Comprendere la fede
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In occasione del cinquantesimo anniversario della solenne conclusione del concilio Vaticano II, circa duecento teologhe e teologi si sono riuniti a Monaco (6-8.12.2015) per un congresso internazionale. Si è voluto continuare a pensare e riflettere sugli impulsi del Concilio nella prospettiva di quelli che sono i compiti della teologia di lingua tedesca nel XXI secolo.
La teologia si sente interpellata a interpretare i segni dei tempi. Così facendo segue la scia del modo di lavorare del Concilio che fu suggerita da Giovanni XXIII: attestare il Vangelo in forma pastorale, accogliendo quelle che sono le gioie e le preoccupazioni degli uomini e delle donne di oggi. Dunque teologia come servizio all’uomo e al mondo odierno (aggiornamento).
- Libertà e fede
Con il riconoscimento della libertà religiosa quale diritto dell’uomo, il Vaticano II assume per la prima volta in modo positivo l’esigenza di libertà della modernità. Fino a quando però libertà di coscienza e di opinione, così come i diritti di una partecipazione attiva dei credenti non sono pienamente riconosciuti nella Chiesa, non si riesce a rendere piena giustizia al carattere della fede quale atto di libertà. I diritti dell’uomo, che si basano sulla sua dignità, devono trovare concreta applicazione e realizzazione all’interno della Chiesa per amore della sua stessa credibilità.
La teologia si trova di fronte al compito di formulare la richiesta di libertà a partire dal centro della sua comprensione della fede per la vita della Chiesa e per la realtà sociale e politica su piano globale, da un lato, e di impegnarsi in maniera argomentativa nei contesti concreti di vita per la sua realizzazione, d’altro lato. Comprendere la fede come gesto di libertà richiede che la teologia, quale forma scientifica di riflessione della fede, possa avocare a sé la libertà necessaria per fare ciò.
Ci impegniamo a farci carico seriamente del rapporto di condizione reciproca che scorre tra fede e libertà. Date le condizioni odierne globali, le confessioni, le religioni e le visioni del mondo, questo richiede di cercare e portare avanti con decisione ampie alleanze a favore di condizioni liberali di vita – tra cui la libertà religiosa e di coscienza. Così facendo la teologia prende parte alla responsabilità della Chiesa per il mondo.
- Teologia come scienza
Il Concilio è stato preparato dagli sviluppi teologici che lo hanno preceduto nel XX secolo e si è fatto esso stesso portatore di impulsi centrali per la teologia. La teologia si comprende nel senso della tradizione, accanto al magistero dei vescovi, come irrinunciabile magistero scientifico nella Chiesa e come uno spazio importante, nella dimensione pubblica del vivere umano, di un discorso orientato all’accordo e alla comprensione.
Per amore di una più profonda conoscenza della verità, ci impegniamo a cercare un discorso interdisciplinare con tutte le scienze e uno scambio con le tradizioni sapienziali delle diverse culture e della prassi vissuta della fede. In questo, la teologia stessa deve mettere mano a un intenso lavoro per chiarire la sua auto-comprensione quale scienza, preoccupandosi di realizzare uno scambio e una comunicazione profonda tra le sue singole discipline.
- Teologia e magistero episcopale
Il Vaticano II ha esemplarmente messo in pratica il compito di un magistero dei vescovi in senso pastorale: ossia quello di moderare il processo di interpretazione della tradizione e dell’esperienza della fede. In questo processo, che implica una auto-relativizzazione, incluso il coraggio di rivedere asserzioni magisteri, la teologia gioca un ruolo importante. Il congresso chiede che coloro che hanno responsabilità nella Chiesa diano un particolare rilievo alla teologia proprio tenendo conto delle odierne società della formazione.
Nonostante tensioni ricorrenti e inevitabili nel rapporto fra magistero teologico ed episcopale, il discorso sull’interpretazione della fede deve essere condotto in maniera tale che gli esiti possano rimanere aperti. Solo così può essere garantita la libertà della teologia come scienza. In quest’ottica, deve essere premura particolare della Chiesa il sostenere la teologia scientifica all’interno delle università statali.
Per noi è importante sviluppare ulteriormente questo modo di procedere secondo il modello del Vaticano II. Su questo, in futuro, bisognerà fare attenzione che il popolo di Dio possa esprimersi in tutta la pluralità delle sue voci.
- Riforma delle strutture ecclesiali
Il Concilio giunge a una rinnovata auto-comprensione della Chiesa: sia mettendo nuovamente al centro la collegialità e l’immagine della Chiesa come popolo di Dio sia impegnandosi in un’ermeneutica orientata dai diritti dell’uomo. La teologia, recuperando la comprensione dialogica della rivelazione inscritta in Dei verbum, deve lavorare verso il superamento delle tensioni che sorgono tra ecclesiologia gerarchica e di comunione del concilio Vaticano II.
