogo de l’obbedienzia de’ comandamenti, seguitando
la doctrina della mia Verità, per lo modo che decto t’ho, con l’exercizio exercitandosi in virtú in
questa generale obbedienzia, verrà alla seconda con quello lume medesimo che venne alla prima.
Perché col lume della sanctissima fede avara cognosciuto nel sangue de l’umile Agnello la mia
veritá, l’amore ineffabile che Io gli ho e la fragilità sua, che non risponde, con quella perfeczione
che debba, a me.
Va cercando con questo lume in che luogo e in che modo possa rendermi il debito, e
conculcare la propria fragilità e uccidere la volontà sua. Raguardando, ha trovato il luogo col lume
della fede, cioè la sancta religione. La quale è fatta dallo Spirito sancto, posta come navicella per
ricevere l’anime che (373) vogliono còrrire a questa perfeczione, e conducerle a porto di salute. El
padrone di questa navicella è lo Spirito sancto, che in sé non manca mai per difecto di veruno
subdito religioso che trapassasse l’ordine suo: non può offendere questa navicella, ma offende se
medesimo. È vero che, per difecto di colui che tenesse il timone, la fa andare a onde; e questi sonno
e’ gattivi e miserabili pastori, prelati posti dal padrone di questa navicella. Ella è di tanto dilecto in
se medesima, che la lingua tua noi potrebbe narrare.
Dico che questa anima, cresciuto il fuoco del desiderio, con odio sancto di sé avendo trovato
il luogo, col lume della fede v’entra dentro morta, se egli è vero obbediente, cioè che perfectamente
abbi observata l’obbedienzia generale. E se egli v’entra inperfecto, non è però che non possa
giognere alla perfeczione: anco vi giogne, volendo exercitare in sé la virtú de l’obbedienzia. Anco
la maggiore parte di quegli che v’entrano sonno inperfecti: chi v’entra con perfeczione, chi v’entra
per fanciullezza, chi v’entra per timore, chi per pena e chi per lusinghe. Ogni cosa sta poi in
exercitarsi nella virtú e in perseverare infino alla morte; ché per l’entrare veruno giudicio non si può
ponere, ma solo nella perseveranzia. Però che molti sonno paruti che sieno andati perfecti, che
hanno poi voltato el capo adietro, o stati ne l’ordine con molta inperfeczione. Si che il modo e facto,
con che entrano nella navicella (che sono tucti ordinati da me, chiamandoli in diversi modi), non si
può giudicare; ma solo l’affecto di colui che dentro vi persevera con vera obbedienzia.
Questa navicella è ricca, che non bisogna al subdito che abbi pensiero veruno di quello che
gli bisogni né spiritualmente né temporalmente; però che, se egli è vero obbediente e observatore de
l’ordine, egli è proveduto dal padrone dello Spirito sancto, come tu sai ch’ Io ti dixi, quando ti parlai
della providenzia mia, che i servi miei, se essi erano povari, non erano mendichi cosí costoro; si che
trovavano la loro necessità. Bene la pro vavano e pruovano quegli che sonno observatori de l’ordine.
Unde vedi che, ne’ tempi che gli ordini si reggevano in fiore (374) di virtú con vera povertà e con
caritá fraterna, non lo’ venne mai meno la substanzia temporale, ma avevanne piú che non
richiedeva il loro bisogno. Ma, perché e’ ci è intrata la puzza de l’amore proprio in vivere in
particulare, ed è mancata l’obbedienzia, lo’ viene meno la sustanzia temporale. E quanta piú ne
posseggono; in maggiore mendicaggine si truovano. Giusta cosa è che, infino alle cose minime,
pruovino che frutto lo’ dá la disobbedienzia; ché, se fussero obbedienti, observarebbero il voto della
povertà e non terrebbero proprio, né vivarebbero in particulare.
Truovaci la ricchezza delle sancte ordinazioni, poste con tanto ordine e con tanto lume da
coloro che erano fatti tempio di Spirito sancto. Raguarda Benedetto con quanto ordine ordinò la
navicella sua. Raguarda Francesco con quanta perfeczione e odore di povertà, con le matgarite delle
virtú, egli ordinò la navicella de l’ordine suo, dirizzandoli nella via dell’alta perfeczione; ed egli fu il
primo che la fece, dando lo’ per sposa la vera e sancta povertà, la quale aveva presa per se
medesimo, abbracciando le viltà. Spiacendo a se medesimo, non disiderava di piacere a veruna
creatura fuore della volontà mia; anco desiderava d’essere avilito nel mondo, macerando il corpo
suo e uccidendo la volontà, vestitosi degli obrobri, pene e vitopèri per amore de l’umile Agnello, col
quale egli s’era confitto e chiavellato per affecto d’amore in su la croce: intantoché, per singulare
grazia, nel corpo suo apàrbero le piaghe della mia Verità, mostrando nel vasello del corpo quello
che era ne l’affetto de l’anima sua. Si che egli lo’ fece la via.
Ma tu mi dirai: — E non sonno fondate in questo medesimo l’altre? — Si; ma in ogniuno
non è principale (poniamo che tutte sieno fondate in questo), ma adiviene come delle virtú: tutte le
virtú hanno vita dalla carità; e nondimeno, come in altri luoghi t’ho detto, a cui è propria l’una, e a
cui è propria l’altra, e nondimeno tutti stanno in caritá. Cosí questi: a Francesco povarello gli fu
propria la vera povertà, facendo il suo principio della navicella, per affecto d’amore, in essa povertà,
con molto ordine stretto, da gente perfetta e non comune, da pochi e (375) buoni. «Pochi » dico,
perché non sonno molti quelli che eleggono questa perfeczione; ma per li difecti loro sonno
moltiplicati in gente e venuti meno in virtú: non per difecto della navicella, ma per li disobbedienti
subditi e gattivi governatori.
E se tu raguardi la navicella del padre tuo Domenico, diletto mio figliuolo, egli l’ordinò con
ordine perfetto, ché volse che attendessero solo a l’onore di me e salute de l’anime col lume della
scienzia. Sopra questo lume volse fare il principio suo; non essendo però privato della povertà vera
e volontaria. Anco l’ebbe, e, in segno ch’egli l’aveva e dispiacevali il contrario, lassa per testamento
a’ figliuoli suoi per eredità la maladiczione sua e la mia, se essi posseggono o tengono possessione
veruna in particulare o in generale, in segno ch’ egli aveva eletta per sua sposa la reina della
povertà. Ma per piú proprio suo obietto prese il lume della scienzia, per stirpare gli errori che a
quello tempo erano levati. Egli prese l’officio del Verbo, unigenito mio Figliuolo. Drittamente nel
mondo pareva uno apostolo: con tanta veritá e lume seminava la parola mia, levando la tenebre e
donando la luce. Egli fu uno lume, che Io porsi al mondo col mezzo di Maria, messo nel corpo
mistico della sancta Chiesa come stirpatore de l’eresie.
Perché dixi «col mezzo di Maria »? Perché Maria gli die’ l’abito: commesso fu l’officio a lei
dalla mia bontá. In su che mensa fa mangiare e’ figliuoli suoi col lume della scienzia? Alla mensa
della croce, in su la quale croce è posta la mensa del sancto desiderio, dove si mangia anime per
onore di me. Egli non vuole che’ figliuoli suoi attendano ad altro se non a stare in su questa mensa
col lume della scienzia, a cercare solo la gloria e loda del nome mio e la salute de l’anime. E, acciò
che non attendano ad altro, tolle la cura delle cose temporali, ché vuole che sieno poveri. Vero è che
egli mancava in fede, temendo che non fussero proveduti? Non mancava, ché egli era vestito delle
fede, ma con ferma speranza sperava nella providenzia mia.
Vuole che observino l’obbedienzia, sieno obbedienti a fare quello che sonno posti. E perché
il vivere inmondamente obfusca l’occhio de l’intelletto; e non tanto de l’intelletto, ma per (376)
questo miserabile vizio ne manca il vedere corporale; unde egli non vuole che lo’ sia inpedito questo
lume, col quale lume meglio e piú perfectamente acquistano el lume della scienzia: però pone il
terzo voto della continenzia, e in tucti vuole che l’observino con vera e perfécta obbedienzia. Bene
che al di d’oggi male s’Observi; anco la luce della scienzia pervertono in tenebre con la tenebre della
superbia: non che questa luce in sé riceva tenebre, ma quanto a l’anime loro. Dove è superbia non
può essere obbedienzia; e giá ti dixi che tanto era umile quanto obbediente, e tanto obbediente
quanto umile. E, trapassando il voto de l’obbedienzia, rade volte è che non trapassi quel della
continenzia, o mentalmente o actualmente.
Si che egli ha ordinata la navicella sua legata con questi tre funicelli: con obbedienzia,
continenzia e vera povertà. Egli la fece tucta reale, non strignendola ad colpa di peccato mortale.
Alluminato da me, vero lume, con providenzia providde a quegli che fussero meno perfecti; ché,
benché tucti quegli che observano l’ordine sieno perfecti, nondimeno anco in vita è piú perfecto uno
che un altro; e, perfecti e non perfecti, tucti ci stanno bene in questa navicella. Egli s’acostò con la
mia Verità, mostrando di non volere la morte del peccatore, ma che si convertisse e vivesse. Tucta
larga, tucta gioconda, tucta odorifera, uno giardino dilectosissimo in sé; ma e’ miseri non
observatori de l’ordine, ma trapassatori, l’hanno tucto insalvatichito, tucto ingrossato con poco odore
di virtú e lume di scienzia in quegli che si notricano al pecto de l’ordine. Non dico « ne l’ordine »,
che in sé, com’ Io ti dixi, ha ogni dilecto; ma non era cosí nel principio suo, che egli era uno fiore:
anco c’erano uomini di grande perfeczione: parevano uno sancto Pavolo, con tanto lume, che a
l’occhio loro non si parava tenebre d’errore che non si dissolvesse.
