Catechismo della Chiesa Cattolica
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CATECHISMO
DELLA CHIESA CATTOLICA
(L’indice si trova in fondo al libro)
PREFAZIONE
«Padre, […] questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). «Dio, nostro Salvatore… vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,3-4). «Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12) che il nome di Gesù.
I. La vita dell’uomo – conoscere e amare Dio.
1 – Dio, infinitamente perfetto e beato in se stesso, per un disegno di pura bontà, ha liberamente creato l’uomo per renderlo partecipe della sua vita beata. Per questo, in ogni tempo e in ogni luogo, egli è vicino all’uomo. Lo chiama e lo aiuta a cercarlo, a conoscerlo e ad amarlo con tutte le forze. Convoca tutti gli uomini, che il peccato ha disperso, nell’unità della sua famiglia, la Chiesa. Per fare ciò, nella pienezza dei tempi ha mandato il Figlio suo come Redentore e Salvatore. In lui e mediante lui, Dio chiama gli uomini a diventare, nello Spirito Santo, suoi figli adottivi e perciò eredi della sua vita beata.
2 – Affinché questo appello risuonasse per tutta la terra, Cristo ha inviato gli Apostoli che aveva scelto, dando loro il mandato di annunziare il Vangelo: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20). Forti di questa missione, gli Apostoli «partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano» (Mc 16,20).
3 – Coloro che, con l’aiuto di Dio, hanno accolto l’invito di Cristo e vi hanno liberamente risposto, a loro volta sono stati spinti dall’amore di Cristo ad annunziare ovunque nel mondo la Buona Novella. Questo tesoro ricevuto dagli Apostoli è stato fedelmente custodito dai loro successori. Tutti i credenti in Cristo sono chiamati a trasmetterlo di generazione in generazione, annunziando la fede, vivendola nell’unione fraterna e celebrandola nella liturgia e nella preghiera.
Il. Trasmettere la fede – la catechesi.
4 – Molto presto si diede il nome di catechesi all’insieme delle iniziative intraprese nella Chiesa per fare discepoli, per aiutare gli uomini a credere che Gesù è il Figlio di Dio, affinché, mediante la fede, essi abbiano la vita nel suo nome, per educarli ed istruirli in questa vita e così costruire il corpo di Cristo.
5 – «La catechesi è un’educazione della fede dei fanciulli, dei giovani e degli adulti, la quale comprende in special modo un insegnamento della dottrina cristiana, generalmente dato in modo organico e sistematico, al fine di iniziarli alla pienezza della vita cristiana ».
6 – Senza confondersi formalmente con essi, la catechesi si articola in un certo numero di elementi della missione pastorale della Chiesa, che hanno un aspetto catechistico, che preparano la catechesi o che ne derivano: primo annuncio del Vangelo, o predicazione missionaria allo scopo di suscitare la fede; ricerca delle ragioni per credere; esperienza di vita cristiana; celebrazione dei sacramenti; integrazione nella comunità ecclesiale; testimonianza apostolica e missionaria.
7 – «La catechesi è intimamente legata a tutta la vita della Chiesa. Non soltanto l’estensione geografica e l’aumento numerico, ma anche, e più ancora, la crescita interiore della Chiesa, la sua corrispondenza al disegno divino, dipendono essenzialmente da essa ».
8 – I periodi di rinnovamento della Chiesa sono anche tempi forti della catechesi. Infatti vediamo che nella grande epoca dei Padri della Chiesa santi Vescovi dedicano alla catechesi una parte importante del loro ministero. È l’epoca di san Cirillo di Gerusalemme e di san Giovanni Crisostomo, di sant’Ambrogio e di sant’Agostino, e di parecchi altri Padri, le cui opere catechistiche rimangono esemplari.
9 – Il ministero della catechesi attinge energie sempre nuove dai Concili. A tal riguardo, il Concilio di Trento rappresenta un esempio da sottolineare: nei suoi decreti ha dato priorità alla catechesi; è all’origine del Catechismo Romano, che porta anche il suo nome e che costituisce un’opera di prim’ordine come compendio della dottrina cristiana; ha suscitato nella Chiesa un’eccellente organizzazìone della catechesi; grazie a santi Vescovi e teologi, quali san Pietro Canisio, san Carlo Borromeo, san Turibio di Mogrovejo, san Roberto Bellarmino, ha portato alla pubblicazione di numerosi catechismi.
10 – Non c’è, quindi, da meravigliarsi del fatto che nel dinamismo generato dal Concilio Vaticano Il (che il Papa Paolo VI considerava come il grande catechismo dei tempi moderni), la catechesi della Chiesa abbia di nuovo attirato l’attenzione. Lo testimoniano il Direttorio catechistico generale del 1971, le sessioni del Sinodo dei Vescovi dedicate all’evangelizzazione (1974) e alla catechesi (1977), le corrispondenti esortazioni apostoliche, Evangelii nuntiandi (1975) e Catechesi tradendae (1979). L’Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985 chiese: « Moltissimi hanno espresso il desiderio che venga composto un Catechismo o compendio di tutta la dottrina cattolica per quanto riguarda sia la fede che la morale ». Il Santo Padre, Giovanni Paolo Il, ha fatto suo questo desiderio espresso dal Sinodo dei Vescovi, riconoscendo: «Il desiderio risponde appieno ad una vera esigenza della Chiesa universale e delle Chiese particolari», e si è alacremente adoperato perché il desiderio dei Padri del Sinodo si realizzasse. III. Lo scopo e i destinatari di questo Catechismo.
11 – Questo Catechismo ha lo scopo di presentare una esposizione organica e sintetica dei contenuti essenziali e fondamentali della dottrina cattolica sia sulla fede che sulla morale, alla luce del Concilio Vaticano Il e dell’insieme della Tradizione della Chiesa. Le sue fonti principali sono la Sacra Scrittura, i santi Padri, la liturgia e il Magistero della Chiesa. Esso è destinato a servire come «un punto di riferimento per catechismi o compendi che vengono preparati nei diversi paesi ».
12 – Questo Catechismo è destinato principalmente ai responsabili della catechesi: in primo luogo ai Vescovi, quali maestri della fede e Pastori della Chiesa. Viene loro offerto come strumento nell’adempimento del loro compito di insegnare al popolo di Dio. Attraverso i Vescovi, si rivolge ai redattori dei catechismi, ai presbiteri e ai catechisti. Sarà di utile lettura anche per tutti gli altri fedeli cristiani.
IV. La struttura di questo Catechismo.
13 – Il piano di questo Catechismo si ispira alla grande tradizione dei catechismi che articolano la catechesi attorno a quattro «pilastri»: la professione della fede battesimale (il Simbolo), i sacramenti della fede, la vita di fede (i Comandamenti), la preghiera del credente (il«Padre nostro »).
PARTE PRIMA: LA PROFESSIONE DELLA FEDE
14 – Coloro che per la fede e il Battesimo appartengono a Cristo devono confessare la loro fede battesimale davanti agli uomini. Perciò, il Catechismo espone anzitutto in che cosa consistano la Rivelazione, per mezzo della quale Dio si rivolge e si dona all’uomo, e la fede, per mezzo della quale l’uomo risponde a Dio (sezione prima). Il Simbolo della fede riassume i doni che Dio fa all’uomo come Autore di ogni bene, come Redentore, come Santificatore, e li articola attorno ai «tre capitoli » del nostro Battesimo, e cioè la fede in un solo Dio: il Padre onnipotente, il Creatore; e Gesù Cristo, suo Figlio, nostro Signore e Salvatore; e lo Spirito Santo, nella santa Chiesa (sezione seconda).
PARTE SECONDA: I SACRAMENTI DELLA FEDE
15 – La parte seconda del Catechismo espone come la salvezza di Dio, realizzata una volta per tutte da Gesù Cristo e dallo Spirito Santo, è resa presente nelle azioni sacre della liturgia della Chiesa (sezione prima), particolarmente nei sette sacramenti (sezione seconda).
PARTE TERZA: LA VITA DELLA FEDE
16 – La parte terza del Catechismo presenta il fine ultimo dell’uomo, creato ad immagine di Dio: la beatitudine e le vie per giungervi: mediante un agire retto e libero, con l’aiuto della Legge e della grazia di Dio (sezione prima); un agire che realizza il duplice comandamento della carità, esplicitato nei dieci comandamenti di Dio (sezione seconda).
PARTE QUARTA: LA PREGHIERA NELLA VITA DELLA FEDE
17 – L’ultima parte del Catechismo tratta del senso e dell’importanza della preghiera nella vita dei credenti (sezione prima). Si conclude con un breve commento alle sette domande della Preghiera del Signore (sezione seconda). In esse troviamo infatti l’insieme dei beni che noi dobbiamo sperare e che il nostro Padre celeste ci vuole concedere.
V. Indicazioni pratiche per l’uso di questo Catechismo.
18 – Questo Catechismo è concepito come una esposizione organica di tutta la fede cattolica. É, dunque, necessario leggerlo in modo unitario. Numerosi rimandi all’interno del testo e l’indice analitico alla fine del volume consentono di vedere ogni tema nel suo legame con l’insieme della fede.
19 – Spesso, i testi della Sacra Scrittura non sono citati letteralmente: viene solo indicato il riferimento (con cf). Per una comprensione approfondita di tali passaggi si deve ricorrere ai testi stessi. Questi riferimenti biblici costituiscono uno strumento di lavoro per la catechesi.
20 – L’uso dei caratteri piccoli in certi passaggi sta ad indicare che si tratta di annotazioni di tipo storico, apologetico o di esposizioni dottrinali complementari.
21 – Le citazioni di fonti patristiche, liturgiche, magisteriali o agiografiche sono stampate in caratteri piccoli e rientranti. Esse sono destinate ad arricchire l’esposizione dottrinale. Spesso tali testi sono stati scelti in vista di un uso direttamente catechistico. Alla fine di ogni unità tematica, una serie di testi brevi riassumono in formule concise l’essenziale dell’insegnamento. Questi «in sintesi» hanno lo scopo di offrire suggerimenti alla catechesi locale per formule sintetiche e memorizzabili.
VI. Gli adattamenti necessari.
23 – L’accento di questo Catechismo è posto sull’esposizione dottrinale. Infatti, esso vuole aiutare ad approfondire la conoscenza della fede. Proprio per questo è orientato alla maturazione della fede, al suo radicamento nella vita ed alla sua irradiazione attraverso la testimonianza.
24 – Per la sua intrinseca finalità, questo Catechismo non si propone di attuare gli adattamenti dell’esposizione e dei metodi catechistici che sono richiesti dalle differenze di cultura, di età, di vita spirituale e di situazioni sociali ed ecclesiali di coloro cui la catechesi è rivolta. Questi indispensabili adattamenti sono lasciati a catechismi appropriati e, ancor più, a coloro che istruiscono i fedeli: «Colui che insegna deve farsi tutto a tutti per guadagnare tutti a Gesù Cristo (…). In primo luogo non pensi che le anime a lui affidate abbiano tutte lo stesso livello. Non si può perciò con un metodo unico ed invariabile istruire e formare i fedeli alla vera devozione. Poiché taluni sono come bambini appena nati, altri cominciano appena a crescere in Cristo, altri infine appaiono effettivamente già adulti, è necessario considerare con diligenza chi ha bisogno del latte e chi del cibo solido […]. L’Apostolo indicò tale dovere […], che cioè coloro che sono chiamati al ministero della predicazione devono, nel trasmettere l’insegnamento dei misteri della fede e delle norme dei costumi, adattare opportunamente la propria personale cultura all’intelligenza e alle facoltà degli ascoltatori».
Al di sopra di tutto – la carità.
25 – Per concludere questa presentazione, è opportuno ricordare il seguente principio pastorale enunciato dal Catechismo Romano: «In realtà è questa la via più sublime che l’Apostolo additava, quando indirizzava tutta la sostanza della dottrina e dell’insegnamento alla carità che non avrà mai fine. Infatti sia che si espongano le verità della fede o i motivi della speranza o i doveri dell’attività morale, sempre e in tutto va dato rilievo all’amore di nostro Signore, così da far comprendere che ogni esercizio di perfetta virtù cristiana non può scaturire se non dall’amore, come nell’amore ha d’altronde il suo ultimo fine».
PARTE PRIMA
LA PROFESSIONE DELLA FEDE
SEZIONE PRIMA
«IO CREDO» – «NOI CREDIAMO»
CAPITOLO PRIMO
L’UOMO E’ «CAPACE» DI DIO.
I. Il desiderio di Dio.
27 – Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa: «La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore».
28 – Nel corso della loro storia, e fino ai giorni nostri, la ricerca di Dio da parte degli uomini si è espressa in molteplici modi, attraverso le loro credenze ed i loro comportamenti religiosi (preghiere, sacrifici, culti, meditazioni, ecc). Malgrado le ambiguità che possono presentare, tali forme d’espressione sono così universali che l’uomo può essere definito un essere religioso: Dio «creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,26-28).
29 – Ma questo «intimo e vitale legame con Dio» può essere dimenticato, misconosciuto e perfino esplicitamente rifiutato dall’uomo. Tali atteggiamenti possono avere origini assai diverse: la ribellione contro la presenza del male nel mondo, l’ignoranza o l’indifferenza religiosa, le preoccupazioni del mondo e delle ricchezze, il cattivo esempio dei credenti, le correnti di pensiero ostili alla religione, e infine la tendenza dell’uomo peccatore a nascondersi, per paura, davanti a Dio e a fuggire davanti alla sua chiamata.
30 – «Gioisca il cuore di chi cerca il Signore» (Sal 105,3). Se l’uomo può dimenticare o rifiutare Dio, Dio però non si stanca di chiamare ogni uomo a cercarlo perché viva e trovi la felicità. Ma tale ricerca esige dall’uomo tutto lo sforzo della sua intelligenza, la rettitudine della sua volontà, «un cuore retto» ed anche la testimonianza di altri che lo guidino nella ricerca di Dio. «Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua potenza e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te».
Il. Le vie che portano alla conoscenza di Dio.
31 – Creato a immagine di Dio, chiamato a conoscere e ad amare Dio, l’uomo che cerca Dio scopre alcune «vie» per arrivare alla conoscenza di Dio. Vengono anche chiamate «prove dell’esistenza di Dio», non nel senso delle prove ricercate nel campo delle scienze naturali, ma nel senso di «argomenti convergenti e convincenti» che permettono di raggiungere vere certezze. Queste «vie» per avvicinarsi a Dio hanno come punto di partenza la creazione: il mondo materiale e la persona umana. 32 – Ilmondo: partendo dal movimento e dal divenire, dalla contingenza, dall’ordine e dalla bellezza del mondo si può giungere a conoscere Dio come origine e fine dell’universo. San Paolo riguardo ai pagani afferma: «Ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità» (Rm l,19-20). E sant’Agostino dice: «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo, interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode [“confessio”]. Ora, queste creature, così belle ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è bello [“Pulcher”] in modo immutabile?».
33 – L’uomo: con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all’infinito e alla felicità, l’uomo si interroga sull’esistenza di Dio. In queste aperture egli percepisce segni della propria anima spirituale. «Germe dell’eternità che porta in sé, irriducibile alla sola materia », la sua anima non può avere la propria origine che in Dio solo.
34 – Il mondo e l’uomo attestano che essi non hanno in se stessi né il loro primo principio né il loro fine ultimo, ma che partecipano di quell’«Essere» che è in sé senza origine né fine. Così, attraverso queste diverse «vie», l’uomo può giungere alla conoscenza dell’esistenza di una realtà che è la causa prima e il fine ultimo di tutto e «che tutti chiamano Dio ».
35 – L’uomo ha facoltà che lo rendono capace di conoscere l’esistenza di un Dio personale. Ma perché l’uomo possa entrare nella sua intimità, Dio ha voluto rivelarsi a lui e donargli la grazia di poter accogliere questa rivelazione nella fede. Tuttavia, le prove dell’esistenza di Dio possono disporre alla fede ed aiutare a constatare che questa non si oppone alla ragione umana.
III. La conoscenza di Dio secondo la Chiesa.
36 – «La santa Chiesa, nostra Madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create». Senza questa capacità, l’uomo non potrebbe accogliere la rivelazione di Dio. L’uomo ha questa capacità perché è creato «a immagine di Dio» (Gn 1,27).
37 – Tuttavia, nelle condizioni storiche in cui si trova, l’uomo incontra molte difficoltà per conoscere Dio con la sola luce della ragione. «Infatti, sebbene la ragione umana, per dirla semplicemente, con le sole sue forze e la sua luce naturale possa realmente pervenire ad una conoscenza vera e certa di un Dio personale, il quale con la sua provvidenza si prende cura del mondo e lo governa, come pure di una legge naturale inscritta dal Creatore nelle nostre anime, tuttavia la stessa ragione incontra non poche difficoltà ad usare efficacemente e con frutto questa sua capacità naturale. Infatti le verità che concernono Dio e riguardano i rapporti che intercorrono tra gli uomini e Dio trascendono assolutamente l’ordine delle cose sensibili, e, quando devono tradursi in azioni e informare la vita, esigono devoto assenso e la rinuncia a se stessi. Lo spirito umano, infatti, nella ricerca intorno a tali verità, viene a trovarsi in difficoltà sotto l’influsso dei sensi e dell’immaginazione ed anche a causa delle tendenze malsane nate dal peccato originale. Da ciò consegue che gli uomini facilmente si persuadono, in tali argomenti, che è falso o quanto meno dubbio ciò che essi non vorrebbero che fosse vero».
38 – Per questo l’uomo ha bisogno di essere illuminato dalla rivelazione di Dio, non solamente su ciò che supera la sua comprensione, ma anche sulle «verità religiose e morali che, di per sé, non sono inaccessibili alla ragione, affinché ella presente condizione del genere umano possano essere conosciute da tutti senza difficoltà, con ferma certezza e senza mescolanza d’errore ».
IV. Come parlare di Dio?
39 – Nel sostenere la capacità che la ragione umana ha di conoscere Dio, la Chiesa esprime la sua fiducia nella possibilità di parlare di Dio a tutti gli uomini e con tutti gli uomini. Questa convinzione sta alla base del suo dialogo con le altre religioni, con la filosofia e le scienze, come pure con i non credenti e gli atei.
40 – Essendo la nostra conoscenza di Dio limitata, lo è anche il nostro linguaggio su Dio. Non possiamo parlare di Dio che a partire dalle creature e secondo il nostro modo umano, limitato, di conoscere e di pensare.
41 – Le creature hanno tutte una certa somiglianza con Dio, in modo particolarissimo l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. Le molteplici perfezioni delle creature (la loro verità, bontà, bellezza) riflettono dunque la perfezione infinita di Dio. Di conseguenza, noi possiamo parlare di Dio a partire dalle perfezioni delle sue creature, «difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore» (Sap 13,5).
42 – Dio trascende ogni creatura. Occorre dunque purificare continuamente il nostro linguaggio da ciò che ha di limitato, di immaginoso, di imperfetto per non confondere il Dio «ineffabile, incomprensibile, invisibile, inafferrabile» con le nostre rappresentazioni umane. Le parole umane restano sempre al di qua del mistero di Dio.
43 – Parlando così di Dio, il nostro linguaggio certo si esprime alla maniera umana, ma raggiunge realmente Dio stesso, senza tuttavia poterlo esprimere nella sua infinita semplicità. Ci si deve infatti ricordare che «non si può rilevare una qualche somiglianza tra Creatore e creatura senza che si debba notare tra di loro una dissomiglianza ancora maggiore » e che «noi non possiamo cogliere di Dio ciò che egli è, ma solamente ciò che egli non è, e come gli altri esseri si pongano in rapporto a lui».
In sintesi
44 – L’uomo è per natura e per vocazione un essere religioso. Poiché viene da Dio e va a Dio, l’uomo non vive una vita pienamente umana, se non vive liberamente il suo rapporto con Dio.
45 – L’uomo è creato per vivere in comunione con Dio, nel quale trova la propria felicità: «Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena. Sarà vera vita la mia, tutta piena di te».
46 – Quando ascolta il messaggio delle creature e la voce della propria coscienza, l’uomo può raggiungere la certezza dell ‘esistenza di Dio, causa e fine di tutto.
47 – La Chiesa insegna che il Dio unico e vero, nostro Creatore e Signore, può essere conosciuto con certezza attraverso le sue opere, grazie alla luce naturale della ragione umana.
48 – Partendo dalle molteplici perfezioni delle creature, similitudini del Dio infinitamente perfetto, possiamo realmente parlare di Dio, anche se il nostro linguaggio limitato non ne esaurisce il mistero.
49 – «La creatura senza il Creatore svanisce». Ecco perché i credenti sanno di essere spinti dall ‘amore di Cristo a portare la luce del Dio vivente a coloro che lo ignorano o lo rifiutano.
CAPITOLO SECONDO
DIO VIENE INCONTRO ALL’UOMO
50 – Per mezzo della ragione naturale, l’uomo può conoscere Dio con certezza a partire dalle sue opere. Ma esiste un altro ordine di conoscenza a cui l’uomo non può affatto arrivare con le sue proprie forze, quello della rivelazione divina. Per una decisione del tutto libera, Dio si rivela e si dona all’uomo svelando il suo mistero, il suo disegno di benevolenza prestabilito da tutta l’eternità in Cristo a favore di tutti gli uomini. Egli rivela pienamente il suo disegno inviando il suo Figlio prediletto, il Signore nostro Gesù Cristo, e lo Spirito Santo.
Articolo 1
LA RIVELAZIONE DI DIO
I. Dio rivela il suo «disegno di benevolenza».
51 – «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono così resi partecipi della divina natura ».
52 – Dio che «abita una luce inaccessibile» (1 Tm 6,16) vuole comunicare la propria vita divina agli uomini da lui liberamente creati, per farli figli adottivi nel suo unico Figlio. Rivelando se stesso, Dio vuole rendere gli uomini capaci di rispondergli, di conoscerlo e di amarlo ben più di quanto sarebbero capaci da se stessi.
53 – Il disegno divino della Rivelazione si realizza ad un tempo «con eventi e parole» che sono «intimamente connessi tra loro» e si chiariscono a vicenda. Esso comporta una «pedagogia divina» particolare: Dio si comunica gradualmente all’uomo, lo prepara per tappe a ricevere la rivelazione soprannaturale che egli fa di se stesso e che culmina nella Persona e nella missione del Verbo incarnato, Gesù Cristo. Sant’Ireneo di Lione parla a più riprese di questa pedagogia divina sotto l’immagine della reciproca familiarità tra Dio e l’uomo: «Il Verbo di Dio […] pose la sua abitazione tra gli uomini e si è fatto Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo secondo la volontà del Padre».
II. Le tappe della Rivelazione.
FIN DAL PRINCIPIO, DIO SI FA CONOSCERE
54 – «Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo, offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé. Inoltre, volendo aprire la via della salvezza celeste, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori». Li ha invitati ad una intima comunione con sé, rivestendoli di uno splendore di grazia e di giustizia.
55 – Questa rivelazione non è stata interrotta dal peccato dei nostri progenitori. Dio, in realtà, «dopo la loro caduta, con la promessa della redenzione, li risollevò nella speranza della salvezza ed ebbe costante cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene». «Quando, per la sua disobbedienza, l’uomo perse la tua amicizia, tu non l’hai abbandonato in potere della morte. […] Molte volte hai offerto agli uomini la tua alleanza».
L’ALLEANZA CON NOE’
56 – Dopo che l’unità del genere umano è stata spezzata dal peccato, Dio cerca prima di tutto di salvare l’umanità intervenendo in ciascuna delle sue parti. L’Alleanza con Noè dopo il diluvio esprime il principio dell’economia divina verso le «nazioni», ossia gli uomini riuniti in gruppi, «ciascuno secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni» (Gn l0,5).
57 – Quest’ordine, ad un tempo cosmico, sociale e religioso della pluralità delle nazioni, ha lo scopo di limitare l’orgoglio di una umanità decaduta, la quale, concorde nella malvagità, vorrebbe costruire da se stessa la propria unità alla maniera di Babele. Ma, a causa del peccato, sia il politeismo che l’idolatria della nazione e del suo capo costituiscono una continua minaccia di perversione pagana per questa economia provvisoria.
58 – L’Alleanza con Noè resta in vigore per tutto il tempo delle nazioni, fino alla proclamazione universale del Vangelo. La Bibbia venera alcune grandi figure delle «nazioni», come «Abele il giusto», il re-sacerdote Melchisedek, figura di Cristo, i giusti «Noè, Daniele e Giobbe» (Ez 14,14). La Scrittura mostra così a quale altezza di santità possano giungere coloro che vivono secondo l’Alleanza di Noè nell’attesa che Cristo riunisca «insieme tutti i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52).
DIO ELEGGE ABRAMO
59 – Per riunire tutta l’umanità dispersa, Dio sceglie Abram chiamandolo: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre» (Gn 12,1), per fare di lui Abramo (Abraham), vale a dire «il padre di una moltitudine di popoli» (Gn 17,5): «In te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gn l2,3).
60 – Il popolo discendente da Abramo sarà il depositano della Promessa fatta ai patriarchi, il popolo dell’elezione, chiamato a preparare la ricomposizione, un giorno, nell’unità della Chiesa, di tutti i figli di Dio; questo popolo sarà la radice su cui verranno innestati i pagani diventati credenti.
61 – I patriarchi e i profeti ed altre figure dell’Antico Testamento sono stati e saranno sempre venerati come santi in tutte le tradizioni liturgiche della Chiesa.
DIO FORMA ISRAELE COME SUO POPOLO
62 – Dopo i patriarchi, Dio forma Israele quale suo popolo salvandolo dalla schiavitù dell’Egitto. Conclude con lui l’Alleanza del Sinai e gli dà, per mezzo di Mosè, la sua Legge, perché lo riconosca e lo serva come l’unico Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stia in attesa del Salvatore promesso.
63 – Israele è il popolo sacerdotale di Dio, colui che «porta il nome del Signore» (Dt 28,10). È il popolo di coloro «a cui Dio ha parlato quale primogenito», il popolo dei «fratelli maggiori» nella fede di Abramo.
64 – Attraverso i profeti, Dio forma il suo popolo nella speranza della salvezza, nell’attesa di un’Alleanza nuova ed eterna destinata a tutti gli uomini e che sarà inscritta nei cuori. I profeti annunziano una radicale redenzione del popolo di Dio, la purificazione da tutte le sue infedeltà, una salvezza che includerà tutte le nazioni. Saranno tutto i poveri e gli umili del Signore che porteranno questa speranza. Le donne sante come Sara, Rebecca, Rachele, Miryam, Debora, Anna, Giuditta ed Ester hanno conservato viva la speranza della salvezza d’Israele. Maria ne è l’immagine più luminosa.
III. Cristo Gesù «mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione».
DIO HA DETTO TUTTO NEL SUO VERBO
65 – «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui dice tutto, e non ci sarà altra parola che quella. San Giovanni della Croce, sulle orme di tanti altri, esprime ciò in maniera luminosa, commentando Eb l,1-2: «Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola e non ha più nulla da dire. […] Infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, ce l’ha detto tutto nel suo Figlio, donandoci questo tutto che è il suo Figlio. Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse o novità al di fuori di lui».
NON CI SARÀ ALTRA RIVELAZIONE
66 – «L’economia cristiana, in quanto è Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai e non c’è da aspettarsi alcuna nuova rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo». Tuttavia, anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata; toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli.
67 – Lungo i secoli ci sono state delle rivelazioni chiamate «private», alcune delle quali sono state riconosciute dall’autorità della Chiesa. Esse non appartengono tuttavia al deposito della fede. Il loro ruolo non è quello di «migliorare» o di «completare» la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica. Guidato dal Magistero della Chiesa, il senso dei fedeli sa discernere e accogliere ciò che in queste rivelazioni costituisce un appello autentico di Cristo o dei suoi santi alla Chiesa. La fede cristiana non può accettare «rivelazioni» che pretendono di superare o correggere la Rivelazione di cui Cristo è il compimento. È il caso di alcune religioni non cristiane ed anche di alcune recenti sette che si fondano su tali «rivelazioni».
In sintesi
68 – Per amore, Dio si è rivelala e si è donato all ‘uomo. Egli offre così una risposta definitiva e sovrabbondante agli interrogativi che l’uomo si pone sul senso e sul fine della propria vita.
69 – Dio si è rivelato all’uomo comunicandogli gradualmente il suo mistero attraverso gesti e parole.
70 – Al di là della testimonianza che dà di se stesso nelle cose create, Dio si è manifestato ai nostri progenitori. Ha loro parlato e, dopo la caduta, ha loro promesso la salvezza ed offerto la sua Alleanza.
71 – Dio ha concluso con Noè un ‘Alleanza eterna tra lui e tutti gli esseri viventi. Essa durerà tanto quanto durerà il mondo.
72 – Dio ha eletto Abramo ed ha concluso un’Alleanza con lui e la sua discendenza. Ne ha fatto il suo papalo al quale ha rivelala la sua Legge per mezzo di Mosè. Lo ha preparato, per mezzo dei profeti, ad accogliere la salvezza destinata a tutta l’umanità.
73 – Dio si è rivelato pienamente mandando il suo proprio Figlio, nel quale ha stabilito la sua Alleanza per sempre. Egli è la Parala definitiva del Padre, così che, dopo di lui, non vi sarà più un’altra rivelazione.
Articolo 2
LA TRASMISSIONE DELLA RIVELAZIONE DIVINA
74 – Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4), cioè di Gesù Cristo. È necessario perciò che il Cristo sia annunciato a tutti i popoli e a tutti gli uomini e che in tal modo la Rivelazione arrivi fino ai confini del mondo: «Dio, con la stessa somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni».
I. La Tradizione apostolica.
75 – «Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta la rivelazione del sommo Dio, ordinò agli Apostoli, comunicando loro i doni divini, di predicare a tutti il Vangelo che, promesso prima per mezzo dei profeti, egli aveva adempiuto e promulgato con la sua parola, come fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale
LA PREDICAZIONE APOSTOLICA
76 – La trasmissione del Vangelo, secondo il comando del Signore, è stata fatta in due modi: Oralmente, «dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, negli esempi e nelle istituzioni trasmisero ciò che o avevano ricevuto dalla bocca, dalla vita in comune e dalle opere di Cristo, o avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo»; Per iscritta, «da quegli Apostoli e uomini della loro cerchia, i quali, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, misero in iscritto l’annunzio della salvezza». …CONTINUATA ATTRAVERSO LA SUCCESSIONE APOSTOLICA
77 – «Affinchè il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i Vescovi, ad essi affidando il loro proprio compito di magistero». Infatti, «la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva essere conservata con successione continua fino alla fine dei tempi ».
78 – Questa trasmissione viva, compiuta nello Spirito Santo, è chiamata Tradizione, in quanto è distinta dalla Sacra Scrittura, sebbene sia ad essa strettamente legata. Per suo tramite «la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni, tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede». « Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega ».
79 – In tal modo la comunicazione, che il Padre ha fatto di sé mediante il suo Verbo nello Spirito Santo, rimane presente e operante nella Chiesa: «Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce del Vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la parola di Cristo.
lI. Il rapporto tra la Tradizione e la Sacra Scrittura
UNA SORGENTE COMUNE…
80 – «La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono tra loro strettamente congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine ». L’una e l’altra rendono presente e fecondo nella Chiesa il mistero dì Cristo, il quale ha promesso di rimanere con i suoi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
DUE MODI DIFFERENTI DI TRASMISSIONE
81 – «La Sacra Scrittura è la parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito divino».
«La sacra Tradizione poi trasmette integralmente la parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli Apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano.
82 – Accade così che la Chiesa, alla quale è affidata la trasmissione e l’interpretazione della Rivelazione, «attinga la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura. Perciò l’una e l’altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di rispetto».
TRADIZIONE APOSTOLICA E TRADIZIONI ECCLESIALI
83 – La Tradizione di cui qui parliamo è quella che proviene dagli Apostoli e trasmette ciò che costoro hanno ricevuto dall’insegnamento e dall’esempio di Gesù e ciò che hanno appreso dallo Spirito Santo. In realtà, la prima generazione di cristiani non aveva ancora un Nuovo Testamento scritto e lo stesso Nuovo Testamento attesta il processo della Tradizione vivente. Vanno distinte da questa le «tradizioni» teologiche, disciplinari, liturgiche o devozionali nate nel corso del tempo nelle Chiese locali. Esse costituiscono forme particolari attraverso le quali la grande Tradizione si esprime in forme adatte ai diversi luoghi e alle diverse epoche. Alla luce della Tradizione apostolica queste «tradizioni» possono essere conservate, modificate oppure anche abbandonate sotto la guida del Magistero della Chiesa.
III. L’interpretazione del deposito della fede.
IL DEPOSITO DELLA FEDE AFFIDATO ALLA TOTALITÀ DELLA CHIESA 84 – Il deposito della fede («depositum fidei»), contenuto nella sacra Tradizione e nella Sacra Scrittura, è stato affidato dagli Apostoli alla totalità della Chiesa. «Aderendo ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera costantemente nell’insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nelle orazioni, in modo che, nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si crei una singolare unità di spirito tra Vescovi e fedeli».
IL MAGISTERO DELLA CHIESA
85 – «L’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivente della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo», e cioè ai Vescovi in comunione con il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma.
86 – Questo «Magistero però non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio ».
87 – I fedeli, memori della parola di Cristo ai suoi Apostoli: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Lc l0,l6), accolgono con docilità gli insegnamenti e le direttive che vengono loro dati, sotto varie forme, dai Pastori.
I DOGMI DELLA FEDE
88 – Il Magistero della Chiesa si avvale in pienezza dell’autorità che gli viene da Cristo quando definisce qualche dogma, cioè quando, in una forma che obbliga il popolo cristiano ad un’irrevocabile adesione di fede, propone verità contenute nella rivelazione divina, o anche quando propone in modo definitivo verità che hanno con quelle una necessaria connessione.
