Dalla generazione "adesso" alla generazione "domani"
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Negli ultimi anni stiamo assistendo sempre di più ad un bizzarro fenomeno, alimentato dai mezzi di comunicazione: il tentativo di “catalogare” i giovani, di intrappolarli in categorie di stampo sociologico. Si sente parlare spesso di una “generazione adesso” o (in inglese) “now generation”. Si tratterebbe di giovani senza futuro, fortemente radicati nelle soddisfazioni del presente. Ragazzi senza storia e senza domani, che vorrebbero ottenere tutto e subito, senza impegnarsi.
Come nasce questa tendenza? Il comportamento degli esseri umani, in ogni epoca, non è mai frutto del nulla. E’ il prodotto dell’educazione ricevuta. E come vengono “educati” i giovani oggi? Sicuramente le nuove generazioni non sono stimolate a guardare al futuro. Si crede, superficialmente, che i giovani non vogliano impegnarsi e che desiderino avere tutto e subito. Il problema è che questa “non-cultura del tutto e subito” sembra aver preso il sopravvento nel mondo di oggi. Si respira nell’aria, ed è inevitabile che finisca per influenzare anche i ragazzi, soprattutto attraverso il cattivo uso dei mezzi di comunicazione.
Che fine hanno fatto i genitori, che dovrebbero essere i primi ad insegnare valori importanti ai figli? La famiglia, in molti casi, non c’è. Sparisce nel nulla. Tanti genitori sono spesso fuori per lavoro. La sera, se sono stanchi, non hanno il tempo e la voglia di parlare o giocare con i propri bambini. Di conseguenza, i mezzi di comunicazione hanno assunto una vera e propria funzione di educatori “supplenti”, al posto di quelli che dovrebbero essere i veri maestri della gioventù: le mamme e i papà.
Internet, televisione, musica, riviste per ragazzi “fanno” l’educazione. Propongono i loro messaggi. Generano mode e contribuiscono a formare stili di vita. La “now generation”, in fondo, non è altro che il prodotto di certe famiglie sempre più vuote e private del loro ruolo educativo.
L’arte smarrita – Proviamo a fare un esempio. Pensiamo a certe ragazze vestite in modo aggressivo, che si agitano a tempo di musica, in certi programmi televisivi. Spesso vengono chiamate “ballerine”. Ma l’arte del ballo è ben altra cosa. Non è la goffa ripetizione di pochi movimenti, al suono di brevi stacchetti musicali. Lo stesso discorso vale per certi cantanti o certi complessi, che vengono definiti “artisti” o addirittura “musicisti”. Oppure, per certi insignificanti personaggi che qualcuno chiama “attori”.
Dietro l’arte del ballo, della musica o della recitazione ci dovrebbero essere ore di preparazione, di studio, di sudore della propria fronte. Tutto questo, oggi, sembra scomparire. Non conta più impegnarsi, lavorare e sudare. Conta riuscire a mettere piede in qualche talk show o spettacolo televisivo. E poi, cercare di mettersi in mostra. Anche a costo di dimenticare il buon gusto. Migliaia di ragazze si presentano ai provini di trasmissioni che cercano personaggi senza contenuto, il cui unico destino sarà quello di provocare, gridare, essere eccessivi.
Chi urla di più, diventa più famoso. Oggi non conta studiare. Conta essere notati. E così, si diventa subito “artisti”, “cantanti”, “attori”, “musicisti”, “ballerini”… L’emblema di questo degrado è la moda dei cosiddetti “reality show”. Si tratta di un termine che, di fatto, rappresenta una contraddizione. Può esistere uno “spettacolo della realtà”? Di fronte ad una telecamera è estremamente difficile mantenere la spontaneità della vita privata. Il risultato, perciò, è tutt’altro che reale. Fioriscono, in varie parti del mondo, trasmissioni in cui le persone si lasciano spiare dal pubblico.
Il rischio maggiore, oltre alla volgarità, è quello di contribuire ad alimentare la non-cultura del non-impegno. Certi spettacoli rischiano di insegnare ai giovani che, per cambiare la propria vita, basta lasciarsi spiare da una telecamera. Questo sarebbe sufficiente per diventare dei “personaggi” e raggiungere il successo, senza il minimo sforzo. Come per incanto, nei mesi successivi al reality show, capiterà di essere chiamati a partecipare ad altre trasmissioni televisive come “opinionisti”.
E questo succederà nonostante la più assoluta ignoranza ed incompetenza degli argomenti di cui si andrà a parlare: dalla pastasciutta al divorzio, dalla finanziaria al bullismo, dalla religione allo sci nautico. Quello che conta è apparire ed urlare. Ma c’è di più. A volte non è neppure necessario parlare. E’ sufficiente apparire come “corpi”. Questo accade, ad esempio, quando il reduce del reality show viene pagato semplicemente per “fare presenza” in qualche serata in discoteca. Poco importa se il rumore assordante della musica impedisce qualunque conversazione. Ciò che conta è che “il corpo” del “personaggio” sia ben visibile.