Raguarda il glorioso Tommasso, che con l’occhio de l’intellecto suo tucto gentile si
specolava nella mia Verità, dove acquistò lume sopranaturale e scienzia infusa per grazia; unde egli
l’ebbe piú col mezzo de l’orazione che per studio umano. Questi fu una luce ardentissima, che rende
lume ne l’ordine suo (377) e del corpo mistico della sancta Chiesa, spegnendo le tenebre de l’eresie.
Raguardami Pietro vergine e martire, che col sangue suo . die’ lume nelle tenebre delle molte
eresie; che tanto l’ebbe in odio, che se ne dispose a lassarvi la vita. E, mentre che visse, l’exercizio
suo non er’altro che orare, predicare, disputare con gli eretici e confessare, annunziando la veritá e
dilatando la fede senza veruno timore. Ché non tanto ch’egli la confessasse nella vita sua, ma infine
a l’ultimo della vita. Unde, nella extremità della morte, venendoli meno là voce e lo ‘nchiostro,
avendo ricevuto il colpo, egli intinse il dito nel sangue suo: non ha carta questo glorioso martire, e
però s’inchina e scrive in terra confessando la fede, cioè il « Credo in Deum ». El cuore suo ardeva
nella fornace della mia carità, e però non allentò e’ passi voltando il capo adietro, sapendo che
doveva morire (però che, prima che egli morisse, gli revelai la morte sua); ma, come vero cavaliere,
senza timore servile, egli esce fuore in sul campo della bactaglia.
E cosí molti te ne potrei contiare, e’ quali, perché non avessero il martirio actualmente,
l’avevano mentalmente, si come ebbe Domenico. Odi lavoratori, che questo padre misse nella vigna
sua a lavorare, extirpando le spine de’ vizi e piantando le virtú ! Veramente Domenico e Francesco
sonno stati due colonne nella sancta Chiesa: Francesco con la povertà, che principalmente gli fu
propria, come decto è; e Domenico con la scienzia.
CLIX. De la excellenzia de li obedienti e de la miseria de li inobedienti, li quali
vivono ne lo stato de la religione.
— Poi che i luoghi sonno trovati, cioè queste navicelle ordinate dallo Spirito sancto per lo
mezzo di questi padroni, e però ti dixi che lo Spirito sancto era padrone di queste navicelle (378)
fondate col lume della sanctissima fede, cognoscendo con questo lume che la clemenzia mia (esso
Spirito sancto) ne sarebbe governatore, hotti mostrato il luogo, dicendoti della sua perfeczione. Ora
ti parlarò de l’obbedienzia e disobbedienzia di quegli che sono in questa navicella, parlandoti
insieme di tucti, e non in particulare: cioè non parlandoti piú d’uno ordine che d’un altro, mostrando
insiememente il difecto del disobbediente con la virtú de l’obbediente, acciò che meglio cognosca
l’uno per l’altro, e come debba andare, cioè in che modo, colui che va ad intrare nella navicella de
l’ordine.
Come debba andare colui che vuole intrare alla perfecta obbedienzia particulare ? Col lume
della sanctissima fede, col quale lume cognosca che gli conviene uccidere la propria volontà col
coltello de l’odio d’ogni propria passione sensitiva, pigliando la sposa che gli darà la caritá e la
sorella. La sposa, dico, della vera e prompta obbedienzia con la sorella della pazienzia e con la
nutrice de l’umilità; ché, se egli non avesse questa nutrice, l’obbedienzia perirebbe di fame, perché
ne l’anima, dove non è questa virtú piccola de l’umilità, l’obbedienzia vi muore di subbito.
La umilità non è sola, ma ha la serva della viltà e spregio del mondo e di sé, che fa l’anima
tenere vile: non appetisce onori, ma vergogne. Cosí morto debba andare alla navicella de l’ordine
quello che è in età da ciò; ma, per qualunque modo egli v’entra (perché ti dixi che in diversi modi Io
gli chiamavo), egli debba acquistare e conservare in sé questa perfeczione: pigliare largamente e
festinamente la chiave de l’obbedienzia de l’ordine. La quale chiave diserra lo sportello che è nella
porta del cielo, si come la porta che ha lo sportello. Cosí questi cotali hanno preso a diserrare lo
sportello, passando dalla chiave grossa de l’obbedienzia generale che diserra la porta del cielo, si
com’ Io ti dixi. In questa porta hanno presa una chiave sottile, passando per lo sportello basso e
strecto. Non è separato però dalla porta: anco è nella porta, sí come materialmente tu vedi. Questa
chiave la debbono tenere, poi che essi l’hanno presa, e non gictarla da loro.
E perché i veri obbedienti hanno veduto, col lume della fede, che col carico delle ricchezze e
col peso della loro volontà essi non possono passare per questo sportello senza grande loro fadiga e
che non vi lassi la vita, né andare col capo alto che non sel rompano, chinandolo, vogliano essi o no,
con loro pena; però gittano via el carico delle ricchezze e della propria loro volontà, observando il
voto della povertà volontaria, e non vogliono possedere, perché veggono, col lume della fede, in
quanta ruina essi ne verrebbero. Egli trapassarebbero l’obbedienzia, ché non observarebbero il voto
promesso della povertà. Essi ne vengono nella superbia, portando il capo ricto della volontà loro; e,
convenendo lo’ alcuna volta pure obbedire, essi non il chinano per umilità, ma passanla con
superbia, chinando il capo per forza. La quale forza rompe il capo a la volontà, facendo quella
obbedienzia con dispiacimento de l’ordine e del prelato loro. A mano a mano essi si vedrebbero
ruinare ne l’altro, trapassando il voto della continenzia; però che colui, che non ha ordinato
l’appetito suo, né spogliatosi della substanzia temporale, piglia le molte conversazioni e truova degli
amici assai, che l’amano per propria utilitá. Dalle conversazioni vengono alle strecte amistà. Il corpo
loro tengono in delizie, perché non hanno la baglia de l’umilità, non hanno la sorella sua della viltà;
e però stanno nel piacere di loro medesimi, stando agiatamente e dilicatamente, non come religiosi,
ma colpe signori; non con la vigilia e orazione. Per queste e molte altre cose, le quali l’adivengono e
fanno perché hanno che spendere (ché, se non avessero che spendere, non l’adiverrebbe), caggiono
nella inmondizia corporale o mentale: ché, se alcuna volta, per vergogna o per non avere il modo,
essi se n’astengono corporalmente, non si asterranno mentalmente. Ché inpossibile sarebbe a quegli
che sta in molta conversazione, in dilicatezza di corpo, in prendere disordenatamente i cibi e senza
la vigilia e orazione, conservare la mente sua pura.
E però il perfecto obbediente vede dalla longa, col lume della sanctissima fede, il male e il
danno che ne gli verrebbe del possedere la substanzia temporale, e l’andare col peso della propria
volontà. E vede bene che pure passare gli conviene (380) per questo sportello, e che egli el
passarebbe con morte e non con vita, perché non l’avarebbe diserrato con la chiave de
l’obbedienzia. Perché ti dixi che pure passare gli conveniva, e cosí è: cioè che, non partendosi dalla
navicella de l’ordine, pure, voglia egli o no, gli conviene passare per la strectezza de l’obbedienzia
del prelato suo. E però il perfecto obbediente leva sé sopra di sé e signoreggia la propria sensualità.
Levandosi sopra e’ sen. timenti suoi con fede viva, ha messo l’odio nella casa de l’anima sua, come
servo perché cacci il nemico de l’amore proprio, perché non vuole che la sposa sua de l’obbedienzia
(la quale gli fu data dalla madre della carità, sposata col lume della fede) sia offesa. E però ne
caccia il nemico, e mectevi la compagna e la nutrice della sposa sua, e l’odio ha cacciato il nemico.
L’amore de l’obbedienzia vi mecte dentro gli amatori della sposa sua, che amano la sposa de
l’obbedienzia: ciò sonno le vere e reali virtú e costumi e l’observanzie de l’ordine. Unde questa
dolce sposa entra dentro ne l’anima con la sorella della pazienzia e con la nutrice de l’umilità,
acompagnata con la viltà e dispiacere di sé. Poi che ella è intrata dentro, ella possiede la pace e la
quiete, perché ha messi di fuore i nemici suoi. Sta nel giardino della vera continenzia col sole del
lume de l’ intellecto dentrovi la pupilla della fede, ponendosi per obiecto la mia Verità, perché
l’obiecto suo è veritá. Avi el fuoco che rende caldo a tucti e’ servi e compagni suoi, perché observa
l’observanzie de l’ordine con fuoco d’amore.
Quali sonno e’ nemici suoi che stanno di fuore? El principale è l’amore proprio, che produce
superbia, nemico della caritá e umilità, la inpazienzia contra la pazienzia, la disobbedienzia contra
la vera obbedienzia. La infidelità è contraria alla fede, il presummere e sperare in sé non s’acorda
con la speranza vera, che l’anima debba avere in me. La ingiustizia non si conforma con la giustizia,
né la inprudenzia con la prudenzia, né la intemperanzia con la temperanzia, né il trapassare e’
comandamenti de l’ordine con l’observanzia de l’ordine, né le gattive conversazioni di coloro che
scelleratamente vivono con la buona conversazione (anco so’ nemici), né escire de’ (381) costumi e
delle buone consuetudini de l’ordine. Questi sonno i nemici crudeli suoi: èvi l’ira contra la
benivolenzia, la crudeltà contra la pietà, l’ iracundia contra la benignità, l’odio delle virtú contra
l’amore d’esse virtú, la inmondizia contra la purità, la negligenzia contra la sollicitudine, la
ingnoranzia contra al cognoscimento, e il dormire contra la vigilia e continua orazione.