89 – Tra i dogmi e la nostra vita spirituale c’è un legame organico. I dogmi sono luci sul cammino della nostra fede, lo rischiarano e lo rendono sicuro. Inversamente, se la nostra vita è retta, la nostra intelligenza e il nostro cuore saranno aperti ad accogliere la luce dei dogmi della fede.
90 – I mutui legami e la coerenza dei dogmi si possono trovare nel complesso della rivelazione del mistero di Cristo. «Esiste un ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana».
IL SENSO SOPRANNATURALE DELLA FEDE
91 – tutti i fedeli partecipano della comprensione e della trasmissione della verità rivelata. Hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo che insegna loro ogni cosa e li guida «alla verità tutta intera».
92 – «La totalità dei fedeli (…) non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo quando “dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici” esprime l’universale suo consenso in materia di fede e di costumi».
93 – «Infatti, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il popolo di Dio, sotto la guida del sacro Magistero, (…) aderisce indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi, con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita».
LA CRESCITA NELL’INTELLIGENZA DELLA FEDE
94 – Grazie all’assistenza dello Spirito Santo, l’intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede può progredire nella vita della Chiesa: – «con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro»; in particolare «la ricerca teologica (…) prosegue nella conoscenza profonda della verità rivelata». «con la profonda intelligenza che (i credenti) provano delle cose spirituali»; «divina eloquia cum legente crescunt – le parole divine crescono insieme con chi le legge»; «con la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma certo di verità».
95 – «E’ chiaro dunque che la sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere e che tutti insieme, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime».
In sintesi
96 – Ciò che Cristo ha affidato agli Apostoli, costoro l’hanno trasmesso con la predicazione o per iscritto, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, a tutte le generazioni, fino al ritorno glorioso di Cristo.
97 – «La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio», nel quale, come in uno specchio, la Chiesa pellegrina contempla Dio, fonte di tutte le sue ricchezze.
98 – «La Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita, nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa stessa é, tutto ciò che essa crede». 99 – Tutto il popolo di Dio, in virtù del suo senso soprannaturale della fede, non cessa di accogliere il dono della rivelazione divina, di penetrarlo sempre più profondamente e di viverlo più pienamente.
100 – L’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio é stato affidato al solo Magistero della Chiesa, al Romano Pontefice e ai Vescovi in comunione con lui.
Articolo 3
LA SACRA SCRITTURA
I. Il Cristo – Parola unica della Sacra Scrittura.
101 – Nella condiscendenza della sua bontà, Dio, per rivelarsi agli uomini, parla loro in parole umane. «Le parole di Dio, infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile agli uomini».
102 – Dio, attraverso tutte le parole della Sacra Scrittura, non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo, nel quale esprime se stesso interamente. «Ricordatevi che uno solo è il discorso di Dio che si sviluppa in tutta la Sacra Scrittura ed uno solo é il Verbo che risuona sulla bocca di tutti gli scrittori santi, il quale essendo in principio Dio presso Dio, non conosce sillabazione perché è fuori del tempo».
103 – Per questo motivo, la Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture, come venera il Corpo stesso del Signore. Essa non cessa di porgere ai fedeli il Pane di vita preso dalla mensa della Parola di Dio e del Corpo di Cristo.
104 – Nella Sacra Scrittura, la Chiesa trova incessantemente il suo nutrimento e il suo vigore; infatti attraverso la divina Scrittura essa non accoglie soltanto una parola umana, ma quello che è realmente: Parola di Dio. «Nei Libri Sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro».
II. Ispirazione e verità della Sacra Scrittura.
105 – Dio è l’autore della Sacra Scrittura. «Le cose divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute e presentate, furono consegnate sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. «La santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché, scritti sotto ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa».
106 – Dio ha ispirato gli autori umani dei Libri Sacri. «Per la composizione dei Libri Sacri, Dio scelse degli uomini, di cui si servì nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli stesso in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che egli voleva».
107 – I libri ispirati insegnano la verità. «Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere.
108 – La fede cristiana tuttavia non è una «religione del Libro». Il cristianesimo è la religione della «Parola» di Dio: di una Parola cioè che non è «una parola scritta e muta, ma il Verbo incarnato e vivente». Perché le parole dei Libri Sacri non restino lettera morta, è necessario che Cristo, Parola eterna del Dio vivente, per mezzo dello Spirito Santo ce ne sveli il significato affinché comprendiamo le Scritture.
III. Lo Spirito Santo, interprete della Scrittura.
109 – Nella Sacra Scrittura, Dio parla all’uomo alla maniera umana. Per una retta interpretazione della Scrittura, bisogna dunque ricercare con attenzione che cosa gli agiografi hanno veramente voluto affermare e che cosa è piaciuto a Dio manifestare con le loro parole.
110 – Per comprendere l’intenzione degli autori sacri, si deve tener conto delle condizioni del loro tempo e della loro cultura, dei «generi letterari» allora in uso, dei modi di intendere, di esprimersi, di raccontare, consueti nella loro epoca. «La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi secondo se sono storici o profetici, o poetici, o altri generi di espressione».
111 – Però, essendo la Sacra Scrittura ispirata, c’è un altro principio di retta interpretazione, non meno importante del precedente, senza il quale la Scrittura resterebbe «lettera morta»: «La Sacra Scrittura [deve] essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta». Il Concilio Vaticano Il indica tre criteri per una interpretazione della Scrittura conforme allo Spirito che l’ha ispirata.
112 – 1. Prestare grande attenzione «al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura». Infatti, per quanto siano differenti i libri che la compongono, la Scrittura è una in forza dell’unità del disegno di Dio, del quale Cristo Gesù è il centro e il cuore aperto dopo la sua pasqua. «Il cuore di Cristo designa la Sacra Scrittura, che appunto rivela il cuore di Cristo. Questo cuore era chiuso prima della passione, perché la Scrittura era oscura. Ma la Scrittura è stata aperta dopo la passione, affinché coloro che ormai ne hanno l’intelligenza considerino e comprendano come le profezie debbano essere interpretate».
113 – 2. Leggere la Scrittura nella «Tradizione vivente di tutta la Chiesa». Secondo un detto dei Padri, «Sacra Scriptura principalius est in corde Ecclesiae quam in materialibus instrumentis scripta – la Sacra Scrittura è scritta nel cuore della Chiesa prima che su strumenti materiali». Infatti, la Chiesa porta nella sua Tradizione la memoria viva della Parola di Dio ed è lo Spirito Santo che le dona l’interpretazione di essa secondo il senso spirituale (« .. .secundum spiritalem sensum, quem Spiritus donat Ecclesiae – …secondo il senso spirituale che lo Spirito dona alla Chiesa »).
114 – 3. Essere attenti all’analogia della fede. Per «analogia della fede» intendiamo la coesione delle verità della fede tra loro e nella totalità del progetto della Rivelazione.
I SENSI DELLA SCRITTURA
115 – Secondo un’antica tradizione, si possono distinguere due sensi della Scrittura: il senso letterale e quello spirituale, suddiviso quest’ultimo in senso allegorico, morale e anagogico. La piena concordanza dei quattro sensi assicura alla lettura viva della Scrittura nella Chiesa tutta la sua ricchezza.
116 – Il senso letterale. È quello significato dalle parole della Scrittura e trovato attraverso l’esegesi che segue le regole della retta interpretazione. «Omnes (Sacrae Sripturae) sensus fundentur super unum, scilicet litteralem. Tutti i sensi della Sacra Scrittura si basano su quello letterale».
117 – Il senso spirituale. Data l’unità del disegno di Dio, non soltanto il testo della Scrittura, ma anche le realtà e gli avvenimenti di cui parla possono essere dei segni.
1. Il senso allegorico. Possiamo giungere ad una comprensione più profonda degli avvenimenti se riconosciamo il loro significato in Cristo; così, la traversata del Mar Rosso è un segno della vittoria di Cristo, e quindi del Battesimo.
2. Il senso morale. Gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente. Sono stati scritti «per ammonimento nostro» (I Cor 10,1 1).
3. Il senso anagogico. Possiamo vedere certe realtà e certi avvenimenti nel loro significato eterno, che ci conduce verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è segno della Gerusalemme celeste.
118 – Un distico medievale riassume bene il significato dei quattro sensì: «Littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas, quo tendas anagogia». « La lettera insegna i fatti, l’allegoria che cosa credere, il senso morale che cosa fare, e l’anagogia dove tendere».
119 – «È compito degli esegeti contribuire, secondo queste regole, alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, affinché, con studi in qualche modo preparatori, maturi il giudizio della Chiesa. Tutto questo, infatti, che concerne il modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare ed interpretare la Parola di Dio». «Ego vero Evangelio non crederem, nisi me catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas – Non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica».
IV. Il canone delle Scritture.
120 – È stata la Tradizione apostolica a far discernere alla Chiesa quali scritti dovessero essere compresi nell’elenco dei Libri Sacri. Questo elenco completo è chiamato «canone» delle Scritture. Comprende per l’Antico Testamento 46 libri (45 se si considerano Geremia e le Lamentazioni come un unico testo) e 27 per il Nuovo Testamento. Essi sono: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, Giosué, Giudici, Rut, i due libri di Samuele, i due libri dei Re, i due libri delle Cronache (o Paralipomeni), Esdra e Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, i due libri dei Maccabei, Giobbe, i Salmi, i Proverbi, il Qoèlet (Ecclesiaste), il Cantico dei Cantici, la Sapienza, il Siracide (Ecclesiastico), Isaia, Geremia, le Lamentazioni, Baruc, Ezechiele, Daniele, Osea, Gioèle, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggèo, Zaccaria, Malachia per l’Antico Testamento. I Vangeli di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni, gli Atti degli Apostoli, le Lettere di san Paolo ai Romani, la prima e la seconda ai Corinzi, ai Gàlati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, la prima e la seconda ai Tessalonicesi, la prima e la seconda a Timoteo, a Tito, a Filemone, la Lettera agli Ebrei, la Lettera di Giacomo, la prima e la seconda Lettera di Pietro, le tre Lettere di Giovanni, la Lettera di Giuda e l’Apocalisse per il Nuovo Testamento.
L’ANTICO TESTAMENTO
121 – L’Antico Testamento è una parte ineliminabile della Sacra Scrittura. I suoi libri sono divinamente ispirati e conservano un valore perenne, poiché l’Antica Alleanza non è mai stata revocata.
122 – Infatti, «l’economia dell’Antico Testamento era soprattutto ordinata a preparare (…) l’avvento di Cristo Salvatore dell’universo». I libri dell’Antico Testamento, «sebbene contengano anche cose imperfette e temporanee», rendono testimonianza di tutta la divina pedagogia dell’amore salvifico di Dio. Essi «esprimono un vivo senso di Dio, una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere»; in essi infine «è nascosto il mistero della nostra salvezza»,
123 – I cristiani venerano l’Antico Testamento come vera Parola di Dio. a Chiesa ha sempre energicamente respinto l’idea di rifiutare l’Antico Testamento con il pretesto che il Nuovo l’avrebbe reso sorpassato (Marcionismo).
IL NUOVLO TESTAMENTO
124 – «La Parola di Dio, che è potenza divina per la salvezza di chiunque crede, si presenta e manifesta la sua forza in modo eminente negli scritti del Nuovo Testamento». Questi scritti ci consegnano la verità definitiva della rivelazione divina. Il loro oggetto centrale è Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato, le sue opere, i suoi insegnamenti, la sua passione e la sua glorificazione, come pure gli inizi della sua Chiesa sotto l’azione dello Spirito Santo.
125 – I Vangeli sono il cuore di tutte le Scritture «in quanto sono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore».
126 – Nella formazione dei Vangeli si possono distinguere tre tappe: 1. La vita e l’insegnamento di Gesù. La Chiesa ritiene con fermezza che i quattro Vangeli, «di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettiva mente operò e insegnò per la loro salvezza eterna, fino al giorno in cui ascese al cielo». 2. La tradizione orale. «Gli Apostoli poi, dopo l’ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dalla luce dello Spirito di verità, godevano». 3. I Vangeli scritti. Gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già per iscritto, redigendo una sintesi delle altre o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere».
127 – Il Vangelo quadriforme occupa nella Chiesa un posto unico; lo testimonia la venerazione di cui lo circonda la liturgia e la singolarissima attrattiva che in ogni tempo ha esercitato sui santi. «Non c’è dottrina che sia migliore, più preziosa e più splendida del testo del Vangelo. Considerate e custodite nel cuore quanto Cristo, nostro Signore e Maestro, ha insegnato con le sue parole e realizzato con le sue azioni». «Ma è soprattutto il Vangelo che mi intrattiene durante le orazioni, in esso trovo tutto ciò che è necessario alla mia povera anima. Vi scopro sempre nuove luci, significati nascosti e misteriosi».
L’UNITÀ DELL’ANTICO E DEL NUOVO TESTAMENTO
128 – La Chiesa, fin dai tempi apostolici, e poi costantemente nella sua Tradizione, ha messo in luce l’unità del piano divino nei due Testamenti grazie alla tipologia. Questa nelle opere di Dio dell’Antico Testamento ravvisa prefigurazioni di ciò che Dio, nella pienezza dei tempi, ha compiuto nella Persona del suo Figlio incarnato. 129 – I cristiani, quindi, leggono l’Antico Testamento alla luce di Cristo morto e risorto. La lettura tipologica rivela l’inesauribile contenuto dell’Antico Testamento. Questa non deve indurre però a dimenticare che esso conserva il valore suo proprio di rivelazione che lo stesso nostro Signore ha riaffermato. Pertanto, anche il Nuovo Testamento esige d’essere letto alla luce dell’Antico. La primitiva catechesi cristiana vi farà costantemente ricorso. Secondo un antico detto, il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, mentre l’Antico è svelato nel Nuovo: «Novum in Vetere latet et in Novo Vetus patet».
130 – La tipologia esprime il dinamismo verso il compimento del piano divino, quando «Dio sarà tutto in tutti» (1 Cor 15,28). Anche la vocazione dei patriarchi e l’Esodo dall’Egitto, per esempio, non perdono il valore che è loro proprio nel piano divino, per il fatto di esserne, al tempo stesso, tappe intermedie.
V. La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa.
131 – «Nella Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale». «E’ necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura».
132 – «Lo studio della Sacra Scrittura sia dunque come l’anima della sacra teologia. Anche il ministero della parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e tutta l’istruzione cristiana, nella quale l’omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, si nutre con profitto e santamente vigoreggia con la parola della Scrittura». 133 – La Chiesa «esorta con forza e insistenza tutti i fedeli (…) ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (FiI 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo”».
In sintesi
134 – Omnis Scriptura divina unus liber est, et hic unus liber est Christus, «quia omnis Scriptura divina de Christo loquitur, et omnis Scriptura divina in Chrìsto impletur». Tutta la divina Scrittura è un libro solo e quest’unico libro è Cristo; «infatti tutta la divina Scrittura parla di Cristo e in lui trova compimento ».
135 – «Le Sacre Scritture con tengono la Parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente Parola di Dio ».
136 – Dio è l’autore della Sacra Scrittura nel senso che ispira i suoi autori umani; egli agisce in loro e mediante loro. Cosi ci dà la certezza che i loro scritti insegnano senza errore la verità salvifica.
137 – L’interpretazione delle Scritture ispirate dev’essere innanzi tutto attenta a ciò che Dio, attraverso gli autori sacri, vuole rivelare per la nostra salvezza. Ciò che è opera dello Spirito, non viene pienamente compreso se non sotto l’azione dello Spirito.
138 – La Chiesa riceve e venera come ispirati i 46 libri dell ‘Antico Testamento e i 27 libri del Nuovo Testamento.
139 – I quattro Vangeli occupano un posto centrale, per la centralità che Cristo ha in essi.
140 – Dall’unità del progetto di Dio e della sua rivelazione deriva l’unità dei due Testamenti: l’Antico Testamento prepara il Nuovo, mentre il Nuovo compie l’Antico; i due si illuminano a vicenda; entrambi sono vera Parola di Dio.
141 – «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore»; in ambedue le realtà tutta la vita cristiana trova il proprio nutrimento e la propria regola. «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 1 19,105).
CAPITOLO TERZO
LA RISPOSTA DELL’UOMO A DIO
142 – Con la sua rivelazione, «Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé». La risposta adeguata a questo invito è la fede.
143 – Con la fede l’uomo sottomette pienamente a Dio la propria intelligenza e la propria volontà. Con tutto il suo essere l’uomo dà il proprio assenso a Dio rivelatore. La Sacra Scrittura chiama «obbedienza della fede» questa risposta dell’uomo a Dio che rivela.
Articolo 1
IO CREDO
I. L’obbedienza della fede.
144 – Obbedire («ob-audire») nella fede è sottomettersi liberamente alla parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da Dio, il quale è la verità stessa. Il modello di questa obbedienza propostoci dalla Sacra Scrittura è Abramo. La Vergine Maria ne è la realizzazione più perfetta.
ABRAMO – «PADRE DI TUTTI I CREDENTI»
145 – La lettera agli Ebrei, nel solenne elogio della fede degli antenati, insiste particolarmente sulla fede di Abramo: «Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava»(Eb 11,8). Per fede soggiornò come straniero e pellegrino nella Terra promessa. Per fede Sara ricevette la possibilità di concepire il figlio della Promessa. Per fede, infine, Abramo offrì in sacrificio il suo unico figlio.
146 – Abramo realizza così la definizione della fede data dalla lettera agli Ebrei: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11,1). «Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia»(Rm 4,3). «Forte in [questa] fede» (Rm 4,20), Abramo è diventato «padre di tutti quelli che credono» (Rm 4,ll.l8).
147 – Di questa fede, l’Antico Testamento è ricco di testimonianze. La lettera agli Ebrei fa l’elogio della fede esemplare degli antichi che «ricevettero» per essa «una buona testimonianza» (Eb 11,2.39). Tuttavia «Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi»: la grazia di credere nel suo Figlio Gesù, «autore e pefezionatore della fede» (Eb 11,40; 12,2).
MARIA – «BEATA COLEI CHE HA CREDUTO»
148 – La Vergine Maria realizza nel modo più perfetto l’obbedienza della fede. Nella fede, Maria accolse l’annunzio e la promessa a lei portati dall’angelo Gabriele, credendo che «nulla è impossibile a Dio» (Lc l,37), e dando il proprio consenso: «Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Elisabetta la salutò così: Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). Per questa fede tutte le generazioni la chiameranno beata.
149 – Durante tutta la sua vita, e fino all’ultima prova, quando Gesù, suo Figlio, morì sulla croce, la sua fede non ha mai vacillato. Maria non ha cessato di credere «nell’adempimento» della parola di Dio. Ecco perché la Chiesa venera in Maria la più pura realizzazione della fede.
lI. «So a chi ho creduto» (2 Tm 1,12)
CREDERE IN UN SOLO DIO
150 – La fede è innanzi tutto una adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato. In quanto adesione personale a Dio e assenso alla verità da lui rivelata, la fede cristiana differisce dalla fede in una persona umana. È bene e giusto affidarsi completamente a Dio e credere assolutamente a ciò che egli dice. Sarebbe vano e fallace riporre una simile fede in una creatura.
CREDERE IN GESU’ CRISTO FIGLIO DI DIO
151 – Per il cristiano, credere in Dio è inseparabilmente credere in colui che egli ha mandato, il suo Figlio prediletto nel quale si è compiaciuto; “Dio ci ha detto di ascoltarlo. Il Signore stesso dice ai suoi discepoli: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1). Possiamo credere in Gesù Cristo perché egli stesso è Dio, il Verbo fatto carne: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Poiché egli «ha visto il Padre» (Gv 6,46), è il solo a conoscerlo e a poterlo rivelare.
CREDERE NELLO SPIRITO SANTO
152 – Non si può credere in Gesù Cristo se non si ha parte al suo Spirito. È lo Spirito Santo che rivela agli uomini chi è Gesù. Infatti «nessuno può dire: “Gesù è Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12,3). «Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. (…) Nessuno ha mai potuto conoscere i segreti di Dio se non lo Spirito di Dio» (1 Cor 2,10-11). Dio solo conosce pienamente Dio. Noi crediamo nello Spirito Santo perché è Dio. La Chiesa non cessa di confessare la sua fede in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo.
III. Le caratteristiche della fede.
LA FEDE E’ UNA GRAZIA
153 – Quando san Pietro confessa che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, Gesù gli dice: «Nè la carne nè il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt l6,l7). La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da lui infusa. «Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità».
LA FEDE E UN ATTO UMANO
154 – É impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo. Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario nè alla libertà nè all’intelligenza dell’uomo far credito a Dio e aderire alle verità da lui rivelate. Anche nelle relazioni umane non è contrario alla nostra dignità credere a ciò che altre persone ci dicono di sé e delle loro intenzioni, e far credito alle loro promesse (come, per esempio, quando un uomo e una donna si sposano), per entrare così in reciproca comunione. Conseguentemente, ancor meno e contraria alla nostra dignità «prestare, con la fede, la piena sottomissione della nostra intelligenza e della nostra volontà a Dio quando si rivela» ed entrare in tal modo in intima comunione con lui.
155 – Nella fede, l’intelligenza e la volontà umane cooperano con la divina: «Credere est actus intellectus assentientis veritati divinae imperio voluntatis a Deo motae per gratiam Credere è un atto dell’intelletto che, sotto la spinta della volontà mossa da Dio per mezzo grazia, dà il proprio consenso alla verità divina ».
FEDE E L’INTELLIGENZA
156 – Il motivo di credere non consiste nel fatto che le verità rivelate sono come vere e intelligibili alla luce della nostra ragione naturale. Noi crediamo «per l’autorità di Dio stesso che le rivela, il quale non può né ingannarsi né ingannare. «Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse ”conforme alla ragione”, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua rivelazione». Così i miracoli di Cristo e dei santi, le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità «sono segni certissimi della divina rivelazione, adatti ad ogni intelligenza», sono motivi di credibilità i quali mostrano che l’assenso della fede non è «affatto un cieco moto dello spirito».
157 – La fede è certa, più certa di ogni conoscenza umana, perché si fonda sulla Parola stessa di Dio, il quale non può mentire. Indubbiamente, le verità rivelate possono sembrare oscure alla ragione e all’esperienza umana, ma «la certezza data dalla luce divina è più grande di quella offerta dalla luce della ragione naturale. «Diecimila difficoltà non fanno un solo dubbio».
158 – «La fede cerca di comprendere»: è caratteristico della fede che il credente desideri conoscere meglio colui nel quale ha posto la sua fede, e comprendere meglio ciò che egli ha rivelato; una conoscenza più penetrante richiederà a sua volta una fede più grande, sempre più ardente d’amore. La grazia della fede apre «gli occhi della mente» (Ef 1,18) per una intelligenza viva dei contenuti della Rivelazione, cioè dell’insieme del disegno di Dio e dei misteri della fede, dell’intima connessione che li lega tra loro e con Cristo, centro del mistero rivelato. Ora, «affinché l’intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo (…) Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni. Così, secondo il detto di sant’Agostino: «Credi per comprendere: comprendi per credere».
159 – Fede e scienza. «Anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero. «Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza che egli se ne avveda, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono».
LA LIBERTÀ DELLA FEDE
160 Perché la risposta di fede sia umana, «è elemento fondamentale […] che gli uomini devono volontariamente rispondere a Dio credendo; che perciò nessuno può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti l’atto di fede è volontario per sua stessa natura. «Dio chiama certo gli uomini a servirlo in spirito e verità, per cui essi sono vincolati in coscienza, ma non coartati. (…) Ciò è apparso in sommo grado in Cristo Gesù. Infatti, Cristo ha invitato alla fede e alla conversione, ma a ciò non ha affatto costretto. «Ha reso testimonianza alla verità, ma non ha voluto imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno (…) cresce in virtù dell’amore, con il quale Cristo, esaltato in croce, trae a sé gli uomini ».
LA NECESSITÀ DELLA FEDE
161 – Credere in Gesù Cristo e in colui che l’ha mandato per la nostra salvezza, è necessario per essere salvati. «Poiché senza la fede è impossibile essere graditi a Dio” (Eb 11,6) e condividere la condizione di suoi figli, nessuno può essere mai giustificato senza di essa e nessuno conseguirà la vita eterna se non persevererà in essa sino alla fine” (Mt 10,22; 24,13) ».
LA PERSEVERANZA NELLA FEDE
162 – La fede è un dono che Dio fa all’uomo gratuitamente. Noi possiamo perdere questo dono inestimabile. San Paolo, a questo proposito, mette in guardia Timoteo: Combatti «la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede» (1 Tm 1,18-19). Per vivere, crescere e perseverare nella fede sino alla fine, dobbiamo nutrirla con la Parola di Dio; dobbiamo chiedere al Signore di accrescerla; essa deve operare «per mezzo della carità» (Gal 5,6), essere sostenuta dalla speranza ed essere radicata nella fede della Chiesa.
LA FEDE – INIZIO DELI.A VITA ETERNA
163 – La fede ci fa gustare come in anticipo la gioia e la luce della visione beatifica, fine del nostro pellegrinare quaggiù. Allora vedremo Dio «a faccia a faccia » (1 Cor 13,12), «così come egli è» (1Gv 3,2). La fede, quindi, è già l’inizio della vita eterna:«Fin d’ora contempliamo come in uno specchio, quasi fossero già presenti, le realtà meravigliose che le promesse ci riservano e che, per la fede, attendiamo di godere».
164 – Ora, però, «camminiamo nella fede e non ancora in visione» (2 Cor 5,7), e conosciamo Dio «come in uno specchio, in maniera confusa…, in modo imperfetto» (I Cor 13,12). La fede, luminosa a motivo di colui nel quale crede, sovente è vissuta nell’oscurità. La fede può essere messa alla prova. Il mondo nel quale viviamo pare spesso molto lontano da ciò di cui la fede ci dà la certezza; le esperienze del male e della sofferenza, delle ingiustizie e della morte sembrano contraddire la Buona Novella, possono far vacillare la fede e diventare per essa una tentazione.
165 – Allora dobbiamo volgerci verso i testimoni della fede: Abramo, che credette, «sperando contro ogni speranza» (Rm 4,18); la Vergine Maria che, nel «cammino della fede», è giunta fino alla «notte della fede» partecipando alla sofferenza del suo Figlio e alla notte della sua tomba; e molti altri testimoni della fede: «Circondati da un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore perfezionatore della fede» (Eb 12, 1-2).
Articolo 2
NOI CREDIAMO
166 – La fede è un atto personale: è la libera risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che si rivela. La fede però non è un atto isolato. Nessuno può credere da solo, così come nessuno può vivere da solo. Nessuno si è dato la fede da se stesso, così come nessuno da se stesso si è dato l’esistenza. Il credente ha ricevuto la fede da altri e ad altri la deve trasmettere. Il nostro amore per Gesù e per gli uomini ci spinge a parlare ad altri della nostra fede. In tal modo ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri.
167 – «Io credo»: è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. «Noi crediamo»: è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o, più generalmente, dall’assemblea liturgica dei credenti. «Io credo»: e anche la Chiesa, nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire: «Io credo», «Noi crediamo».
I. Guarda, Signore, alla fede della tua Chiesa.
168 – È innanzi tutto la Chiesa che crede, e che così regge, nutre e sostiene la mia fede. È innanzi tutto la Chiesa che, ovunque, confessa il Signore, («Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia – La santa Chiesa proclama la tua gloria su tutta la terra», cantiamo nel «Te Deum») e con essa e in essa anche noi siamo trascinati e condotti a confessare: «Io credo», «Noi crediamo». Dalla Chiesa riceviamo la fede e la vita nuova in Cristo mediante il Battesimo. Nel «Rituale Romano» il ministro del Battesimo domanda al catecumeno: «Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio?». E la risposta è: «La fede». «Che cosa ti dona la fede?». «La vita eterna».
169 – La salvezza viene solo da Dio; ma, poiché riceviamo la vita della fede attraverso la Chiesa, questa è nostra Madre: «Noi crediamo la Chiesa come Madre della nostra nuova nascita, e non nella Chiesa come se essa fosse l’autrice della nostra salvezza. Essendo nostra Madre, la Chiesa è anche l’educatrice della nostra fede.
II. Il linguaggio della fede.
170 – Noi non crediamo in alcune formule, ma nelle realtà che esse esprimono e che la fede ci permette di «toccare». «L’atto [di fede] del credente non si ferma all’enunciato, ma raggiunge la realtà (enunciata]». Tuttavia, noi accostiamo queste realtà con l’aiuto delle formulazioni della fede. Esse ci permettono di esprimere e di trasmettere la fede, di celebrarla in comunità, di assimilarla e di viverla sempre più intensamente.
171 – La Chiesa, che è «colonna e sostegno della verità» (1 Tm 3,15), conserva fedelmente la fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte. È la Chiesa che custodisce la memoria delle parole di Cristo e trasmette di generazione in generazione la confessione di fede degli Apostoli. Come una madre che insegna ai suoi figli a parlare, e quindi a comprendere e a comunicare, la Chiesa nostra Madre ci insegna il linguaggio della fede per introdurci nell’intelligenza della fede e nella vita.
III. Una sola fede.
172 – Da secoli, attraverso molte lingue, culture, popoli e nazioni, la Chiesa non cessa di confessare la sua unica fede, ricevuta da un solo Signore, trasmessa mediante un solo Battesimo, radicata nella convinzione che tutti gli uomini non hanno che un solo Dio e Padre. Sant’Ireneo di Lione, testimone di questa fede, dichiara:
173 – «In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede (…) conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un’unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca».
174 – «Infatti, se le lingue nel mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è però unico e identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in Germania, né quelle che sono in Spagna, né quelle che sono presso i Celti (in Gallia), né quelle dell’Oriente, dell’Egitto, della Libia, né quelle che sono al centro del mondo». «Il messaggio della Chiesa è dunque veridico e solido, poiché essa addita a tutto il mondo una sola via di salvezza».
175 – «Conserviamo con cura questa fede che abbiamo ricevuto dalla Chiesa, perché, sotto l’azione dello Spirito di Dio, essa, come un deposito di grande valore, chiuso in un vaso prezioso, continuamente ringiovanisce e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene».
In sintesi.
176 – La fede é un’adesione personale di tutto l’uomo a Dio che si rivela. Comporta un’adesione dell’intelligenza e della volontà alla Rivelazione che Dio ha fatto di sé attraverso le sue opere e le sue parole.
177 – «Credere» ha perciò un duplice riferimento: alla persona e alla verità; alla verità per la fiducia che si accorda alla persona che l’afferma.
178 – Non dobbiamo credere in nessun altro se non in Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
179 – La fede è un dono soprannaturale di Dio. Per credere, l’uomo ha bisogno degli aiuti interiori dello Spirito Santo.
180 – «Credere» è un atto umano, cosciente e libero, che ben s’accorda con la dignità della persona umana.
181 – «Credere» è un atto ecclesiale. La fede della Chiesa precede, genera, sostiene e nutre la nostra fede. La Chiesa è la Madre di tutti i credenti. «Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre».
182 – «Noi crediamo tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio, scritta o tramandata, e che è proposto dalla Chiesa come divinamente rivelato.
183 – La fede è necessaria alla salvezza. Il Signore stesso lo afferma: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16).
184 – «La fede […] è una pregustazione della conoscenza che ci renderà beati nella vita futura.
Il CREDO
SIMBOLO DEGLI APOSTOLI
Io credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. E in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la resurrezione della carne, la vita eterna. Amen
CREDO NICENA-COSTANTINOPOLITANO
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo che é Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo Battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà
Amen.
SEZIONE SECONDA
LA PROFESSIONE DELLA FEDE CRISTIANA
I SIMBOLI DELLA FEDE
185 – Chi dice: «lo credo», dice: «lo aderisco a ciò che noi crediamo». La comunione nella fede richiede un linguaggio comune della fede, normativo per tutti e che unisca nella medesima confessione di fede.
186 – Fin dalle origini, la Chiesa apostolica ha espresso e trasmesso la propria fede in formule brevi e normative per tutti. Ma molto presto la Chiesa ha anche voluto riunire l’essenziale della sua fede in compendi organici e articolati, destinati in particolare ai candidati al Battesimo. «Il simbolo della fede non fu composto secondo opinioni umane, ma consiste nella raccolta dei punti salienti, scelti da tutta la Scrittura, così da dare una dottrina completa della fede. E come il seme della senape racchiude in un granellino molti rami, così questo compendio della fede racchiude tutta la conoscenza della vera pietà contenuta nell’Antico e nel Nuovo Testamento».
187 – Tali sintesi della fede vengono chiamate «professioni di fede», perché riassumono la fede professata dai cristiani. Vengono chiamate «Credo» a motivo di quella che normalmente ne è la prima parola: «Io credo». Sono anche dette «Simboli della fede».
188 – La parola greca indicava la metà di un oggetto spezzato (per esempio un sigillo) che veniva presentato come un segno di riconoscimento. Le parti rotte venivano ricomposte per verificare l’identità di chi le portava. Il «Simbolo della fede» è quindi un segno di riconoscimento e di comunione tra i credenti. Passò poi a significare raccolta, collezione o sommario. Il «Simbolo della fede» è la raccolta delle principali verità della fede. Da qui deriva il fatto che esso costituisce il primo e fondamentale punto di riferimento della catechesi.
189 – La prima «professione di fede» si fa al momento del Battesimo. Il «Simbolo della fede» è innanzi tutto il Simbolobattesimale. Poiché il Battesimo viene dato «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19), le verità di fede professate al momento del Battesimo sono articolate in base al loro riferimento alle tre Persone della Santa Trinità.
190 – Il Simbolo è quindi diviso in tre parti: «La prima è consacrata allo studio di Dio Padre e dell’opera mirabile della creazione; la seconda allo studio di Gesù Cristo e del mistero della redenzione; la terza allo studio dello Spirito Santo, principio e sorgente della nostra santificazione». Sono questi «i tre capitoli del nostro sigillo [battesimale]».