La sinodalità deve tornare a essere il principio strutturale nella Chiesa. Essa è, infatti, conseguenza di un’ecclesiologia pneumatica e trova la sua espressione nel discernimento degli spiriti. La sinodalità deve trovare una realizzazione anche a livello di diritto e poter essere così rivendicabile; inoltre, essa deve essere esercitata concretamente a tutti i livelli ecclesiali. Ci impegniamo a collaborare attivamente nell’edificazione di una struttura sinodale della Chiesa.
L’urgente e necessaria riforma della curia romana, a cui si sta cercando di mettere mano, deve condurre a una riforma della Chiesa intera e del ministero ecclesiale. Decisioni importanti della Chiesa, che avanzano la pretesa di una validità pubblica, non devono essere prese a porte chiuse. «Quello che riguarda tutti deve essere trattato da tutti», ci ha ricordato papa Francesco nel suo discorso sul tema della sinodalità della Chiesa tenuto il 17 ottobre 2015.
- Ecumenismo all’interno del cristianesimo
Il Concilio ha reso possibili sorprendenti sviluppi a livello ecumenico. Con uno sguardo retrospettivo si possono però cogliere tendenze divergenti. La Chiesa cattolica si è aperta al movimento ecumenico e ha iniziato a dialogare con altre Chiese dopo aver abbandonato la forma esclusivista della sua auto-comprensione. La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione rappresenta il vertice di questo sviluppo. Per molti credenti l’essere-insieme ecumenico è divenuto una normalità.
Si è imposta la consapevolezza che non è dell’unità che si deve rendere ragione, ma del mantenimento della divisione. Vi sono però affermazioni a livello di guida della Chiesa che sembrano implicare un ritorno a una comprensione superata della Chiesa stessa. Molti cattolici e cattoliche non soffrono più a motivo di una situazione di separazione, ma la vedono come qualcosa di dato – le differenze confessionali non giocano più un ruolo poi così significativo.
Sentiamo importante impegnarci a sostenere e portare avanti una riflessione metodologica nel dialogo ecumenico e una pastorale ecumenica. Tra gli altri, sono temi importanti: i criteri per la comunione ecclesiale e i suoi limiti; espressioni di apertura ecumenica in altri ambiti dell’attuazione della Chiesa, come la liturgia o il diritto canonico; lo sviluppo di modelli di unità che non si trovano nei documenti conciliari.
- Chiesa e Israele
Il Concilio formula affermazioni fondamentali sul rapporto tra Chiesa e Israele che aprono nuovi orizzonti. Orientamenti ed esiti del dialogo ebraico-cristiano fino a oggi vengono approvati e riconosciuti completamente dal congresso. Davanti alla storia della colpa nella Chiesa e nella teologia si tratta di un obbligo e dovere permanente.
Ci impegniamo a recepire in profondità e a osservare questo dovere in tutte le discipline teologiche. Sarà nostra cura, per quanto riguarda la traduzione e l’interpretazione di testi biblici e liturgici, tenere in considerazione il contesto ebreo ed evitare ogni forma di anti-giudaismo. Nella società la teologia si fa presente come una voce contro ogni forma di antisemitismo e di ostilità verso gli stranieri. Nell’indispensabile dialogo tra cristianesimo e islam la teologia si fa carico di mantenere il rapporto tra ebrei e cristiani quale base fondamentale del dialogo cristiano-musulmano.
- Pretesa di rivelazione e pluralità delle religioni
Il Concilio insegna una comprensione teologica della rivelazione come auto-comunicazione di Dio. Per quanto riguarda i testi decisivi in merito manca tuttavia fino a oggi una profonda chiarificazione delle implicazioni filosofiche che possono assicurare la capacità di una interlocuzione interna con i discorsi secolari. Inoltre, una lettura adeguata di questi testi necessita un’attenta considerazione delle recezioni internazionali che sono caratterizzate da un elevato tasso di differenziazione.
Per noi è importante mettere mano a una ricerca e studio delle differenze interreligiose intorno al concetto di rivelazione e approfondire la comprensione del concetto di religione e di tradizione. Questo porterà a una decisa riconfigurazione della dogmatica e della teologia fondamentale. Il rapporto tra rivelazione e religioni deve essere allargato alla dimensione dell’umanità dell’uomo con al suo centro la questione del soggetto religioso.
- Dialogo interreligioso e missione
Il Concilio riconosce le religioni non cristiane e caldeggia il dialogo interreligioso. Come questo dialogo possa riuscire tra pari, non è stato ancora individuato fino in fondo dalla teologia nel corso del post-Concilio. In questo il congresso vede un importante compito teologico per il futuro. Inoltre si esprime contro ogni forma di fondamentalismo e auto-isolamento religioso.
Ci impegniamo a praticare e sostenere un approccio discorsivo e senza preconcetti alle altre religioni. Anche se riconosciamo ciò che le missionarie e i missionari hanno apportato nell’annuncio così come a livello sociale e formativo, dobbiamo elaborare coerentemente la storia della colpa che si è prodotta nei secoli passati attraverso la missione e la colonizzazione. La missione è parte integrante della Chiesa: essa è comunicazione reciproca del Vangelo e si esprime nella diaconia, nell’opzione per i poveri e nel dialogo con le culture e le religioni.