E perché col lume della fede cognobbe che questi erano tucti nemici, che avevano a
contaminare la sposa sua della sancta obbedienzia, però mandò l’odio che gli cacciasse, e l’amore
che mectesse dentro gli amici suoi. Unde l’odio col coltello suo uccise la propria perversa volontà;
la quale volontà, notricata da l’amore proprio, dava vita a tucti questi nemici della vera obbedienzia.
Mozzo il capo al principale, per cui si conservano tucti gli altri, rimane libero e in pace, senza
veruna guerra. Non ha chi li li faccia, perché l’anima ha tolto da sé quello che la tenea in
amaritudine ed in tristizia.
E che guerra ha l’obbediente ? Fagli guerra la ingiuria? No, ché egli è paziente; la quale
pazienzia è sorella de l’obbedienzia. Sonnoli gravi e’ pesi de l’ordine? No, ché l’obbedienzia nel fa
observatore. Dagli pena la grave obbedienzia? No, ché egli ha conculcata la sua volontà e non vuole
investigare la volontà del prelato suo né giudicarla, ma col lume della fede giudica la volontà mia in
lui, credendo in veritá che la clemenzia mia gli fa comandare e non comandare, secondo che è di
necessità alla salute sua. Recasi egli a schifezza e dispiacere di fare le cose vili de l’ordine? o
sostenere le beffe e rimprovèri e gli scherni e villanie, che spesse volte gli sonno facti e decti? e
l’essere tenuto vile? No, perch’egli ha conceputo amore a la viltà e dispiacimento a se medesimo,
con perfectissimo odio: anco gode con pazienzia, exultando con gaudio e giocundità con la sposa
sua della vera obbedienzia.
Egli non si contrista se non de l’offesa che vede fare a me, suo Creatore; la sua
conversazione è con quegli che temono me in veritá. E se pure conversa con quelli che sono separati
dalla volontà mia, non il fa per conformarsi co’ difecti loro, ma per sottrarli dalla loro miseria,
perché, con caritá fraterna, (382) quel bene che egli ha in sé vorrebbe porgere a loro, vedendo che
piú loda e gloria tornarebbe al nome mio avere di molti di quelli che observassero l’ordine, che pure
di lui. E però s’ingegna di chiamare e religiosi e secolari con la parola e con l’orazione: per
qualunque modo egli può, s’ingegna di trarli della tenebre del peccato mortale.
Si che le conversazioni del vero obbediente sonno buone e perfette, o con giusti o con
peccatori che sieno, per l’ordinato affetto e larghezza di caritá. Della cella si fa uno cielo,
dilettandosi di parlare e conversare in me, sommo e etterno Padre, con affetto d’amore, fuggendo
l’ozio con l’umile e continua orazione. E quando e’ pensieri, per illusione del dimonió, gli
abbondano in cella, non si pone a sedere nel letto della negligenzia, abbracciando l’ozio, né vuole
investigare per ragione le cogitazioni del cuore, né i suoi pareri: ma fugge l’ozio, levando sé sopra di
sé con odio sopra ci sentimento sensitivo, e con vera umilità e pazienzia a portare le fadighe che
sente nella mente sua; resiste con la vigilia e umile orazione, veghiando l’occhio de l’ intelletto suo
in me, vedendo col lume della fede che lo so’ suo subvenitore, e che Io posso, so e voglio
subvenirlo; apro le braccia della mia benignità, e però gli li permetto perché sia piú sollicito a fugire
da sé e venire a me. E se l’orazione mentale, per la grande fadiga e tenebre della mente, paresse che
gli venisse meno, egli piglia la vocale o l’exercizio corporale, acciò che con la vocale ed exercizio
corporale fugga l’ozio. Con lume raguarda in me, che per amore gli li do, unde traie fuore il capo
della vera umilità, reputandosi indegno della pace e quiete della mente, come gli altri servi miei, e
degno delle pene. Perché giá ha avilito nella mente sua se medesimo con odio e rimproverio di sé,
non pare che si possa saziare delle pene, non mancandoli la speranza né la providenzia mia, ma con
fede e con la chiave de l’obbedienzia passa per questo mare tempestoso nella navicella de l’ordine; e
cosí è abitatore della cella, fuggendovi l’ozio, come detto è.
L’obbediente vuole essere il primo che entri in coro e l’ultimo che n’esca. E quando vede il
frate piú obbediente e (383) sollicito di lui, egli piglia una sancta invidia, furandoli quella virtú: non
volendo però che ella diminuisca in colui. Ché, se egli volesse, sarebbe separato dalla caritá del
proximo suo. L’obbediente non abandona il refettorio, anco il visita continuamente, e dilettasene di
stare alla mensa co’ povarelli. E in segno che egli se ne dilettava, per non avere materia di stare di
fuore, ha tolta da sé la substanzia temporale, observando perfettamente il voto della povertà; e tanto
perfettamente, che la necessità del corpo tiene con rimproverio. La cella sua è piena de l’odore della
povertà, e non di panni: non ha pensiero ch’e’ ladri vengano per inbolarli, né che la ruggine o
tigniuole li rodino e’ vestimenti suoi. E se gli è donato alcuna cosa, non ha pensiero di riponerla, ma
liberamente la comunica co’ fratelli suoi, non pensando el dí di domane; ma nel di presente tolle la
sua necessità, pensando solo del reame del cielo, e della vera obbedienzia in che modo meglio la
possino observare. E perché per la via de l’umilità meglio si conserva, egli si sottomette al piccolo
come al grande e al povaro come al ricco; di tutti si fa servo: non rifiutando mai labore, ogniuno
serve caritativamente. L’obbediente non vuole fare l’obbedienzia a suo modo, né eleggere tempo né
luogo, ma a modo de l’ordine e del prelato suo.
Tutto questo fa senza pena o tedio di mente il vero obbediente e perfetto. Egli passa, con
questa chiave in mano, per lo sportello stretto de l’ordine agiatamente e senza violenzia, perché ha
observato e observa il voto della povertà, de l’obbedienzia vera e della continenzia, levata l’altezza
della superbia e chinato il capo a l’obbedienzia per umilità. E però non rompe il capo per
inpazienzia, ma è paziente con fortezza e longa perseveranzia, che sonno amici de l’obbedienzia.
Passa l’assedio delle dimonia, mortificando e macerando la carne sua, spogliandola delle delizie e
diletti, e vestela delle fadighe de l’ordine con fede e senza sdegno. Come parvolo, che non tiene a
mente la battitura del padre né ingiuria che gli fusse fatta, cosí questo parvolo non tiene a mente né
ingiurie né fadighe né battiture che ricevesse ne l’ordine dal prelato suo; ma, chiamandolo, (384)
umilemente torna a lui, non passionato d’odio, d’ira né di rancore, ma con mansuetudine e
benivolenzia.
Questi sonno quelli parvoli che contòe la mia Verità, quando dixe a’ discepoli, che
contendevano insieme qual di loro fusse il maggiore, facendosi venire uno fanciullo, dicendo: — «
Lassate li parvoli venire a me, ché di questi cotali è il reame del cielo; e chi non si umiliarà come
questo. fanciullo, cioè che egli abbi la condizione sua, non intrarrà nel reame del cielo ». — Però
che chi s’aumiliarà, carissima figliuola, sarà exaltato, e chi sé exalta sarà umiliato: anco questo
medesimo dixe la mia Verità. Dunque, giustamente, questi parvoli umili, che per amore si sonno
umiliati e facti subditi con vera e sancta obbedienzia, non ricalcitrando a l’ordine e al loro prelato,
sonno exaltati da me, sommo ed etterno Padre, co’ veri cittadini della vita beata, dove sonno
remunerati d’ogni loro fadiga, e in questa vita gustano vita etterna.
CLX. Come li veri obedienti ricevono per uno cento e vita eterna. E che
s’intende per quello uno e per quello cento.
— Conpiesi in loro la parola che dixe nel sancto Evangelio il dolce e amoroso Verbo,
unigenito mio Figliuolo, quando rispose a Pietro, che l’aveva dimandato: — « Maestro, noi aviamo
lassato ogni cosa per lo tuo amore e noi medesimi, e aviamo seguitato te: che ci darai? » — La
Verità mia rispose: — « Daròvi per uno cento, e vita etterna possederete ». — Quasi volesse dire la
mia Verità: — Ben hai facto Pietro, ché in altro modo non mi potevi seguitare; ma Io in questa vita
te ne darò, per uno, cento. — E quale è questo cento, dilectissima figliuola, che, di po’ questo,
séguita vita etterna? Di quale intese e dixe la mia Verità? Di substanzia temporale? No,
propriamente (poniamo che alcuna volta ne l’elimosiniere Io facci multiplicare i beni temporali); ma
di quali? Di quello che dá la propria sua volontà, che è una (385) volontà, Io ne gli rendo cento per
questa una. Perché ti pongo numero di cento? Perché cento è numero perfecto, e non puoi
agiognervi piú, se tu non ti ricominci al primo. Cosí la caritá è perfectissima sopra tucte l’altre virtú,
ché non si può salire ad virtú piú perfecta. Ricominciti bene al cognoscimento di te, e cresci numero
di centonaia in merito, ma tu giogni pure al numero del cento. Questo è quello cento, che è dato a
quelli che hanno dato l’uno della loro volontà e ne l’obbedienzia generale e in questa particulare; e
con questo cento avete vita etterna, però che solo la caritá è quella che entra dentro come donna,
menandosene seco il fructo di tucte l’altre virtú (ed esse rimangono di fuore), in me, vita durabile, in
cui essi gustano vita etterna, però che lo so’ essa vita etterna. Non ci saglie la fede, perché essi
hanno quello, per pruova e in essenzia, che hanno creduto per fede; né la speranza, ché essi sonno in
possessione di quello che hanno sperato; e cosí tucte l’altre virtú. Solo la caritá entra come reina e
possiede me, suo possessore. Vedi dunque che questi parvoli ricevono per uno cento, e vita etterna
con esso, ricevendo qui el fuoco della divina carità, posto per lo numero del cento, come decto è. E
perché da me hanno ricevuto questo cento, stanno in admirabile allegrezza cordiale. Perché nella
caritá non cade tristizia, ma allegrezza: fa el cuore largo e liberale, e non doppio né strecto. L’anima,
che è ferita di questa dolce saetta, non mostra una in faccia e in lingua, e un’altra abbi nel cuore; non
serve, né fa fictivamente e con ambizione al proximo suo, però che la caritá è aperta a ogni creatura.