191 – «Queste tre parti sono distinte, sebbene legate tra loro. In base a un paragone spesso usato dai Padri, noi li chiamiamo articoli. Infatti, come nelle nostre membra ci sono certe articolazioni che le distinguono e le separano, così, in questa professione di fede, giustamente e a buon diritto si è data la denominazione di articoli alle verità che dobbiamo credere in particolare e in maniera distinta». Secondo un’antica tradizione, attestata già da sant’Ambrogio, si è anche soliti contare dodiciarticoli del Credo, simboleggiando con il numero degli Apostoli l’insieme della fede apostolica.
192 – Nel corso dei secoli si sono avute numerose professioni o simboli della fede, in risposta ai bisogni delle diverse epoche: i Simboli delle varie Chiese apostoliche e antiche, il Simbolo «Quicumque», detto di sant’Atanasio, le professioni di fede di certi Concili (di Toledo; Lateranense; di Lione; di Trento), o di alcuni Sommi Pontefici, come: la «fides Damasi» o «Il Credo del popolo di Dio» di Paolo VI (1968).
193 – Nessuno dei Simboli delle diverse tappe della vita della Chiesa può essere considerato sorpassato ed inutile. Essi ci aiutano a vivere e Simboli della fede ad approfondire oggi la fede di sempre attraverso i vari compendi che ne sono stati fatti. Fra tutti i Simboli della fede, due occupano un posto specialissimo nella vita della Chiesa:
194 – Il Simbolo degli Apostoli, cosi chiamato perché a buon diritto è ritenuto il riassunto fedele della fede degli Apostoli. Èl’antico Simbolo battesimale della Chiesa di Roma. La sua grande autorità gli deriva da questo fatto: «È il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l’espressione della fede comune».
195 – Il Simbolo detto niceno-costantinopolitano, il quale trae la sua grande autorità dal fatto di essere frutto dei primi due Concili Ecumenici (325 e 381). È tuttora comune a tutte le grandi Chiese dell’Oriente e dell’Occidente.
196 – La nostra esposizione della fede seguirà il Simbolo degli Apostoli, che rappresenta, per così dire, «il più antico catechismo romano». L’esposizione però sarà completata con costanti riferimenti al Simbolo niceno-costantinopolitano, in molti punti più esplicito e più dettagliato.
197 – Come al giorno del nostro Battesimo, quando tutta la nostra vita è stata affidata «a quella forma di insegnamento» (Rm6,17), accogliamo il Simbolo della nostra fede, la quale dà la vita. Recitare con fede il Credo significa entrare in comunione con Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ed anche con tutta la Chiesa che ci trasmette la fede e nel seno della quale noi crediamo: «Questo Simbolo è un sigillo spirituale, è la meditazione del nostro cuore e ne è come una difesa sempre presente: senza dubbio è il tesoro che custodiamo nel nostro animo».
CAPITOLO PRIMO
IO CREDO IN DIO PADRE
198 – La nostra professione di fede incomincia con Dio, perché Dio è «il primo e l’ultimo» (1s 44,6), il principio e la fine di tutto. Il Credo incomincia con Dio Padre, perché il Padre è la prima Persona divina della Santissima Trinità. Il nostro Simbolo incomincia con la creazione del cielo e della terra, perché la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le opere di Dio.
Articolo 1
«IO CREDO IN DIO, PADRE ONNIPOTENTE, CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA»
Paragrafo 1
IO CREDO IN DIO
199 – «Io credo in Dio»: questa prima affermazione della professione di fede è anche la più importante, quella fondamentale. Tutto il Simbolo parla di Dio, e, se parla anche dell’uomo e del mondo, lo fa in rapporto a Dio. Gli articoli del Credo dipendono tutti dal primo, così come i comandamenti sono l’esplicitazione del primo. Gli altri articoli ci fanno meglio conoscere Dio, quale si è rivelato progressivamente agli uomini. «Giustamente quindi i cristiani affermano per prima cosa di credere in Dio »
I. «Credo in un solo Dio».
200 – Con queste parole incomincia il Simbolo niceno-costantinopolitano. La confessione dell’unicità di Dio, che ha la sua radice nella rivelazione divina dell’Antica Alleanza, è inseparabile da quella dell’esistenza di Dio ed è altrettanto fondamentale. Dio è uno: non c’è che un solo Dio: «La fede cristiana crede e professa un solo Dio, uno per natura, per sostanza e per essenza ».
201 – A Israele, suo eletto, Dio si è rivelato come l’Unico: « Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5). Per mezzo dei profeti, Dio invita Israele e tutte le nazioni a volgersi a lui, l’Unico: «Volgetevi a me e sarete salvi, paesi tutti della terra, perché io sono Dio; non ce n’è altri… davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua. Si dirà: «Solo nel Signore si trovano vittoria e potenza» (Is 45,22-24).
202 – Gesù stesso conferma che Dio è «l’unico Signore» e che lo si deve amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze. Nello stesso tempo lascia capire che egli pure è «il Signore». Confessare che «Gesù è Signore» è lo specifico della fede cristiana. Ciò non contrasta con la fede nel Dio Uno. Credere nello Spirito Santo «che è Signore e dà la vita» non introduce alcuna divisione nel Dio Uno: «Crediamo fermamente e confessiamo apertamente che uno solo è il vero Dio, eterno e immenso, onnipotente, immutabile, incomprensibile e ineffabile, Padre, Figlio e Spirito Santo: tre Persone, ma una sola essenza, sostanza, cioè natura assolutamente semplice».
II. Dio rivela il suo nome
203 – Dio si è rivelato a Israele, suo popolo, facendogli conoscere il suo nome. Il nome esprime l’essenza, l’identità della persona e il senso della sua vita. Dio ha un nome. Non è una forza anonima. Svelare il proprio nome è farsi conoscere agli altri; in qualche modo è consegnare se stesso rendendosi accessibile, capace d’essere conosciuto più intimamente e di essere chiamato personalmente.
204 – Dio si è rivelato al suo popolo progressivamente e sotto diversi nomi; ma la rivelazione del nome divino fatta a Mosè nella teofania del roveto ardente, alle soglie dell’Esodo e dell’Alleanza del Sinai, si è mostrata come la rivelazione fondamentale per l’Antica e la Nuova Alleanza.
IL DIO VIVENTE
205 – Dio chiama Mosè dal mezzo di un roveto che brucia senza consumarsi, e gli dice: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6). Dio è il Dio dei padri, colui che aveva chiamato e guidato i patriarchi nelle loro peregrinazioni. È il Dio fedele e compassionevole che si ricorda di loro e delle sue promesse; egli viene per liberare i loro discendenti dalla schiavitù. Egli è il Dio che, al di là dello spazio e del tempo, può questo e lo vuole e che, per questo disegno, metterà in atto la sua onnipotenza.
«IO SONO COLUI CHE SONO»
Mosè disse a Dio: « Ecco, io arrivo dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Ma mi diranno: “Come si chiama?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: “Io-Sono” mi ha mandato a voi. […] Questo è il mio nome per sempre: questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione» (Es 3,13-15).
206 – Rivelando il suo nome misterioso di YHWH, «Io sono colui che è» oppure «Io sono colui che sono» o anche «Io sono chi Io sono», Dio dice chi egli è e con quale nome lo si deve chiamare. Questo nome divino è misterioso come Dio è mistero. E’ ad un tempo un nome rivelato e quasi il rifiuto di un nome; proprio per questo esprime, come meglio non si potrebbe, la realtà di Dio, infinitamente al di sopra di tutto ciò che possiamo comprendere o dire: egli è il «Dio nascosto» (Is 45,15), il suo nome è ineffabile, ed è il Dio che si fa vicino agli uomini.
207 – Rivelando il suo nome, Dio rivela al tempo stesso la sua fedeltà che è da sempre e per sempre, valida per il passato («Io sono il Dio dei tuoi padri», Es 3,6), come per l’avvenire («Io sarò con te», Es 3,12). Dio che rivela il suo nome come «Io Sono» si rivela come il Dio che è sempre là, presente accanto al suo popolo per salvarlo.
208 – Di fronte alla presenza affascinante e misteriosa di Dio, l’uomo scopre la propria piccolezza. Davanti al roveto ardente, Mosè si toglie i sandali e si vela il viso al cospetto della santità divina. Davanti alla gloria del Dio tre volte santo, Isaia esclama: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (Is 6,5). Davanti ai segni divini che Gesù compie, Pietro esclama: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore» (Lc 5,8). Ma poiché Dio è santo, può perdonare all’uomo che davanti a lui si riconosce peccatore: «Non darò sfogo all’ardore della mia ira, […] perché sono Dio e non uomo, sono il Santo in mezzo a te» (Os 11,9). Anche l’apostolo Giovanni dirà: «Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1 Gv 3,19-20).
209 – Il popolo d’Israele non pronuncia il nome di Dio, per rispetto alla sua santità. Nella lettura della Sacra Scrittura il nome rivelato è sostituito con il titolo divino «Signore» (Adonai). Con questo titolo si proclamerà la divinità di Gesù: o Gesù è il Signore».
«DIO DI MISERICORDIA E DI PIETÀ»
210 – Dopo il peccato di Israele, che si è allontanato da Dio per adorare il vitello d’oro, Dio ascolta l’intercessione di Mosè ed acconsente a camminare in mezzo ad un popolo infedele, manifestando in tal modo il suo amore. A Mosè che chiede di vedere la sua gloria, Dio risponde: «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore (YHWH), davanti a te» (Es 33,18-19). E il Signore passa davanti a Mosé e proclama: «Il Signore, il Signore [YHWH, YHWH], Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà » (Es 34,6). Mosè allora confessa che il Signore è un Dio che perdona.
211 – Il nome divino «Io Sono» o «Egli È» esprime la fedeltà di Dio il quale, malgrado l’infedeltà degli uomini e il castigo che il loro peccato merita, «conserva il suo favore per mille generazioni » (Es 34,7). Dio rivela di essere o ricco di misericordia» (Ef 2,4) arrivando a dare il suo Figlio. Gesù, donando la vita per liberarci dal peccato, rivelerà che anch’egli porta il nome divino: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono» (Gv 8,28).
DIO SOLO È
212 – Lungo i secoli, la fede d’Israele ha potuto sviluppare ed approfondire le ricchezze contenute nella rivelazione del nome divino. Dio è unico, fuori di lui non ci sono dei. Egli trascende il mondo e la storia. È lui che ha fatto il cielo e la terra: «Essi periranno, ma tu rimani, tutti si logorano come veste […] ma tu resti lo stesso e i tuoi anni non hanno fine» (Sal 102,27-28). In lui «non c’è variazione né ombra di cambiamento» (Gc 1,17). Egli è «colui che è» da sempre e per sempre, e perciò resta sempre fedele a se stesso ed alle sue promesse.
213 – La rivelazione del nome ineffabile: «Io sono colui che sono» contiene dunque la verità che Dio solo È. In questo senso già la traduzione dei Settanta e, sulla sua scia, la Tradizione della Chiesa hanno inteso il nome divino: Dio è la pienezza dell’Essere e di ogni perfezione, senza origine e senza fine. Mentre tutte le creature hanno ricevuto da lui tutto ciò che sono e che hanno, egli solo è il suo stesso essere ed è da se stesso tutto ciò che è.
III. Dio, «colui che è», è verità e amore.
214 – Dio, «colui che è», si è rivelato a Israele come colui che è «ricco di grazia e di fedeltà» (Es 34,6). Questi due termini esprimono in modo sintetico le ricchezze del nome divino. In tutte le sue opere Dio mostra la sua benevolenza, la sua bontà, la sua grazia, il suo amore; ma anche la sua affidabilità, la sua costanza, la sua fedeltà, la sua verità. «Rendo grazie al tuo nome per la tua fedeltà e la tua misericordia» (SaI 138,2). Egli è la verità, perché «Dio è luce e in lui non ci sono tenebre» (1Gv1,5); egli è «amore», come insegna l’apostolo Giovanni (1 Gv 4,8).
DIO È VERITÀ
215 – «La verità è principio della tua parola, resta per sempre ogni sentenza della tua giustizia » (SaI 119,160). «Ora, Signore, tu sei Dio, e le tue parole sono verità » (2 Sam 7,28); per questo le promesse di Dio si realizzano sempre. Dio è la stessa verità, le sue parole non possono ingannare. Proprio per questo ci si può affidare con piena fiducia alla verità e alla fedeltà della sua parola in ogni cosa. L’origine del peccato e della caduta dell’uomo fu una menzogna del tentatore, che indusse a dubitare della parola di Dio, della sua bontà e della sua fedeltà.
216 – La verità di Dio è la sua sapienza che regge tutto l’ordine della creazione e del governo del mondo. Dio che, da solo, ha creato il cielo e la terra, può donare, egli solo, la vera conoscenza di ogni cosa creata nella sua relazione con lui.
217 – Dio è veritiero anche quando rivela se stesso: «un insegnamento fedele» è «sulla sua bocca» (Ml 2,6). Quando manderà il suo Figlio «nel mondo», sarà «per rendere testimonianza alla verità» (Gv 18,37): «Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio» (I Gv 5,20).
DIO E’ AMORE
218 – Israele, nel corso della sua storia, ha potuto scoprire che uno solo era il motivo per cui Dio gli si era rivelato e lo aveva scelto fra tutti i popoli perché gli appartenesse: il suo amore gratuito. Ed Israele, per mezzo dei profeti, ha compreso che, ancora per amore, Dio non ha mai cessato di salvarlo e di perdonargli la sua infedeltà e i suoi peccati.
219 – L’amore di Dio per Israele è paragonato all’amore di un padre per il proprio figlio. È un amore più forte dell’amore di una madre per i suoi bambini. Dio ama il suo popolo più di quanto uno sposo ami la propria sposa; questo amore vincerà anche le più gravi infedeltà; arriverà fino al dono più prezioso: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16).
220 – L’amore di Dio è «eterno» (Is 54,8): «Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto» (Is 54,10). «Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà» (Ger 31,3).
221 – Ma san Giovanni si spingerà oltre affermando: «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16): l’Essere stesso di Dio è amore. Mandando, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio unigenito e lo Spirito d’amore, Dio rivela il suo segreto più intimo: è lui stesso eterno scambio d’amore: Padre, Figlio e Spirito Santo, e ci ha destinati ad esserne partecipi.
IV. Conseguenze della fede in un solo Dio.
222 – Credere in Dio, l’Unico, ed amarlo con tutto il proprio essere comporta per tutta la nostra vita enormi conseguenze:
223 – Conoscere la grandezza e la maestà di Dio: «Ecco, Dio è così grande, che non lo comprendiamo» (Gb 36,26). Proprio per questo Dio deve essere «servito per primo »
224 – Vivere in rendimento di grazie: se Dio è l’Unico, tutto ciò che siamo e tutto ciò che abbiamo viene da lui: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?» (1 Cor 4,7). «Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?» (Sal 116,12).
225 – Conoscere l’unità e la vera dignità di tutti gli uomini: tutti sono fatti «a immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,26)
226 – Usare rettamente le cose create: la fede nell’unico Dio ci conduce ad usare tutto ciò che non è lui nella misura in cui ci avvicina a lui, e a staccarcene nella misura in cui da lui ci allontana. «Mio Signore e mio Dio, togli da me quanto mi allontana da te. Mio Signore e mio Dio, dammi tutto ciò che mi conduce a te. Mio Signore e mio Dio, toglimi a me e dammi tutto a te.
227 – Fidarsi di Dio in ogni circostanza, anche nelle avversità. Una preghiera di santa Teresa di Gesù esprime ciò mirabilmente:.«Niente ti turbi / niente ti spaventi. Tutto passa / Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio / non manca di nulla. Dio solo basta».
In sintesi
228 «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo…» (Dt 6,4; Mc 12,29). «L’Essere supremo deve necessariamente essere unico, cioè senza eguali. […] Se Dio non è unico, non è Dio».
229 – La fede in Dio ci conduce a volgerci a lui solo come alla nostra prima origine e al nostro ultimo fine, e a non anteporre o sostituire nulla a lui.
230 – Dio, mentre si rivela, rimane un mistero ineffabile: «Se lo comprendessi, non sarebbe Dio ».
231 – Il Dio della nostra fede si è rivelato come colui che è; si e fatto conoscere come «ricco di grazia e di misericordia» (Es 34,6). Il suo Essere stesso è verità e amore.
Paragrafo 2
IL PADRE
I. «Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» .
232 – I cristiani vengono battezzati «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Prima rispondono: «Credo» alla triplice domanda con cui ad essi si chiede di confessare la loro fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito: «Fides omnium christianorum in Trinitate consistit – La fede di tutti i cristiani si fonda sulla Trinità ».
233 – I cristiani sono battezzati «nel nome» e non «nei nomi» del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; infatti non vi è che un solo Dio, il Padre onnipotente e il Figlio suo unigenito e lo Spirito Santo: la Santissima Trinità.
234 – Il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana. E’ il mistero di Dio in se stesso. Èquindi la sorgente di tutti gli altri misteri della fede; è la luce che li illumina. E’ l’insegnamento fondamentale ed essenziale nella «gerarchia delle verità» di fede. «Tutta la storia della salvezza è la storia del rivelarsi del Dio vero e unico: Padre, Figlio e Spirito Santo, il quale riconcilia e unisce a sé coloro che sono separati dal peccato».
235 – In questo paragrafo, si esporrà in breve in qual modo è stato rivelato il mistero della Beata Trinità (I), come la Chiesa ha formulato la dottrina della fede in questo mistero (11), e infine, come, attraverso le missioni divine del Figlio e dello Spirito Santo, Dio Padre realizza il suo «benevolo disegno» di creazione, redenzione e santificazione (III).
236 – I Padri della Chiesa fanno una distinzione con il primo termine il mistero della vita intima del Dio-Trinità, e con il secondo tutte le opere di Dio, con le quali egli si rivela e comunica la sua vita. Attraverso l’Economia ci è rivelata la Teologia;ma, inversamente, è la Teologia che illumina tutta l’Economia. Le opere di Dio rivelano chi egli è in se stesso; e, inversamente, il mistero del suo Essere intimo illumina l’intelligenza di tutte le sue opere. Avviene così, analogicamente, tra le persone umane. La persona si mostra attraverso le sue azioni, e, quanto più conosciamo una persona, tanto più comprendiamo le sue azioni.
237 – La Trinità è un mistero della fede in senso stretto, uno dei «misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati». Indubbiamente Dio ha lasciato tracce del suo essere trinitario nell’opera della creazione e nella sua rivelazione lungo il corso dell’Antico Testamento. Ma l’intimità del suo Essere come Trinità Santa costituisce un mistero inaccessibile alla sola ragione, come pure alla fede d’Israele, prima dell’incarnazione del Figlio di Dio e dell’invio dello Spirito Santo.
Il. La rivelazione di Dio come Trinità.
IL PADRE RIVELATO DAL FIGLIO
238 – In molte religioni Dio viene invocato come «Padre». Spesso la divinità è considerata come «padre degli dèi e degli uomini». Presso Israele, Dio è chiamato Padre in quanto Creatore del mondo. Ancor più Dio è Padre in forza dell’Alleanza e del dono della Legge fatto a Israele, suo «figlio primogenito» (Es 4,22). E anche chiamato Padre del re d’Israele. In modo particolarissimo egli è «il Padre dei poveri», dell’orfano, della vedova, che sono sotto la sua protezione amorosa.
239 – Chiamando Dio con il nome di «Padre», il linguaggio della fede mette in luce soprattutto due aspetti: che Dio è origine primaria di tutto e autorità trascendente, e che, al tempo stesso, è bontà e sollecitudine d’amore per tutti i suoi figli. Questa tenerezza paterna di Dio può anche essere espressa con l’immagine della maternità,
che indica ancor meglio l’immanenza di Dio, l’intimità tra Dio e la sua creatura. Il linguaggio della fede si rifà così all’esperienza umana dei genitori che, in certo qual modo, sono per l’uomo i primi rappresentanti di Dio. Tale esperienza, però, mostra anche che i genitori umani possono sbagliare e sfigurare il volto della paternità e della maternità. Conviene perciò ricordare che Dio trascende la distinzione umana dei sessi. Egli non è né uomo né donna, egli è Dio. Trascende pertanto la paternità e la maternità umane, pur essendone l’origine e il modello: nessuno è padre quanto Dio.
240 – Gesù ha rivelato che Dio è «Padre» in un senso inaudito: non lo è soltanto in quanto Creatore; egli è eternamente Padre in relazione al Figlio suo unigenito, il quale non è eternamente Figlio se non in relazione al Padre suo: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27).
241 – Per questo gli Apostoli confessano Gesù come «il Verbo» che «in principio (…) era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv1,1), come colui che «è immagine del Dio invisibile» (Col 1,15) e «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza»(Eb 1,3).
242 – Sulla loro scia, seguendo la Tradizione apostolica, la Chiesa nel 325, nel primo Concilio Ecumenico di Nicea, ha confessato che il Figlio è «consostanziale al Padre», cioè un SOLO Dio con lui. Il secondo Concilio Ecumenico, riunito a Costantinopoli nel 381, ha conservato tale espressione nella sua formulazione del Credo di Nicea ed ha confessato «il Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre.
IL PADRE E IL FIGLIO RIVELATI DALLO SPIRITO
243 – Prima della sua pasqua, Gesù annunzia l’invio di un «altro Paraclito» (Difensore), lo Spirito Santo. Lo Spirito che opera fin dalla creazione, che già aveva «parlato per mezzo dei profeti» dimorerà presso i discepoli e sarà in loro, per insegnare loro ogni cosa e guidarli «alla verità tutta intera » (Gv 16,13). Lo Spirito Santo è in tal modo rivelato come un’altra Persona divina in rapporto a Gesù e al Padre.
244 – L’origine eterna dello Spirito si rivela nella sua missione nel tempo. Lo Spirito Santo è inviato agli Apostoli e alla Chiesa sia dal Padre nel nome del Figlio, sia dal Figlio in persona, dopo il suo ritorno al Padre. L’invio della Persona dello Spirito dopo la glorificazione di Gesù rivela in pienezza il mistero della Santissima Trinità.
245 – La fede apostolica riguardante lo Spirito è stata confessata dal secondo Concilio Ecumenico nel 381 a Costantinopoli: crediamo «nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre ». Così la Chiesa riconosce il Padre come «la fonte e l’origine di tutta la divinità». L’origine eterna dello Spirito Santo non è tuttavia senza legame con quella del Figlio: «Lo Spirito Santo, che è la terza Persona della Trinità, è Dio, uno e uguale al Padre e al Figlio, della stessa sostanza e anche della stessa natura. […] Tuttavia, non si dice che egli è soltanto lo Spirito del Padre, ma che è, ad un tempo, lo Spirito del Padre e del Figlio». Il Credo del Concilio di Costantinopoli della Chiesa confessa: «Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato».
246 – La tradizione latina del Credo confessa che lo Spirito «procede dal Padre e dal Figlio (Filioque)». Il Concilio di Firenze, nel 1439, esplicita: «Lo Spirito Santo ha la sua essenza e il suo essere sussistente ad un tempo dal Padre e dal Figlio e […] procede eternamente dall’uno e dall’altro come da un solo principio e per una sola ispirazione […]. E poiché tutto quello che è del Padre, lo stesso Padre lo ha donato al suo unico Figlio generandolo, ad eccezione del suo essere Padre, anche questo procedere dello Spirito Santo a partire dal Figlio, lo riceve dall’eternità dal suo Padre che ha generato il Figlio stesso.
247 – L’affermazione del Filioque mancava nel Simbolo confessato a Costantinopoli nel 381. Ma, sulla base di un’antica tradizione latina e alessandrina, il Papa san Leone l’aveva già dogmaticamente confessata nel 447, prima che Roma conoscesse e ricevesse, nel 451, durante il Concilio di Calcedonia, il Simbolo del 381. L’uso di questa formula nel Credo è entrato a poco a poco nella liturgia latina (tra i secoli VIII e XI). L’introduzione della parola Filioque nel Simbolo niceno-costantinopolitano da parte della liturgia latina costituisce tuttavia, ancora oggi, un punto di divergenza con le Chiese ortodosse.
248 – La tradizione orientale mette innanzi tutto in rilievo che il Padre, in rapporto allo Spirito, è l’origine prima. Confessando che lo Spirito «procede dal Padre» (Gv 15,26), afferma che lo Spirito procede dal Padre attraverso il Figlio. La tradizione occidentale dà maggior risalto alla comunione consostanziale tra il Padre e il Figlio affermando che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio (Filioque). Lo dice «lecitamente e ragionevolmente»; infatti l’ordine eterno delle Persone divine nella loro comunione consostanziale implica che il Padre sia l’origine prima dello Spirito in quanto «principio senza principio», ma pure che, in quanto Padre del Figlio unigenito, egli con lui sia «l’unico principio dal quale procede lo Spirito Santo». Questa legittima complementarità, se non viene inasprita, non scalfisce l’identità della fede nella realtà del medesimo mistero confessato.
III. La Santissima Trinità nella dottrina della fede.
LA FORMAZIONE DEL DOGMA TRINITARIO
249 – La verità rivelata della Santissima Trinità è stata, fin dalle origini, alla radice della fede vivente della Chiesa, principalmente per mezzo del Battesimo. Trova la sua espressione nella regola della fede battesimale, formulata nella predicazione, nella catechesi e nella preghiera della Chiesa. Simili formulazioni compaiono già negli scritti apostolici, come ad esempio questo saluto, ripreso nella liturgia eucaristica: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13,13),
250 – Nel corso dei primi secoli, la Chiesa ha cercato di formulare in maniera più esplicita la sua fede trinitaria, sia per approfondire la propria intelligenza della fede, sia per difenderla contro errori che la alteravano. Fu questa l’opera degli antichi Concili, aiutati dalla ricerca teologica dei Padri della Chiesa e sostenuti dal senso della fede del popolo cristiano.
251 – Per la formulazione del dogma della Trinità, la Chiesa ha dovuto sviluppare una terminologia propria ricorrendo a nozioni di origine filosofica: «sostanza», «persona» o «ipostasi o, «relazione», ecc. Così facendo, non ha sottoposto la Fede ad una sapienza umana, ma ha dato un significato nuovo, insolito a questi termini assunti ora a significare anche un mistero inesprimibile, «infinitamente al di là di tutto ciò che possiamo concepire a misura d’uomo ».
252 – La Chiesa adopera il termine «sostanza» (reso talvolta anche con «essenza» o «natura») per designare l’Essere divino nella sua unità, il termine «persona o « ipostasi per designare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nella loro reale distinzione reciproca, il termine «relazione» per designare il fatto che la distinzione tra le Persone divine sta nel riferimento delle une alle altre.
IL DOGMA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ
253 – La Trinità è Una. Noi non confessiamo tre dèi, ma un Dio solo in tre Persone: «la Trinità consostanziale».« Le Persone divine non si dividono l’unica divinità, ma ciascuna di esse è Dio tutto intero: «Il Padre è tutto ciò che è il Figlio, il Figlio tutto ciò che è il Padre, lo Spirito Santo tutto ciò che è il Padre e il Figlio, cioè un unico Dio quanto alla natura». «Ognuna delle tre Persone è quella realtà, cioè la sostanza, l’essenza o la natura divina.
254 – Le Persone divine sono realmente distinte tra loro. «Dio è unico ma non solitario. «Padre», «Figlio» e «Spirito Santo» non sono semplicemente nomi che indicano modalità dell’Essere divino; essi infatti sono realmente distinti tra loro: «Il Figlio non è il Padre, il Padre non è il Figlio, e lo Spirito Santo non è il Padre o il Figlio». Sono distinti tra loro per le loro relazioni di origine: «È il Padre che genera, il Figlio che è generato, lo Spirito Santo che procede». L’Unità divina é Trina.
255 – Le Persone divine sono relative le une alle altre. La distinzione reale delle Persone divine tra loro, poiché non divide l’unità divina, risiede esclusivamente nelle relazioni che le mettono in riferimento le une alle altre: «Nei nomi relativi delle Persone, il Padre è riferito al Figlio, il Figlio al Padre, lo Spirito Santo all’uno e all’altro; quando si parla di queste tre Persone considerandone le relazioni, si crede tuttavia in una sola natura o sostanza». Infatti «tutto è una cosa sola in loro, dove non si opponga la relazione». «Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito Santo; il Figlio tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo; lo Spirito Santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio».
256 – Ai catecumeni di Costantinopoli san Gregorio Nazianzeno, detto anche «il Teologo», consegna questa sintesi della fede trinitaria: «Innanzi tutto, conservatemi questo prezioso deposito, per il quale io vìvo e combatto, con il quale voglio morire, che mi rende capace di sopportare ogni male e di disprezzare tutti i piaceri: intendo dire la professione di fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Io oggi ve la affido. Con essa fra poco vi immergerò nell’acqua e da essa vi trarrò. Ve la dono, questa professione, come compagna e patrona di tutta la vostra vita. Vi do una sola divinità e potenza, che è Uno in Tre, e contiene i Tre in modo distinto. Divinità senza differenza di sostanza o di natura, senza grado superiore che eleva, o inferiore che abbassa […]. Di tre infiniti è l’infinita connaturalità. Ciascuno considerato in sé e Dio tutto intiero […]. Dio le tre Persone considerate insieme […]. Ho appena incominciato a pensare all’Unità ed eccomi immerso nello splendore della Trinità. Ho appena incominciato a pensare alla Trinità ed ecco che l’Unità mi sazia…
IV. Le operazioni divine e le missioni trinitarie.
257 – «O lux, beata Trinitas et principalis Unitas – O luce, Trinità beata e originaria Unità!». Dio è eterna beatitudine, vita immortale, luce senza tramonto. Dio è amore: Padre, Figlio e Spirito Santo. Dio liberamente vuole comunicare la gloria della sua vita beata. Tale è il disegno della «sua benevolenza» (Ef 1,9), disegno che ha concepito prima della creazione del mondo nel suo Figlio diletto, «predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo» (Ef 1,5), cioè «ad essere conformi all’immagine del Figlio suo» (Rm 8,29), in forza dello «Spirito da figli adottivi» (Rm 8,15). Questo progetto è una «grazia che ci è stata data… fin dall’eternità» (2 Tm 1,9) e che ha come sorgente l’amore trinitario. Si dispiega nell’opera della creazione, in tutta la storia della salvezza dopo la caduta, nella missione del Figlio e in quella dello Spirito, che si prolunga nella missione della Chiesa.
258 – Tutta l’Economia divina è l’opera comune delle tre Persone divine. Infatti, la Trinità, come ha una sola e medesima natura, così ha una sola e medesima operazione. «Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre principi della creazione, ma un solo principio». Tuttavia, ogni Persona divina compie l’operazione comune secondo la sua personale proprietà. Così la Chiesa rifacendosi al Nuovo Testamento professa: «Uno infatti è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose; uno il Signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose. Le missioni divine dell’incarnazione del Figlio e del dono dello Spirito Santo sono quelle che particolarmente manifestano le proprietà delle Persone divine.
259 – Tutta l’economia divina, opera comune e insieme personale, fa conoscere tanto la proprietà delle Persone divine, quanto la loro unica natura. Parimenti, tutta la vita cristiana è comunione con ognuna delle Persone divine, senza in alcun modo separarle. Chi rende gloria al Padre lo fa per il Figlio nello Spirito Santo; chi segue Cristo, lo fa perché il Padre lo attira e perché lo Spirito lo guida.
260 – Il fine ultimo dell’intera economia divina è che tutte le creature entrino nell’unità perfetta della Beatissima Trinità. Ma fin d’ora siamo chiamati ad essere abitati dalla Santissima Trinità. Dice infatti il Signore: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23): «O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per stabilirmi in te, immobile e serena come se la mia anima fosse già nell’eternità; nulla possa turbare la mia pace né farmi uscire da te, o mio Immutabile, ma che ogni minuto mi porti più addentro nella profondità del tuo mistero! Pacifica la mia anima; fanne il tuo cielo, la tua dimora amata e il luogo del tuo riposo. Che io non ti lasci mai sola, ma che sia lì, con tutta me stessa, tutta vigile nella mia fede, tutta adorante, tutta offerta alla tua azione creatrice».
In sintesi
261 – Il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana. Soltanto Dio può darcene la conoscenza rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo.
262 – L’incarnazione del Figlio di Dio rivela che Dio è il Padre eterno e che il Figlio è consostanziale al Padre, cioè che in lui e con lui è lo stesso unico Dio.
263 – La missione dello Spirito Santo, che il Padre manda nel nome del Figlio e che il Figlio manda «dal Padre» (Gv15,26), rivela che egli e con loro lo stesso unico Dio. «Con il Padre e il Figlio e adorato e glorificato».
264 – «Lo Spirito Santo procede, primariamente, dal Padre e, per il dono eterno che il Padre ne fa al Figlio, procede dal Padre e dal Figlio in comunione».
265 – Attraverso la grazia del Battesimo «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19), siamo chiamati ad aver parte alla vita della Beata Trinità, quaggiù nell’oscurità della fede, e, oltre la morte, nella luce eterna.
266 – «Fides autem catholica haec est, ut unum Deuni in Trinitate, et Tnnitatem in unitate veneremur, ne que confundentes Personas, ne que substantiam separantes: alia enim est Persona Patris, alia Filii, alia Spiritus Sancti; sed Patris et Filii et Spiritus Sancti est una divinitas, aequalis gloria, coaeterna maiestas – La fede cattolica consiste nel venerare un Dio solo nella Trinità, e la Trinità nell’Unità, senza confusione di Persone né separazione della sostanza: altra infatti e la Persona del Padre, altra quella del Figlio, altra quella dello Spirito Santo; ma unica è la divinità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, uguale la gloria, coeterna la maestà ».
267 – Inseparabili nella loro sostanza, le Persone divine sono inseparabili anche nelle loro operazioni. Ma nell’unica operazione divina ogni Persona manifesta ciò che le è proprio nella Trinità, soprattutto nelle missioni divine dell’incarnazione del Figlio e del dono dello Spirito Santo.
