CHE TEMPI!
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Serpeggia nei discorsi che si fanno tra noi, nei nostri ambienti di Chiesa ed anche di clero, questa espressione ed altre simili o equivalenti. Essa si radica in un modo di guardare alla storia che ha molto poco di cristiano, perché discredita il presente a vantaggio dei tempi passati che, invariabilmente, sono sempre giudicati migliori dell’oggi. Il presupposto inaccettabile per un cristiano è che Dio si sia reso d’un tratto assente dalla storia. Questa enfatizzazione del passato si accompagna poi con una struggente nostalgia ed un conseguente modo di leggere l’oggi sottolineando in maniera univoca tutto il male che c’è, come se ci fosse solo quello.
Ho detto che questo modo di guardare alla storia ha molto poco di cristiano. Può sembrare esagerata come posizione, ma io sono convinto che sia proprio così. Il motivo fondamentale è che questo modo nostalgico di guardare all’oggi si fonda sulla convinzione che Dio un bel giorno, stanco delle infedeltà umane, abbia deciso di non amare più il mondo, di abbandonarlo al suo destino, ritirando le promesse fatte, compresa l’ultima fatta dal suo figlio Gesù ai suoi dopo la risurrezione: “Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi” (Mt 28,20). Dimenticando che si tratta di una promessa divina fatta senza condizioni, senza se e senza ma.
Se guardiamo a questi venti secoli di storia cristiana con occhio attento alla realtà, libero da letture ideologiche di qualunque tipo, ci accorgiamo che i tempi della chiesa sempre si sono caratterizzati per due note fondamentali: sono stati tempi difficili, pieni di difficoltà di ogni tipo, corruzione in vari strati del popolo cristiano e delle stesse gerarchle, persecuzioni, e …di tutto di più. Ma sempre sono stati anche tempi belli, anzi bellissimi, illuminati da grandi e belle figure di santità che come fari splendenti hanno guidato e sostenuto il cammino di fede di tanti. Essi sono soprattutto la testimonian za vivente dell’incessante opera della Grazia.
Dunque non ci sono epoche belle ed epoche brutte, tempi facili e tempi difficili. La certezza che non ci deve mai abbandonare è contenuta in quelle parole pronunciate da Gesù stesso nel suo colloquio con Nicodemo: “Dio f ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”‘(Gv 3,16). Di conseguenza questi tempi non sono più difficili di quanto lo fossero tutti gli altri tempi che li hanno preceduti. Sono i tempi che Dio ci ha dato da vivere, con il compito di amarli come li ama lui. E di servirli con amore, rifuggendo da sterili nostalgie e lamentosi approcci all’oggi.
Diciamoci, insomma, con incrollabile fede, che questi sono tempi in cui Dio, attraverso i discepoli del suo figlio Gesù e tutti gli uomini di buona volontà, continua a spargere semi di bene nel campo della storia. Diciamoci piuttosto che il nostro pensiero è modellato più dalle urla dei media, che privilegiano, per scopi di lucro, una informazione monocolore, lo scuro, che non dalla Parola viva e santa del Signore. E dimentichiamo così che Dio ci ha promesso un amore eterno e perciò dobbiamo essere sicuri che non si ritirerà la parola. Gesù risorto, come si diceva, ci ha promesso la sua presenza per tutti i giorni, fino alla fine. Tanto dunque deve bastare per farci resistere alla tentazione del pessimismo, quello che Papa Francesco definisce al n. 84 della Evangelii Gaudium come il pessimismo sterile, quel pessimismo che in definitiva denuncia una carenza di fede e che ci paralizza nel compimento della nostra missione.
Insomma, siamo noi che non ci crediamo abbastanza, siamo noi che a volte siamo incapaci di leggere la storia con occhi di fede, scoprendo e cogliendo i “segni dei tempi”, come luogo in cui Dio ci parla e ci chiede capacità di discernimento evangelico. Noi, invece, per la nostra poca fede, ci spaventiamo per le difficoltà che incontriamo e siamo tentati di tirare i remi in barca. Nel momento della tempesta, quando i discepoli si lasciarono prendere dal panico per il fatto che Gesù dormiva e sembrava disinteressarsi della loro sorte, si sentirono per tutta risposta il rimprovero di Gesù: “Perché siete così paurosi, non avete ancora fede?”(Me 4,40).
Noi preti, chiamati ad educare la fede della nostra gente, come siamo messi con la nostra fede? »
Don Luigi Mansi
Presidente Nazionale U.A.C.
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