E però l’anima, che la possiede, non cade in pena né in tristizia afictiva, né si scorda de
l’obbedienzia, ma è obbediente infino a la morte.
CLXI. De la perversita, miserie e fadighe de lo inobediente. E de’ miserabili
frutti che procedono da la inobedienzia.
— El contrario fa il miserabile disobbediente, che sta nella navicella de l’ordine con tanta
pena a sé e ad altrui, che in questa vita gusta l’arra de l’inferno. Egli sta sempre in tristizia,
confusione e stimolo di conscienzia, con dispiacimento de l’ordine e del prelato suo; incomportabile
è a se medesimo. Or che è a vedere, figliuola mia, quello che ha presa la chiave de l’obbedienzia de
l’ordine con la disobbedienzia, alla quale egli s’è facto schiavo, e la disobbedienzia ha (acta donna,
con la compagna della inpazienzia, nutricata dalla superbia col proprio piacere. La quale superbia
detto è che esce dall’amore proprio di sé. Tucto si rivolle in contrario ad quello che detto t’ho della
vera obbedienzia; e come può questo misero stare altro che in pena, che è privato della carità?
Conviengli chinare il capo della volontà sua per forza; e la superbia gli li tiene ritto. Tutte le sue
volontà si discordano dalla volontà de l’ordine. Egli li comanda l’obbedienzia, ed egli ama la
disobbedienzia; la povertà volontaria, ed egli la fugge, possedendo e desiderando la ricchezza;
vuole continenzia e purità, ed egli inmondizia. Trapassando questi tre voti, figliuola mia, il religioso
cade in ruina e in tanti miserabili difetti, che l’aspetto suo non pare religioso, ma uno dimonio
incarnato, si come in un altro luogo lo ti narrai piú distesamente. Non lassarò però che alcuna cosa
non te ne conti dello inganno loro e del frutto che traggono della disobbedienzia, a comendazione
ed exaltazione de I’obbedienzia.
Questo misero è ingannato dal proprio amore, perché l’occhio de l’intelletto suo s’è posto, con fede
morta, nel piacere della propria volontà e nelle cose del mondo. Ha saltato il mondo col corpo e
rimastovi con l’affetto. E perché gli pare fadiga l’obbedienzia, vuole disobbedire per fuggire fadiga;
e egli cade in maxima fadiga, ché pure obbedire gli conviene o per forza (387) o per amore. Meglio
gli era, e meno fadiga, a fare l’obbedienzia per amore che senza amore.
Oh! come è ingannato! E neuno è che lo inganni, se non egli medesimo. Volendo piacersi,
egli si dispiace, dispiacendoli le sue operazioni stesse, che farà per l’obbedienzia che gli è posta.
Volendo stare in grande dilecto e farsi vita etterna in questa vita, e l’ordine vuole che egli sia
perregrino, e continuamente glil dimostra, ché, quando egli s’è posto in uno luogo a sedere, dove
vorrebbe stare per piacere e dilecto che egli vi truova, egli è mutato. Nella mutazione ha pena,
perché la volontà sua era viva a non volere. E, se egli non obbedisce, e egli è suggecto a convenirli
portare la disciplina e fadiga de l’ordine; e cosí sta in continuo tormento.
Vedi dunque che s’inganna: volendo fuggire le pene, cade intro le pene, perché la ciechità
sua non el lassa cognoscere la via della vera obbedienzia, che è una via di veritá, fondata ne
l’obbediente Agnello, unigenito mio Figliuolo, che gli tolle la pena. E però va per la via della bugia,
credendovi trovare dilecto, e egli vi truova pena e amaritudine. Chi vel guida? L’amore, che egli ha,
per la propria passione, al disobbedire. Questi, come stolto, vuole navicare in questo mare
tempestoso sopra le braccia sue, fidandosi nel suo misero sapere; e non vuole navigare sopra le
braccia de l’ordine e del prelato suo. Questi sta bene nella navicella de l’ordine corporalmente, ma
non mentalmente: anco n’è escito per desiderio, non observando l’ordinazioni né i costumi de
l’ordine né i tre voti promessi, che egli promisse, nella sua professione, d’observare. Egli sta nel
mare della tempesta percosso dai venti molto contrari alla navicella. Sta attaccato solo per li panni,
portando l’abito in sul corpo, ma non in cuore.
Questo non è frate, ma uno uomo vestito: uomo in forma, ma in effetto e nel vivere suo è
peggio che animale. E non vede egli che piú fadiga gli è a navicare con le sue braccia che con
l’altrui? E non vede egli ch’egli sta a pericolo di morte etternale, come il panno si staccasse dalla
navicella, che, subbito che fusse staccato col mezzo della morte, non avarebbe (388) piú rimedio?
No, che egli nol vede: perché con la nuvila de l’amore proprio, unde gli è venuta la disobbedienzia,
s’è privato del lume che non el lassa vedere e’ guai suoi. Adunque miserabilemente s’inganna.
Che fructo produce l’arbore di questo misero? Frutto di morte, perché ha piantata la radice
de l’affetto suo nella superbia, che egli ha tratta del piacere e amore proprio di sé. E però ogni cosa
n’esce corrotto. E’ fiori, le foglie e il fructo e i rami de l’arbore tutti sono guasti. E’ tre rami, che ha
questo arbore, sonno guasti, cioè il ramo de l’obbedienzia, povertà e continenzia, che sonno tre rami
che si contengono nel pedone de l’affetto, el quale è male piantato, come detto è. Le foglie che
produce questo arbore, che sono le parole, sonno corrotte per si facto modo che nella bocca d’uno
ribaldo secolare non starebbero. E, s’egli avara ad anunziare la parola mia, egli la gitta con parlare
polito, none schietto ch’egli attenda a pàsciare l’anime di questo seme della mia parola, ma parlare
molto politamente.
Se tu raguardi e’ fiori di questo arbore, essi gittano puzza: ciò sonno le varie e diverse
cogitazioni, le quali voluntariamente riceve con diletto e piacimento, non fuggendo el luogo né le
vie che vel fanno venire; anco le cerca per potere venire a compimento del peccato, el quale è uno
fructo che l’uccide, tollegli la vita della grazia e dagli morte etternale. E che puzza gitta questo
fructo generato col fiore de l’arbore? Gitta puzza di disobbedienzia; col pensiero del cuore vuole
investigare e giudicare in male la volontà del prelato suo: gitta inmondizia, dilectandosí con molte
conversazioni col miserabile vocabolo delle divote.
O misero, tu non t’avedi che, sotto il colore della devozione, riescirai con la brigata de’
figliuoli ! Questo ti dá la disobbedienzia tua. Non hai presi e’ figliuoli delle virtú, si come fa il vero
obbediente. Egli cerca d’ingannare il prelato suo, quando vede che gli diniega quello che la perversa
sua volontà vorrebbe, usando le foglie delle parole lusinghevoli o aspre, parlando inreverentemente
e con rimproverio. Egli non conporta il fratello (389) suo, né può sostenere una piccola parola né
riprensione che gli fusse fatta; ma subbito traie fuore il fructo avelenato della inpazienzia, ira e odio
verso il fratello suo, giudicando in suo male quello che egli ha facto in suo bene; e, cosí
scandalizzato, vive in pena l’anima e ‘l corpo.
Perché è dispiaciuto al fratello suo? Perché piacque a sé sensitivamente. Egli fugge la cella
come fusse uno veleno, perché egli è escilo della cella del cognoscimento di sé, per la qual cosa egli
venne a disobbedienzia: però non può stare nella cella attuale. Nel refectorio non vuole apparire, se
non come a suo nemico, mentre che egli ha che spendere: non avendo che, la necessità vel mena.
Bene fecero dunque gli obbedienti, che volsero observare il voto della povertà per non avere-che
spendere, acciò che non gli traesse della soave mensa del refectorio, dove l’obbediente notrica in
pace e in quiete l’anima e’l corpo. Non ha pensiere d’apparechiare né provedersi come il misero;
el,quale misero, al gusto suo, il visitare il refectorio gli pare amaro, e però il fugge.
Al coro sempre vuole essere l’ultimo a intrare e il primo che n’esca. Con le labbra sue
s’appressima a me, e col cuore se ne dilunga. li capitolo, per timore della penitenzia, il fugge
volontieri quando egli può: lo starvi fa come se fusse suo nemico mortale, con vergogna e
confusione nella mente sua (quello che nel commettere le colpe non ebbe, non vergognandosi di
commettere la colpa de’ peccati mortali). Chi ne gli è cagione? La disobbedienzia. Egli, non vigilia
né orazione, e non tanto l’orazione mentale, ma spesse volte l’officio, ad che egli è obligato, non il
dirà; non caritá fraterna, ché egli non ama altro che sé, non d’amore ragionevole, ma d’amore
bestiale. Tanti sonno e’ mali che gli caggiono in capo al disobbediente, tanti sono i dolorosi frutti
suoi, che la lingua tua non gli potrebbe narrare!