Paragrafo 3
ONNIPOTENTE
268 – Di tutti gli attributi divini, nel Simbolo si nomina soltanto l’onnipotenza di Dio: confessarla è di grande importanza per la nostra vita. Noi crediamo che tale onnipotenza è universale, perché Dio, che tutto ha creato, tutto governa e tutto può;amante, perché Dio è nostro Padre; misteriosa, perché soltanto la fede può riconoscere allorché «si manifesta nella debolezza» (2 Cor l2,9).
«EGLI OPERA TUTTO CIO’ CHE VUOLE»
269 – Le Sacre Scritture affermano a più riprese la potenza universale di Dio. Egli è detto «il Potente di Giacobbe» (Gn49,24; Is 1,24 e altrove), «il Signore degli eserciti», «il Forte, il Potente» (SaI 24,8-10). Se Dio è onnipotente «in cielo e sulla terra» (SaI 135,6), è perché lui stesso li ha fatti. Nulla quindi gli è impossibile e dispone della sua opera come gli piace; egli è il Signore dell’universo, di cui ha fissato l’ordine che rimane a lui interamente sottoposto e disponibile; egli è il Padrone della storia: muove i cuori e guida gli avvenimenti secondo il suo beneplacito. «Prevalere con la forza ti è sempre possibile; chi potrà opporsi al potere del tuo braccio?» (Sap 11,21).
«HAI COMPASSIONE DI TUTTI, PERCHE’ TUTTO TU PUOI» (Sap 11,23)
270 – Dio è Padre onnipotente. La sua paternità e la sua potenza si illuminano a vicenda. Infatti, egli mostra la sua onnipotenza paterna attraverso il modo con cui si prende cura dei nostri bisogni; attraverso l’adozione filiale che ci dona («Sarò per voi come un padre, e voi mi sarete come figli e figlie, dice il Signore onnipotente»: (2 Cor 6,18); infine attraverso la sua infinita misericordia, dal momento che egli manifesta al massimo grado la sua potenza perdonando liberamente i peccati.
271 – L’onnipotenza divina non è affatto arbitraria: «In Dio la potenza e l’essenza, la volontà e l’intelligenza, la sapienza e la giustizia sono una sola ed identica cosa, di modo che nulla può esserci nella potenza divina che non possa essere nella giusta volontà di Dio o nella sua sapiente intelligenza».
IL MISTERO DELL’APPARENTE IMPOTENZA DI DIO
272 – La fede in Dio Padre onnipotente può essere messa alla prova dall’esperienza del male e della sofferenza. Talvolta Dio può sembrare assente ed incapace di impedire il male. Ora, Dio Padre ha rivelato nel modo più misterioso la sua onnipotenza nel volontario abbassamento e nella risurrezione del Figlio suo, per mezzo dei quali ha vinto il male. Cristo crocifisso è quindi «potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (I Cor 1,25). Nella risurrezione e nella esaltazione di Cristo il Padre ha dispiegato «l’efficacia della sua forza» e ha manifestato «la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti » (Ef 1,19-22).
273 – Soltanto la fede può aderire alle vie misteriose dell’onnipotenza di Dio. Per questa fede, ci si gloria delle proprie debolezze per attirare su di sé la potenza di Cristo. Di questa fede il supremo modello è la Vergine Maria: ella ha creduto che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37) e ha potuto magnificare il Signore: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome» (Lc 1,49).
274 – «La ferma persuasione dell’onnipotenza divina vale più di ogni altra cosa a corroborare in noi il doveroso sentimento della fede e della speranza. La nostra ragione, conquistata dall’idea della divina onnipotenza, assentirà, senza più dubitare, a qualunque cosa sia necessario credere, per quanto possa essere grande e meravigliosa o superiore alle leggi e all’ordine della natura. Anzi, quanto più sublimi saranno le verità da Dio rivelate, tanto più agevolmente riterrà di dovervi assentire». In sintesi
275 – Con Giobbe il giusto, noi confessiamo: «Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa é impossibile per te» (Gb42,2).
276 – Fedele alla testimonianza della Scrittura, la Chiesa rivolge spesso la sua preghiera al «Dio onnipotente ed eterno»(«Omnipotens sempiterne Deus… »), credendo fermamente che « nulla è impossibile a Dio» (Lc l,37).
277 – Dio manifesta la sua onnipotenza convertendoci dai nostri peccati e ristabilendoci nella sua amicizia con la grazia(«Deus, qui omnipotentiam tuam parcendo maxime et miserando manifestas… – O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono… »).
278 – Senza credere che l’amore di Dio è onnipotente, come credere che il Padre abbia potuto crearci, il Figlio riscattarci, lo Spirito Santo santificarci?
Paragrafo 4
CREATORE
279 – «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1). Con queste solenni parole incomincia la Sacra Scrittura. Il Simbolo della fede le riprende confessando Dio Padre onnipotente come «Creatore del cielo e della terra », « di tutte le cose visibili e invisibili». Parleremo perciò innanzi tutto del Creatore, poi della sua creazione, infine della caduta a causa del peccato, da cui Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è venuto a risollevarci.
280 – La creazione è il fondamento di «tutti i progetti salvifici di Dio», «l’inizio della storia della salvezza» che culmina in Cristo. Inversamente, il mistero di Cristo è la luce decisiva sul mistero della creazione: rivela il fine in vista del quale, «in principio, Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1.1): dalle origini, Dio pensava alla gloria della nuova creazione in Cristo.
281 – Per questo le letture della Veglia pasquale, celebrazione della nuova creazione in Cristo, iniziano con il racconto della creazione; parimenti, nella liturgia bizantina, il racconto della creazione é sempre la prima lettura delle vigilie delle grandi feste del Signore. Secondo la testimonianza degli antichi, l’istruzione dei catecumeni per il Battesimo segue lo stesso itinerario
I. La catechesi sulla creazione.
282 – La catechesi sulla creazione è di capitale importanza. Concerne i fondamenti stessi della vita umana e cristiana: infatti esplicita la risposta della fede cristiana agli interrogativi fondamentali che gli uomini di ogni tempo si sono posti: «Da dove veniamo?», «Dove andiamo?», «Qual è la nostra origine?», « Quale il nostro fine?», «Da dove viene e dove va tutto ciò che esiste?». Le due questioni, quella dell’origine e quella del fine, sono inseparabili. Sono decisive per il senso e l’orientamento della nostra vita e del nostro agire.
283 – La questione delle origini del mondo e dell’uomo è oggetto di numerose ricerche scientifiche, che hanno straordinariamente arricchito le nostre conoscenze sull’età e le dimensioni del cosmo, sul divenire delle forme viventi, sull’apparizione dell’uomo. Tali scoperte ci invitano ad una sempre maggiore ammirazione per la grandezza del Creatore, e a ringraziarlo per tutte le sue opere e per l’intelligenza e la sapienza di cui fa dono agli studiosi e ai ricercatori. Con Salomone costoro possono dire: «Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose, per comprendere la struttura del mondo e la forza degli elementi […]; perché mi ha istruito la Sapienza, artefice di tutte le cose» (Sap 7,17-21).
284 – Il grande interesse di cui sono oggetto queste ricerche è fortemente stimolato da una questione di altro ordine, che oltrepassa il campo proprio delle scienze naturali. Non si tratta soltanto di sapere quando e come sia sorto materialmente il cosmo, né quando sia apparso l’uomo, quanto piuttosto di scoprire quale sia il senso di tale origine: se cioè sia governata dal caso, da un destino cieco, da una necessità anonima, oppure da un Essere trascendente, intelligente e buono, chiamato Dio. E se il mondo proviene dalla sapienza e dalla bontà di Dio, perché il male? Da dove viene? Chi ne è responsabile? C’è una liberazione da esso?
285 – Fin dagli inizi, la fede cristiana è stata messa a confronto con risposte diverse dalla sua circa la questione delle origini. Infatti, nelle religioni e nelle culture antiche si trovano numerosi miti riguardanti le origini. Certi filosofi hanno affermato che tutto è Dio, che il mondo è Dio, o che il divenire del mondo è il divenire di Dio (panteismo); altri hanno detto che il mondo è una emanazione necessaria di Dio, scaturisce da questa sorgente e ad essa ritorna; altri ancora hanno sostenuto l’esistenza di due principi eterni, il Bene e il Male, la Luce e le Tenebre, in continuo conflitto (dualismo, manicheismo); secondo alcune di queste concezioni, il mondo (almeno il mondo materiale) sarebbe cattivo, prodotto di un decadimento, e quindi da respingere ooltrepassare (gnosi); altri ammettono che il mondo sia stato fatto da Dio, ma alla maniera di un orologiaio che, una volta fatto, l’avrebbe abbandonato a se stesso (deismo); altri infine non ammettono alcuna origine trascendente del mondo, ma vedono in esso il puro gioco di una materia che sarebbe sempre esistita (materialismo). Tutti questi tentativi di spiegazione stanno a testimoniare la persistenza e l’universalità del problema delle origini. Questa ricerca è propria dell’uomo.
286 – Indubbiamente, l’intelligenza umana può già trovare una risposta al problema delle origini. Infatti, è possibile conoscere con certezza l’esistenza di Dio Creatore attraverso le sue opere, grazie alla luce della ragione umana, anche se questa conoscenza spesso è offuscata e sfigurata dall’errore. Per questo la fede viene a confermare e a far luce alla ragione nella retta intelligenza di queste verità: «Per fede sappiamo che i mondi furono formati dalla Parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine ciò che si vede» (Eb 11,3).
287 – La verità della creazione è tanto importante per l’intera vita umana che Dio, nella sua tenerezza, ha voluto rivelare al suo popolo tutto ciò che è necessario conoscere al riguardo. Al di là della conoscenza naturale che ogni uomo può avere del Creatore, Dio ha progressivamente rivelato a Israele il mistero della creazione. Egli, che ha scelto i patriarchi, che ha fatto uscire Israele dall’Egitto, e che, eleggendo Israele, l’ha creato e formato, si rivela come colui al quale appartengono tutti i popoli della terra e l’intera terra, come colui che, solo, «ha fatto cielo e terra» (Sal 115,15; 124,8; 134,3).
288 – La rivelazione della creazione è, cosi, inseparabile dalla rivelazione e dalla realizzazione dell’Alleanza dell’unico Dio con il suo popolo. La creazione è rivelata come il primo passo verso tale Alleanza, come la prima e universale testimonianza dell’amore onnipotente di Dio. E poi la verità della creazione si esprime con una forza crescente nel messaggio dei profeti, nella preghiera dei Salmi e della liturgia, nella riflessione della sapienza del popolo eletto.
289 – Tra tutte le parole della Sacra Scrittura sulla creazione, occupano un posto singolarissimo i primi tre capitoli della Genesi. Dal punto di vista letterario questi testi possono avere fonti diverse. Gli autori ispirati li hanno collocati all’inizio della Scrittura in modo che esprimano, con il loro linguaggio solenne, le verità della creazione, della sua origine e del suo fine in Dio, del suo ordine e della sua bontà, della vocazione dell’uomo, infine del dramma del peccato e della speranza della salvezza. Lette alla luce di Cristo, nell’unità della Sacra Scrittura e della Tradizione vivente della Chiesa, queste parole restano la fonte principale per la catechesi dei misteri delle «origini»: creazione, caduta, promessa della salvezza.
Il. La creazione – opera della Santissima Trinità.
290 – «In principio, Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1). Queste prime parole della Scrittura contengono tre affermazioni: il Dio eterno ha dato un inizio a tutto ciò che esiste fuori di lui. Egli solo è Creatore (il verbo «creare» – in ebraico bara – ha sempre come soggetto Dio). La totalità di ciò che esiste (espressa nella formula «il cielo e la terra») dipende da colui che le dà l’essere.
291 – «In principio era il Verbo […] e il Verbo era Dio. […] Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto» (Gv 1,1-3). Il Nuovo Testamento rivela che Dio ha creato tutto per mezzo del Verbo eterno, il Figlio suo diletto. «Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra […]. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono » (Col 1,16-17). La fede della Chiesa afferma pure l’azione creatrice dello Spirito Santo: egli è colui che «dà la vita», lo «Spirito Creatore» («Veni, Creator Spiritus»), la «sorgente di ogni bene».
292 – Lasciata intravvedere nell’Antico Testamento, rivelata nella Nuova Alleanza, l’azione creatrice del Figlio e dello Spirito, inseparabilmente una con quella del Padre, è chiaramente affermata dalla regola di fede della Chiesa: «Non esiste che un solo Dio (…): egli è il Padre, è Dio, il Creatore, l’Autore, l’Ordinatore. Egli ha fatto ogni cosa da se stesso, cioè con il suo Verbo e la sua Sapienza»; «il Figlio e lo Spirto» sono come «le sue mani». La creazione è opera comune della Santissima Trinità
III. «Il mondo è stato creato per la gloria di Dio».
293 – È una verità fondamentale che la Scrittura e la Tradizione costantemente insegnano e celebrano: «Il mondo è stato creato per la gloria di Dio». Dio ha creato tutte le cose, spiega san Bonaventura, «non (…) propter gloriam augendam, sed propter gloriam manifestandam et propter gloriam suam communicandam – non per accrescere la propria gloria, ma per manifestarla e per comunicarla». Infatti Dio non ha altro motivo per creare se non il suo amore e la sua bontà: «Aperta enim manu clave amoris, creatur prodierunt – Aperta la mano dalla chiave dell’amore, le creature vennero alla luce». E il Concilio Vaticano I spiega: «Nella sua bontà e con la sua onnipotente virtù, non per aumentare la sua beatitudine, né per acquistare perfezione, ma per manifestarla attraverso i beni che concede alle sue creature, questo solo vero Dio ha, con la più libera delle decisioni, dall’inizio dei tempi, creato insieme dal nulla l’una e l’altra creatura, la spirituale e la corporale».
294 – La gloria di Dio è che si realizzi la manifestazione e la comunicazione della sua bontà, in vista delle quali il mondo è stato creato. Ci ha predestinati «a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia» (E], 1,5-6). «Infatti la gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione procurò la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre per mezzo del Verbo dà la vita a coloro che vedono Dio». Il fine ultimo della creazione è che Dio, «che di tutti è il Creatore, possa anche essere “tutto in tutti” (I Cor 15,28), procurando ad un tempo la sua gloria e la nostra felicità».
IV. Il mistero della creazione.
DIO CREA CON SAPIENZA E AMORE
295 – Noi crediamo che il mondo è stato creato da Dio secondo la sua sapienza. Non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso. Noi crediamo che il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà: «Tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono» (Ap 4,11). «Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza» (SaI104,24). «Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature » (SaI 145,9).
DIO CREA «DAL NULLA»
296 – Noi crediamo che Dio, per creare, non ha bisogno di nulla di preesistente né di alcun aiuto. La creazione non è neppure una emanazione necessaria della sostanza divina. Dio crea liberamente «dal nulla»: «Che vi sarebbe di straordinario se Dio avesse tratto il mondo da una materia preesistente? Un artigiano umano, quando gli si dà un materiale, ne fa tutto ciò che vuole. Invece la potenza di Dio si manifesta precisamente in questo, che egli parte dal nulla per fare tutto ciò che vuole.
297 – La fede nella creazione «dal nulla» è attestata nella Scrittura come una verità piena di promessa e di speranza. Così la madre dei sette figli li incoraggia al martirio: «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi. […] Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano» (2 Moc 7,22-23.28).
298 – Dio, poiché può creare dal nulla, può anche per opera dello Spirito Santo, donare ai peccatori la vita dell’anima, creando in essi un cuore puro, e ai defunti, con la risurrezione, la vita del corpo, egli «che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono» (Rm 4,17). E, dal momento che, con la sua Parola, ha potuto far risplendere la luce dalle tenebre, può anche donare la luce della fede a coloro che non lo conoscono.
DIO CREA UN MONDO ORDINATO E BUONO
299 – Per il fatto che Dio crea con sapienza, la creazione ha un ordine: «Tu hai disposto tutto con misura, calcolo e peso»(Sap 11,20). Creata nel Verbo eterno e per mezzo del Verbo eterno, «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), la creazione è destinata, indirizzata all’uomo, immagine di Dio, chiamato a una relazione personale con Dio. La nostra intelligenza, poiché partecipa alla luce dell’Intelletto divino, può comprendere ciò che Dio ci dice attraverso la creazione, certo non senza grande sforzo e in spirito di umiltà e di rispetto davanti al Creatore e alla sua opera. Scaturita dalla bontà divina, la creazione partecipa di questa bontà («E Dio vide che era cosa buona […] cosa molto buona»: Gn l,4.10.12.18.21.31). La creazione, infatti, è voluta da Dio come un dono fatto all’uomo, come un’eredità a lui destinata e affidata. La Chiesa, a più riprese, ha dovuto difendere la bontà della creazione, compresa quella del mondo materiale.
DIO TRASCENDE LA CREAZIONE ED E’ AD ESSA PRESENTE
300 – Dio è infinitamente più grande di tutte le sue opere: «Sopra i cieli si innalza» la sua «magnificenza» (SaI 8,2), «la sua grandezza non si può misurare» (SaI 145,3). Ma poiché egli è il Creatore sovrano e libero, causa prima di tutto ciò che esiste, egli è presente nell’intimo più profondo delle sue creature: «In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Secondo le parole di sant’Agostino, egli è «interior intimo meo et superior summo meo – più intimo della mia parte più intima, più alto della mia parte più alta.
DIO CONSERVA E REGGE LA CREAZIONE
301 – Dopo averla creata, Dio non abbandona a se stessa la sua creatura. Non le dona soltanto di essere e di esistere: la conserva in ogni istante nell’«essere», le dà la facoltà di agire e la conduce al suo termine. Riconoscere questa completa dipendenza in rapporto al Creatore è fonte di sapienza e di libertà, di gioia, di fiducia: «Tu ami tutte le cose esistenti, e nulla disprezzi di quanto hai creato; se tu avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore, amante della vita» (Sop 11,24-26)
V. Dio realizza il suo disegno: la provvidenza divina.
302 – La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. E’ creata «in stato di via» («in statu viae») verso una perfezione ultima alla quale Dio l’ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta. Chiamiamo divina provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione. «Dio conserva e governa con la sua provvidenza tutto ciò che ha creato, “essa si estende da un confine all’altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa” (Sap 8,1). Infatti “tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi” (Eb 4,13), anche quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature».
303 – La testimonianza della Scrittura è unanime: la sollecitudine della divina Provvidenza è concreta e immediata; essa si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia. Con forza, i Libri Sacri affermano la sovranità assoluta di Dio sul corso degli avvenimenti: «Il nostro Dio è nei cieli, egli opera tutto ciò che vuole» (Sal 115,3); e di Cristo si dice: «Quando egli apre, nessuno chiude, e quando chiude, nessuno apre» (Ap 3,7); «Molte sono le idee nella mente dell’uomo, ma solo il disegno del Signore resta saldo» (Prv 19,21). 304 – Spesso si nota che lo Spirito Santo, autore principale della Sacra Scrittura, attribuisce alcune azioni a Dio, senza far cenno a cause seconde. Non si tratta di «un modo di parlare» primitivo, ma di una maniera profonda di richiamare il primato di Dio e la sua signoria assoluta sulla storia e sul mondo educando così alla fiducia in lui. La preghiera dei salmi è la grande scuola di questa fiducia.
305 – Gesù chiede un abbandono filiale alla provvidenza del Padre celeste, il quale si prende cura dei più elementari bisogni dei suoi figli: «Non affannatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?” (…). Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt6,31-33).
LA PROVVIDENZA E LE CAUSE SECONDE
306 – Dio è il Padrone sovrano del suo disegno. Però, per realizzarlo, si serve anche della cooperazione delle creature. Questo non è un segno di debolezza, bensì della grandezza e della bontà di Dio onnipotente. Infatti Dio alle sue creature non dona soltanto l’esistenza, ma anche la dignità di agire esse stesse, di essere causa e principio le une delle altre, e di collaborare in tal modo al compimento del suo disegno.
307 – Dio dà agli uomini anche il potere di partecipare liberamente alla sua provvidenza, affidando loro la responsabilità di «soggiogare» la terra e di dominarla. In tal modo Dio fa dono agli uomini di essere cause intelligenti e libere per completare l’opera della creazione, perfezionandone l’armonia, per il loro bene e per il bene del loro prossimo. Cooperatori spesso inconsapevoli della volontà divina, gli uomini possono entrare deliberatamente nel piano divino con le loro azioni, le loro preghiere, ma anche con le loro sofferenze. Allora diventano in pienezza «collaboratori di Dio» (1 Cor 3,9) e del suo Regno.
308 – Dio agisce in tutto l’agire delle sue creature: è una verità inseparabile dalla fede in Dio Creatore. Egli è la causa prima che opera nelle cause seconde e per mezzo di esse: «È Dio infatti che suscita» in noi «il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni» (FiI 2,13). Lungi dallo sminuire la dignità della creatura, questa verità la accresce. Infatti la creatura, tratta dal nulla dalla potenza, dalla sapienza e dalla bontà di Dio, niente può se è separata dalla propria origine, perché «la creatura senza il Creatore svanisce»; ancor meno può raggiungere il suo fine ultimo senza l’aiuto della grazia.
LA PROVVIDENZA E LO SCANDALO DEL MALE
309 – Se Dio Padre onnipotente, Creatore del mondo ordinato e buono, si prende cura di tutte le sue creature, perché esiste il male? A questo interrogativo tanto pressante quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso, nessuna risposta immediata potrà bastare. È l’insieme della fede cristiana che costituisce la risposta a tale questione: la bontà della creazione, il dramma del peccato, l’amore paziente di Dio che viene incontro all’uomo con le sue alleanze, con l’incarnazione redentrice del suo Figlio, con il dono dello Spirito, con la convocazione della Chiesa, con la forza dei sacramenti, con la vocazione ad una vita felice, alla quale le creature libere sono invitate a dare il loro consenso, ma alla quale, per un mistero terribile, possono anche sottrarsi. Non c’è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto, una risposta al problema del male.
310 – Ma perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere alcun male? Nella sua infinita potenza, Dio potrebbe sempre creare qualcosa di migliore. Tuttavia, nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo «in stato di via» verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri, la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico esiste anche il male fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione.
311 – Gli angeli e gli uomini, creature intelligenti e libere, devono camminare verso il loro destino ultimo per una libera scelta e un amore di preferenza. Essi possono, quindi, deviare. In realtà, hanno peccato. E così che nel mondo è entrato il male morale, incommensurabilmente più grave del male fisico. Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male morale. Però, rispettando la libertà della sua creatura, lo permette e, misteriosamente, sa trarne il bene: «Infatti Dio onnipotente […], essendo supremamente buono, non permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono da trarre dal male stesso il bene».
312 – Così, col tempo, si può scoprire che Dio, nella sua provvidenza onnipotente, può trarre un bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle sue creature: «Non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio. […] Se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene (…) per far vivere un popolo numeroso» (Gn 45,8; 50,20). Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l’uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione. Con ciò, però, il male non diventa un bene.
313 – «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8.28). La testimonianza dei santi non cessa di confermare questa verità: Così santa Caterina da Siena dice a «coloro che si scandalizzano» e si ribellano davanti a ciò che loro capita: «Tutto viene dall’amore, tutto è ordinato alla salvezza dell’uomo, Dio non fa niente se non a questo fine». E san Tommaso Moro, poco prima del martirio, consola la figlia: «Non accade nulla che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio. E Giuliana di Norwich: «Imparai dalla grazia di Dio che dovevo rimanere fermamente nella fede, e quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che tutto sarebbe finito in bene (…). Tu stessa vedrai che ogni specie di cosa sarà per il bene.
314 – Noi crediamo fermamente che Dio è Signore del mondo e della storia. Ma le vie della sua provvidenza spesso ci rimangono sconosciute. Solo alla fine, quando avrà termine la nostra conoscenza imperfetta e vedremo Dio «a faccia a faccia»(1 Cor 13,12), conosceremo pienamente le vie lungo le quali, anche attraverso i drammi del male e del peccato, Dio avrà condotto la sua creazione fino al riposo di quel Sabato definitivo, in vista del quale ha creato il cielo e la terra.
In sintesi
315 – Nella creazione del mondo e dell’uomo, Dio ha posto la prima e universale testimonianza del suo amore onnipotente e della sua sapienza, il primo annunzio del suo «disegno di benevolenza», che ha il suo fine nella nuova creazione in Cristo. 316 – Sebbene l’opera della creazione sia particolarmente attribuita al Padre, è ugualmente verità di fede che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono il principio unico e indivisibile della creazione.
317 – Dio solo ha creato l’universo liberamente, direttamente, senza alcun aiuto.
318 – Nessuna creatura ha il potere infinito necessario per «creare» nel senso proprio del termine, cioè produrre e dare l’essere a ciò che non l’aveva affatto (chiamare all’esistenza «ex nihilo» – dal nulla).
319 – Dio ha creato il mondo per manifestare e per comunicare la sua gloria. Che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le ha create.
320 – Dio, che ha creato l’universo, lo conserva nell’esistenza per mezzo del Verbo, suo Figlio che «sostiene tutto con la potenza della sua parola» (Eb 1,3), e per mezzo dello Spirito Creatore che dà vita.
321 – La divina Provvidenza consiste nelle disposizioni con le quali Dio, con sapienza e amore, conduce tutte le creature al loro fine ultimo.
322 – Cristo ci esorta all’abbandono filiale alla provvidenza del nostro Padre celeste e l’apostolo san Pietro gli fa eco: gettate «in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi» (1 Pt 5,7).
323 – La provvidenza divina agisce anche attraverso l’azione delle creature. Agli esseri umani Dio dona di cooperare liberamente ai suoi disegni.
324 – Che Dio permetta il male fisico e morale è un mistero che egli illumina nel suo Figlio, Gesù Cristo, morto e risorto per vincere il male. La fede ci dà la certezza che Dio non permetterebbe il male, se dallo stesso male non traesse il bene, per vie che conosceremo pienamente soltanto nella vita eterna.
Paragrafo 5
IL CIELO E LA TERRA
325 – Il Simbolo degli Apostoli professa che Dio è «il Creatore del cielo e della terra», e il Simbolo niceno-costantinopolitano esplicita: «…di tutte le cose visibili e invisibili».
326 – Nella Sacra Scrittura, l’espressione «cielo e terra» significa: tutto ciò che esiste, l’intera creazione. Indica pure, all’interno della creazione, il legame che ad un tempo unisce e distingue cielo e terra: «La terra» è il mondo degli uomini. «Il cielo», o «i cieli», può indicare il firmamento, ma anche il «luogo» proprio di Dio: il nostro «Padre che è nei cieli» (Mt 5,16) e, di conseguenza, anche il «cielo» che è la gloria escatologica. Infine, la parola «cielo» indica il «luogo» delle creature spirituali – gli angeli – che circondano Dio.
327 – La professione di fede del Concilio Lateranense IV afferma: Dio, «fin dal principio del tempo, creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature, quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo terrestre; e poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo».
I. Gli angeli.
L’ESISTENZA DEGLI ANGELI – UNA VERITÀ DI FEDE
328 – L’esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede. La testimonianza della Scrittura è tanto chiara quanto l’unanimità della Tradizione.
CHI SONO?
329 – Sant’Agostino dice a loro riguardo: «”Angelus” officii nomen est, non naturae. Quaeris nomen huius naturae, spiritus est; quaeris officium, angelus est: ex eo quod est, spiritus est, ex eo quod agit, angelus – La parola ‘angelo’ designa l’ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura, si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo». In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che «vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10), essi sono «potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola» (Sal 103,20).
330 – In quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali e immortali. Superano in perfezione tutte le creature visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria.
CRISTO «CON TUTTI I SUOI ANGELI»
331 – Cristo è il centro del mondo angelico. Essi sono i suoi angeli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli […] » (Mt 25,31). Sono suoi perché creati per mezzo di lui e in vista di lui: «Poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: troni, dominazioni, principati e potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16). Sono suoi ancor più perché li ha fatti messaggeri del suo disegno di salvezza: «Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza?» (Eb 1,14).
332 – Essi, fin dalla creazione e lungo tutta la storia della salvezza, annunciano da lontano o da vicino questa salvezza e servono la realizzazione del disegno salvifico di Dio: chiudono il paradiso terrestre, proteggono Lot, salvano Agar e il suo bambino, trattengono la mano di Abramo; la Legge viene comunicata mediante il ministero degli angeli, essi guidano il popolo di Dio, annunziano nascite e vocazioni, assistono i profeti, per citare soltanto alcuni esempi. Infine, è l’angelo Gabriele che annunzia la nascita del Precursore e quella dello stesso Gesù.
333 – Dall’incarnazione all’ascensione, la vita del Verbo incarnato è circondata dall’adorazione e dal servizio degli angeli. Quando Dio «introduce il Primogenito nel mondo, dice: lo adorino tutti gli angeli di Dio» (Eb 1,6). Il loro canto di lode alla nascita di Cristo non ha cessato di risuonare nella lode della Chiesa: «Gloria a Dio…» (Lc 2,14). Essi proteggono l’infanzia di Gesù, servono Gesù nel deserto, lo confortano durante l’agonia, quando egli avrebbe potuto da loro essere salvato dalla mano dei nemici come un tempo Israele. Sono ancora gli angeli che evangelizzano la Buona Novella dell’incarnazione e della risurrezione di Cristo. Al ritorno di Cristo, che essi annunziano, saranno là, al servizio del suo giudizio.
GLI ANGELI NELLA VITA DELLA CHIESA
334 – Allo stesso modo tutta la vita della Chiesa beneficia dell’aiuto misterioso e potente degli angeli.
335 – Nella liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte santo; invoca la loro assistenza (così nell’Inparadisum deducant le angeli… In paradiso ti accompagnino gli angeli – nella liturgia dei defunti, o ancora nell’«Inno dei cherubini» della liturgia bizantina), e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare (san Michele, san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi).
336 – Dal suo inizio fino all’ora della morte la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione. « Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita». Fin da quaggiù, la vita cristiana partecipa, nella fede, alla beata comunità degli angeli e degli uomini, uniti in Dio.
II. Il mondo visibile.
337 – E’ Dio che ha creato il mondo visibile in tutta la sua ricchezza, la sua varietà e il suo ordine. La Scrittura presenta simbolicamente l’opera del Creatore come un susseguirsi di sei giorni di «lavoro» divino, che terminano nel «riposo» del settimo giorno. Il testo sacro, riguardo alla creazione, insegna verità rivelate da Dio per la nostra salvezza, che consentono di «riconoscere la natura intima di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio».
338 – Non esiste nulla che non debba la propria esistenza a Dio Creatore. Il mondo ha avuto inizio quando è stato tratto dal nulla dalla Parola di Dio; tutti gli esseri esistenti, tutta la natura, tutta la storia umana si radicano in questo evento primordiale: è la genesi della formazione del mondo e dell’inizio del tempo.
339 – Ogni creatura ha la sua propria bontà e la sua propria perfèzione. Per ognuna delle opere dei «sei giorni» è detto: «E Dio vide che ciò era buono». «E dalla loro stessa condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine». ( Le varie creature, volute nel loro proprio essere, riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio. Per questo l’uomo deve rispettare la bontà propria di ogni creatura, per evitare un uso disordinato delle cose, che disprezza il Creatore e comporta conseguenze nefaste per gli uomini e per il loro ambiente.
340 – L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversità e disuguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a se stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio le une delle altre.
341 – La bellezza dell’universo. L’ordine e l’armonia del mondo creato risultano dalla diversità degli esseri e dalle relazioni esistenti tra loro. L’uomo le scopre progressivamente come leggi della natura. Esse sono oggetto dell’ammirazione degli scienziati. La bellezza della creazione riflette la bellezza infinita del Creatore. Deve ispirare il rispetto e la sottomissione dell’intelligenza e della volontà dell’uomo.
342 – La gerarchia delle creature è espressa dall’ordine dei « sei giorni», che va dal meno perfetto al più perfetto. Dio ama tutte le sue creature, si prende cura di ognuna, perfino dei passeri. Tuttavia, Gesù dice: «Voi valete più di molti passeri» (Lc12,7), o ancora: «Quanto è più prezioso un uomo di una pecora!» (Mt 12,12).
343 – L’uomo è il vertice dell’opera della creazione. Il racconto ispirato lo esprime distinguendo nettamente la creazione dell’uomo da quella delle altre creature.
344 – Esiste una solidarietà fra tutte le creature per il fatto che tutte hanno il medesimo Creatore e tutte sono ordinate alla sua gloria: «Laudato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messer lo frate sole, lo qual è iorno; et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione… Laudato si’ mi’ Signore, per sora acqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta… Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba… Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate et servitelo cum grande bumilitate.
345 – Il Sabato – fine dell’opera dei «sei giorni». Il testo sacro dice che «Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto» e così «furono portati a compimento il cielo e la terra»; Dio «cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro», «benedisse il settimo giorno e lo consacrò» (Gn 2,1-3). Queste parole ispirate sono ricche di insegnamenti salutari.
346 – Nella creazione Dio ha posto un fondamento e leggi che restano stabili, sulle quali il credente potrà appoggiarsi con fiducia, e che saranno per lui il segno e il pegno della incrollabile fedeltà dell’alleanza di Dio. Da parte sua, l’uomo dovrà rimanere fedele a questo fondamento e rispettare le leggi che il Creatore vi ha inscritte.
347 – La creazione è fatta in vista del sabato e quindi del culto e dell’adorazione di Dio. Il culto è inscritto nell’ordine della creazione. «Operi Dei nihil praeponatur» – «Nulla si anteponga all’opera di Dio», dice la Regola di san Benedetto, indicando in tal modo il giusto ordine delle preoccupazioni umane.
348 – Il sabato è nel cuore della Legge di Israele. Osservare i comandamenti equivale a corrispondere alla sapienza e alla volontà di Dio espresse nell’opera della creazione.