- Liturgia e inculturazione
Il Concilio ha messo in moto una complessiva riforma della liturgia. Il congresso riconosce il merito di questa riforma per la vita della fede e la partecipazione dei credenti. Esso si esprime a favore di una sua prosecuzione, con una più marcata partecipazione delle Chiese locali. Una liturgia vitale richiede una continua riflessione attraverso una teologia inculturata, che deve essere sviluppata in dialogo con le scienze sociali e culturali. Il congresso riconosce sia l’unità della Chiesa cattolica sia la pluralità di riti come un’opportunità per una fede dinamica.
Per noi è importante continuare nella ricerca e nello studio del ricco patrimonio delle liturgie della storia della fede e delle Chiese locali di tutti i continenti. Oggi ci sentiamo interpellati in maniera particolare dalle mutate realtà di vita di culture religiosamente contrassegnate, dal venir meno del vincolo confessionale e dall’ateismo.
- Fede e formazione
Il Concilio vede nella formazione teologica dei credenti un compito centrale per la Chiesa. Questo vale allo stesso modo per i laici e per i preti. Per il congresso la formazione religiosa deve far parte di un canone formativo illuminato all’interno della società secolare. Tenendo conto delle condizioni costituzionali di base, deve essere concesso a tutte le comunità religiose di portare avanti un lavoro formativo che promuova l’autonomia del soggetto e influenzi positivamente il processo di integrazione all’interno di una società plurale.
Riteniamo essere nostro compito mettere in risalto l’irrinunciabilità delle risorse religiose di senso per il discorso socio-civile e sostenere una formazione religiosa che sia a servizio della risposta alla questione del senso in una società libera – senza con questo voler catturare o costringere le persone.
- Chiesa e spazio pubblico mediatico
Col Concilio la Chiesa è entrata in colloquio in modo nuovo con lo spazio pubblico secolare. L’urgenza di questo colloquio si è drammaticamente acuita. L’esplosione di una società dell’informazione e della comunicazione digitale, basata sulla tecnica, non poteva essere ancora immaginata dai padri conciliari cinquant’anni fa. La Chiesa e la teologia si aprono verso questo cambiamento tecnico e sociale, cercando di partecipare in maniera produttiva e critica alla sua configurazione. Per questo tentano di sviluppare forme specifiche di comunicazione mediatica per la trasmissione della fede.
Riteniamo importante esplorare teologicamente in maniera più adeguata la dinamica propria di questa realtà mediatica, renderla pastoralmente fruttuosa, intensificare il dialogo con lo spazio pubblico secolare e dare forma, in modo più attivo di quanto fatto finora, sia ai processi di formazione dell’opinione all’interno della Chiesa e a livello teologico, sia all’edificazione della formazione delle posizioni della fede.
- Creazione ed ecologia
Il Concilio saluta con favore l’ampliamento della signoria dell’uomo sulla creazione terrestre, ma afferma chiaramente al tempo stesso che l’uomo è parte della natura e deve comportarsi responsabilmente davanti alla natura al di fuori dell’uomo. La crisi ecologico-sociale, che comincia ad annunciarsi attualmente nella sua catastrofica dismisura, è un fatto di cui si è cominciato a essere consapevoli solo a partire dalla fine degli anni Sessanta.
Nell’Antropocene l’uomo è divenuto un potere destinale per l’intera biosfera. Dal punto di vista societario mondiale si tratta di riguadagnare una serie di equilibri smarriti: tra stato e mercato, individuo e società, donne e uomini, pensiero a breve e lungo termine, lentezza e accelerazione.
Ci impegniamo a mettere al centro del lavoro teologico la preservazione del creato e questioni ecologiche. La teologia è chiamata a entrare nella fase di un confronto e scambio intenso con le scienze della natura, e di prendere le distanze da forme ideologiche di unilateralità (tanto da un naturalismo secolarista, quanto da un creazionismo fondamentalista).
In questo processo la teologia deve riformulare i concetti fondamentali della sua dottrina della creazione. Un potenziale di sicuro interesse può essere trovato nelle tradizioni sapienziali cristiane e nelle teologie indigene. La teologia può e deve sostenere gli urgenti processi di trasformazione necessari nella direzione della «sostenibilità».
La Dichiarazione finale comune è stata promulgata il 7 dicembre 2015. Cinquant’anni fa, la reciproca scomunica fra Oriente e Occidente venne consegnata all’oblio. In questo medesimo giorno furono promulgati gli ultimi due documenti del Vaticano II: la costituzione pastorale Gaudium et spes e la dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae.
In memoria di questi eventi, e in unione con teologhe e teologi di tutte le parti della Chiesa universale, la teologia si vede chiamata al dovere dell’unità delle Chiese e del dialogo delle religioni, della difesa della dignità e dei diritti di ogni essere umano e dell’integrità di tutta la creazione. È in questi ambiti che il nostro discorso su Dio deve dare prova di sé nel XXI secolo.
Dichiarazione finale del congresso “Inaugurare il Concilio. Teologia e Chiesa sotto il segno esigente del Vaticano II”.
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