Oh disobbedienzia, che spogli l’anima d’ogni virtú e vestila d’ogni vizio! Oh disobbedienzia,
che privi l’anima del lume de l’obbedienzia, tollile la pace e da’le la guerra, tollile la vita e da’ le la
morte, traendola della navicella de l’observanzie de (390) l’ordine, affoghila nel mare, facendola
notare sopra le braccia sue e non sopra quelle de l’ordine. Tu la vesti d’ogni miseria, fa’ la morire di
fame, tollendole il cibo del merito de l’obbedienzia. Tu le dai continua amaritudine, e privila d’ogni
dilecto di dolcezza e d’ogni bene, e fa’ la stare in ogni male. In questa vita le fai portare l’arra de’
crociati tormenti; e, se egli non si corregge inanzi ch’e’ panni si stacchino dalla navicella col mezzo
della morte, tu, disobbedienzia, conduci l’anima a l’etterna danpnazione con le demonia, che
caddero di cielo perché furono ribelli a me e andarono nel profondo. Cosi tu, disobbediente, perché
se’ stato ribello a l’obbedienzia; e questa chiave, con che dovevi aprire la porta del cielo, tu l’hai
gittata da te, e con la chiave della disobbedienzia hai aperto lo ‘nferno.
CLXII. De la inperfeczione di quelli che tiepidamente vivono ne la religione,
avengaché si guardino da peccato mortale. E del remedio da uscire de la loro
tiepiditade.
— O carissima figliuola, e quanti sonno questi cotali che al di d’oggi si pascono in questa
navicella? Molti: unde pochi sonno e’ contrari, cioè i veri obbedienti. È vero che tra e’ perfecti e
questi miserabili ci ha assai di quegli che si vivono ne l’ordine comunemente, che né perfecti sonno,
come essi debbono essere, né gattivi sonno, cioè che pure conservano la conscienzia loro che non
peccano mortalmente, stanno in tiepidezza e freddezza di cuore. E se essi non exercitano un poco la
vita loro con l’observanzie de l’ordine, stanno a grande pericolo; e però l’è bisogno molta
soljicitudine, e non dormire, e levarsi dalla tiepidezza loro. Ché, se essi vi permangono, sonno acti a
cadere. E se pure non cadessero, staranno con uno loro parere e piacere umano, colorato col colore
de l’ordine, studiandosi piú d’observare le cirimonie de l’ordine che propriamente l’ordine. E spesse
volte, per poco lume, saranno acri a cadere in (391) giudicio in quegli che piú perfectamente di loro
observano l’ordine, e in meno perfeczione le cirimonie, delle quali e’ si fanno observatori.
Si che, in ogni modo, è loro nocivo a permanere ne l’obbedienzia comune, cioè che
freddamente passano l’obbedienzia loro, con molta fadiga e con molta pena. Però che al cuore
freddo pare fadigoso a portare: portano fadiga assai, con poco fructo; offendono la loro perfeczione,
nella quale essi sonno intrati e sonno tenuti d’observarla; e, poniamo che faccino meno male che gli
altri de’ quali Io t’ho contato, pure male fanno: ché essi non si partirono dal secolo per stare con la
chiave generale de l’obedienzia, ma per diserrare il cielo con la chiavicella de l’obbedienzia de
l’ordine, la quale chiavicella debba essere col funicello della viltà, avilendo se medesimo, e col
cingolo de l’umilità, come decto è, tenerla strecta nella mano de l’affocato amore.
Sappi, carissima figliuola, che essi sono bene acti a giognere alla grande perfeczione, se essi
vogliono, perché vi sonno piú presso che gli altri miseri. Ma in un altro modo sonno piú malagevoli
questi, nel grado loro, a levarli dalla loro inperfeczione, che lo iniquo, nel suo grado, della sua
miseria. E sai tu perché? Perché questo si vede manifestamente che egli fa male, e la conscienzia
glil manifesta; unde per l’amore proprio di sé, che l’ha indebilito, non si sforza ad escire di quella
colpa che egli vede, con uno lume naturale, che egli fa male quel che fa. Unde chi el dimandasse: —
E non fai tu male di fare questo? — Direbbe: — Sí, ma è tanta la mia fragilità, che non pare ch’io ne
possa escire. — Benché egli non dice il vero, ché con l’aiutorio mio ne può escire, se vuole;
nondimeno pur cognosce che fa male: col quale cognoscimento gli è agevole a potern’escire, se
vuole.
Ma questi tiepidi, che né un grande male fanno né uno grande bene, non cognoscono la
freddezza dello stato loro, né in quanto dubbio stanno. Non cognoscendola, non si curano di
levarsene né curano che lo’ sia mostrato; essendo lo’ mostrato, per la freddezza del cuore loro, si
rimangono legati nella loro longa consuetudine e usanza.
Che modo ci sarà in costoro di farli levare? Che tolgano le legna del cognoscimento di sé,
con odio del proprio piacimento e reputazione, e mettanle nel fuoco della divina mia carità;
sposando di nuovo, come se allora allora intrassero ne l’ordine, la sposa della vera obbedienzia con
l’anello della san. ctissima fede, e non dormano piú in questo stato, ch’egli è molto spiacevole a me
e danno a loro. Drictamente si potrebbe dire a loro quella parola: « Maladecti tiepidi! che almen
fuste voi pur ghiacci. Se voi non vi correggete, sarete vomicati dalla bocca mia », per quello modo
che decto t’ho. Ché, non levandosi, sonno acti a cadere; e, cadendo, sarebbono reprovati da me.
Innanzi vorrei che fuste ghiacci: cioè che inanzi vi fuste stati nel secolo con l’obbedienzia generale,
la quale, a rispecto del fuoco de’ veri obbedienti, si mostra quasi uno ghiaccio; e però dixi : «
almeno fuste voi pure ghiacci ». Hotti dichiarata questa parola, acciò che in te non cadesse errore di
credere ch’ Io ci volesse piú tosto nel ghiaccio del peccato mortale che nella tiepidezza della
inperfeczione. No, ché io non posso volere colpa di peccato, ché in me non è questo veneno: anco
mi dispiacque tanto ne l’uomo, che Io non volsi che passasse senza punizione, ché, non essendo
l’uomo sufficiente a portare la pena che gli seguitava doppo la colpa, mandai el Verbo de l’unigenito
mio Figliuolo. Egli con l’obbedienzia la fabricò sopra ci Corpo suo.
Levinsi dunque con exercizio, con vigilia, con umile e continua orazione; specchinsi ne
l’ordine loro e ne’ padroni di questa navicella, che sonno stati uomini come eglino, nutricati d’un
medesimo cibo, nati in uno medesimo modo. E quello Dio so’ ora, che allocta. La potenzia mia non
è infermata, la mia volontà non è diminuita in volere la salute vostra, né la sapienzia mia in darvi
lume, acciò che cognosciate la mia veritá. Adunque possono, se egli vogliono, pure che se
l’arrechino dinanzi a l’occhio de l’intelletto, privandosi della nuvila de l’amore proprio, e col lume
corrano co’ perfetti obbedienti. Con questo ci giogneranno; in altro modo, no: si che il remedio ci è.
CLXIII. De la excellenzia de la obedienzia, e de’ beni che dá a chi in veritá la
piglia.
— Questo è quello vero remedio che tiene il vero obbediente; e ogni di di nuovo il tiene,
augmentando la virtú de l’obbedienzia col lume della fede, desiderando scherni e villanie e che gli
sieno imposti e’ grandi pesi dal prelato suo, perché la virtú de l’obbedienzia e la pazienzia sua
sorella non irrugginiscano, acciò che, nei tempo che le bisognano adoperare, elle non venissero
meno o desserli molta malagevolezza; e però continuamente suona lo stormento del desiderio e non
lassa passare il tempo, perché n’ha fame. È una sposa sollicita, che non vuole stare oziosa. Oh
obbedienzia dilectevole, oh obbedienzia piacevole, obbedienzia soave; obbedienzia illuminativa,
perché hai levata la tenebre del proprio amore; obbedienzia che vivifichi, dando, ne l’anima, la vita
de la grazia, che te ha eletta per sposa, toltole la morte della volontà propria, che dá guerra e morte
ne l’anima! Tu se’ larga, ché d’ogni creatura che ha in sé ragione ti fai subdita. Tu se’ benigna e
pietosa: con benignità e mansuetudine porti ogni grande peso, perché se’ acompagnata con la
fortezza e vera pazienzia. Tu se’ coronata della corona della perseveranzia; tu non vieni meno per la
inportunità del prelato né per grandi pesi che egli ti ponesse senza discrezione, ma col lume della
fede ogni cosa porti. Tu se’ si legata con la umilità, che neuna creatura la può trare della mano del
sancto desiderio de l’anima che ti possiede.
E che diremo, dilectissima e carissima figliuola, di questa excellentissima virtú? Diremo che
ella è uno bene senza veruno male; sta nella nave, nascosta, che neuno vento contrario le può
nuocere; fa navicare l’anima sopra le braccia de l’ordine e del prelato, e non sopra le sue, perché il
vero obbediente non ha a rendare ragione di sé a me, ma il prelato di cui egli è stato subdito.
Inamòrati, dilectissima figliuola, di questa gloriosa virtú. Vuogli tu essere grata de’ benefizi ricevuti
da me, Padre etterno? (394) Sia obbediente, però che l’obbedienzia ti mostra se tu se’ grata, perché
procede dalla carità. Ella ti mostra se tu non se’ ignorante, perché procede dal cognoscimento della
mia veritá. Und, ella è uno bene cognosciuto nel Verbo, el quale v’insegnò l; via de l’obbedienzia
come vostra regola, facendosi obbedient( infino all’obrobriosa morte della croce, nella cui
obbedienzi, (che fu la chiave che diserrò il cielo) è fondata l’obbedienzia, data a voi, generale e
questa particulare, si come nel principio del tractato di questa obbedienzia lo ti narrai.