349 – L’ottavo giorno. Per noi, però, è sorto un giorno nuovo: quello della risurrezione di Cristo. Il settimo giorno porta a termine la prima creazione. L’ottavo giorno dà inizio alla nuova creazione. Così, l’opera della creazione culmina nell’opera più grande della redenzione. La prima creazione trova il suo senso e il suo vertice nella nuova creazione in Cristo, il cui splendore supera quello della prima.
In sintesi
350 – Gli angeli sono creature spirituali che incessantemente glorificano Dio e servono i suoi disegni salvifici nei confronti delle altre creature: «A ci omnia bona nostra cooperantur angeli – Gli angeli cooperano ad ogni nostro bene».
351 – Gli angeli circondano Cristo, loro Signore. Lo servono soprattutto nel compimento della sua missione di salvezza per tutti gli uomini.
352 – La Chiesa venera gli angeli che l’aiutano nel suo pellegrinaggio terreno e che proteggono ogni essere umano.
353 – Dio ha voluto la diversità delle sue creature e la loro bontà propria, la loro interdipendenza, il loro ordine. Ha destinato tutte le creature materiali al bene del genere umano. L’uomo, e attraverso lui l’intera creazione, sono destinati alla gloria di Dio.
354 – Rispettare le leggi inscritte nella creazione e i rapporti derivanti dalla natura delle cose, è un principio di saggezza e un fondamento della morale.
Paragrafo 6
L’UOMO
355 – «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn 1,,27). L’uomo, nella creazione, occupa un posto unico: egli è «a immagine di Dio» (I); nella sua natura unisce il mondo spirituale e il mondo materiale (Il); è creato «maschio e femmina» (III); Dio l’ha stabilito nella sua amicizia (IV).
I. «A immagine di Dio».
356 – Di tutte le creature visibili, soltanto l’uomo è «capace di conoscere e di amare il proprio Creatore»; «è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa»; soltanto l’uomo è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la vita di Dio. A questo fine è stato creato ed è questa la ragione fondamentale della sua dignità. «Quale fu la ragione che tu ponessi l’uomo in tanta dignità? Certo l’amore inestimabile con il quale hai guardato in te medesimo la tua creatura e ti sei innamorato di lei; per amore infatti tu l’hai creata, per amore tu le hai dato un essere capace di gustare il tuo Bene eterno».
357 – Essendo ad immagine di Dio, l’individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. E’ capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone; è chiamato, per grazia, ad un’alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione.
358 – Dio ha creato tutto per l’uomo, ma l’uomo è stato creato per servire e amare Dio e per offrirgli tutta la creazione: «Qual è dunque l’essere che deve venire all’esistenza circondato di una tale considerazione? È l’uomo, grande e meravigliosa figura vivente, più prezioso agli occhi di Dio dell’intera creazione: è l’uomo, è per lui che esistono il cielo e la terra e il mare e la totalità della creazione, ed è alla sua salvezza che Dio ha dato tanta importanza da non risparmiare, per lui, neppure il suo Figlio unigenito. Dio infatti non ha mai cessato di tutto mettere in atto per far salire l’uomo fino a sé e farlo sedere alla sua destra ».
359 – «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo»: «Il beato Apostolo ci ha fatto sapere che due uomini hanno dato principio al genere umano: Adamo e Cristo. […] Il primo uomo, Adamo, dice divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Quel primo fu creato da quest’ultimo, dal quale ricevette l’anima per vivere. […] Il secondo Adamo plasmò il primo e gli impresse la propria immagine. E così avvenne poi che egli ne prese la natura e il nome, per non dover perdere ciò che egli aveva fatto a sua immagine. C’è un primo Adamo e c’è un ultimo Adamo. Il primo ha un inizio, l’ultimo non ha fine. Proprio quest’ultimo infatti è veramente il primo, dal momento che dice: «Sono io, io solo, il primo e anche l’ultimo».
360 – A motivo della comune origine il genere umano forma una unità. Dio infatti «creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini» (Al 17,26): Meravigliosa, visione che ci fa contemplare il genere umano nell’unità della sua origine in Dio […]; nell’unità della sua natura, composta ugualmente presso tutti di un corpo materiale e di un’anima spirituale; nell’unità del suo fine immediato e della sua missione nel mondo; nell’unità del suo “habitat”: la terra, dei cui beni tutti gli uomini, per diritto naturale, possono usare per sostentare e sviluppare la vita; nell’unità del suo fine soprannaturale: Dio stesso, al quale tutti devono tendere; nell’unità dei mezzi per raggiungere tale fine; […] nell’unità del suo riscatto operato per tutti da Cristo».
361 – Questa legge di solidarietà umana e di carità», senza escludere la ricca varietà delle persone, delle culture e dei popoli, ci assicura che tutti gli uomini sono veramente fratelli.
II. «Corpore et anima unus» – Unità di anima e di corpo.
362 – La persona umana, creata a immagine di Dio, è un essere insieme corporeo e spirituale. Il racconto biblico esprime questa realtà con un linguaggio simbolico, quando dice: «Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l’uomo divenne un essere vivente» (Gn 2,7). L’uomo tutto intero è quindi voluto da Dio.
363 – Spesso, nella Sacra Scrittura, il termine anima indica la vita umana, oppure tutta la persona umana. Ma designa anche tutto ciò che nell’uomo vi è di più intimo e di maggior valore, ciò per cui più particolarmente egli è immagine di Dio: «anima» significa il principio spirituale nell’uomo.
364 – Il corpo dell’uomo partecipa alla dignità di «immagine di Dio»: è corpo umano proprio perché è animato dall’anima spirituale, ed è la persona umana tutta intera ad essere destinata a diventare, nel corpo di Cristo, il tempio dello Spirito. «Unità di anima e di corpo, l’uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi, attraverso di lui, toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Allora, non è lecito all’uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno».
365 – L’unità dell’anima e del corpo è cosi profonda che si deve considerare l’anima come la «forma» del corpo; significa che grazie all’anima spirituale il corpo, composto di materia, è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell’uomo, non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un’unica natura.
366 – La Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio – non è «prodotta» dai genitori ed è immortale: essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo nella morte, e di nuovo si unirà al corpo al momento della risurrezione finale.
367 – Talvolta si dà il caso che l’anima sia distinta dallo spirito. Così san Paolo prega perché il nostro essere tutto intero, «spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore» (1 Ts 5,23). La Chiesa insegna che tale distinzione non introduce una dualità nell’anima. «Spirito» significa che sin dalla sua creazione l’uomo è ordinato al suo fine soprannaturale, e che la sua anima è capace di essere gratuitamente elevata alla comunione con Dio.
368 – La tradizione spirituale della Chiesa insiste anche sul cuore, nel senso biblico di «profondità dell’essere» («in visceribus »: Ger 31,33), dove la persona si decide o non si decide per Dio.
III. «Maschio e femmina li creò».
UGUAGLIANZA E DIVERSITÀ VOLUTE DA Dio
369 – L’uomo e la donna sono creati, cioè sono voluti da Dio: in una perfetta uguaglianza, per un verso, in quanto persone umane, e, per l’altro verso, nel loro rispettivo essere di maschio e di femmina. «Essere uomo», «essere donna» è una realtà buona e voluta da Dio: l’uomo e la donna hanno una insopprimibile dignità, che viene loro direttamente da Dio, loro Creatore. L’uomo e la donna sono, con una identica dignità, «a immagine di Dio». Nel loro «essere-uomo» ed «essere-donna», riflettono la sapienza e la bontà del Creatore.
370 – Dio non è a immagine dell’uomo. Egli non è né uomo né donna. Dio è puro spirito, e in lui, perciò, non c’è spazio per le differenze di sesso. Ma le «perfezioni» dell’uomo e della donna riflettono qualche cosa dell’infinita perfezione di Dio: quelle di una madre e quelle di un padre e di uno sposo.
«L’UNO PER L’ALTRO» «UNA UNITÀ A DUE»
371 – Creati insieme, l’uomo e la donna sono voluti da Dio l’uno per l’altro. La Parola di Dio ce lo lascia capire attraverso diversi passi del testo sacro. «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gn 2,18). Nessuno degli animali può essere questo «pari» dell’uomo. La donna che Dio «plasma» con la costola tolta all’uomo e che conduce all’uomo, strappa all’uomo un grido d’ammirazione, un’esclamazione d’amore e di comunione: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Gn 2,23). L’uomo scopre la donna come un altro «io» della stessa umanità.
372 – L’uomo e la donna sono fatti «l’uno per l’altro»: non già che Dio li abbia creati «a metà» ed «incompleti»; li ha creati per una comunione di persone, nella quale ognuno può essere «aiuto» per l’altro, perché sono ad un tempo uguali in quanto persone («osso dalle mie ossa…») e complementari in quanto maschio e femmina. Nel matrimonio, Dio li unisce in modo che, formando «una sola carne» (Gn 2,24), possano trasmettere la vita umana: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra»(Gn 1,28). Trasmettendo ai loro figli la vita umana, l’uomo e la donna, come sposi e genitori, cooperano in un modo unico all’opera del Creatore.
373 – Nel disegno di Dio, l’uomo e la donna sono chiamati a dominare la terra come «amministratori» di Dio. Questa sovranità non deve essere un dominio arbitrario e distruttivo. A immagine del Creatore, «che ama tutte le cose esistenti» (Sap 11,24), l’uomo e la donna sono chiamati a partecipare alla Provvidenza divina verso le altre creature. Da qui la loro responsabilità nei confronti del mondo che Dio ha loro affidato.
IV. L’uomo nel paradiso.
374 – Il primo uomo non solo è stato creato buono, ma è stato anche costituito in una tale amicizia con il suo Creatore e in una tale armonia con se stesso e con la creazione, che saranno superate soltanto dalla gloria della nuova creazione in Cristo.
375 – La Chiesa, interpretando autenticamente il simbolismo del linguaggio biblico alla luce del Nuovo Testamento e della Tradizione, insegna che i nostri progenitori Adamo ed Eva sono stati costituiti in uno stato di santità e di giustizia originali. La grazia della santità originale era una partecipazione alla vita divina.
376 – Tutte le dimensioni della vita dell’uomo erano potenziate dall’irradiamento di questa grazia. Finché fosse rimasto nell’intimità divina, l’uomo non avrebbe dovuto né morire, né soffrire. L’armonia interiore della persona umana, l’armonia tra l’uomo e la donna, infine l’armonia tra la prima coppia e tutta la creazione costituiva la condizione detta «giustizia originale».
377 – Il «dominio» del mondo che Dio, fin dagli inizi aveva concesso all’uomo, si realizzava innanzi tutto nell’uomo stesso come padronanza di sé. L’uomo era integro e ordinato in tutto il suo essere, perché libero dalla triplice concupiscenza che lo rende schiavo dei piaceri dei sensi, della cupidigia dei beni terreni e dell’affermazione di sé contro gli imperativi della ragione.
378 – Il segno della familiarità dell’uomo con Dio è il fatto che Dio lo colloca nel giardino, dove egli vive «per coltivarlo e custodirlo» (Gn 2,15): il lavoro non è una fatica penosa, ma la collaborazione dell’uomo e della donna con Dio nel portare a perfezione la creazione visibile.
379 – Per il peccato dei nostri progenitori andrà perduta tutta l’armonia della giustizia originale che Dio, nel suo disegno, aveva previsto per l’uomo.
In sintesi
380 – «Padre santo,… a tua immagine hai formato l’uomo, alle sue mani operose hai affidato l’universo, perché, nell’obbedienza a te, suo Creatore, esercitasse il dominio su tutto il creato».
381 – L’uomo è predestinato a riprodurre l’immagine del Figlio di Dio fatto uomo «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15) – affinché Cristo sia il primogenito di una moltitudine di fratelli e sorelle.
382 – L’uomo è «unità di anima e di corpo». La dottrina della fede afferma che l’anima spirituale e immortale è creata direttamente da Dio.
383 – «Dio non creò l’uomo lasciandolo solo: fin da principio “maschio e femmina li creò” (Gn 1,27), e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone».
384 – La Rivelazione ci fa conoscere lo stato di santità e di giustizia originali dell’uomo e della donna prima del peccato: dalla loro amicizia con Dio derivava la fedeltà della loro esistenza nel paradiso.
Paragrafo 7
LA CADUTA
385 – Dio è infinitamente buono e tutte le sue opere sono buone. Tuttavia nessuno sfugge all’esperienza della sofferenza, dei mali presenti nella natura – che appaiono legati ai limiti propri delle creature – e soprattutto al problema del male morale. Da dove viene il male? «Quacrebam unde malum et non erat exitus – Mi chiedevo donde il male, e non sapevo darmi risposta», dice sant’Agostino, se la sua sofferta ricerca non troverà sbocco che nella conversione al Dio vivente. Infatti «il mistero dell’iniquità» (2 Ts 2,7) si illumina soltanto alla luce del mistero della pietà. La rivelazione dell’amore divino in Cristo ha manifestato ad un tempo l’estensione del male e la sovrabbondanza della grazia. Dobbiamo, dunque, affrontare la questione dell’origine del male, tenendo fisso lo sguardo della nostra fede su colui che, solo, ne è il vincitore.
I. Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.
LA REALTÀ DEL PECCATO
386 – Nella storia dell’uomo è presente il peccato: sarebbe vano cercare di ignorarlo o di dare altri nomi a questa oscura realtà. Per tentare di comprendere che cosa sia il peccato, si deve innanzi tutto riconoscere il profondo legame dell’uomo con Dio,perché, al di fuori di questo rapporto, il male del peccato non può venire smascherato nella sua vera identità di rifiuto e di opposizione a Dio, mentre continua a gravare sulla vita dell’uomo e sulla storia.
387 – La realtà del peccato, e più particolarmente del peccato delle origini, si chiarisce soltanto alla luce della rivelazione divina. Senza la conoscenza di Dio che essa ci dà, non si può riconoscere chiaramente il peccato, e si è tentati di spiegarlo semplicemente come un difetto di crescita, come una debolezza psicologica, un errore, come l’inevitabile conseguenza di una struttura sociale inadeguata, ecc. Soltanto conoscendo il disegno di Dio sull’uomo, si capisce che il peccato è un abuso di quella libertà che Dio dona alle persone create perché possano amare lui e amarsi reciprocamente.
IL PECCATO ORIGINALE – UNA VERITÀ ESSENZIALE DELLA FEDE
388 – Col progresso della Rivelazione viene chiarita anche la realtà del peccato. Sebbene il popolo di Dio dell’Antico Testamento abbia in qualche modo conosciuto la condizione umana alla luce della storia della caduta narrata dalla Genesi, non era però in grado di comprendere il significato ultimo di tale storia, che si manifesta appieno soltanto alla luce della morte e della risurrezione di Gesù Cristo. Bisogna conoscere Cristo come sorgente della grazia per conoscere Adamo come sorgente del peccato. È lo Spirito Paraclito, mandato da Cristo risorto, che è venuto a convincere «il mondo quanto al peccato» (Gv16,8), rivelando colui che del peccato è il Redentore.
389 – La dottrina del peccato originale è, per così dire, «il rovescio» della Buona Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo. La Chiesa, che ha il senso di Cristo, ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo.
PER LEGGERE IL RACCONTO DELLA CADUTA
390 – Il racconto della caduta (Gn 3) utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all’inizio della storia dell’uomo. La Rivelazione ci dà la certezza di fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori.
Il. La caduta degli angeli.
391 – Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori c’è una voce seduttrice, che si oppone a Dio, la quale, per invidia, li fa cadere nella morte. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo. La Chiesa insegna che all’inizio era un angelo buono, creato da Dio. «Diabolus enim et alii daemones a Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se facti sunt mali – Il diavolo infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi».
392 – La Scrittura parla di un peccato di questi angeli. Tale «caduta» consiste nell’avere, questi spiriti creati, con libera scelta, radicalmente ed irrevocabilmente rifiutato Dio e il suo Regno. Troviamo un riflesso di questa ribellione nelle parole rivolte dal tentatore ai nostri progenitori: «Diventerete come Dio» (Gn 3,5). «Il diavolo è peccatore fin dal principio» (1 Gv 3,8), «padre della menzogna» (Gv 8,44).
393 – A far si che il peccato degli angeli non possa essere perdonato è il carattere irrevocabile della loro scelta, e non un difetto dell’infinita misericordia divina. «Non c’è possibilità di pentimento per loro dopo la caduta, come non c’è possibilità di pentimento per gli uomini dopo la morte».
394 – La Scrittura attesta la nefasta influenza di colui che Gesù chiama omicida fin dal principio» (Gv 8,44), e che ha perfino tentato di distogliere Gesù dalla missione affidatagli dal Padre. «Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo»(1 Gv 3,8). Di queste opere, la più grave nelle sue conseguenze è stata la seduzione menzognera che ha indotto l’uomo a disobbedire a Dio.
395 – La potenza di Satana però non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può impedire l’edificazione del regno di Dio. Sebbene Satana agisca nel mondo per odio contro Dio e il suo regno in Cristo Gesù, e sebbene la sua azione causi gravi danni di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica – per ogni uomo e per la società, questa azione è permessa dalla divina provvidenza, la quale guida la storia dell’uomo e del mondo con forza e dolcezza. La permissione divina dell’attività diabolica è un grande mistero, ma «noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28).
III. Il peccato originale.
LA PROVA DELLA LIBERTÀ
396 – Dio ha creato l’uomo a sua immagine e l’ha costituito nella sua amicizia. Creatura spirituale, l’uomo non può vivere questa amicizia che come libera sottomissione a Dio. Questo è il significato del divieto fatto all’uomo di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, o perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti» (Gn 2,17). «L’albero della conoscenza del bene e del male» (Gn 2,17) evoca simbolicamente il limite invalicabile che l’uomo, in quanto creatura, deve liberamente riconoscere e con fiducia rispettare. L’uomo dipende dal Creatore, è sottomesso alle leggi della creazione e alle norme morali che regolano l’uso della libertà.
IL PRIMO PECCATO DELL’UOMO
397 – L’uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell’uomo. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà.
398 – Con questo peccato, l’uomo ha preferito se stesso a Dio, e, perciò, ha disprezzato Dio: ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione di creatura e conseguentemente contro il suo proprio bene. Costituito in uno stato di santità, l’uomo era destinato ad essere pienamente «divinizzato» da Dio nella gloria. Sedotto dal diavolo, ha voluto diventare «come Dio» (Gn 3,5), ma «senza Dio e anteponendosi a Dio, non secondo Dio.
399 – La Scrittura mostra le conseguenze drammatiche di questa prima disobbedienza. Adamo ed Eva perdono immediatamente la grazia della santità originale. Hanno paura di quel Dio di cui si sono fatti una falsa immagine, quella cioè di un Dio geloso delle proprie prerogative.
400 – L’armonia nella quale essi erano posti, grazie alla giustizia originale, è distrutta; la padronanza delle facoltà spirituali dell’anima sul corpo è infranta; l’unione dell’uomo e della donna è sottoposta a tensioni; i loro rapporti saranno segnati dalla concupiscenza e dalla tendenza all’asservimento. L’armonia con la creazione è spezzata: la creazione visibile è diventata aliena e ostile all’uomo. A causa dell’uomo, la creazione è soggetta alla schiavitù della corruzione. Infine, la conseguenza esplicitamente annunziata nell’ipotesi della disobbedienza realizzerà: l’uomo tornerà in polvere, quella polvere dalla quale è stato tratto. La morte entra nella storia dell’umanità.
401 – Dopo questo primo peccato, il mondo è inondato da una vera «invasione» del peccato: il fratricidio commesso da Caino contro Abele; la corruzione universale quale conseguenza del peccato; nella storia d’Israele, il peccato si manifesta frequentemente soprattutto come infedeltà al Dio dell’Alleanza e come trasgressione della Legge di Mosè; anche dopo la redenzione di Cristo, fra i cristiani, il peccato si manifesta in svariati modi. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa richiamano continuamente la presenza e l’universalità del peccato nella storia dell’uomo: «Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti, se l’uomo guarda dentro al suo cuore, si scopre anche inclinato al male e immerso in tante miserie che non possono certo derivare dal Creatore che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l’uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine, e al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli altri uomini e verso tutte le cose create».
CONSEGUENZE DEL PECCATO DI ADAMO PER L’UMANITÀ
402 – Tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo. San Paolo lo afferma: «Per la disobbedienza di uno solo, tutti sono stati costituiti peccatori» (Rm 5,19); «Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato…» (Rm 5,12). All’universalità del peccato e della morte l’Apostolo contrappone l’universalità della salvezza in Cristo: «Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita» (Rm 5,18).
403 – Sulle orme di san Paolo la Chiesa ha sempre insegnato che l’immensa miseria che opprime gli uomini, la loro inclinazione al male e l’ineluttabilità della morte non si possono comprendere senza il loro legame con la colpa di Adamo e prescindendo dal fatto che egli ci ha trasmesso un peccato dal quale tutti nasciamo contaminati e che i «morte dell’anima». Per questa certezza di fede, la Chiesa amministra il Battesimo per la remissione dei peccati anche ai bambini che non hanno commesso peccati personali.
404 – In che modo il peccato di Adamo è diventato il peccato di tutti i suoi discendenti? Tutto il genere umano è in Adamo. «sicut unum corpus unius hominis – come un unico corpo di un unico uomo». Per questa «unità del genere umano» tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo, così come tutti sono coinvolti nella giustizia di Cristo. Tuttavia, la trasmissione del peccato originale è un mistero che non possiamo comprendere appieno. Sappiamo però dalla Rivelazione che Adamo aveva ricevuto la santità e la giustizia originali non soltanto per sé, ma per tutto il genere umano: cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali. Per questo il peccato originale è chiamato «peccato» in modo analogico: è un peccato «contratto» e non «commesso», uno stato e non un atto.
405 – Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale. Consiste nella privazione della santità e della giustizia originali, ma la natura umana non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata «concupiscenza»). Il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale.
406 – La dottrina della Chiesa sulla trasmissione del peccato originale è andata precisandosi soprattutto nel V secolo, in particolare sotto la spinta della riflessione di sant’Agostino contro il pelagianesimo, e nel XVI secolo, in opposizione alla Riforma protestante. Pelagio riteneva che l’uomo, con la forza naturale della sua libera volontà, senza l’aiuto necessario della grazia di Dio, potesse condurre una vita moralmente buona; in tal modo riduceva l’influenza della colpa di Adamo a quella di un cattivo esempio. Al contrario, i primi riformatori protestanti insegnavano che l’uomo era radicalmente pervertito e la sua libertà annullata dal peccato delle origini; identificavano il peccato ereditato da ogni uomo con l’inclinazione al male («concupiscentia»), che sarebbe invincibile. La Chiesa si è pronunciata sul senso del dato rivelato concernente il peccato originale soprattutto nel II Concilio di Orange nel e nel Concilio di Trento nel 1546.
UN DURO COMBATTIMENTO…
407 – La dottrina sul peccato originale – connessa strettamente con quella della redenzione operata da Cristo – offre uno sguardo di lucido discernimento sulla situazione dell’uomo e del suo agire nel mondo. In conseguenza del peccato dei progenitori, il diavolo ha acquisito un certo dominio sull’uomo, benché questi rimanga libero. Il peccato originale comporta «la schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo». Ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi.
408 – Le conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può essere definita con l’espressione di san Giovanni: «il peccato del mondo» (Gv 1,29). Con questa espressione viene anche significata l’influenza negativa esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali che sono frutto dei peccati degli uomini.
409 – La drammatica condizione del mondo che «giace» tutto «sotto il potere del maligno» (1 Gv 5,19) fa della vita dell’uomo una lotta: «Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta incominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio.
IV. «Tu non l’hai abbandonato in potere della morte».
410 – Dopo la caduta, l’uomo non è stato abbandonato da Dio. Al contrario, Dio lo chiama, e gli predice in modo misterioso che il male sarà vinto e che l’uomo sarà sollevato dalla caduta. Questo passo della Genesi è stato chiamato «protovangelo», poiché è il primo annunzio del Messia redentore, di una lotta tra il serpente e la Donna e della vittoria finale di un discendente di lei.
411 – La Tradizione cristiana vede in questo passo un annunzio del «nuovo Adamo che, con la sua obbedienza «fino alla morte di croce» (FiI 2,8), ripara sovrabbondantemente la disobbedienza di Adamo. Inoltre, numerosi Padri e dottori della Chiesa vedono nella Donna annunziata nel «protovangelo» la Madre di Cristo, Maria, come «nuova Eva». Ella è stata colei che, per prima e in una maniera unica, ha beneficiato della vittoria sul peccato riportata da Cristo: è stata preservata da ogni macchia di peccato originale e, durante tutta la sua vita terrena, per una speciale grazia di Dio, non ha commesso alcun peccato.
412 – Ma perché Dio non ha impedito al primo uomo di peccare? San Leone Magno risponde: «L’ineffabile grazia di Cristo ci ha dato beni migliori di quelli di cui l’invidia del demonio ci aveva privati». E san Tommaso d’Aquino: «Nulla si oppone al fatto che la natura umana sia stata destinata ad un fine più alto dopo il peccato. Dio permette, infatti, che ci siano i mali per trarre da essi un bene più grande. Da qui il detto di san Paolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”(Rm 5,20). Perciò nella benedizione del cero pasquale si dice: “O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore!” »
In sintesi
413 – «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi […]. La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sap 1,13; 2,24).
414 – Satana o il diavolo e gli altri demoni sono angeli decaduti per avere liberamente rifiutato di servire Dio e il suo disegno. La loro scelta contro Dio è definitiva. Essi tentano di associare l’uomo alla loro ribellione contro Dio.
415 – «Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l’uomo però, tentato dal maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio».
416 – Per il suo peccato, Adamo, in quanto primo uomo, ha perso la santità e la giustizia originali che aveva ricevuto da Dio non soltanto per sé, ma per tutti gli esseri umani.
417 – Adamo ed Eva hanno trasmesso alla loro discendenza la natura umana ferita dal loro primo peccato, privata, quindi, della santità e della giustizia originali. Questa privazione è chiamata «peccato originale».
418 – In conseguenza del peccato originale, la natura umana è indebolita nelle sue forze, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte, e inclinata al peccato (inclinazione che è chiamata «concupiscenza»).
419 – «Noi dunque riteniamo, con il Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso insieme con la natura umana, “non per imitazione ma per propagazione”, e che perciò e proprio a ciascuno” ».
420 – La vittoria sul peccato riportata da Cristo ci ha donato beni migliori di quelli che il peccato ci aveva tolto: «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20).
421 – Secondo la fède dei cristiani, questo mondo è stato «creato» ed è «conservato nell’esistenza dall’amore del Creatore»; questo mondo è «certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo eroe fisso e risorto, con la sconfitta del maligno…
CAPITOLO SECONDO
CREDO IN GESU CRISTO, UNICO FIGLIO DI DIO
LA BUONA NOVELLA: DIO HA MANDATO IL SUO FIGLIO
422 – «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (GaI 4,4-5). Ecco la Buona Novella riguardante Gesù Cristo, Figlio di Dio: Dio ha visitato il suo popolo, ha adempiuto le promesse fatte ad Abramo ed alla sua discendenza; ed è andato oltre ogni attesa: ha mandato il suo Figlio prediletto.
423 – Noi crediamo e professiamo che Gesù di Nazaret, nato ebreo da una figlia d’Israele, a Betlemme, al tempo del re Erode il Grande e dell’imperatore Cesare Augusto, di mestiere carpentiere, morto crocifisso a Gerusalemme, sotto il procuratore Ponzio Pilato, mentre regnava l’imperatore Tiberio, è il Figlio eterno di Dio fatto uomo, il quale è «venuto da Dio » (Gv 13,3), «disceso dal cielo » (Gv 3,13; 6,33), venuto nella carne; infatti «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. […] Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia» (Gv 1,14.16).
424 – Mossi dalla grazia dello Spirito Santo e attirati dal Padre, noi, riguardo a Gesù, crediamo e confessiamo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Sulla roccia di questa fede, confessata da san Pietro, Cristo ha fondato la sua Chiesa.
«ANNUNZIARE.. LE IMPERSCRUTABILI RICCHEZZE DI CRISTO» (Ef 3,8)
425 – La trasmissione della fede cristiana è innanzi tutto l’annunzio di Gesù Cristo, allo scopo di condurre alla fede in lui. Fin dall’inizio, i primi discepoli sono stati presi dal desiderio ardente di annunziare Cristo: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato»(At 4,20). Essi invitano gli uomini di tutti i tempi ad entrare nella gioia della loro comunione con Cristo: «Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1 Gv 1,1-4).
AL CENTRO DELLA CATECHESI: CRISTO
426 – «Al centro della catechesi noi troviamo essenzialmente una persona: quella di Gesù di Nazaret, unigenito del Padre […]; il quale ha sofferto ed è morto per noi e ora, risorto, vive per sempre con noi. […] Catechizzare […] è, dunque, svelare nella persona di Cristo l’intero disegno di Dio […]. E cercare di comprendere il significato dei gesti e delle parole di Cristo, dei segni da lui operati». Lo scopo della catechesi: «Mettere […] in comunione (…) con Gesù Cristo: egli solo può condurre all’amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della Santa Trinità».
427 – «Nella catechesi è Cristo, Verbo incarnato e Figlio di Dio, che viene insegnato, e tutto il resto lo è in riferimento a lui; solo Cristo insegna, mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo portavoce, consentendo a Cristo di insegnare per bocca sua. […] Ogni catechista dovrebbe poter applicare a se stesso la misteriosa parola di Gesù: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Gv 7,16) ».
428 – Colui che è chiamato a «insegnare Cristo» deve dunque cercare innanzi tutto quel guadagno che è la «sublimità della conoscenza di Cristo»; bisogna accettare di perdere tutto, «al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui», e di «conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,8-11).
429 – Da questa amorosa conoscenza di Cristo nasce irresistibile il desiderio di annunziare, di «evangelizzare», e di condurre altri al «si» della fede in Gesù Cristo. Nello stesso tempo si fa anche sentire il bisogno di conoscere sempre meglio questa fede. A tal fine, seguendo l’ordine del Simbolo della fede, saranno innanzi tutto presentati i principali titoli di Gesù: Cristo, Figlio di Dio, Signore (articolo 2). Il Simbolo successivamente confessa i principali misteri della vita di Cristo: quelli della sua incarnazione (articolo 3), quelli della sua pasqua (articoli 4 e 5), infine quelli della sua glorificazione (articoli 6 e 7).
Articolo 2
«E IN GESU CRISTO SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE»
I. Gesù .
430 – Gesù in ebraico significa: «Dio salva». Al momento dell’annunciazione, l’angelo Gabriele dice che il suo nome proprio sarà Gesù, nome che esprime ad un tempo la sua identità e la sua missione. Poiché nessuno «può rimettere i peccati se non Dio solo » (Mc 2,7), in Gesù, il suo Figlio eterno fatto uomo, egli «salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). Così, in Gesù, Dio ricapitola tutta la sua storia di salvezza a vantaggio degli uomini.
431 – Nella storia della salvezza, Dio non si è limitato a liberare Israele «dalla condizione servile» (Dt 5,6) facendolo uscire dall’Egitto; lo salva anche dal suo peccato. Poiché il peccato è sempre un’offesa fatta a Dio, solo Dio lo può cancellare. Per questo Israele, prendendo sempre più coscienza dell’universalità del peccato, non potrà più cercare la salvezza se non nell’invocazione del nome del Dio Redentore.
432 – Il nome di Gesù significa che il nome stesso di Dio è presente nella Persona del Figlio suo fatto uomo per l’universale e definitiva redenzione dei peccati. È il nome divino che solo reca la salvezza, e può ormai essere invocato da tutti perché, mediante l’incarnazione, egli si è unito a tutti gli uomini in modo tale che «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12).
433 – Il nome del Dio Salvatore era invocato una sola volta all’anno, per l’espiazione dei peccati d’Israele, dal sommo sacerdote, dopo che questi aveva asperso col sangue del sacrificio il propiziatorio del Santo dei Santi. Il propiziatorio era il luogo della presenza di Dio. Quando san Paolo dice di Gesù: «Dio l’ha stabilito a servire come strumento di espiazione… nel suo sangue» (Rm 3,25), intende affermare che nella sua umanità «era Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2 Cor 5,19).
434 – La risurrezione di Gesù glorifica il nome di Dio «Salvatore» perché ormai è il nome di Gesù che manifesta in pienezza la suprema potenza del «Nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9-10). Gli spiriti malvagi temono il suo nome ed è nel suo nome che i discepoli di Gesù compiono miracoli; infatti tutto ciò che essi chiedono al Padre nel suo nome, il Padre lo concede.
435 – Il nome di Gesù è al centro della preghiera cristiana. Tutte le orazioni liturgiche terminano con la formula: «per Dominum nostrum Iesum Christum… – per il nostro Signore Gesù Cristo…». L’«Ave, Maria» culmina con le parole: «E benedetto il frutto del tuo seno, Gesù». La preghiera del cuore, consueta presso gli orientali e chiamata «preghiera di Gesù», dice: « Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». Parecchi cristiani muoiono con la sola parola «Gesù» sulle labbra, come santa Giovanna d’Arco.
Il. Cristo.
436 – Cristo viene dalla traduzione greca del termine ebraico «Messia» che significa «unto». Non diventa il nome proprio di Gesù se non perché egli compie perfettamente la missione divina da esso significata. Infatti in Israele erano unti nel nome di Dio coloro che erano a lui consacrati per una missione che egli aveva loro affidato. Era il caso dei re, dei sacerdoti e, raramente, dei profeti. Tale doveva essere per eccellenza il caso del Messia che Dio avrebbe mandato per instaurare definitivamente il suo Regno. Il Messia doveva essere unto dallo Spirito del Signore, ad un tempo come re e sacerdote ma anche come profeta. Gesù ha realizzato la speranza messianica di Israele nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re.