Non serve studiare – Alla fine, il messaggio che viene trasmesso ai giovani è questo: perché sprecare tempo con la scuola o l’università? Perché studiare musica, ballo o recitazione? L’importante, nella vita, è avere un colpo di fortuna. Essere scelti, tra migliaia di persone, per lasciarsi spiare da una telecamera ed esprimere il lato peggiore della propria personalità. E’ questo il messaggio più rischioso che viene trasmesso da certi programmi televisivi.
Ma se l’andazzo è questo, perché ci lamentiamo se esiste la “now generation”? La “generazione adesso”, in fondo, non è altro che la logica conseguenza di una mentalità diffusa, che fa credere nel successo facile. Per contrastare questa tendenza, bisognerebbe promuovere stili di vita diversi ed insegnare a rifiutare la non-cultura del non impegno che anestetizza le menti dei ragazzi. Ma come si può riuscire a farlo, quando la televisione martella tutti con messaggi che comunicano l’esatto contrario? Il cattivo uso dei mezzi di comunicazione è certamente responsabile della diffusione di una mentalità del “voglio tutto e subito”.
Pensiamo, ad esempio, a come sono diseducative le tante trasmissioni televisive con cartomanti, maghi, astrologi e ciarlatani di ogni genere. Tutti pronti a lanciarsi, come avvoltoi, nella vita di persone che attraversano momenti di difficoltà. Anche certe riviste per adolescenti, purtroppo, alimentano questo squallido mercato che sfrutta le paure e le solitudini dei giovani. La trappola che si cela dietro questo crescente supermarket dell’occultismo è evidente.
E’ l’invito a credere che esista una “magia buona”, una specie di “alleata” per risolvere i problemi della vita di tutti i giorni. Una vita che, per molti ragazzi, è dominata dalla solitudine, dall’assenza di dialogo in famiglia, dalle difficoltà nella scuola o nei primi approcci con il mondo del lavoro. Quando si è soli, è molto facile essere vittime della magia e della superstizione. Ci si attacca a tutto, anche ad un amuleto o alla lettura delle carte. Ma il problema più grave è che, con questa mentalità, si contribuisce al trionfo della non-cultura del non-impegno.
Invece di sforzarsi, c’è la tentazione di rivolgersi al mago. Anche in questo caso, c’è una tendenza a vivere all’insegna del “voglio tutto e subito”. Ci si affida ad un amuleto per cercare di cambiare la propria vita. E non all’impegno personale, nella vita quotidiana.
Ricostruire il futuro – Un’altra critica che viene mossa alla “generazione adesso” è quella di non avere progetti per il futuro. Una grande paura dei ragazzi sembra essere quella di legarsi, di affrontare un serio rapporto d’amore con qualcuno. Ci si sposa, ormai, sempre più tardi e si preferisce vivere situazioni sentimentali non durature e superficiali. Questo atteggiamento viene definito “sindrome di Peter Pan”. Ovvero, la voglia di non crescere mai, evitando di assumersi le proprie responsabilità. Come il personaggio della favola di Peter Pan, che voleva restare bambino e vivere nell’Isola che non c’è.
Anche in questo caso, i mezzi di comunicazione hanno delle grandi responsabilità. Non contribuiscono ad incoraggiare i giovani e propongono loro modelli sbagliati. Non li aiutano a credere nel matrimonio, nella famiglia e nell’amore “per sempre”. I programmi televisivi sembrano fare a gara nell’ospitare le testimonianze di famiglie in crisi, di genitori che litigano con i figli, di mariti che tradiscono le mogli (e viceversa), che si insultano e si mancano pubblicamente di rispetto. Sappiamo benissimo che non è questo il vero volto della famiglia. E allora, perché offrire sempre esempi negativi? Forse perché si pensa, erroneamente, che il male faccia crescere gli indici d’ascolto. Questa continua proposta di cattivi esempi genera, inevitabilmente, una grande paura: la paura dell’altro, che improvvisamente potrebbe tradirci e pugnalarci alle spalle. Impedisce ai giovani di fidarsi, fino in fondo, di qualcuno.
E favorisce, così, la solitudine e la paura del domani. Anche in questo caso, perciò, non si può dare tutta la colpa alla “now generation”. Se i modelli offerti sono questi, non si possono accusare i giovani di rifiutare i progetti per il futuro. Se si semina il terrore della famiglia e del matrimonio, i risultati non possono che essere questi. Per concludere, non sono i giovani che devono essere guariti dalla “tendenza al now”. E’ la loro educazione che si è ammalata, da tempo, per colpa dei genitori assenti e della cattiva influenza di alcuni mezzi di comunicazione.
C’è bisogno di un cambiamento profondo. E’ necessario promuovere una sana cultura dell’impegno, per valorizzare i piccoli sforzi della vita quotidiana. E questo vale per tutte le azioni, anche le più semplici: lo sforzo che si fa per studiare e superare un esame, lo sforzo che si fa per conquistare una ragazza, lo sforzo che si fa nel proprio lavoro quotidiano, lo sforzo che si fa per vivere un buon rapporto d’amicizia e di convivenza con gli altri… In questo modo l’incolpevole “generazione adesso” potrà trasformarsi in una “generazione domani” e ritrovare la forza per impegnarsi, sorridendo e guardando al futuro.
Carlo Climati
Rogate Ergo
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