Questa obbedienzia da uno lume ne l’anima: mostra che ella è fedele a me ed è fedele a
l’ordiné e al prelato suo. Nel quale lume della sanctissima fede ha dimenticato sé, non cercando sé
per sé, perché ne l’obbedienzia, acquistata col lume della fede, ha mostrato che nella volontà sua
egli è morto a ogni proprio sentimento. Il quale sentimento sensitivo cerca le cose altrui e non le
sue, come fa il disobbediente, che vuole investigare la volontà di chi li comanda e giudicarla
secondo il suo basso parere e vedere tenebroso, ma non la sua perversa volontà che gli dá morte. Il
vero obbediente, col lume della fede, ha giudicata la volontà del suo prelato in bene, e però non
cerca la volontà sua, ma china il capo, e con l’odore della vera e sancta obbedienzia notrica l’anima
sua. E tanto cresce ne l’anima questa virtú, quanto si dilata nel lume della sanctissima fede: ché con
quello lume della fede col quale l’anima cognosce sé e me, con quello m’ama e s’aumilia. E quanto
piú ama ed è umiliata, tanto piú è obbediente; e l’obbedienzia con la pazienzia sua sorella
dimostrano se l’anima in veritá è vestita del vestimento nupziale della carità, col quale vestimento
intrate in vita etterna.
Unde l’obbedienzia diserra il cielo e rimane di fuore; e la carità, che diede questa chiave, entra
dentro col frutto de l’obbedienzia. Ogni virtú, si com’ lo ti dixi, rimane di fuore, e
questa entra dentro; ma all’obbedienzia l’è apropriato che ella è chiave che v’opre, perché con la
disobbedienzia del primo uomo fu serrato il cielo, e con l’obbedienzia dell’umile é fedele e
inmaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo, fu diserrata vita etterna, che tanto tempo era stata
serrata.
CLXIV. Distinczione di due obedienzie, cioè di quella de’ religiosi e di quella che
si rende ad alcuna persona fuore de la religione.
— Si come decto t’ho, egli ve la lassòe per regola e per doctrina, dandovela come chiave con
che poteste aprire per giognere al fine vostro. Egli ve la lassò per comandamento nella generale
obbedienzia. Egli ve ne consiglia, consigliandovi se voi volete andare alla grande perfeczione e
passare per lo sportello strecto, come decto è, de l’ordine. E anco di quegli che non hanno ordine e
nondimeno sonno nella navicella della perfeczione (ciò sonno quelli che observano la perfeczione
de’ consigli fuore de l’ordine) hanno rifiutato le ricchezze e le pompe del mondo actuali e mentali e
observano la continenzia: chi sta in stato virginale e chi ne l’odore della continenzia, essendo privati
della virginità. Essi observano l’obbedienzia sottomettendosi, si come in un altro luogo lo ti dixi, ad
alcuna creatura, alla quale s’ingegnano, con perfetta obbedienzia, obbedirle infino alla morte. E se
tu risi dimandassi quale è di maggiore merito, o quegli che sta ne l’ordine o questi, Io ti rispondo
che ‘l merito de l’obbedienzia non è misurato ne l’atto né nel luogo né in cui, piú in buono che in
gattivo, piú in secolare che in religioso; ma, secondo la misura de l’amore che ha l’obbediente, con
questa misura gli è misurato. Ché al vero obbediente la inperfeczione del prelato gattivo non gli
nuoce: anco alcuna volta gli giuova, perché con la persecuzione e con pesi indiscreti della grave
obbedienzia acquista la virtú de l’obbedienzia e la pazienzia sua sorella. Né il luogo inperfecto non
gli nuoce. Inperfecto, dico, ché piú perfetta e piú ferma e stabile cosa è la religione che veruno altro
stato: e però ti pongo inperfecto il luogo di questi che hanno la chiave piccola de l’obbedienzia,
observando i consigli fuore de l’ordine; ma non ti pongo inperfecta né di meno merito la loro
obbedienzia, perché ogni obbedienzia, come detto è, e ogni altra virtú è misurata con la virtú de
l’amore.
È ben vero che in molte altre cose, si per lo voto che egli fa nelle mani del prelato suo e si
perché sostiene piú, piú e meglio gli è provata la obbedienzia ne l’ordine che fuore de l’ordine; però
che ogni atto corporale gli è legato a questo giogo e non si può sciogliere, quando.egli vuole, senza
colpa di peccato mortale, perché è approvato dalla sancta Chiesa e facto voto. Ma questi non è cosí:
egli s’ è legato volontariamente, per amore che egli ha all’obbedienzia, ma non con voto solelnpne;
unde, senza colpa di peccato mortale, si potrebbe partire dall’obbedienzia di quella creatura, avendo
legiptime cagioni che per lo suo difetto egli non si partisse. Ma, se si partisse per suo difetto, non
sarebbe senza gravissima colpa: non però obligato a peccato mortale, propriamente, per quello
partire: Sai tu quanto ha da l’uno a l’altro? Quanto da colui che tolle l’ altrui, a quello che ha prestato
e poi ritolle quello che per amore aveva donato, con intenzione però di non richiederlo, ma carta
non ne fa affermativamente. Ma quelli ha donato e trattane la carta nella professione, unde nelle
mani del prelato renunzia a se Inedesimo e promecte d’observare obbedienzia e continenzia e
povertà volontaria. E il prelato promecte a lui, se egli observa irIfino alla morte, di darli vita etterna.
Si che in observanzia, in luogo e in modo, quella è piú perfecta, e questa è meno perfetta:
quella è piú sicura, e, cadendo, è piú atto a rilevarsi perché ha piú aiuto; e questa è piú dubbiosa e
meno sicura, e piú atto, s’egli viene caduto, a voltare il capo a dietro, perché non si sente legato per
voto facto in professione, come sta il relegioso prima che sia professo, che infino alla professione si
può partire, ma poi no. Ma il merito, t’ho detto e dico, che egli è dato secondo la misura de l’amore
dei vero obbediente, acciò che ogniuno, in qualunque stato egli si sia, possa perfettamente avere il
merito, avendolo posto solo ne l’amore.
Cui chiamo in uno stato e cui in uno altro, secondo che ciascuno è atto a ricevare; ma ogniuno
s’empie con questa misura detta de l’amore. Se il secolare ama piú che il religioso, piú riceve; e cosí
il religioso piú che ‘l secolare, e cosí tutti gli altri.
CLXV. Come Dio non merita secondo la fadiga de l’obedienzia né secondo
longhezza di tempo, ma secondo la grandezza de la carita. E de la prontitudine
de’ veri obedienti, e de’ miracoli che Dio ha mostrati per questa virtú. E de la
discrezione nell’obedire, e dell’opere e del premio del vero obediente.
— Tutti v’ho messi nella vigna de l’obbedienzia a lavorare in diversi modi. A ogniuno gli
sara dato il prezzo secondo la misura de l’amore e non secondo l’operazione né misura del tempo;
cioè che piú abbi colui che viene per tempo, che quello che viene tardi, si come si contiene nel
sancto Evangelio. Ponendovi la mia Verita l’exemplo di quelli che stavano oziosi e furono messi dal
Signore a lavorare nella vigna sua: e tanto die’ a quelli che andarono all’aurora quanto a quelli della
prima, e tanto a quelli della terza e a quegli che andàro a sexta, a nona e a vesparo quanto a’ primi;
mostrandovi la mia Verità che voi sète remunerati non secondo il tempo né opera, ma secondo la
misura de l’amore. Molti sonno messi nella puerizia loro a lavorare in questa vigna: chi v’entra piú
tardi, e chi nella sua vecchiezza. Questi anderà alcuna volta con tanto fuoco d’amore, perché si
vedra la brevità del tempo, che ringiugne quegli che intrarono nella loro puerizia, perché sonno
andati co’ passi lenti. Adunque ne l’amore de l’ obbedienzia riceve l’anima il merito suo: ine empie il
suo vasello in me, mare pacifico.
Molti sonno che tanto hanno pronpta questa obbedienzia e tanto l’hanno incarnata dentro ne
l’anima loro, che, non tanto che si pongano a volere vedere il perché è loro comandato da colui che
lo’ comanda, ma a pena che essi aspettino tanto che la parola gli esca della bocca, col lume della
fede intendono la intenzione del prelato loro. Unde il vero obbediente obbedisce piú a la intenzione
che a la parola, giudicando che la volontà del prelato sia nella volontà mia, e per mia dispensazione
e (398) volontà comandi a lui; e però ti dixi che obbediva piú alla in. tenzione che alla parola. Però
obbedisce egli alla parola, perché prima obbediva con l’affecto alla volontà sua, vedendo col lume
della fede e giudicando la volontà sua in me.
Bene il mostrò quello di cui si legge in Vita Patrum, che prima obbediva con l’affecto; ché,
essendoli comandato dal prelato suo una obbedienzia, avendo cominciato uno « O », che è cosí
piccola cosa, non die’ tanto spazio a se medesimo che egli el vo. lesse compire, ma subbito fu
pronpto a l’obbedienzia. Unde, per mostrare quanto m’era piacevole, vi feci il segno, e compi l’altra
metà, scripto d’oro, la clemenzia mia.
Questa gloriosa virtú è tanto piacevole a me che in neuna virtú è in che tanti segni e
testimoni di miracoli siano dati da me quanti a lei, perché ella procede dal lume della fede.
Per dimostrare quanto ella m’è piacevole, la terra è obbediente a questa virtú, gli animali le sonno
obbedienti, l’acqua sostiene l’obbediente. E se tu ti vòlli alla terra, a l’obbediente obbedisce, sí come
vedesti, se bene ti ricorda d’avere lecto di quello discepolo, che, essendoli dato uno legno secco dal
suo abbate, ponendoli per obbedienzia che ‘l dovesse piantare nella terra e inaffiarlo ogni dí, egli,
obbediente, col lume della fede, non si pose a dire: — Come sarebbe possibile? — ma, senza volere
sapere la possibilità, compiè l’obbedienzia sua, intantoché, in virtú de l’obbedienzia e della fede, il
legno secco rinverdí e fece fructo, in segno che quella anima era levata dalla secchezza della
disobbedienzia, e, rinverdita, germinava il fructo de l’obbedienzia. Unde il pomo di quello legno era
chiamato per li sancti padri «el fructo de l’obbedienzia ».