437 – L’angelo ha annunziato ai pastori la nascita di Gesù come quella del Messia promesso a Israele: «Oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è il Cristo Signore» (Lc 2,11). Fin da principio egli è «colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo» (Gv 10,36), concepito come «santo» nel grembo verginale di Maria. Giuseppe è stato chiamato da Dio a prendere con sé Maria sua sposa, incinta di «quel che è generato in lei […] dallo Spirito Santo» (Mt 1,20), affinché Gesù, «chiamato Cristo» (Mt 1,16), nasca dalla sposa di Giuseppe nella discendenza messianica di Davide.
438 – La consacrazione messianica di Gesù rivela la sua missione divina. «E, d’altronde, ciò che indica il suo stesso nome, perché nel nome di Cristo è sottinteso colui che ha unto, colui che è stato unto e l’unzione stessa di cui è stato unto: colui che ha unto è il Padre, colui che è stato unto è il Figlio, ed è stato unto nello Spirito che è l’unzione. La sua consacrazione messianica eterna si è rivelata nel tempo della sua vita terrena nel momento in cui fu battezzato da Giovanni, quando Dio lo «consacrò in Spirito Santo e potenza» (At 10,38) «perché egli fosse fatto conoscere a Israele» (Gv 1,31) come suo Messia. Le sue opere e le sue parole lo riveleranno come «il Santo di Dio».
439 – Numerosi ebrei ed anche alcuni pagani che condividevano la loro speranza hanno riconosciuto in Gesù i tratti fondamentali del «figlio di Davide» messianico promesso da Dio a Israele. Gesù ha accettato il titolo di Messia cui aveva diritto, ma non senza riserve, perché una parte dei suoi contemporanei lo intendevano secondo una concezione troppo umana, essenzialmente politica.
440 – Gesù ha accettato la professione di fede di Pietro che lo riconosceva quale Messia, annunziando la passione ormai vicina del Figlio dell’uomo. Egli ha così svelato il contenuto autentico della sua regalità messianica, nell’identità trascendente del Figlio dell’uomo «che è disceso dal cielo» (Gv 3,13), come pure nella sua missione redentrice quale Servo sofferente: «Il Figlio dell’uomo (…) non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Per questo il vero senso della sua regalità si manifesta, soltanto dall’alto della croce. Solo dopo la risurrezione, la sua regalità messianica potrà essere proclamata da Pietro davanti al popolo di Dio: «Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!» (Ai 2,36).
III. Figlio unico di Dio.
441 – Figlio di Dio, nell’Antico Testamento, è un titolo dato agli angeli, al popolo dell’elezione, ai figli d’Israele e ai loro re. In tali casi ha il significato di una filiazione adottiva che stabilisce tra Dio e la sua creatura relazioni di una particolare intimità. Quando il Re-Messia promesso è detto «figlio di Dio», ciò non implica necessariamente, secondo il senso letterale di quei testi, che egli sia più che umano. Coloro che hanno designato così Gesù in quanto Messia d’Israele forse non hanno inteso dire di più.
442 – Non è la stessa cosa per Pietro quando confessa Gesù come «il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,l6), perché Gesù risponde con solennità: «Nè la carne nè il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,17). Parallelamente Paolo, a proposito della sua conversione sulla strada di Damasco, dirà: «Quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani…» (Gal 1,15-16). «Subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio» (At 9,20). Questo sarà fin dagli inizi il centro della fede apostolica professata prima di tutti da Pietro quale fondamento della Chiesa.
443 – Se Pietro ha potuto riconoscere il carattere trascendente della filiazione divina di Gesù Messia, è perché egli l’ha lasciato chiaramente intendere. Davanti al Sinedrio, alla domanda dei suoi accusatori: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?», Gesù ha risposto: « Lo dite voi stessi: io lo sono» (Lc 22,70). Già molto prima, egli si era designato come «il Figlio» che conosce il Padre, che è distinto dai «servi» che Dio in precedenza ha mandato al suo popolo, superiore agli stessi angeli. Egli ha differenziato la sua filiazione da quella dei suoi discepoli non dicendo mai «Padre nostro» tranne che per comandare loro: «Voi dunque pregate così: Padre nostro» (Mt 6,9); e ha sottolineato tale distinzione: «Padre mio e Padre vostro» (Gv 20,17).
444 – I Vangeli riferiscono in due momenti solenni, il battesimo e la trasfigurazione di Cristo, la voce del Padre che lo designa come il suo «Figlio prediletto Gesù presenta se stesso come il Figlio unigenito di Dio e con tale titolo afferma la sua preesistenza eterna. Egli chiede la fede «nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (Gv 3,18). Questa confessione cristiana appare già nell’esclamazione del centurione davanti a Gesù in croce: «Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio» (Mc 15,39); infatti soltanto nel mistero pasquale il credente può dare al titolo «Figlio di Dio» il suo pieno significato.
445 – Dopo la risurrezione la sua filiazione divina appare nella potenza della sua umanità glorificata: egli è stato costituito «Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm l,4). Gli Apostoli potranno confessare: «Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14)
IV. Signore.
446 – Nella traduzione greca dei libri dell’Antico Testamento, il nome ineffabile sotto il quale Dio si è rivelato a Mosè, («Signore»). Da allora Signore diventa il nome più abituale per indicare la stessa divinità del Dio di Israele. Il Nuovo Testamento utilizza in questo senso forte il titolo di «Signore» per il Padre, ma, ed di questa la novità, anche per Gesù riconosciuto così egli stesso come Dio. Gesù stesso attribuisce a sé, in maniera velata, tale titolo allorché discute con i farisei sul senso del salmo 110,65 ma anche in modo esplicito rivolgendosi ai suoi Apostoli. Durante la sua vita pubblica i suoi gesti di potenza sulla natura, sulle malattie, sui demoni, sulla morte e sul peccato, manifestavano la sua sovranità divina.
448 – Molto spesso, nei Vangeli, alcune persone si rivolgono a Gesù chiamandolo «Signore». Questo titolo esprime il rispetto e la fiducia di coloro che si avvicinano a Gesù e da lui attendono aiuto e guarigione. Pronunciato sotto la mozione dello Spirito Santo, esprime il riconoscimento del mistero divino di Gesù. Nell’incontro con Gesù risorto, diventa espressione di adorazione: «Mio Signore e mio Dio!»(Gv 20,28). Assume allora una connotazione d’amore e d’affetto che resterà peculiare della tradizione cristiana: «È il Signore!» (Gv 21,7).
449 – Attribuendo a Gesù il titolo divino di Signore, le prime confessioni di fede della Chiesa affermano, fin dall’inizio, che la potenza, l’onore e la gloria dovuti a Dio Padre convengono anche a Gesù, perché egli è di «natura divina» (Fil 2,6) e perché il Padre ha manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo nella sua gloria.
450 – Fin dall’inizio della storia cristiana, l’affermazione della signoria di Gesù sul mondo e sulla storia comporta anche il riconoscimento che l’uomo non deve sottomettere la propria libertà personale, in modo assoluto, ad alcun potere terreno, ma soltanto a Dio Padre e al Signore Gesù Cristo: Cesare non è «il Signore». La Chiesa «crede di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana.
451 – La preghiera cristiana è contrassegnata dal titolo «Signore», sia che si tratti dell’invito alla preghiera: «Il Signore sia con voi », sia della conclusione della preghiera: «Per il nostro Signore Gesù Cristo », anche del grido pieno di fiducia e di speranza: «Maran atha» («Il Signore viene!»), oppure «Marana tha» («Vieni, Signore!») (1 Cor 16,22), «Amen, vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20).
In sintesi
452 – Il nome «Gesù» significa «Dio salva »~ J/ Bambino nato dalla Vergine Maria è chiamato «Gesù» «perché salverù il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21): «Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale é stabilito che possiamo essere salvati» (At4,12).
453 – Il nome «Cristo» significa «unto», «Messia». Gesù è il Cristo perché Dio lo «consacrò in Spirito Santo e potenza» (At 10,38).Egli era « colui che deve venire» (Lc 7,19), l’oggetto della speranza d’Israele.
454 – Il nome «Figlio di Dio» indica la relazione unica ed eterna di Gesù Cristo con Dio suo Padre: egli è il Figlio unigenito del Padre Dio egli stesso.77 Per essere cristiani si deve credere che Gesù Cristo è il Figlio di Dio.
455 – Il nome «Signore» indica la sovranità divina. Conlèssare o invocare Gesù come Signore, è credere nella sua divinità. «Nessuno può dire “Gesù è il Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (I Cor 12,3).
Articolo 3
GESU CRISTO «FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO, NACQUE DA MARIA VERGINE»
Paragrafo 1
IL FIGLIO DI DIO SI E’ FATTO UOMO
I. Perché il Verbo si è fatto carne?
456 – Con il Credo niceno-costantinopolitano rispondiamo confessando: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo».
457 – Il Verbo si è fatto carne per salvarci riconciliandoci con Dio: è Dio «che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10). «Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo» (1 Gv 4,14). «Egli è apparso per togliere i peccati » (1 Gv 3,5): «La nostra natura, malata, richiedeva d’essere guarita; decaduta, d’essere risollevata; morta, di essere risuscitata. Avevamo perduto il possesso del bene; era necessario che ci fosse restituito. Immersi nelle tenebre, occorreva che ci fosse portata la luce; perduti, attendevamo un salvatore; prigionieri, un soccorritore; schiavi, un liberatore. Tutte queste ragioni erano prive d’importanza? Non erano tali da commuovere Dio sì da farlo discendere fino alla nostra natura umana per visitarla, poiché l’umanità si trovava in una condizione tanto miserabile ed infelice?».
458 – Il Verbo si è fatto carne perché noi così conoscessimo l’amore di Dio: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui» (1 Gv 4,9). «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
459 – Il Verbo si è fatto carne per essere nostro modello di santità: «Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me…» (Mt I 1,29). «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). E il Padre, sul monte della trasfigurazione, comanda: «Ascoltatelo » (Mc 9,7). In realtà, egli è il modello delle beatitudini e la norma della Legge nuova: «Amatevi gli unì gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12). Questo amore implica l’effettiva offerta di se stessi alla sua sequela.
460 – Il Verbo sì è fatto carne perché diventassimo «partecipi della natura divina» (2 Pt 1,4): «Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio ». «Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio». « Unìgenitus […) Dei Fìlius, suae divinitatis volens nos esse participes, naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret factus homo L’unigenito […) Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei».
Il. L’incarnazione.
461 – Riprendendo l’espressione di san Giovanni («Il Verbo si fece carne»: (Gv 1,14), la Chiesa chiama «incarnazione» il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto una natura umana per realizzare in essa la nostra salvezza. La Chiesa canta il mistero dell’incarnazione in un inno riportato da san Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso obbediente fino alla morte e alla morte di croce».
462 – Dello stesso mistero parla la lettera agli Ebrei: «Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto nè sacrificio nè offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti nè sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo… per fare la tua volontà”» (E.b 10,5-7 citando Sal40,7-9 LXX).
463 – La fede nella reale incarnazione del Figlio di Dio è il segno distintivo della fede cristiana: «Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio» (1 Gv 4,2). È la gioiosa convinzione della Chiesa fin dal suo inizio, allorché canta «il grande mistero della pietà»: «Egli si manifestò nella carne» (I Tm 3,16)
III. Vero Dio e vero uomo.
464 – L’evento unico e del tutto singolare dell’incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli sì è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano.
465 – Le prime eresie più che la divinità di Cristo hanno negato la sua vera umanità (docetismo gnostico). Fin dall’epoca apostolica la fede cristiana ha insistito sulla vera incarnazione del Figlio di Dio «venuto nella carne». Ma nel terzo secolo, la Chiesa ha dovuto affermare contro Paolo di Samosata, in un Concilio riunito ad Antiochia, che Gesù Cristo è Figlio di Dio per natura e non per adozione. Il primo Concilio Ecumenico di Nicea nel 325 professò nel suo Credo che il Figlio di Dio è «generato, non creato, della stessa sostanza(homousios) del Padre», e condannò Ario, il quale sosteneva che «il Figlio di Dio veniva dal nulla» e che sarebbe «di un’altra sostanza o di un’altra essenza rispetto al Padre»).
466 – L’eresia nestoriana vedeva in Cristo una persona umana congiunta alla Persona divina del Figlio di Dio. In contrapposizione ad essa san Cirillo di Alessandria e il terzo Concilio Ecumenico riunito a Efeso nel 431 hanno confessato che «il Verbo, unendo a se stesso ipostaticamente una carne animata da un’anima razionale, […] si fece uomo». L’umanità di Cristo non ha altro soggetto che la Persona divina del Figlio di Dio, che l’ha assunta e fatta sua al momento del suo concepimento. Per questo il Concilio di Efeso ha proclamato nel 431 che Maria in tutta verità è divenuta Madre di Dio per il concepimento umano del Figlio di Dio nel suo seno; «Madre di Dio (…) non certo perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto origine dalla santa Vergine, ma, poiché nacque da lei il santo corpo dotato di anima razionale a cui il Verbo è unito sostanzialmente, si dice che il Verbo è nato secondo la carne».
467 – I monofisiti affermavano che la natura umana come tale aveva cessato di esistere in Cristo, essendo stata assunta dalla Persona divina del Figlio di Dio. Opponendosi a questa eresia, il quarto Concilio Ecumenico, a Calcedonia, nel 451, ha confessato: «Seguendo i santi Padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l’umanità, “simile in tutto a noi, fuorché nel peccato”; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza, nato da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l’umanità. Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola persona e una sola ipostasi.
468 – Dopo il Concilio di Calcedonia, alcuni fecero della natura umana di Cristo una sorta di soggetto personale. Contro costoro, il quinto Concilio Ecumenico, a Costantinopoli, nel 553, ha confessato riguardo a Cristo: vi è «una sola ipostasi [o Persona]…, cioè il Signore (nostro) Gesù Cristo, uno della Trinità. Tutto, quindi, nell’umanità di Cristo deve essere attribuito alla sua Persona divina come al suo soggetto proprio, non soltanto i miracoli ma anche le sofferenze e così pure la morte: «Il Signore nostro Gesù Cristo, crocifisso nella sua carne, e vero Dio, Signore della gloria e uno della Santa Trinità.
469 – La Chiesa così confessa che Gesù è inscindibilmente vero Dio e vero uomo. Egli è veramente il Figlio di Dio che si è fatto uomo, nostro fratello, senza con ciò cessare d’essere Dio, nostro Signore: «Id quod fuit remansit et quod non fuit assumpsit Rimase quel che era e quel che non era assunse», canta la liturgia romana. E la liturgia di san Giovanni Crisostomo proclama e canta: «O Figlio unigenito e Verbo di Dio, tu, che sei immortale, per la nostra salvezza ti sei degnato d’incarnarti nel seno della santa Madre di Dio e sempre Vergine Maria; tu, che senza mutamento sei diventato uomo e sei stato crocifisso, o Cristo Dio, tu, che con la tua morte hai sconfitto la morte, tu che sei uno della Santa Trinità, glorificato con il Padre e lo Spirito Santo, salvaci!»
IV. Come il Figlio di Dio è uomo?
470 – Poiché nella misteriosa unione dell’incarnazione «la natura umana è stata assunta, senza per questo venir annientata» la Chiesa nel corso dei secoli è stata condotta a confessare la piena realtà dell’anima umana, con le sue operazioni di intelligenza e di volontà, e del corpo umano di Cristo. Ma parallelamente ha dovuto di volta in volta ricordare che la natura umana di Cristo appartiene in proprio alla Persona divina del Figlio di Dio che l’ha assunta. Tutto ciò che egli è e ciò che egli fa in essa deriva da «uno della Trinità». Il Figlio di Dio, quindi, comunica alla sua umanità il suo modo personale d’esistere nella Trinità. Pertanto, nella sua anima come nel suo corpo, Cristo esprime umanamente i comportamenti divini della Trinità: «Il Figlio di Dio […] ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato».
L’anima e la conoscenza umana di Cristo.
471 – Apollinare di Laodicea sosteneva che in Cristo il Verbo aveva preso il posto dell’anima o dello spirito. Contro questo errore la Chiesa ha confessato che il Figlio eterno ha assunto anche un’anima razionale umana.
472 – L’anima umana che il Figlio di Dio ha assunto è dotata di una vera conoscenza umana. In quanto tale, essa non poteva di per sé essere illimitata: era esercitata nelle condizioni storiche della sua esistenza nello spazio e nel tempo. Per questo il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha potuto accettare di «crescere in sapienza, età e grazia» (Lc 2,52) e anche di doversi informare intorno a ciò che nella condizione umana non si può apprendere che attraverso l’esperienza. Questo era del tutto consono alla realtà del suo volontario umiliarsi nella «condizione di servo» (Fil 2,7).
473 – Al tempo stesso, però, questa conoscenza veramente umana del Figlio di Dio esprimeva la vita divina della sua persona. «Il figlio di Dio conosceva ogni cosa; e ciò per il tramite dello stesso uomo che egli aveva assunto; non per la natura (umana), ma per il fatto che essa stessa era unita al Verbo (…). La natura umana, che era unita al Verbo, conosceva ogni cosa, e tutto ciò che è divino lo mostrava in se stesso per la sua maestà. E’, innanzi tutto, il caso della conoscenza intima e immediata che il Figlio di Dio fatto uomo ha del Padre suo. Il Figlio di Dio anche nella sua conoscenza umana mostrava la penetrazione divina che egli aveva dei pensieri segreti del cuore degli uomini.
474 – La conoscenza umana di Cristo, per la sua unione alla Sapienza divina nella Persona del Verbo incarnato, fruiva in pienezza della scienza dei disegni eterni che egli era venuto a rivelare. Ciò che in questo campo dice di ignorare, dichiara altrove di non avere la missione di rivelarlo.
LA VOLONTÀ UMANA DI CRISTO
475 – Parallelamente, la Chiesa nel sesto Concilio Ecumenico ha dichiarato che Cristo ha due volontà e due operazioni naturali, divine e umane, non opposte, ma cooperanti, in modo che il Verbo fatto carne ha umanamente voluto, in obbedienza al Padre, tutto ciò che ha divinamente deciso con il Padre e con lo Spirito Santo per la nostra salvezza. La volontà umana di Cristo «segue, senza opposizione o riluttanza, o meglio, è sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente».
IL VERO CORPO DI CRISTO
476 – Poiché il Verbo si è fatto carne assumendo una vera umanità, il corpo di Cristo era delimitato. Perciò l’aspetto umano di Cristo può essere «dipinto». Nel settimo Concilio Ecumenico la Chiesa ha riconosciuto legittimo che venga raffigurato mediante venerande e sante immagini.
477 – Al tempo stesso la Chiesa ha sempre riconosciuto che nel corpo di Gesù il «Verbo invisibile apparve visibilmente nella nostra carne», In realtà, le caratteristiche individuali del corpo di Cristo esprimono la Persona divina del Figlio di Dio. Questi ha fatto a tal punto suoi i lineamenti del suo corpo umano che, dipinti in una santa immagine, possono essere venerati, perché il credente che venera «l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto».
IL CUORE DEL VERBO INCARNATO
478 – Gesù ci ha conosciuti e amati, tutti e ciascuno, durante la sua vita, la sua agonia e la sua passione, e per ognuno di noi si è offerto: il Figlio di Dio «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (GaI 2,20). Ci ha amati tutti con un cuore umano. Per questo motivo, il sacro cuore di Gesù, trafitto a causa dei nostri peccati e per la nostra salvezza, «praecipuus consideratur index et symbolus […] illius amoris, quo divinus Redemptor aeternum Patrem hominesque universos continenter adamat – è considerato il segno e simbolo principale (…) di quell’infinito amore, col quale il Redentore divino incessantemente ama l’eterno Padre e tutti gli uomini».
In sintesi
479 – Nel tempo stabilito da Dio, il Figlio unigenito del Padre, la Parola eterna, cioè il Verbo e l’immagine sostanziale del Padre, si è incarnato: senza perdere la natura divina, ha assunto la natura umana.
480 – Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, nell’unità della sua Persona divina; per questo motivo è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini.
481 – Gesù Cristo ha due nature, la divina e l’umana, non confuse, ma unite nell’unica Persona del Figlio di Dio.
482 – Cristo, essendo vero Dio e vero uomo, ha una intelligenza e una volontà umane, perfettamente armonizzate e sottomesse alla sua intelligenza e alla sua volontà divine, che egli ha in comune con il Padre e lo Spirito Santo.
483 – L ‘incarnazione è quindi il mistero dell’ammirabile unione della natura divina e della natura umana nell’unica Persona del Verbo.
Paragrafo 2
«…FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO, NACQUE DA MARIA VERGINE»
I. Fu concepito di Spirito Santo…
484 – L’annunciazione a Maria inaugura la «pienezza del tempo» (GaI 4,4), cioè il compimento delle promesse e delle preparazioni. Maria è chiamata a concepire colui nel quale abiterà «corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). La risposta divina al suo: «Come è possibile? Non conosco uomo» (Lc 1,34) è data mediante la potenza dello Spirito: «Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Lc 1,35).
485 – La missione dello Spirito Santo è sempre congiunta e ordinata a quella del Figlio. Lo Spirito Santo, che è «Signore e dà la vita», è mandato a santificare il grembo della Vergine Maria e a fecondarla divinamente, facendo sì che ella concepisca il Figlio eterno del Padre in un’umanità tratta dalla sua.
486 – Il Figlio unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine Maria, è «Cristo», cioè unto dallo Spirito Santo, sin dall’inizio della sua esistenza umana, anche se la sua manifestazione avviene progressivamente: ai pastori, ai magi, a Giovanni Battista, ai discepoli. L’intera vita di Gesù Cristo manifesterà dunque «come Dio [lo] consacrò in Spirito Santo e potenza» (At 10,38).
Il. …nacque da Maria Vergine
487 – Ciò che la fede cattolica crede riguardo a Maria si fonda su ciò che essa crede riguardo a Cristo, ma quanto insegna su Maria illumina, a sua volta, la sua fede in Cristo.
LA PREDESTINAZIONE DI MARIA
488 – «Dio ha mandato suo Figlio» (Gal 4,4), ma per preparargli un corpo ha voluto la libera collaborazione di una creatura. Per questo, Dio, da tutta l’eternità, ha scelto, perché fosse la Madre del Figlio suo, una figlia d’israele, una giovane ebrea di Nazaret in Galilea, «una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1,26-27): «Volle il Padre delle misericordie che l’accettazione di colei che era predestinata a essere la Madre precedesse l’incarnazione, perché così, come la donna aveva contribuito a dare la morte, la donna contribuisse a dare la vita».
489 – Nel corso dell’Antica Alleanza, la missione di Maria è stata preparata da quella di sante donne. All’inizio c’è Eva: malgrado la sua disobbedienza, ella riceve la promessa di una discendenza che sarà vittoriosa sul maligno, e quella d’essere la madre di tutti i viventi. In forza di questa promessa, Sara concepisce un figlio nonostante la sua vecchiaia. Contro ogni umana attesa, Dio sceglie ciò che era ritenuto impotente e debole per mostrare la sua fedeltà alla promessa: Anna, la madre di Samuele, Debora, Rut, Giuditta e Ester, e molte altre donne. Maria «primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. Infine con lei, la eccelsa figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura la nuova economia».
L’IMMACOLATA CONCEZIONE
490 – Per essere la Madre del Salvatore, Maria «da Dio è stata arricchita di doni degni di una così grande missione». L’angelo Gabriele, al momento dell’annunciazione, la saluta come «piena di grazia» (Le 1,28). In realtà, per poter dare il libero assenso della sua fede all’annunzio della sua vocazione, era necessario che fosse tutta sorretta dalla grazia di Dio.
491 – Nel corso dei secoli la Chiesa ha preso coscienza che Maria, «colmata di grazia» da Dio, era stata redenta fin dal suo concepimento. È quanto afferma il dogma dell’immacolata concezione, proclamato da papa Pio IX nel 1854: La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale.
492 – Questi «splendori di una santità del tutto singolare» di cui Maria è «adornata fin dal primo istante della sua concezione» le vengono interamente da Cristo: ella è «redenta in modo così sublime in vista dei meriti del Figlio suo». Più di ogni altra persona creata, il Padre l’ha «benedetta con ogni benedizione spirituale, nei cieli, in Cristo» (Ef 1,3). In lui l’ha scelta «prima della creazione del mondo, per essere» santa e immacolata «al suo cospetto nella carità» (Ef 1,4).
493 – I Padri della Tradizione orientale chiamano la Madre di Dio «la Tutta Santa» la onorano come «immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa una nuova creatura» Maria, per la grazia di Dio, è rimasta pura da ogni peccato personale durante tutta la sua esistenza.
«AVVENGA DI ME QUELLO CHE HAI DETTO…»
494 – All’annunzio che avrebbe dato alla luce «il Figlio dell’Altissimo» senza conoscere uomo, per la potenza dello Spirito Santo, Maria ha risposto con «l’obbedienza della fede» (Rm 1,5), certa che nulla è impossibile a Dio: «Io sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Così, dando il proprio assenso alla parola di Dio, Maria è diventata Madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza essere ritardata da nessun peccato la volontà divina di salvezza, si è offerta totalmente alla persona e all’opera del Figlio suo, mettendosi al servizio del mistero della redenzione, sotto di lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente: «Come dice sant’Ireneo, obbedendo divenne causa della salvezza per sé e per tutto il genere umano». Con lui, non pochi antichi Padri affermano: “Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la Vergine Maria ha sciolto con la sua fede”, e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria la Madre dei viventi” e affermano spesso: “La morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria”.
LA MATERNITÀ DIVINA DI MARIA
495 – Maria, chiamata nei Vangeli «la Madre di Gesù» (Gv 2,1; l9,25), prima della nascita del Figlio suo è acclamata, sotto la mozione dello Spirito, «la Madre del mio Signore» (Lc 1,43). Infatti, colui che Maria ha concepito come uomo per opera dello Spirito Santo e che è diventato veramente suo Figlio secondo la carne, è il Figlio eterno del Padre, la seconda Persona della Santissima Trinità. La Chiesa confessa che Maria è veramente Madre di Dio.
LA VERGINITÀ DI MARIA
496 – Fin dalle prime formulazioni della fede, la Chiesa ha confessato che Gesù è stato concepito nel seno della Vergine Maria per la sola potenza dello Spirito Santo, ed ha affermato anche l’aspetto corporeo di tale avvenimento: Gesù è stato concepito «senza seme […], per opera dello Spirito Santo». Nel concepimento verginale i Padri ravvisano il segno che si tratta veramente del Figlio di Dio, il quale è venuto in una umanità come la nostra: Così, sant’Ignazio di Antiochia (inizio Il secolo): «Voi siete pienamente convinti riguardo a nostro Signore che è veramente della stirpe di Davide secondo la carne, Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, veramente nato da una Vergine; […] veramente è stato inchiodato [alla croce] per noi, nella sua carne, sotto Ponzio Pilato. […] Veramente ha sofferto, così come veramente è risorto.
497 – I racconti evangelici considerano la concezione verginale un’opera divina che supera ogni comprensione e ogni possibilità umana: «Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo», dice l’angelo a Giuseppe riguardo a Maria, sua sposa (Mt 1,20). La Chiesa vede in ciò il compimento della promessa divina fatta per bocca del profeta Isaia: «Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio» (Is 7,14), secondo la versione greca di Mt 1,23.
498 – Il silenzio del Vangelo secondo san Marco e delle lettere del Nuovo Testamento sul concepimento verginale di Maria è stato talvolta causa di perplessità. Ci si è potuto anche chiedere se non si trattasse di leggende o di elaborazioni teologiche senza pretese di storicità. A ciò si deve rispondere; la fede nel concepimento verginale di Gesù ha incontrato vivace opposizione, sarcasmi o incomprensione da parte dei non-credenti, giudei e pagani: essa non proveniva dalla mitologia pagana né da qualche adattamento alle idee del tempo. Il senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla fede, la quale lo vede in quel «nesso che lega tra loro i vari misteri» nell’insieme dei misteri di Cristo, dalla sua incarnazione alla sua pasqua. Sant’Ignazio di Antiochia già testimonia tale legame: «Rimase nascosta al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre misteri sublimi che si compirono nel silenzio di Dio.
MARIA – «SEMPRE VERGINE»
499 – L’approfondimento della fede nella maternità verginale ha condotto la Chiesa a confessare la verginità reale e perpetua di Maria anche nel parto del Figlio di Dio fatto uomo. Infatti la nascita di Cristo «non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l’ha consacrata». La liturgia della Chiesa celebra Maria come la, «sempre Vergine».
500 – A ciò si obietta talvolta che la Scrittura parla di fratelli e di sorelle di Gesù. La Chiesa ha sempre ritenuto che tali passi non indichino altri figli della Vergine Maria: infatti Giacomo e Giuseppe, «fratelli di Gesù» (Mt 13,55), sono i figli di una Maria discepola di Cristo, la quale è designata in modo significativo come «l’altra Maria» (Mt 28,1). Si tratta di parenti prossimi di Gesù, secondo un’espressione non inusitata nell’Antico Testamento.
501 – Gesù è l’unico Figlio di Maria. Ma la maternità spirituale di Maria estende a tutti gli uomini che egli è venuto a salvare: «Ella ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto il primogenito di una moltitudine di fratelli» (Rm 8,29), cioè dei fedeli, alla cui nascita e formazione ella coopera con amore di madre».
La maternità verginale di Maria nel disegno di Dio
502 – Lo sguardo della fede può scoprire, in connessione con l’insieme della Rivelazione, le ragioni misteriose per le quali Dio, nel suo progetto salvifico, ha voluto che suo Figlio nascesse da una Vergine. Queste ragioni riguardano tanto la persona e la missione redentrice di Cristo, quanto l’accettazione di tale missione da parte di Maria in favore di tutti gli uomini.
503 – La verginità di Maria manifesta l’iniziativa assoluta di Dio nell’incarnazione. Gesù come Padre non ha che Dio. «La natura umana che egli ha assunto non l’ha mai separato dal Padre. […] Per natura Figlio del Padre secondo la divinità, per natura Figlio della Madre secondo l’umanità, ma propriamente Figlio di Dio nelle sue due nature ».
504 – Gesù è concepito per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria perché egli è il nuovo Adamo che inaugura la nuova creazione: «Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo» (1 Cor 15,47). L’umanità di Cristo, fin dal suo concepimento, è ricolma dello Spirito Santo perché Dio gli «dà lo Spirito senza misura» (Gv 3,34). «Dalla pienezza» di lui, capo dell’umanità redenta, «noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia» (Gv 1,16).
505 – Gesù, il nuovo Adamo, inaugura con il suo concepimento verginale la nuova nascita dei figli di adozione nello Spirito Santo per la fede. «Come è possibile?» (Lc l,34). La partecipazione alla vita divina non proviene «da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio» (Gv 1,13). L’accoglienza di questa vita è verginale perché è interamente donata all’uomo dallo Spirito. Il senso sponsale della vocazione umana in rapporto a Dio si compie perfettamente nella maternità verginale di Maria.
506 – Maria è Vergine perché la sua verginità è il segno della sua fede che non era alterata da nessun dubbio e del suo totale abbandono alla volontà di Dio. Per la sua fede ella diviene la Madre del Salvatore: «Beatior est Maria percipiendo fidem Christi quam concipiendo carnem Christi – Maria è più felice nel ricevere la fede di Cristo che nel concepire la carne di Cristo.
507 – Maria è ad un tempo Vergine e Madre perché è la figura e la realizzazione più perfetta della Chiesa: «La Chiesa […] per mezzo della Parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure Madre, poichè con la predicazione e il Battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa è pure la vergine che custodisce integra e pura la fede data allo Sposo.
In sintesi
508 – Nella discendenza di Eva, Dio ha scelto la Vergine Maria perché fosse la Madre del suo Figlio. «Piena di grazia», ella è «il frutto più eccelso della redenzione»: fin dal primo istante del suo concepimento, è interamente preservata da ogni macchia del peccato originale ed è rimasta immune da ogni peccato personale durante tutta la sua vita.
509 – Maria è veramente «Madre di Dio», perché è la Madre del Figlio eterno di Dio fatto uomo, Dio lui stesso.
510 – Maria è rimasta «Vergine nel concepimento del Figlio suo, Vergine nel parto, Vergine incinta, Vergine madre, Vergine perpetua»: con tutto il suo essere, ella è «la serva del Signore» (Lc 1,38).
511 – Maria Vergine «cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza». Ha dato il suo assenso, «loco totius humanae naturae – in nome di tutta l’umanità»: per la sua obbedienza, è diventata la nuova Eva, madre dei viventi.
Paragrafo 3
I MISTERI DELLA VITA DI CRISTO
512 – Il Simbolo della fede, a proposito della vita di Cristo, non parla che dei misteri dell’incarnazione (concezione e nascita) e della pasqua (passione, crocifissione, morte, sepoltura, discesa agli inferi, risurrezione, ascensione). Non dice nulla, in modo esplicito, dei misteri della vita nascosta e della vita pubblica di Gesù, ma gli articoli della fede concernenti l’incarnazione e la pasqua di Gesù illuminano tutta la vita terrena di Cristo. «Tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui (…) fu assunto in cielo» (At 1,1-2) deve essere visto alla luce dei misteri del natale e della pasqua.
513- La catechesi, secondo le circostanze, svilupperà tutta la ricchezza dei misteri di Gesù. Qui basta indicare alcuni elementi comuni a tutti i misteri della vita di Cristo (I), per accennare poi ai principali misteri della vita nascosta (Il) e pubblica (III) di Gesù
I. Tutta la vita di Cristo è mistero.
514 – Non compaiono nei Vangeli molte cose che interessano la curiosità umana a riguardo di Gesù. Quasi niente vi si dice della sua vita a Nazaret, e anche di una notevole parte della sua vita pubblica non si fa parola. Ciò che è contenuto nei Vangeli è stato scritto «perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv20,31).