E se tu raguardi negli animali, medesimamente. Unde quello discepolo, mandato da
l’obbedienzia, per la purità e obbedienzia sua prese uno dragone e menollo a l’abbate suo. Ma
l’abbate, come vero medico, perché egli non venisse ad vento di vanagloria e per provarlo nella
pazienzia, il cacciò da sé con rimproverio, dicendo: — Tu, bestia, hai menata legata la bestia. —
E se tu raguardi il fuoco, medesimamente. Unde tu hai nella sancta Scriptura che molti, per
non trapassare l’obbedienzia mia (399) o per obbedire a me promptamente, essendo messi nel
fuoco, e1 fuoco non lo’ noceva, si come quelli tre fanciulli che stavano nella fornace, e di molti altri
e’ quali si potrebbe contiare.
L’acqua sostenne Mauro, essendo mandato da l’obbedienzia a campare quello discepolo che
se n’andava giú per l’acqua. Egli non pensò di sé; ma pensò, col lume della fede, di compire
l’obbedienzia del prelato suo. Vassene su per l’acqua come andasse su per la terra, e campa il
discepolo.
In tucte quante le cose, se tu apri l’occhio de l’ intellecto, trovarrai che t’è mostrata
l’excellenzia di questa virtú. Ogni altra cosa si debba lassare per l’obbedienzia. Se fussi levata in
tanta contemplazione e unione di mente in me, che ‘l corpo tuo fusse sospeso dalla terra, essendoti
inposta l’obbedienzia (parlandoti generalmente e non cosa particulare, che non pone legge),
potendo, tu ti debbi sforzare di levarti per compire l’obbedienzia imposta. Pensa che da l’orazione tu
non ti debbi levare, quando egli è l’ora, se non per necessità o per caritá e obbedienzia. Questo ti
dico, perché tu vegga quanto lo voglio che la sia prompta ne’ servi miei e quanto ella m’è piacevole.
Ciò che fa, l’obbediente si merita: se egli mangia, mangia l’obbedienzia; se dorme,
l’obbedienzia; se va, se sta, se digiuna e se veghia, tucto fa l’obbedienzia; se egli serve il proximo,
l’obbedienzia; se egli è in coro o in refectorio o sta in cella, chi vel guida o fa stare? L’obbedienzia,
col lume della sanctissima fede, col quale lume si gittò, morto a ogni sua propria volontà, umiliato e
con odio, nelle braccia de l’ordine e del prelato suo. Con questa obbedienzia, riposandosi nella nave,
lassatosi guidare al prelato suo, ha navigato nel mare tempestoso di questa vita con grande
bonaccia, con mente serena e tranquilità di cuore, perché l’obbedienzia, con la fede, ne trasse ogni
tenebre. Egli sta forte e sicuro, perché s’ha tolta la debilezza e timore tollendosi la propria volontà,
dalla quale viene ogni debilezza e disordenato timore.
E che mangia e beie questa sposa de l’obbedienzia? Mangia cognoscimento di sé e di me,
cognoscendo sé non essere, e il difecto suo, e me che so’ Colui che so’, in cui gusta e mangia (400)
la mia veritá, cognosciutala nella mia Verità, Verbo incarnato, E che beffe? Sangue: nel quale
Sangue el Verbo gli ha Irto, strata la veritá mia e l’amore ineffabile che lo gli ho. In esso Sangue
mostrala obbedienzia sua posta a lui, per voi, da me, suo Padre etterno, e però si innebria; e poi che
è ebbra del Sangue e de l’obbedienzia del Verbo, perde sé e ogni suo parere e sapere, e possiede me
per grazia, gustandomi per affecto d’aurore col lume della fede nella sancta obbedienzia.
Tucta la vita sua grida pace; e nella morte riceve quello che nella professione gli fu
promesso dal prelato suo, cioè vita etterna, visione di pace e di somma ed etterna tranquilità e
riposo: uno bene inextimabile, che neuno è che ‘l possa stimare né comprendere quanto egli è.
Perché egli è infinito, da cosa minore non può essere compreso questo bene infinito, se non come il
vasello che è messo nel mare, che non comprende tucto il mare, ma quella quantità che egli ha in se
medesimo. El mare è quello che si comprende; e cosí lo, mare pacifico, so’ solo Colui che mi
comprendo e mi stimo, e del mio stimare e comprendare godo in me medesimo. Il quale godere e
bene, che lo ho in me, participo a voi, a ogniuno secondo la misura sua. Io l’empio e non la tengo
vòta. Dandole perfecta beatitudine, comprende e cbgnosce dalla mia bontá tanto quanto ne l’è dato a
cognoscere da me.
L’obbediente, dunque, col lume della fede nella veritá, arso nella fornace della carità, unto
d’umilità, inebriato di Sangue, con la sorella della pazienzia, e con la viltà avilendo se me
desimo, con fortezza e longa perseveranzia e con tucte l’altre virtú, cioè col fructo delle virtú, ha
ricevuto il fine suo da me, suo Creatore.
CLXVI. Questa è una repetizione in somma quasi di tucto questo presente libro.
— Ora t’ho, dilectissima e carissima figliuola, satisfacto al desiderio tuo dal principio infino
a l’ultimo de l’obbedienzia. Se bene ti ricorda, dal principio mi dimandasti con ansietato desiderio
(si come lo ti feci dimandare per farti crescere il fuoco della mia caritá ne l’anima tua), tu mi
dimandasti quatro petizioni. L’una per te, a la quale Io ho satisfacto, alluminandoti della mia veritá,
mostrandoti in che modo tu cognosca questa veritá, la quale desideravi di cognoscere; cioè che col
cognoscimento di te e di me, col lume della fede, ti spianai in che modo tu venivi a cognoscimento
della veritá.
La seconda, che tu dimandasti, fu che Io facessi misericordia al mondo.
La terza, per lo corpo mistico della sancta Chiesa; pregandomi che lo tollesse la tenebre e la
persecuzione, volendo tu che lo punisse le iniquità loro sopra di te. In questo ti dichiarai che neuna
pena, che sia data in tempo finito, può satisfare alla colpa commessa contro a me, bene infinito,
puramente pur pena. Satisfa, se la pena è unita col desiderio dell’anima e contrizione del cuore: il
modo dichiarato te l’ho. Anco t’ho risposto ch’Io voglio fare misericordia al mondo, mostrandoti che
la misericordia m’è propria. Unde, per misericordia e amore inextimabile ch’ Io ebbi all’uomo,
mandai el Verbo de l’unigenito mio Figliuolo, el quale, per mostrartelo ben chiaramente, tel posi in
similitudine d’uno ponte che tiene dal cielo — a la terra, per l’unione della natura mia divina nella
natura vostra umana.
Anco ti mostrai, per illuminarti piú della mia veritá, come il ponte si saliva con tre scaloni, cioè con
le tre potenzie de l’anima. E di questo Verbo, ponte, mostrato a te, anco questi tre scaloni figurai nel
corpo suo, si come tu sai, per li piei, per lo costato e per la bocca; ne’ quali posi tre stati de l’anima:
lo (402) stato inperfecto, e lo stato perfecto, e lo stato perfectissimo, dove l’anima giogne alla
excellenzia de Punitivo amore. In ogniuno t’ho mostrato chiaramente quella cosa che le tolle la
inperfeczione e falla giognere alla perfeczione, e per che via si va; e degli occulti inganni del
dimonio, e del proprio amore spirituale; e parlatoti, in questi stati, di tre reprensioni che fa la mia
clemenzia: l’una ti posi fatta nella vita, l’altra nella morte in quelli che senza speranza muoiono in
peccato mortale (de’ quali Io ti posi che andavano sotto al ponte per la via del dimonio, contandoti
delle miserie loro), e la terza de l’ultimo giudicio generale. E parla’ti alcuna cosa della pena de’
danpnati, e della gloria de’ beati, quando avara riavuto ogniuno la dota del corpo suo.
Anco ti promissi e prometto che col molto sostenere de’ servi miei riformarò la sposa mia.
Invitandovi a sostenere, lamentandomiteco delle iniquità loro, e mostrandoti l’excellenzia de’
ministri nella quale Io gli ho posti, e la reverenzia ch’ Io richieggo che i secolari abbino a loro,
mostrandoti la cagione perché, per loro difetto, non debba diminuire la reverenzia in loro; e quanto
m’è spiacevole il contrario. E della virtú di quelli che vivevano come angeli, toccandoti, insieme
con questo, de l’excellenzia del sacramento.
Anco sopra i detti stati; volendo tu sapere degli stati delle lagrime e unde elle procedono, tel
narrai, e acorda’teli con questi. E detto t’ho che tutte le lagrime escono della fontana del cuore, e
ordinatamente t’ho assegnato perché. Di quatro stati di lagrime, e della quinta che germina morte,
anco ti contai.
Hotti risposto alla quarta petizione di quello che mi pregasti: ch’ Io provedesse al caso
particulare advenuto. Io providdi, si come tu sai. Sopra questo t’ho dichiarata la providenzia mia in
generale e in particulare, facendomi dal principio della creazione del mondo infino a l’ultimo, come
ogni cosa ho fatta e fo con divina providenzia, dando e permettendo ciò ch’ Io do, e tribulazioni e
consolazioni temporali e spirituali. E ogni cosa è data per vostro bene, perché siate sanctificati in
me e la veritá mia si compia in voi. Perché la mia veritá fu questa: che Io (403) vi creai perché
aveste vita etterna, la quale veritá v’è fatta manifesta col sangue del Verbo, unigenito mio Figliuolo.