515 – I Vangeli sono scritti da uomini che sono stati tra i primi a credere e che vogliono condividere con altri la loro fede. Avendo conosciuto, nella fede, chi è Gesù, hanno potuto scorgere e fare scorgere in tutta la sua vita terrena le tracce del suo mistero. Dalle fasce della sua nascita, fino all’aceto della sua passione e al sudario della risurrezione. In tutto nella vita di Gesù è segno del suo mistero. Attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, le sue parole, è stato rivelato che «in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). In tal modo la sua umanità appare come «il sacramento», cioè il segno e lo strumento della sua divinità e della salvezza che egli reca: ciò che era visibile nella sua vita terrena condusse al mistero invisibile della sua filiazione divina e della sua missione redentrice.
I TRATTI COMUNI DEI MISTERI DI GESÙ
516 – Tutta la vita di Cristo è rivelazione del Padre: le sue parole e le sue azioni, i suoi silenzi e le sue sofferenze, il suo modo di essere e di parlare. Gesù può dire: «Chi vede me, vede il Padre » (Gv 14,9), e il Padre: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo» (Lc 9,35). Poiché il nostro Signore si è fatto uomo per compiere la volontà del Padre, i più piccoli tratti dei suoi misteri ci manifestano l’amore di Dio per noi.
517 – Tutta la vita di Cristo è mistero di redenzione. La redenzione è frutto innanzi tutto del sangue della croce, ma questo mistero opera nell’intera vita di Cristo: già nella sua incarnazione, mediante la quale, facendosi povero, ci ha arricchiti con la sua povertà; nella sua vita nascosta che, con la sua sottomissione, ripara la nostra insubordinazione; nella sua parola che purifica i suoi ascoltatori; nelle guarigioni e negli esorcismi che opera, mediante i quali «ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Mt 8,17); nella sua risurrezione, con la quale ci giustifica.
518 – Tutta la vita di Cristo è mistero di ricapitolazione. Quanto Gesù ha fatto, detto e sofferto, aveva come scopo di ristabilire nella sua primitiva vocazione l’uomo decaduto: «Allorché si è incarnato e si è fatto uomo, ha ricapitolato in se stesso la lunga storia degli uomini e in breve ci ha procurato la salvezza, così che noi recuperassimo in Gesù Cristo ciò che avevamo perduto in Adamo, cioè d’essere ad immagine e somiglianza di Dio «Per questo appunto Cristo è passato attraverso tutte le età della vita, restituendo con ciò a tutti gli uomini la comunione con Dio».
LA NOSTRA COMUNIONE AI MISTERI DI GESÙ
519 – Tutta la ricchezza di Cristo è destinata ad ogni uomo e costituisce il bene di ciascuno. Cristo non ha vissuto la sua vita per sé, ma per noi, dalla sua incarnazione «per noi uomini e per la nostra salvezza» fino alla sua morte «per i nostri peccati»(1 Cor 15,3) e alla sua risurrezione «per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). E anche adesso, è nostro avvocato «presso il Padre» (1 Gv 2,1), «essendo sempre vivo per intercedere» a nostro favore (Eb 7,25). Con tutto ciò che ha vissuto e sofferto per noi una volta per tutte, egli resta sempre «al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24).
520 – Durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello: è «l’uomo perfetto» che ci invita a diventare suoi discepoli e a seguirlo; con il suo abbassamento, ci ha dato un esempio da imitare, con la sua preghiera, attira alla preghiera, con la sua povertà, chiama ad accettare liberamente la spogliazione e le persecuzioni.
521 – Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa si che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo». Siamo chiamati a formare una cosa sola con lui; egli ci fa comunicare come membra del suo corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello: «Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completare gli stati e i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa. (…) Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un’estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi misteri mediante le grazie che vuole comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso i suoi misteri. E’ con questo mezzo egli vuole completarli in noi»
l. I misteri dell’infanzia e della vita nascosta di Gesù.
LE PREPARAZIONI
522 – La venuta del Figlio di Dio sulla terra è un avvenimento di tale portata che Dio lo ha voluto preparare nel corso dei secoli. Riti e sacrifici, figure e simboli della «prima Alleanza », li fa convergere tutti verso Cristo; lo annunzia per bocca dei profeti che si succedono in Israele; risveglia inoltre nel cuore dei pagani l’oscura attesa di tale venuta.
523 – San Giovanni Battista è l’immediato precursore del Signore, mandato a preparargli la via. «Profeta dell’Altissimo» (Lc1,76), di tutti i profeti è il più grande e l’ultimo; egli inaugura il Vangelo; saluta la venuta di Cristo fin dal seno di sua madre e trova la sua gioia nell’essere «l’amico dello sposo» (Gv 3,29), che designa come «l’Agnello di Dio… che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). Precedendo Gesù «con lo spirito e la forza di Elia» (Lc 1,17), gli rende testimonianza con la sua predicazione, con il suo battesimo di conversione ed infine con il suo martirio.
524 – La Chiesa, celebrando ogni anno la liturgia dell ‘Avvento, attualizza questa attesa del Messia: mettendosi in comunione con la lunga preparazione della prima venuta del Salvatore, i fedeli ravvivano l’ardente desiderio della sua seconda venuta. Con la celebrazione della nascita e del martirio del Precursore, la Chiesa si unisce al suo desiderio: «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,30).
IL MISTERO DEL NATALE
525 – Gesù è nato nell’umiltà di una stalla, in una famiglia povera; semplici pastori sono i primi testimoni dell’avvenimento. In questa povertà si manifesta la gloria del cielo. La Chiesa non cessa di cantare la gloria di questa notte: «La Vergine Oggi dà alla luce l’Eterno e la terra offre una grotta all’inaccessibile. Gli angeli e i pastori a lui inneggiano e i magi, guidati dalla stella, vengono ad adorano. Tu sei nato per noi piccolo Bambino, Dio eterno!».
526 – «Diventare come i bambini» in rapporto a Dio è la condizione per entrare nel Regno; diventare piccoli; anzi, bisogna «rinascere dall’alto» (Gv 3,7), essere generati da Dio per diventare figli di Dio. Il mistero del natale si compie in noi allorché Cristo «si forma» in noi. Natale è il mistero di questo «meraviglioso scambio»: «O admirabile commercium! Creator generis humani, animatum corpus sumens, de Virgine nasci dignatus est; et proccdens homo sine semine, largitus est nobis suam deitatem – O meraviglioso scambio! Il Creatore ha preso un’anima e un corpo, è nato da una Vergine; fatto uomo senza opera d’uomo, ci dona la sua divinità».
I MISTERI DELL’INFANZIA DI GESÙ
527 – La circoncisione di Gesù, otto giorni dopo la nascita, è segno del suo inserimento nella discendenza di Abramo, nel popolo dell’Alleanza, della sua sottomissione alla Legge, della sua abilitazione al culto d’Israele al quale parteciperà durante tutta la vita. Questo segno è prefigurazione della «circoncisione di Cristo» che è il Battesimo.
528 – L’epifania è la manifestazione di Gesù come Messia d’Israele, Figlio di Dio e Salvatore del mondo. Insieme con il battesimo di Gesù nel Giordano e con le nozze di Cana, essa celebra l’adorazione di Gesù da parte dei «magi» venuti dall’oriente. In questi «magi», che rappresentano le religioni pagane circostanti, il Vangelo vede le primizie delle nazioni che nell’incarnazione accolgono la Buona Novella della salvezza. La venuta dei magi a Gerusalemme per adorare il re dei Giudei mostra che essi, alla luce messianica della stella di Davide, cercano in Israele colui che sarà il re delle nazioni. La loro venuta sta a significare che i pagani non possono riconoscere Gesù e adorarlo come Figlio di Dio e Salvatore del mondo se non volgendosi ai Giudei e ricevendo da loro la Promessa messianica quale è contenuta nell’Antico,
Testamento. L’epifania manifesta che «la grande massa delle genti» entra nella famiglia dei patriarchi e ottiene la «dignità Israelitica».
529 – La presentazione di Gesù al Tempio lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore. In Simeone e Anna è tutta l’attesa di Israele che viene all’incontro con il suo Salvatore (la tradizione bizantina chiama così questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a lungo atteso, «luce delle genti» e «gloria di Israele», ma anche come «segno di contraddizione». La spada di dolore predetta a Maria annunzia l’altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la salvezza «preparata da Dio davanti a tutti i popoli».
530 – La fuga in Egitto e la strage degli innocenti manifestano l’opposizione delle tenebre alla luce: «Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). L’intera vita di Cristo sarà sotto il segno della persecuzione. I suoi condividono con lui questa sorte. Il suo ritorno dall’Egitto ricorda l’Esodo e presenta Gesù come il liberatore definitivo.
I MISTERI DELLA VITA NASCOSTA DI GESÙ
531 – Durante la maggior parte della sua vita, Gesù ha condiviso la condizione della stragrande maggioranza degli uomini: un’esistenza quotidiana senza apparente grandezza, vita di lavoro manuale, vita religiosa giudaica sottomessa alla Legge di Dio, vita nella comunità. Riguardo a tutto questo periodo ci è rivelato che Gesù era sottomesso ai suoi genitori e che «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).
532 – Nella sottomissione di Gesù a sua Madre e al suo padre legale si realizza l’osservanza perfetta del quarto comandamento. Tale sottomissione è l’immagine nel tempo dell’obbedienza filiale al suo Padre celeste. La quotidiana sottomissione di Gesù a Giuseppe e a Maria annunziava e anticipava la sottomissione del Giovedì Santo: «Non (…) la mia volontà…» (Lc 22,42). L’obbedienza di Cristo nel quotidiano della vita nascosta inaugurava già l’opera di restaurazione di ciò che la disobbedienza di Adamo aveva distrutto.
533 – La vita nascosta di Nazaret permette ad ogni uomo di essere in comunione con Gesù nelle vie più ordinarie della vita quotidiana: «Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. […] In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile e indispensabile dello spirito (…). Essa ci insegna il modo di vivere in famiglia. Nazaret ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile […]. Infine impariamo una lezione di lavoro. Oh! dimora di Nazaret, casa del «Figlio del falegname»! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo, ma redentrice della fatica umana […]. Infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello».
534 – Il ritrovamento di Gesù nel Tempio è il solo avvenimento che rompe il silenzio dei Vangeli sugli anni nascosti di Gesù. Gesù vi lascia intravvedere il mistero della sua totale consacrazione a una missione che deriva dalla sua filiazione divina: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Maria e Giuseppe «non compresero» queste parole, ma le accolsero nella fede, e Maria «serbava tutte queste cose nel suo cuore» nel corso degli anni in cui Gesù rimase nascosto nel silenzio di una vita ordinaria.
I misteri della vita pubblica di Gesù.
IL BATTESIMO DI GESÙ
535 – L’inizio della vita pubblica di Gesù è il suo battesimo da parte di Giovanni nel Giordano. Giovanni predicava «un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Lc 3,3). Una folla di peccatori, pubblicani e soldati, farisei e sadducei e prostitute vengono a farsi battezzare da lui. «Allora Gesù andò». Il Battista esita, Gesù insiste: riceve il battesimo. Allora lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, scende su Gesù e una voce dal cielo dice: «Questi è il Figlio mio prediletto» (Mt 3,13-17). E’ la manifestazione («epifania») di Gesù come Messia di Israele e Figlio di Dio.
536 – Il battesimo di Gesù è, da parte di lui, l’accettazione e l’inaugurazione della sua missione di Servo sofferente. Egli si lascia annoverare tra i peccatori; già «l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29); già anticipa il «battesimo» della sua morte cruenta. Già viene ad adempiere «ogni giustizia» (Mt 3,15), cioè si sottomette totalmente alla volontà del Padre suo: accetta per amore il battesimo di morte per la remissione dei nostri peccati. A tale accettazione risponde la voce del Padre che nel Figlio suo si compiace. Lo Spirito, che Gesù possiede in pienezza fin dal suo concepimento, si posa e «rimane» su di lui. Egli ne sarà la sorgente per tutta l’umanità. Al suo battesimo, «si aprirono i cieli» (Mt 3,16) che il peccato di Adamo aveva chiuso; e le acque sono santificate dalla discesa di Gesù e dello Spirito, preludio della nuova creazione.
537 – Con il Battesimo, il cristiano è sacramentalmente assimilato a Gesù, il quale con il suo battesimo anticipa la sua morte e la sua risurrezione; il cristiano deve entrare in questo mistero di umile abbassamento e pentimento, discendere nell’acqua con Gesù, per risalire con lui, rinascere dall’acqua e dallo Spirito per diventare, nel Figlio, figlio amato dal Padre e «camminare in una vita nuova» (Rm 6,4): «Scendiamo nella tomba insieme con Cristo per mezzo del Battesimo, in modo da poter anche risorgere insieme con lui; scendiamo con lui per poter anche risalire con lui; risaliamo con lui, per poter anche essere glorificati con lui». Tutto ciò che é avvenuto in Cristo ci fa comprendere che, dopo l’immersione nell’acqua, lo Spirito Santo vola su di noi dall’alto del cielo e che, adottati dalla voce del Padre, diventiamo figli di Dio»
LA TENTAZIONE DI GESU’
538 – I Vangeli parlano di un tempo di solitudine di Gesù nel deserto, immediatamente dopo che ebbe ricevuto il battesimo da Giovanni: «Lo Spirito lo sospinse nel deserto» (Mc 1,12) ed egli vi rimane quaranta giorni digiunando; sta con le fiere e gli angeli lo servono. Terminato questo periodo, Satana lo tenta tre volte cercando di mettere alla prova la sua disposizione filiale verso Dio. Gesù respinge tali assalti che ricapitolano le tentazioni di Adamo nel paradiso e quelle d’israele nel deserto, e il diavolo si allontana da lui «per ritornare al tempo fissato» (Lc 4,13).
539 – Gli evangelisti rilevano il senso salvifico di questo misterioso avvenimento. Gesù è il nuovo Adamo, rimasto fedele mentre il primo ha ceduto alla tentazione. Gesù compie perfettamente la vocazione d’Israele: contrariamente a coloro che in passato provocarono Dio durante i quaranta anni nel deserto, Cristo si rivela come il Servo di Dio obbediente in tutto alla divina volontà. Così Gesù è vincitore del diavolo: egli ha legato l’uomo forte per riprendergli il suo bottino. La vittoria di Gesù sul tentatore nel deserto anticipa la vittoria della passione, suprema obbedienza del suo amore filiale per il Padre.
540 – La tentazione di Gesù manifesta quale sia la messianicità del Figlio di Dio, in opposizione a quella propostagli da Satana e che gli uomini desiderano attribuirgli. Per questo Cristo ha vinto il tentatore «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato»(Eb 4,15). La Chiesa ogni anno si unisce al mistero di Gesù nel deserto con i quaranta giorni della Quaresima.
«IL REGNO DI DIO E’ VICINO»
541 – «Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: «”Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo”» (Mc 1,14-15). «Cristo, per adempiere la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il regno dei cieli». Ora, la volontà del Padre è di «elevare gli uomini alla partecipazione della vita divina». Lo fa radunando gli uomini attorno al Figlio suo, Gesù Cristo. Questa assemblea è la Chiesa, la quale in terra costituisce «il germe e l’inizio» del regno di Dio.
542 – Cristo è al centro di questa riunione degli uomini nella «famiglia di Dio». Li convoca attorno a sé con la sua parola, con i suoi «segni» che manifestano il regno di Dio, con l’invio dei suoi discepoli. Egli realizzerà la venuta del suo Regno soprattutto con il grande mistero della sua pasqua: la sua morte in croce e la sua risurrezione. «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). «Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo».
L’ANNUNZIO DEL REGNO DI DIO
543 – Tutti gli uomini sono chiamati ad entrare nel Regno. Annunziato dapprima ai figli di Israele, questo regno messianico è destinato ad accogliere gli uomini di tutte le nazioni. Per accedervi, è necessario accogliere la parola di Gesù: «La parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato in un campo: quelli che l’ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo hanno accolto il regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto».
544 – Il Regno appartiene ai poveri e ai piccoli, cioè a coloro che l’hanno accolto con un cuore umile. Gesù è mandato per «annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4,18). Li proclama beati, perché «di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3); ai «piccoli» il Padre si è degnato di rivelare ciò che rimane nascosto ai sapienti e agli intelligenti. Gesù condivide la vita dei poveri, dalla mangiatoia alla croce; conosce la fame, la sete e l’indigenza. Anzi, arriva a identificarsi con ogni tipo di poveri e fa dell’amore operante verso di loro la condizione per entrare nel suo Regno.
545 – Gesù invita i peccatori alla mensa del Regno: «Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,1 7). Li invita alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l’infinita misericordia del Padre suo per loro e l’immensa «gioia che ci sarà in cielo per un peccatore convertito» (Lc 15,7). La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita «in remissione dei peccati» (Mt 26,28).
546 – Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del suo insegnamento. Con esse egli invita al banchetto del Regno, ma chiede anche una scelta radicale: per acquistare il Regno, è necessario «vendere» tutto; le parole non bastano, occorrono 1 fatti. Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? Che uso fa dei talenti ricevuti? Al centro delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per «conoscere i misteri del regno dei cieli» (Mt13,11). Per coloro che rimangono «fuori» (Mc 4,11), tutto resta enigmatico.
I SEGNI DEL REGNO DI DIO
547 – Gesù accompagna le sue parole con numerosi «miracoli, prodigi e segni» (At 2,22), i quali manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù è il Messia annunziato.
548 – I segni compiuti da Gesù testimoniano che il Padre lo ha mandato. Essi sollecitano a credere in lui. A coloro che gli si rivolgono con fede egli concede ciò che domandano. Allora i miracoli rendono più salda la fede in colui che compie le opere del Padre suo: testimoniano che egli è il Figlio di Dio. Ma possono anche essere motivo di scandalo. Non mirano a soddisfare la curiosità e i desideri di qualcosa di magico. Nonostante i suoi miracoli tanto evidenti, Gesù è rifiutato da alcuni; lo si accusa perfino di agire per mezzo dei demoni.
549 – Liberando alcuni uomini dai mali terreni della fame, dell’ingiustizia, ella malattia e della morte, Gesù ha posto dei segni messianici; egli non è venuto tuttavia per eliminare tutti i mali di quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, che li ostacola nella loro vocazione di figli di Dio e causa tutti i loro asservimenti umani.
550 – La venuta del regno di Dio è la sconfitta del regno di Satana: «Se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 12,28). Gli esorcismi di Gesù liberano alcuni uomini dal tormento dei demoni. Anticipano la grande vittoria di Gesù sul «principe di questo mondo». Il regno di Dio sarà definitivamente stabilito per mezzo della croce di Cristo: «Regnavit a ligno Deus Dio regnò dalla croce»
«LE CHIAVI DEL REGNO»
551 – Fin dagli inizi della vita pubblica, Gesù sceglie dodici uomini perché stiano con lui e prendano parte alla sua missione; li fa partecipi della sua autorità e li manda «ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi» (Lc 9,2). Restano per sempre associati al regno di Cristo, che, per mezzo di essi, guida la Chiesa: «Io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me; perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno, e siederete in trono a giudicare le dodici tribù d’Israele» (Lc 22,29-30).
552 – Nel collegio dei Dodici Simon Pietro occupa il primo posto. Gesù a lui ha affidato una missione unica. Grazie ad una rivelazione concessagli dal Padre, Pietro aveva confessato: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Nostro Signore allora gli aveva detto: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18). Cristo, «Pietra viva », assicura alla sua Chiesa fondata su Pietro la vittoria sulle potenze di morte. Pietro, a causa della fede da lui confessata, resterà la roccia incrollabile della Chiesa. Avrà la missione di custodire la fede nella sua integrità e di confermare i suoi fratelli.
553 – Gesù ha conferito a Pietro un potere specifico: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19). Il «potere delle chiavi» designa l’autorità per governare la casa di Dio, che è la Chiesa. Gesù, «il Buon Pastore» (Gv 10,11), ha confermato questo incarico dopo la risurrezione: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,15-17). Il potere di «legare e sciogliere» indica l’autorità di assolvere dai peccati, di pronunciare giudizi in materia di dottrina, e prendere decisioni disciplinari nella Chiesa. Gesù ha conferito tale autorità alla Chiesa attraverso il ministero degli Apostoli e particolarmente di Pietro, il solo cui ha esplicitamente affidato le chiavi del Regno.
UN ANTICIPO DEL REGNO: LA TRASFIGURAZIONE
554 – Dal giorno in cui Pietro ha confessato che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, il Maestro «cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme, e soffrire molto […] e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (Mt 16,21). Pietro protesta a questo annunzio, gli altri addirittura non lo comprendono. In tale contesto si colloca l’episodio misterioso della trasfigurazione di Gesù su un alto monte, davanti a tre testimoni da lui scelti: Pietro, Giacomo e Giovanni. Il volto e la veste di Gesù diventano sfolgoranti di luce, appaiono Mosé ed Elia che parlano «della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9,31). Una nube li avvolge e una voce dal cielo dice: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo» (Lc 9,35).
555 – Per un istante, Gesù mostra la sua gloria divina, confermando così la confessione di Pietro. Rivela anche che, per «entrare nella sua gloria» (Lc 24,26), deve passare attraverso la croce a Gerusalemme. Mosé ed Elia avevano visto la gloria di Dio sul monte; la Legge e i profeti avevano annunziato le sofferenze del Messia. La passione di Gesù è proprio la volontà del Padre: il Figlio agisce come Servo di Dio. La nube indica la presenza dello Spirito Santo: «Tota Trinitas apparuit: Pater in voce, Filius in homine, Spiritus in nube clara – Apparve tutta la Trinità: il Padre nella voce, il Figlio nell’uomo, lo Spirito nella nube luminosa»: Tu ti sei trasfigurato sul monte, e, nella misura in cui ne erano capaci, i tuoi discepoli hanno contemplato la tua gloria, Cristo Dio, affinché, quando ti avrebbero visto crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria ed annunziassero al mondo che tu sei veramente l’irradiazione del Padre».
556 – Alla soglia della vita pubblica: il battesimo; alla soglia della pasqua: la trasfigurazione. Col battesimo di Gesù «declaratum fuit mysterium primae regenerationis – fu manifestato il mistero della prima rigenerazione»: il nostro Battesimo; la trasfigurazione «est sacramentum secundae regenerationis – è il sacramento della seconda rigenerazione»: la nostra risurrezione. Fin d’ora noi partecipiamo alla risurrezione del Signore mediante lo Spirito Santo che agisce nel sacramento del corpo di Cristo. La trasfigurazione ci offre un anticipo della venuta gloriosa di Cristo «il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21). Ma ci ricorda anche che «è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (At 14,22): «Pietro non lo capiva ancora quando sul monte desiderava vivere con Cristo. Questa felicità Cristo te la riservava dopo la morte, o Pietro. Ora invece egli stesso ti dice: Discendi ad affaticarti sulla terra, a servire sulla terra, a essere disprezzato, a essere crocifisso sulla terra. E discesa la vita per essere uccisa; è disceso il pane per sentire la fame; è discesa la via, perché sentisse la stanchezza del cammino; è discesa la sorgente per aver sete; e tu rifiuti di soffrire?».
LA SALITA DI GESÙ A GERUSALEMME
557 – «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme»(Lc 9,5l). Con questa decisione, indicava che saliva a Gerusalemme pronto a morire. A tre riprese aveva annunziato la sua passione e la sua risurrezione. Dirigendosi verso Gerusalemme dice: «Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme» (Lc 13,33).
558 – Gesù ricorda il martirio dei profeti che erano stati messi a morte a Gerusalemme. Tuttavia, non desiste dall’invitare Gerusalemme a raccogliersi attorno a lui: «Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!» (Mt 23,37b). Quando arriva in vista di Gerusalemme, Gesù piange sulla città ed ancora una volta manifesta il desiderio del suo cuore: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace! Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi» (Lc 19,42).
L’INGRESSO MESSIANICO DI GESÙ A GERUSALEMME
559 – Come Gerusalemme accoglierà il suo Messia? Dopo essersi sempre sottratto ai tentativi del popolo di farlo re, Gesù sceglie il tempo e prepara nei dettagli il suo ingresso messianico nella città di «Davide, suo padre» (Lc l,32). E’ acclamato come il figlio di Davide, colui che porta la salvezza (Hosanna significa: «Oh, sì, salvaci!», «donaci la salvezza!»). Ora, «Re della gloria» (Sal 24,7-10), entra nella sua città «cavalcando un asino»: (Zc 9,9) egli non conquista la Figlia di Sion, figura della sua Chiesa, né con l’astuzia né con la violenza, ma con l’umiltà che rende testimonianza alla verità. Per questo i soggetti del suo Regno, in quel giorno, sono i fanciulli e i «poveri di Dio», i quali lo acclamano come gli angeli lo avevano annunziato ai pastori. La loro acclamazione, «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Sal 1352 118,26), è ripresa dalla Chiesa nel «Santo» della liturgia eucaristica come introduzione al memoriale della pasqua del Signore.
560 – L’ingresso di Gesù a Gerusalemme manifesta l’avvento del Regno che il Re-Messia si accinge a realizzare con la pasqua della sua morte e risurrezione. Con la celebrazione dell’entrata di Gesù in Gerusalemme, la domenica delle Palme, la liturgia della Chiesa dà inizio alla Settimana Santa.
In sintesi
561 – «Tutta la vita di Cristo fu un insegnamento continuo: i suoi silenzi, i suoi miracoli, i suoi gesti, la sua preghiera, il suo amore per l’uomo, la sua predilezione per i piccoli e per i poveri, l’accettazione del sacrificio totale sulla croce per la redenzione del mondo, la sua risurrezione sono l’attuazione della sua parola e il compimento della Rivelazione».
562 – I discepoli di Cristo devono conformarsi a lui, finché egli sia formato in loro. «Per questo siamo assunti ai misteri della sua vita, resi conformi a lui, morti e risuscitati con lui, finché con lui regneremo».
563 – Pastori o magi, non si può incontrare Dio quaggiù che inginocchiandosi davanti alla mangiatoia di Betlemme e adorandolo nascosto nella debolezza di un bambino.
564 – Con la sua sottomissione a Maria e a Giuseppe, come pure con il suo umile lavoro durante i lunghi anni di Nazaret, Gesù ci dà l’esempio della santità nella vita quotidiana della famiglia e del lavoro.
565 – Dall’inizio della sua vita pubblica al momento del suo battesimo, Gesù é il «Servo» totalmente consacrato all’opera redentrice che avrà il compimento nel «battesimo» della sua passione.
566 – La tentazione nel deserto mostra Gesù Messia umile che trionfa su Satana in forza della sua piena adesione al disegno di salvezza voluto dal Padre.
567 – Il regno dei cieli è stato inaugurato in terra da Cristo. «Si manifesta chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere, nella persona di Cristo». La Chiesa è il germe e l’inizio di questo regno. Le sue chiavi sono affidate a Pietro.
568 – La trasfigurazione di Gesù ha come fine di consolidare la fede degli Apostoli in vista della passione: la salita sull ‘«alto monte» prepara la salita al Calvario. Cristo, Capo della Chiesa, manifesta ciò che il suo corpo contiene e irradia nei sacramenti: «la speranza della gloria» (Col l,27).
569 – Gesù è salito a Gerusalemme volontariamente, sapendo che vi sarebbe morto di morte violenta a causa della grande ostilità dei peccatori.
570 – L’ingresso di Gesù a Gerusalemme è la manifestazione dell’avvento del Regno che il Re-Messia, accolto nella sua città dai fanciulli e dagli umili di cuore, si accinge a realizzare con la pasqua della sua morte e risurrezione.
Articolo 4
«GESU’ CRISTO PATI’ SOTTO PONZIO PILATO, FU CROCIFISSO, MORI E FU SEPOLTO»
571 – Il mistero pasquale della croce e della risurrezione di Cristo è al centro della Buona Novella che gli Apostoli, e la Chiesa dopo di loro, devono annunziare al mondo. Il disegno salvifico di Dio si è compiuto «una volta sola» (Eb 9,26) con la morte redentrice del Figlio suo Gesù Cristo.
572 – La Chiesa resta fedele all’interpretazione di tutte le Scritture data da Gesù stesso sia prima, sia dopo la sua pasqua: «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,26). Le sofferenze di Gesù hanno preso la loro forma storica concreta dal fatto che egli è stato «riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi» (Mc 8,31), i quali lo hanno consegnato «ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso» (Mt 20,19).
573 – La fede può dunque cercare di indagare le circostanze della morte di Gesù, fedelmente riferite dai Vangeli e illuminate da altre fonti storiche, al fine di una migliore comprensione del senso della redenzione.
Paragrafo 1
GESU E ISRAELE
574 – Fin dagli inizi del ministero pubblico di Gesù, alcuni farisei e alcuni sostenitori di Frode, con alcuni sacerdoti e scribi, si sono accordati per farlo morire. Per certe sue azioni (per la cacciata dei demoni; il perdono dei peccati; le guarigioni in giorno di sabato; la propria interpretazione dei precetti di purità legale; la familiarità con i pubblicani e i pubblici peccatori. Gesù è apparso ad alcuni malintenzionati sospetto di possessione demoniaca. Lo si è accusato di bestemmia e di falso profetismo, crimini religiosi che la Legge puniva con la pena di morte sotto forma di lapidazione.
575 – Molte azioni e parole di Gesù sono dunque state un «segno di contraddizione» per le autorità religiose di Gerusalemme, quelle che il Vangelo di san Giovanni spesso chiama «i Giudei», ancor più che per il comune popolo di Dio. Certamente, i suoi rapporti con i farisei non furono esclusivamente polemici. Ci sono dei farisei che lo mettono in guardia in ordine al pericolo che corre. Gesù loda alcuni di loro, come lo scriba di Mc 12,34, e mangia più volte in casa di farisei. Gesù conferma dottrine condivise da questa élite religiosa del popolo di Dio: la risurrezione dei morti, le forme di pietà (elemosina, preghiera e digiuno), e l’abitudine di rivolgersi a Dio come Padre, la centralità del comandamento dell’amore di Dio e del prossimo.
576 – Agli occhi di molti in Israele, Gesù sembra agire contro le istituzioni fondamentali del popolo eletto: l’obbedienza alla Legge nell’integralità dei suoi precetti scritti e, per i farisei, nell’interpretazione della tradizione orale; la centralità del Tempio di Gerusalemme come luogo santo dove Dio abita in un modo privilegiato; la fede nell’unico Dio del quale nessun uomo può condividere la gloria
I. Gesù e la Legge.
577 – Gesù ha fatto una solenne precisazione all’inizio del discorso della montagna, quando ha presentato, alla luce della grazia della Nuova Alleanza, la Legge data da Dio sul Sinai al momento della prima Alleanza: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla Legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli» (Mt 5,17-19).
578 – Gesù, il Messia d’Israele, il più grande quindi nel regno dei cieli, aveva il dovere di osservare la Legge, praticandola nella sua integralità fin nei minimi precetti, secondo le sue stesse parole. Ed è anche il solo che l’abbia potuto fare perfettamente. Gli Ebrei, secondo quanto essi stessi confessano, non hanno mai potuto osservare la Legge nella sua integralità senza trasgredire il più piccolo precetto. Per questo, ogni anno, alla festa dell’Espiazione, i figli d’Israele chiedono perdono a Dio per le loro trasgressioni della Legge. In realtà, la Legge costituisce un tutto unico e, come ricorda san Giacomo, «chiunque osservi tutta la Legge, ma la trasgredisca in un punto solo, diventa colpevole di tutto» (Gc 2,l0).
579 – Il principio dell’integralità dell’osservanza della Legge, non solo nella lettera ma nel suo spirito, era caro ai farisei. Mettendolo in forte risalto per Israele, essi hanno condotto molti ebrei del tempo di Gesù a uno zelo religioso estremo. E questo, se non voleva risolversi in una casistica «ipocrita», non poteva che preparare il popolo a quell’inaudito intervento di Dio che sarà l’osservanza perfetta della Legge da parte dell’unico Giusto al posto di tutti i peccatori.
580 – L’adempimento perfetto della Legge poteva essere soltanto opera del divino Legislatore nato Sotto la Legge nella Persona del Figlio. Con Gesù, la Legge non appare più incisa su tavole di pietra ma scritta «nell’animo» e nel «cuore» (Ger 31,33) del Servo che, proclamando «il diritto con fermezza» (Is 42,3), diventa l’« alleanza del popolo» (Is 42,6). Gesù compie la Legge fino a prendere su di sé «la maledizione della Legge», in cui erano incorsi coloro che non erano rimasti fedeli «a tutte le cose scritte nel libro della Legge»; infatti la morte di Cristo intervenne «per la redenzione delle colpe commesse sotto la prima Alleanza» (Eb 9,15).
581 – Gesù é apparso agli occhi degli Ebrei e dei loro capi spirituali come un «rabbi». Spesso egli ha usato argomentazioni che rientravano nel quadro dell’interpretazione rabbinica della Legge. Ma al tempo stesso, Gesù non poteva che urtare i dottori della Legge; infatti, non si limitava a proporre la sua interpretazione accanto alle loro; «egli insegnava come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7,29). In lui, è la Parola stessa di Dio, risuonata sul Sinai per dare a Mosè la Legge scritta, a farsi di nuovo sentire sul monte delle beatitudini. Questa Parola non abolisce la Legge, ma la porta a compimento dandone in maniera divina l’interpretazione definitiva: «Avete inteso che fu detto agli antichi […]; ma io vi dico» (Mt 5,33-34). Con questa stessa autorità divina, Gesù sconfessa certe «tradizioni degli uomini» care ai farisei i quali annullano la parola di Dio.
582 – Spingendosi oltre, Gesù dà compimento alla Legge sulla purità degli alimenti, tanto importante nella vita quotidiana giudaica, svelandone il senso «pedagogico» con una interpretazione divina: «Tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo […]. Dichiarava così mondi tutti gli alimenti […]. Ciò che esce dall’uomo, questo si contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore dell’uomo, escono le intenzioni cattive» (Mc 7,18-21). Dando con autorità divina l’interpretazione definitiva della Legge, Gesù si é trovato a scontrarsi con certi dottori della Legge, i quali non accettavano la sua interpretazione, sebbene fosse garantita dai segni divini che la accompagnavano. Ciò vale soprattutto per la questione del sabato: Gesù ricorda, ricorrendo spesso ad argomentazioni rabbiniche, che il riposo del sabato non viene violato dal servizio di Dio o del prossimo, servizio che le guarigioni da lui operate compiono
lI. Gesù e il Tempio.