Anco t’ho, ne l’ultimo, satisfacto al desiderio tuo e a quello ch’ Io ti promissi di narrare della
perfeczione de l’obbedienzia e della inperfeczione della disobbedienzia, e unde ella viene, e che ve
la tolle. Hottela posta per una chiave generale, e cosí è. E detto t’ho della particulare, e de’ perfetti e
degl’imperfetti, di quegli de l’ordine e di quelli fuore de l’ordine, d’ogniuno distintamente; della pace
che dá l’obbedienzia e della guerra che dá la disobbedienzia, e quanto s’inganna il disobbediente,
ponendoti che la morte venne nel mondo per la disobbedienzia di Adàm.
Ora Io, Padre etterno, somma ed etterna veritá, ti conchiudo che ne l’obbedienzia del Verbo,
unigenito mio Figliuolo, avete la vita. E come tutti dal primo uomo vecchio contraeste la morte,
cosí tutti, chi vuole portare la chiave de l’obbedienzia, avete contratta la vita da l’uomo nuovo,
Cristo dolce Iesú, di cui Io v’ho fatto ponte, perché era rotta la strada del cielo.
Ora lo t’invito ad pianto te e gli altri servi miei; e, col pianto, con l’umile e continua orazione, voglio
fare misericordia al mondo. Corre per questa strada della veritá, morta, acciò che non sia poi ripresa
andando tu lentamente; ché piú ti sarà richiesto da me ora, che prima, perché ho manifestato me
medesimo a te nella veritá mia. Guarda che tu non esca mai della cella del cognoscimento di te; ma
in questa cella conserva e spende il tesoro che Io t’ho dato. Il quale è una dottrina di veritá, fondata
in su la viva pietra, Cristo dolce Iesú, vestita di luce che discerne la tenebre. Di questa ti veste,
dilettissima e dolcissima figliuola, in veritá.
CLXVII. Come questa devotissima anima, ringraziando e laudando Dio, fa
orazione per tutto el mondo e per la Chiesa sancta. E, comendando la vìrtú de la
fede, fa fine a questa opera.
Alora quella anima, avendo veduto con l’occhio de l’intellecto, e col lume della sanctissima
fede cognosciuta la veritá e la excellenzia de l’obbedienzia, uditala con sentimento e gustatala per
affetto, con spasimato desiderio, speculandosi nella divina maestà, rendeva grazie a lui, dicendo:
— Grazia, grazia sia a te, Padre etterno, che tu non hai spregiata me, factura tua, né voltata
la faccia tua da me, né spregiati e’ miei desidèri. Tu, luce, non hai raguardato alla mia tenebre; tu,
vita, non hai raguardato a me, che so’ morte; né tu, medico, alle gravi mie infermità; tu, purità
etterna, a me, che so’ piena di loto di molte miserie; tu, che se’ infinito, a me, che so’ finita; tu,
sapienzia, a me, che so’ stoltizia.
Per tutti quanti questi ed altri infiniti mali e difetti che sonno in me, la tua sapienzia, la tua
bontá, la tua clemenzia e il tuo infinito bene non m’ha spregiata. Ho cognosciuta la veritá nella tua
clemenzia, ho trovato la caritá tua e dileczione del proximo. Chi t’ha costretto? Non le mie virtú, ma
solo la caritá tua. Quello medesimo amore ti costringa ad illuminare l’occhio de l’ intelletto mio nel
lume della fede, a ciò che io cognosca e intenda la veritá tua, manifestata a me. Dammi che la
memoria sia capace a ritenere i benefizi tuoi, la volontà arda nel fuoco della tua carità; ci quale
fuoco facci germinare e gittare al corpo mio sangue, e con esso sangue, dato per amore del Sangue,
e con la chiave de l’obbedienzia io diserri la porta del cielo. Questo medesimo t’adimando
cordialmente per ogni creatura che ha in sé ragione, e in comune e in particulare e per lo corpo
mistico della sancta Chiesa. Io confesso, e non lo niego, che tu m’amasti prima che io fusse, e che tu
m’ami ineffabilemente come pazzo della tua creatura.
O Trinitá etterna! O Deitá, la quale Deitá, natura tua divina, fece valere el prezzo del sangue
del tuo Figliuolo ! Tu, Trinitá etterna, se’ uno mare profondo, che quanto piú c’entro tanto piú
truovo, e quanto piú truovo piú cerco di te. Tu se’ insaziabile, ché, saziandosi l’anima ne l’abisso tuo,
non si sazia, perché sempre rimane nella fame di te, Trinitá etterna, desiderando di vederti col lume
nel tuo lume. Si come desidera il cervio la fonte de l’acqua viva, cosí desidera l’anima mia d’escire
della carcere del corpo tenebroso e vedere te in veritá. Oh quanto tempo sarà nascosta la faccia tua
agli occhi miei! O Trinitá etterna, fuoco e abisso di carità, dissolve oggimai la nuvila del corpo mio!
Il cognoscimento, che tu hai dato di te a me nella veritá tua, mi costringe a desiderare di lassare la
gravezza del corpo mio e dare la vita per gloria e loda del nome tuo. Però che io ho gustato e
veduto, col lume dello intelletto nel lume tuo, l’abisso tuo, Trinitá etterna, e la bellezza della
creatura tua. Unde, raguardando me in te, vidi me essere imagine tua, donandomi la potenzia di te,
Padre etterno, e della sapienzia tua ne l’intelletto, la quale sapienzia è apropriata a l’unigenito tuo
Figliuolo. Lo Spirito sancto, che procede da te e dal Figliuolo tuo, m’ha data la volontà, ché so’ acta
ad amare. Tu, Trinitá etterna, se’ fattore; e io, tua factura, ho cognosciuto, nella recreazione che mi
facesti nel sangue del tuo Figliuolo, che tu se’ innamorato della bellezza della tua factura.
O abisso, o Deitá etterna, o mare profondo! E che piú potevi dare a me che dare te
medesimo? Tu se’ fuoco che sempre ardi e non consumi; tu se’ fuoco che consumi nel calore tuo
ogni amore proprio de l’anima; tu se’ fuoco che tolli ogni freddezza; tu allumini; col lume tuo m’hai
fatta cognoscere la tua veritá; tu se’ quello lume sopra ogni lume, coi quale lume dài a l’occhio de
l’intelletto lume sopranaturale, in tanta abondanzia e perfeczione che tu chiarifichi el lume della
fede, nella quale fede veggo che l’anima mia ha vita, e in questo lume riceve te, lume. Nel lume
della fede acquisto la sapienzia nella sapienzia del Verbo del tuo Figliuolo; nel lume della fede so’
forte, costante e perseverante; nel lume della fede spero: (406) non mi lassa venire meno nel
camino. Questo lume m’insegna la via, e senza questo lume andarei in tenebre; e però ti dixi Padre
etterno, che tu m’alluminassi del lume della sanctissima fede.
Veramente questo lume è uno mare, perché notrica l’anima in te, mare pacifico, Trinitá
etterna. L’acqua non è turbida, e però non ha timore, perché cognosce la veritá; ella è stillata, ché
manifesta le cose occulte; unde, dove abbonda l’abondantissimo lume della fede tua quasi certifica
l’anima di quello che crede. Ella è uno specchio, secondo che tu, Trinitá etterna, mi fai cognoscere;
ché, raguardando in questo specchio, tenendolo con la mano de l’amore, mi rapresenta me in te, che
so’ creatura tua, e te in me, per l’unione che facesti della Deitá ne l’umanità nostra. In questo lume
cognosco e rapresentami te, sommo e infinito Bene: Bene sopra ogni bene, Bene felice, Bene
incomprensibile e Bene inextimabile. Bellezza sopra ogni bellezza; sapienzia sopra ogni sapienzia,
anco tu se’ essa sapienzia. Tu, cibo degli angeli, con fuoco d’amore ti se’ dato agli uomini. Tu,
vestimento che ricuopri ogni nudità, pasci gli affamati nella dolcezza tua. Dolce se’ senza alcuno
amaro. O Trinitá etterna, nel lume tuo il quale desti a me, ricevendolo col lume della sanctissima
fede, ho cognosciuto, per molte e admirabili dichiarazioni spianandomi, la via della grande
perfeczione, acciò che con lume e non con tenebre io serva te, sia specchio di buona e sancta vita, e
levimi dalla miserabile vita mia; ché sempre, per lo mio difetto, t’ho servito in tenebre. Non ho
cognosciuta la tua veritá, e però non l’ho amata.
Perché non ti conobbi? Perché io non ti viddi col glorioso lume della sanctissima fede, però
che la nuvila de l’amore proprio obfuscò l’occhio de l’intelletto mio. E tu, Trinitá etterna, col lume
tuo dissolvesti la tenebre. E chi potrà agiognere a l’altezza tua a rendarti grazie di tanto smisurato
dono e larghi benefizi quanto tu hai dati a me, della dottrina della veritá che tu m’hai data? che è una
grazia particulare, oltre alla generale, che tu dài a l’altre creature. Volesti conscendere alla mia
necessità e de l’altre creature, che dentro ci si (407) specchiaranno. Tu risponde, Signore: tu
medesimo hai dato, e tu medesimo risponde e satisfa, infondendo uno lume di grazia in me a ciò che
con esso lume io ti renda grazie. Veste, veste me di te, Verità etterna, si che io corra questa vita
mortale con vera obbedienzia e col lume della sanctissima fede, del quale lume pare che di nuovo
inebbri l’anima mia.
Deo gratias. Amen.
QUI FINISCE EL LIBRO FACTO E COMPILATO PER LA VENERANDISSIMA
VERGINE, FIDELISSIMA SERVA E SPOSA DI IESU CRISTO CROCIFIXO, CATERINA DA SIENA, DE L’ABITO DI SANCTO DOMENICO, SOCTO GLI ANNI DOMINI MCCCLXXVIII DEL MESE D’OCTOBRE. AMEN.
PREGA DIO PER LO TUO INUTILE FRATELLO.
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