583 – Gesù, come prima di lui i profeti, ha manifestato per il Tempio di Gerusalemme il più profondo rispetto. Vi è stato presentato da Giuseppe e Maria quaranta giorni dopo la nascita. All’età di dodici anni decide di rimanere nel Tempio, per ricordare ai suoi genitori che egli deve occuparsi delle cose del Padre suo. Vi è salito ogni anno, almeno per la Pasqua, durante la sua vita nascosta; lo stesso suo ministero publico è stato ritmato dai suoi pellegrinaggi a Gerusalemme per le grandi feste ebraiche.
584 – Gesù è salito al Tempio come al luogo privilegiato dell’incontro con Dio. Per lui il Tempio è la dimora del Padre suo, una casa di preghiera, e si accende di sdegno per il fatto che il cortile esterno è diventato un luogo di commercio. Se scaccia i mercanti dal Tempio, a ciò è spinto dall’amore geloso per il Padre suo: «Non fate della casa di mio Padre un luogo di mercato. I discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi divora” (Sal 69,10)» (Gv 2,16-17). Dopo la sua risurrezione, gli Apostoli hanno conservato un religioso rispetto per il Tempio.
585 – Alla vigilia della sua passione, Gesù ha però annunziato la distruzione di questo splendido edificio, di cui non sarebbe rimasta pietra su pietra. In ciò vi è l’annunzio di un segno degli ultimi tempi che stanno per iniziare con la sua pasqua. Ma questa profezia ha potuto essere riferita in maniera deformata da falsi testimoni al momento del suo interrogatorio presso il sommo sacerdote e ripetuta come ingiuria mentre era inchiodato sulla croce.
586 – Lungi dall’essere stato ostile al Tempio dove ha dato l’essenziale del suo insegnamento, Gesù ha voluto pagare la tassa per il Tempio associandosi a Pietro, che aveva posto come fondamento di quella che sarebbe stata la sua Chiesa. Ancor più, egli si è identificato con il Tempio presentandosi come la dimora definitiva di Dio in mezzo agli uomini. Per questo la sua uccisione nel corpo annunzia la distruzione del Tempio, distruzione che manifesterà l’entrata in una nuova età della storia della salvezza: «È giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv 4,21).
III. Gesù e la fede d’Israele nel Dio unico e Salvatore.
587 – Se la Legge e il Tempio di Gerusalemme hanno potuto essere occasione di «contraddizione» da parte di Gesù per le autorità religiose di Israele, è però il suo ruolo nella redenzione dei peccati opera divina per eccellenza, a rappresentare per costoro la vera pietra d’inciampo.
588 – Gesù ha scandalizzato i farisei mangiando con i pubblicani e i peccatori con la stessa familiarità con cui pranzava con loro. Contro quelli tra i farisei «che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri» (Lc l8,9), Gesù ha affermato: «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5,32). Si è spinto oltre, proclamando davanti ai farisei che, essendo il peccato universale, coloro che presumono di non avere bisogno di salvezza, sono ciechi sul proprio conto.
589 – Gesù ha suscitato scandalo soprattutto per aver identificato il proprio comportamento misericordioso verso i peccatori con l’atteggiamento di Dio stesso a loro riguardo. È arrivato a lasciar intendere che, sedendo a mensa con i peccatori, li ammetteva al banchetto messianico. Ma è soprattutto perdonando i peccati, che Gesù ha messo le autorità religiose di Israele di fronte a un dilemma. Costoro non erano nel giusto quando, costernati dicevano: «Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?» (Mc 2,7)? Perdonando i peccati, Gesù o bestemmia perché è un uomo che si fa uguale a Dio, oppure dice il vero e la sua persona rende presente e rivela il nome di Dio.
590 – Soltanto l’identità divina della persona di Gesù può giustificare un’esigenza assoluta come questa: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12,30); altrettanto quando egli dice che in lui c’è «più di Giona, […] più di Salomone» (Mt 12,41-42), qualcosa più grande del Tempio; quando ricorda, a proprio riguardo, che Davide ha chiamato il Messia suo Signore, e quando afferma: «Prima che Abramo fosse, Io Sono» (Gv 8,58); e anche: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30).
591 – Gesù ha chiesto alle autorità religiose di Gerusalemme di credere in lui a causa delle opere del Padre che egli compiva. Un tale atto di fede, però, doveva passare attraverso una misteriosa morte a se stessi per una rinascita dall’alto, sotto lo stimolo della grazia divina. Una simile esigenza di conversione di fronte a un così sorprendente compimento delle promesse permette di capire il tragico disprezzo del sinedrio che ha stimato Gesù meritevole di morte perché bestemmiatore. I suoi membri agivano così per ignoranza e al tempo stesso per l’indurimento dell’incredulità.
In sintesi
592 – Gesù non ha abolito la Legge del Sinai, ma l’ha portala a compimento con una tale perfezione da rivelarne il senso ultimo e da riscattarne le trasgressioni.
593 – Gesù ha venerato il Tempio salendovi in occasione delle feste ebraiche di pellegrinaggio e ha amato di un amore geloso questa dimora di Dio in mezzo agli uomini. Il Tempio prefigura il suo mistero. Se ne predice la distruzione, e’ per manifestare la sua propria uccisione e l’inizio di una nuova epoca della storia della salvezza, nella quale il suo corpo sarà il Tempio definitivo.
594 – Gesù ha compiuto azioni, quale il perdono dei peccati, che lo hanno rivelato come il Dio Salvatore. Alcuni Giudei, i quali non riconoscevano il Disfatto uomo, ma vedevano in lui «un uomo» che si faceva Dio, l’hanno giudicato un bestemmiatore.
Paragrafo 2
GESU MORI’ CROCIFISSO
I. Il processo a Gesù.
DIVISIONI DELLE AUTORITÀ EBRAICHE A RIGUARDO DI GESÙ
595 – Tra le autorità religiose di Gerusalemme non ci sono stati solamente il fariseo Nicodemo o il notabile Giuseppe di Arimatea ad essere, di nascosto, discepoli di Gesù, ma a proposito di lui sono sorti dissensi per lungo tempo al punto che, alla vigilia stessa della sua passione, san Giovanni può dire: «Tra i capi, molti credettero in lui», anche se in maniera assai imperfetta (Gv 12,42). La cosa non ha nulla di sorprendente se si tiene presente che all’indomani della pentecoste «un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede» (At 6,7) e che «alcuni della setta dei farisei erano diventati credenti» (At 15,5) al punto che san Giacomo può dire a san Paolo: «Tu vedi, o fratello, quante migliaia di Giudei sono venuti alla fede e tutti sono gelosamente attaccati alla Legge» (At 21,20).
596 – Le autorità religiose di Gerusalemme non sono state unanimi nella condotta da tenere nei riguardi di Gesù. I farisei hanno minacciato di scomunica coloro che Io avrebbero seguito. A coloro che temevano; «Tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione» (Gv 11,48) il sommo sacerdote Caifa propose profetizzando: «[È] meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera» (Gv 11,50). Il Sinedrio, avendo dichiarato Gesù reo di morte in quanto bestemmiatore, ma avendo perduto il diritto di mettere a morte, consegna Gesù ai Romani accusandolo di rivolta politica, cosa che lo metterà alla pari con Barabba accusato di «sommossa» (Lc 23,19). Sono anche minacce politiche quelle che i sommi sacerdoti esercitano su Pilato perché egli condanni a morte Gesù.
GLI EBREI NON SONO COLLETTIVAMENTE RESPONSABILI DELLA MORTE DI GESÙ
597 – Tenendo conto della complessità storica del processo a Gesù espressa nei racconti evangelici, e qualunque possa essere stato il peccato personale dei protagonisti del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità all’insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la pentecoste. Gesù stesso perdonando sulla croce e Pietro sul suo esempio hanno riconosciuto l’«ignoranza» degli Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi. Ancor meno si può, a partire dal grido del popolo: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli» (Mt 27,25) che è una formula di ratificazione, estendere la responsabilità agli altri Ebrei nel tempo e nello spazio: Molto bene la Chiesa ha dichiarato nel Concilio Vaticano II: «Quanto è stato commesso durante la passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. […] Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura.
TUTTI I PECCATORI FURONO AUTORI DELLA PASSIONE DI CRISTO
598 – La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che «ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle […] sofferenze» del divino Redentore. Tenendo conto del fatto che i nostri peccati offendono Cristo stesso, la Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù, responsabilità che troppo spesso essi hanno fatto ricadere unicamente sugli Ebrei: «È chiaro che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel peccato. Se infatti le nostre colpe hanno condotto Cristo al supplizio della croce, coloro che si immergono nell’iniquità crocifiggono nuovamente, per quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo scherniscono con un delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei. Questi infatti – afferma san Paolo – se lo avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1 Cor 2,8). Noi cristiani, invece, pur confessando di conoscerlo, di fatto lo rinneghiamo con le nostre opere e leviamo contro di lui le nostre mani violente e peccatrici ». «E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi, quando ti diletti nei vizi e nei peccati»
Il. La morte redentrice di Cristo nel disegno divino della salvezza.
«GESÙ CONSEGNATO SECONDO IL DISEGNO PRESTABILITO DI DIO»
599 – La morte violenta di Gesù non è stata frutto del caso in un concorso sfavorevole di circostanze. Essa appartiene al mistero del disegno di Dio, come primo discorso di pentecoste: «Egli fu consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio» (At2,23). Questo linguaggio biblico non significa che quelli che hanno consegnato Gesù siano stati solo esecutori passivi di una vicenda scritta in precedenza da Dio.
600 – Tutti i momenti del tempo sono presenti a Dio nella loro attualità. Egli stabilì dunque il suo disegno eterno di «predestinazione» includendovi la risposta libera di ogni uomo alla sua grazia: «Davvero in questa città si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli d’Israele per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse» (At 4,27-28). Dio ha permesso gli atti derivati dal loro accecamento al fine di compiere il suo disegno di salvezza.
«MORTO PER I NOSTRI PECCATI SECONDO LE SCRITTURE»
601 – Questo disegno divino di salvezza attraverso la messa a morte del «Servo Giusto» era stato anticipatamente annunziato nelle Scritture come un mistero di redenzione universale, cioè di riscatto che libera gli uomini dalla schiavitù dei peccato. San Paolo professa, in una confessione di fede che egli dice di avere «ricevuto», che «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1 Cor 1 5,3), La morte redentrice di Gesù compie in particolare la profezia del Servo sofferente. Gesù stesso ha presentato il senso della sua vita e della sua morte alla luce del Servo sofferente. Dopo la risurrezione, egli ha dato questa interpretazione delle Scritture ai discepoli di Emmaus, poi agli stessi Apostoli.
«Dio l’ha fatto peccato per noi».
602 – San Pietro può, di conseguenza, formulare così la fede apostolica nel disegno divino della salvezza: «Foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri […] con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato, già prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi» (1 Pt 1,18-20). I peccati degli uomini, conseguenti al peccato originale, sono sanzionati dalla morte. Inviando il suo proprio Figlio nella condizione di servo, quella di una umanità decaduta e votata alla morte a causa del peccato, «colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2 Cor 5,21).
603 – Gesù non ha conosciuto la riprovazione come se egli stesso avesse peccato. Ma nell’amore redentore che sempre lo univa al Padre, egli ci ha assunto nella nostra separazione da Dio a causa del peccato al punto da poter dire a nome nostro sulla croce: «Mio Dio, mio Dio, «perché mi hai abbandonato?» (Mc l5,34). Avendolo reso così solidale con noi peccatori, «Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi» (Rm 8,32) affinché noi fossimo «riconciliati con lui per mezzo della morte del Figlio suo» (Rm 5,10).
DIO HA L’INIZIATIVA DELL’AMORE REDENTORE UNIVERSALE
604 – Nel consegnare suo Figlio per i nostri peccati, Dio manifesta che il suo disegno su di noi è un disegno di amore benevolo che precede ogni merito da parte nostra: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,l0). «Dio dimostra il suo amore verso dì noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).
605 – Questo amore è senza esclusioni; Gesù l’ha richiamato a conclusione della parabola della pecorella smarrita: «Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo dì questi piccoli» (Mt 18,14). Egli afferma di «dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt20,28); quest’ultimo termine non è restrittivo: oppone l’insieme dell’umanità all’unica persona del Redentore che si consegna per salvarla. La Chiesa, seguendo gli Apostoli, insegna che Cristo è morto per tutti senza eccezioni: «Non vi è, non vi è stato, non vi sarà alcun uomo per il quale Cristo non abbia sofferto».
III. Cristo ha offerto se stesso al Padre per i nostri peccati.
TUTTA LA VITA DI CRISTO È OFFERTA AL PADRE
606 – Il Figlio di Dio disceso dal cielo non per fare la sua volontà ma quella di colui che l’ha mandato, «entrando nel mondo dice: […] Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà. […] Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» (Eb 10,5-10). Dal primo istante della sua incarnazione, il Figlio abbraccia nella sua missione redentrice il disegno divino di salvezza: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). Il sacrificio di Gesù «per i peccati di tutto il mondo» (1 Gv 2,2) è l’espressione della sua comunione d’amore con il Padre: «Il Padre mi ama perché io offro la mia vita» (Gv 10,17). «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (Gv 14,31).
607 – Questo desiderio di abbracciare il disegno di amore redentore del Padre suo anima tutta la vita di Gesù perché la sua passione redentrice è la ragion d’essere della sua incarnazione: «Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!» (Gv 12,27). «Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?» (Gv 18,11). E ancora sulla croce, prima che «tutto [sia] compiuto» (Gv 19,30), egli dice: «Ho sete» (Gv 19,28).
«L’AGNELLO CHE TOGLIE IL PECCATO DEL MONDO»
608 – Dopo aver accettato di dargli il battesimo tra i peccatori, Giovanni Battista ha visto e mostrato in Gesù l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo. Egli manifesta così che Gesù è insieme il Servo sofferente che si lascia condurre in silenzio al macello e porta il peccato delle moltitudini e l’Agnello pasquale simbolo della redenzione di Israele al tempo della prima pasqua. Tutta la vita di Cristo esprime la sua missione: servire e dare la propria vita in riscatto per molti.
GESÙ LIBERAMENTE FA SUO L’AMORE REDENTORE DEL PADRE
609 – Accogliendo nel suo cuore umano l’amore del Padre per gli uomini, Gesù «li amò sino alla fine» (Gv 13,1), «perché nessuno ha un amore più grande di questo: dare la propria vita per i propri amici» (Gv 15,13). Così nella sofferenza e nella morte la sua umanità è diventata lo strumento libero e perfetto del suo amore divino che vuole la salvezza degli uomini. Infatti, egli ha liberamente accettato la sua passione e la sua morte per amore del Padre suo e degli uomini che il Padre vuole salvare: «Nessuno mi toglie [la vita], ma la offro da me stesso» (Gv 10,18). Di qui la sovrana libertà del Figlio di Dio quando va liberamente verso la morte.
ALLA CENA GESÙ HA ANTICIPATO L’OFFERTA LIBERA DELLA SUA VITA
610 – La libera offerta che Gesù fa di se stesso ha la sua più alta espressione nella Cena consumata con i dodici Apostoli nella «notte in cui veniva tradito» (1 Cor 11,23). La vigilia della sua passione, Gesù, quand’era ancora libero, ha fatto di quest’ultima Cena con i suoi Apostoli il memoriale della volontaria offerta di sé al Padre per la salvezza degli uomini: «Questo è il mio corpo che è dato per voi» (Lc22,19). «Questo è il mio sangue dell’Alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati » (Mt 26,28).
611 – L’Eucaristia che egli istituisce in questo momento sarà il «memoriale » del suo sacrificio. Gesù nella sua offerta include gli Apostoli e chiede loro di perpetuarla. Con ciò, Gesù istituisce i suoi Apostoli sacerdoti della Nuova Alleanza: «Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv l7,l9). L’AGONIA DEL GETSEMANI
612 – Il calice della Nuova Alleanza, che Gesù ha anticipato alla Cena offrendo se stesso, in seguito egli lo accoglie dalle mani del Padre nell’agonia al Getsemani facendosi «obbediente fino alla morte» (Fil 2,8). Gesù prega: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!» (Mt 26,39). Egli esprime così l’orrore che la morte rappresenta per la sua natura umana. Questa, infatti, come la nostra, è destinata alla vita eterna; in più, a differenza della nostra, è perfettamente esente dal peccato che causa la morte; ma soprattutto è assunta dalla Persona divina dell’«Autore della vita» del «Vivente». Accettando nella sua volontà umana che sia fatta la volontà del Padre, Gesù accetta la sua morte in quanto redentrice, per «portare i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1 Pt 2,24).
LA MORTE DI CRISTO È IL SACRIFICIO UNICO E DEFINITIVO
613 – La morte di Cristo è contemporaneamente il sacrificio pasquale che compie la redenzione definitiva degli uomini per mezzo dell’Agnello che toglie il peccato del mondo e il sacrificio della Nuova Alleanza, che di nuovo mette l’uomo in comunione con Dio riconciliandolo con lui mediante il sangue versato per molti in remissione dei peccati.
614 – Questo sacrificio di Cristo è unico: compie e supera tutti i sacrifici. Esso è innanzitutto un dono dello stesso Dio Padre che consegna il Figlio suo per riconciliare noi con lui. Nel medesimo tempo è offerta del Figlio di Dio fatto uomo che, liberamente e per amore, offre la propria vita al Padre suo nello Spirito Santo per riparare la nostra disobbedienza.
GESÙ SOSTITUISCE LA SUA OBBEDIENZA ALLA NOSTRA DISOBBEDIENZA
615 – «Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,19). Con la sua obbedienza fino alla morte, Gesù ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre se stesso in espiazione, mentre porta il peccato di molti, e li giustifica addossandosi la loro iniquità. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati.
SULLA CROCE, GESÙ CONSUMA IL SUO SACRIFICIO
616 – È l’amore sino alla fine che conferisce valore di redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo. Egli ci ha tutti conosciuti e amati nell’offerta della sua vita. «L’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti» (2 Cor 5,14). Nessun uomo, fosse pure il più santo, era in grado di prendere su di sé i peccati di tutti gli uomini e di offrirsi in sacrificio per tutti. L’esistenza in Cristo della Persona divina del Figlio, che supera e nel medesimo tempo abbraccia tutte le persone umane e lo costituisce Capo di tutta l’umanità, rende possibile il suo sacrificio redentore per tutti.
617 – «Sua sanctissima passione in ligno crucis nobis iustificationem meruit – Con la sua Santissima passione sul legno della croce ci meritò la giustificazione», insegna il Concilio di Trento sottolineando il carattere unico del sacrificio di Cristo come causa di salvezza eterna. E la Chiesa venera la Croce cantando: «O crux, ave, spes unica! – Ave, o Croce, unica speranza!».
LA NOSTRA PARTECIPAZIONE AL SACRIFICIO DI CRISTO
618 – La Croce è l’unico sacrificio di Cristo, che è il solo mediatore tra Dio e gli uomini. Ma poiché, nella sua Persona divina incarnata, «si è unito in certo modo ad ogni uomo», egli offre « a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale». Egli chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo, poiché patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme. Infatti Egli vuole associare al suo sacrificio redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari. Ciò si compie in maniera eminente per sua Madre associata intimamente più di qualsiasi altro e al mistero della sua sofferenza redentrice. «Al di fuori della Croce non vi è altra scala per salire al cielo».
In sintesi
619 – «Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture» (1 Cor 15,3).
620 – La nostra salvezza proviene dall’iniziativa d’amore di Dio per noi poiché «è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10). «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2 Cor 5,19)
621 – Gesù si è liberamente offerto per la nostra salvezza. Egli significa e realizza questo dono in precedenza durante l’ultima Cena: «Questo è il mio corpo che è dato per voi» (Lc 22,19).
622 – In questo consiste la redenzione di Cristo: egli «è venuto per […] dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28), cioè ad amare «i suoi sino alla fine» (Gv 13,1) perché essi siano liberati dalla loro vuota condotta ereditata dai loro padri.
623 – Mediante la sua obbedienza di amore al Padre «fino alla morte di croce» (Fil 2,8), Gesù compie la missione espiatrice del Servo sofferente che giustifica molti addossandosi la loro iniquità.
Paragrafo 3
GESU CRISTO FU SEPOLTO
624 – «Per la grazia di Dio, egli» ha provato «la morte a vantaggio di tutti» (Eb 2,9). Nel suo disegno di salvezza, Dio ha disposto che il Figlio suo non solamente morisse «per i nostri peccati» (1 Cor 15,3), ma anche «provasse la morte», ossia conoscesse lo stato di morte, lo stato di separazione tra la sua anima e il suo corpo per il tempo compreso tra il momento in cui egli è spirato sulla croce e il momento in cui è risuscitato. Questo stato di Cristo morto è il mistero del sepolcro e della discesa agli inferi. È il mistero del Sabato Santo in cui Cristo deposto nel sepolcro manifesta il grande riposo sabbatico di Dio dopo il compimento della salvezza degli uomini che mette in pace l’universo intero.
CRISTO NEL SEPOLCRO CON IL SUO CORPO
625 – La permanenza di Cristo nella tomba costituisce il legame reale tra lo stato di passibilità di Cristo prima della pasqua e il suo stato attuale glorioso di risorto. È la medesima persona del «Vivente» che può dire: «Io ero morto, ma ora vivo per sempre» (Ap 1,18). «Ed è questo il mistero del disegno di Dio circa la morte e la risurrezione dai morti: se pure non ha impedito che con la morte l’anima fosse separata dal corpo secondo l’ordine necessario della natura, li ha riuniti di nuovo insieme mediante la risurrezione, in modo che egli stesso divenisse punto d’incontro della morte e della vita, arrestando in se stesso la disgregazione della natura causata dalla morte, e insieme divenendo lui stesso principio di riunificazione degli elementi separati.
626 – Poiché l’«Autore della vita» che è stato ucciso è anche il Vivente che «è risuscitato», necessariamente la Persona divina del Figlio di Dio ha continuato ad assumere la sua anima e il suo corpo separati tra di loro dalla morte: «La Persona unica non si è trovata divisa in due persone dal fatto che alla morte di Cristo l’anima è stata separata dalla carne; poiché il corpo e l’anima di Cristo sono esistiti al medesimo titolo fin da principio nella Persona del Verbo; e nella morte, sebbene separati l’uno dall’altra, sono restati ciascuno con la medesima ed unica Persona del Verbo».
«NON LASCERAI CHE IL TUO SANTO VEDA LA CORRUZIONE»
627 – La morte di Cristo è stata una vera morte in quanto ha messo fine alla sua esistenza umana terrena. Ma a causa dell’unione che la persona del Figlio ha mantenuto con il suo corpo, non si è trattato di uno spogliamento mortale come gli altri, perché «non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere» (At 2,24) e perciò «la virtù divina ha preservato il corpo di Cristo dalla corruzione». Di Cristo si può dire contemporaneamente: «Fu eliminato dalla terra dei viventi» (Is 53,8) e: «Il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo Santo veda la corruzione» (At 2,26-27). La risurrezione di Gesù «il terzo giorno» (1 Cor 15,4; Lc 24,46) 52 ne era il segno, anche perché si credeva che la corruzione si manifestasse a partire dal quarto giorno.
«SEPOLTI CON CRISTO…»
628 – Il Battesimo, il cui segno originale e plenario è l’immersione, significa efficacemente la discesa nella tomba del cristiano che muore al peccato con Cristo in vista di una vita nuova: «Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, cosi anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4).
In sintesi
629 – A beneficio di ogni uomo Gesù ha provato la morte. Colui che è morto e che è stato sepolto è veramente il Figlio di Dio fatto uomo.
630 – Durante la permanenza di Cristo nella tomba, la sua Persona divina ha continuato ad assumere sia la sua anima che il suo corpo, separati però tra di loro dalla morte. E’ per questo che il corpo di Cristo morto «non ha subito la corruzione» (At 13,37).
Articolo 5
«GESU CRISTO DISCESE AGLI INFERI, IL TERZO GIORNO RISUSCITO DA MORTE»
631 – Gesù «era disceso nelle regioni inferiori della terra. Colui che discese è lo stesso che anche ascese» (Ef 4,10). Il Simbolo degli Apostoli professa in uno stesso articolo di fede la discesa di Cristo agli inferi e la sua risurrezione dai morti il terzo giorno, perché nella sua pasqua egli dall’abisso della morte ha fatto scaturire la vita: «Cristo, tuo Figlio, che, risuscitato dai morti, fa risplendere sugli uomini la sua luce serena, e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen».
Paragrafo 1
CRISTO DISCESE AGLI INFERI
632 – Le frequenti affermazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù «è risuscitato dai morti» (1 Cor 15,20) presuppongono che, preliminarmente alla risurrezione, egli abbia dimorato nel soggiorno dei morti. È il senso primo che la predicazione apostolica ha dato alla discesa di Gesù agli inferi: Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si trovavano prigionieri.
633 – La Scrittura chiama inferi, Shèol il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio. Tale infatti è, nell’attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; il che non vuol dire che la loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro accolto nel «seno di Abramo». «Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all’inferno ». Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati né per distruggere l’inferno della dannazione, ma per liberare i giusti che l’avevano preceduto.
634 – «La Buona Novella è stata annunciata anche ai morti…» (I Pt 4,6). La discesa agli inferi è il pieno compimento dell’annunzio evangelico della salvezza. È la fase ultima della missione messianica di Gesù, fase condensata nel tempo ma immensamente ampia nel suo reale significato di estensione dell’opera redentrice a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi partecipi della redenzione.
635 – Cristo, dunque, è disceso nella profondità della morte affinché i «morti» udissero «la voce del Figlio di Dio» (Gv 5,25) e, ascoltandola, vivessero. Gesù, «l’Autore della vita » ha ridotto «all’impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo», liberando «così tutti quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2,14-15). Ormai Cristo risuscitato ha «potere sopra la morte e sopra gli inferi» (Ap 1,18) e «nel nome di Gesù ogni ginocchio» si piega «nei cieli, sulla terra e sotto terra» (FiI 2,10). «Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormivano. (…) Egli va a cercare il primo padre, come la pecora smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva, che si trovano in prigione. […] Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio. […] Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la Vita dei morti».
In sintesi 636 Con l’espressione « Gesù discese agli inferi» il Simbolo professa che Gesù è morto realmente e che, mediante la sua morte per noi, egli ha vinto la morte e il diavolo «che della morte ha il potere» (Eh 2,14). 637Cristo morto, con l’anima unita alla sua Persona divina, è disceso alla dimora dei morti. Egli ha aperto le porte del cielo ai giusti che l’avevano preceduto.
Paragrafo 2
IL TERZO GIORNO RISUSCITO DA MORTE
638 – «Noi vi annunziamo la Buona Novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù» (At 13,32-33). La risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del mistero pasquale insieme con la croce: «Cristo è risuscitato dai morti. Con la sua morte ha vinto la morte, ai morti ha dato la vita».
I. L’avvenimento storico e trascendente.
639 – Il mistero della risurrezione di Cristo è un avvenimento reale che ha avuto manifestazioni storicamente constatate, come attesta il Nuovo Testamento. Già verso l’anno 56 san Paolo può scrivere ai cristiani di Corinto: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1 Cor 15,3-4). L’Apostolo parla qui della tradizione viva della risurrezione che egli aveva appreso dopo la sua conversione alle porte di Damasco.
IL SEPOLCRO VUOTO
640 – «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato» (Lc 24,5-6). Nel quadro degli avvenimenti di pasqua, il primo elemento che si incontra è il sepolcro vuoto. Non è in sé una prova diretta. L’assenza del corpo di Cristo nella tomba potrebbe spiegarsi altrimenti. Malgrado ciò, il sepolcro vuoto ha costituito per tutti un segno essenziale. La sua scoperta da parte dei discepoli è stato il primo passo verso il riconoscimento dell’evento della risurrezione. Dapprima è il caso delle pie donne, poi di Pietro. Il discepolo «che Gesù amava» (Gv 20,2) afferma che, entrando nella tomba vuota e scorgendo «le bende per terra» (Gv 20,6), vide e credette. Ciò suppone che egli abbia constatato, dallo stato in cui si trovava il sepolcro vuoto, che l’assenza del corpo di Gesù non poteva essere opera umana e che Gesù non era semplicemente ritornato ad una vita terrena come era avvenuto per Lazzaro.
LE APPARIZIONI DEL RISORTO
641 – Maria di Magdala e le pie donne che andavano a completare l’imbalsamazione del corpo di Gesù, sepolto in fretta la sera del Venerdì Santo a causa del sopraggiungere del Sabato, sono state le prime ad incontrare il Risorto. Le donne furono così le prime messaggere della risurrezione di Cristo per gli stessi Apostoli. A loro Gesù appare in seguito: prima a Pietro, poi ai Dodici Pietro, chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli, vede dunque il Risorto prima di loro ed è sulla sua testimonianza che la comunità esclama: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24,34).
642 – Tutto ciò che è accaduto in quelle giornate pasquali impegna ciascuno degli Apostoli e Pietro in modo del tutto particolare nella costruzione dell’era nuova che ha inizio con il mattino di pasqua. Come testimoni del Risorto essi rimangono le pietre di fondazione della sua Chiesa. La fede della prima comunità dei credenti è fondata sulla testimonianza di uomini concreti, conosciuti dai cristiani e, nella maggior parte, ancora vivi in mezzo a loro. Questi «testimoni della risurrezione di Cristo» sono prima di tutto Pietro e i Dodici, ma non solamente loro: Paolo parla chiaramente di più di cinquecento persone alle quali Gesù è apparso in una sola volta, oltre che a Giacomo e a tutti gli Apostoli.
643 – Davanti a queste testimonianze è impossibile interpretare la risurrezione di Cristo al di fuori dell’ordine fisico e non riconoscerla come un avvenimento storico. Risulta dai fatti che la fede dei discepoli è stata sottoposta alla prova radicale della passione e della morte in croce del loro Maestro da lui stesso preannunziata. Lo sbigottimento provocato dalla passione fu così grande che i discepoli (almeno alcuni di loro) non credettero subito alla notizia della risurrezione. Lungi dal presentarci una comunità presa da una esaltazione mistica, i Vangeli ci presentano i discepoli smarriti («tristi: Lc 24,17) e spaventati, perché non hanno creduto alle pie donne che tornavano dal sepolcro e «quelle parole parvero loro come un vaneggiamento» (Lc 24,1 1). Quando Gesù si manifesta agli Undici la sera di pasqua, li rimprovera «per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato» (Me 16,14).
644 – Anche messi davanti alla realtà di Gesù risuscitato, i discepoli dubitano ancora, tanto la cosa appare loro impossibile: credono di vedere un fantasma. «Per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti» (Lc 24,41). Tommaso conobbe la medesima prova del dubbio e, quando vi fu l’ultima apparizione in Galilea riferita da Matteo, «alcuni (…) dubitavano» (Mi 28,17). Per questo l’ipotesi secondo cui la risurrezione sarebbe stata un «prodotto» della fede (o della credulità) degli Apostoli non ha fondamento. Al contrario, la loro fede nella risurrezione è nata sotto l’azione della grazia divina – dall’esperienza diretta della realtà di Gesù risorto.
Lo STATO DELL’UMANITÀ DI CRISTO RISUSCITATA
645 – Gesù risorto stabilisce con i suoi discepoli rapporti diretti, attraverso il contatto e la condivisione del pasto. Li invita a riconoscere da ciò che egli non è un fantasma, ma soprattutto a constatare che il corpo risuscitato con il quale si presenta a loro è il medesimo che è stato martoriato e crocifisso, poiché porta ancora i segni della passione. Questo corpo autentico e reale possiede però al tempo stesso le proprietà nuove di un corpo glorioso; esso non è più situato nello spazio e nel tempo, ma può rendersi presente a suo modo dove e quando vuole, poiché la sua umanità non può più essere trattenuta sulla terra e ormai non appartiene che al dominio divino del Padre. Anche per questa ragione Gesù risorto è sovranamente libero di apparire come vuole: sotto l’aspetto di un giardiniere o «sotto altro aspetto» (Mc 16,12) diverso da quello che era familiare ai discepoli, e ciò per suscitare la loro fede.
646 – La risurrezione di Cristo non fu un ritorno alla vita terrena, come lo fu per le risurrezioni che egli aveva compiute prima della pasqua: quelle della figlia di Giairo, del giovane di Naim, di Lazzaro. Questi fatti erano avvenimenti miracolosi, ma le persone miracolate ritrovavano, per il potere di Gesù, una vita terrena «ordinaria». Ad un certo momento esse sarebbero morte di nuovo. La risurrezione di Cristo è essenzialmente diversa. Nel suo corpo risuscitato egli passa dallo stato di morte ad un’altra vita al di là del tempo e dello spazio. Il corpo di Gesù è, nella risurrezione, colmato della potenza dello Spirito Santo; partecipa alla vita divina nello stato della sua gloria, sì che san Paolo può dire di Cristo che egli è l’uomo celeste.
LA RISURREZIONE COME EVENTO TRASCENDENTE
647 – «O notte beata – canta l’«Exultet» di Pasqua, tu solo hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi. Infatti, nessuno è stato testimone oculare dell’avvenimento stesso della risurrezione e nessun Evangelista lo descrive. Nessuno ha potuto dire come essa sia avvenuta fisicamente. Ancor meno fu percettibile ai sensi la sua essenza più intima, il passaggio ad un’altra vita. Avvenimento storico constatabile attraverso il segno del sepolcro vuoto e la realtà degli incontri degli Apostoli con Cristo risorto, la risurrezione resta non di meno, in ciò in cui trascende e supera la storia, nel cuore del mistero della fede. Per questo motivo Cristo risorto non si manifesta al mondo, ma ai suoi discepoli, «a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme», i quali «ora sono i suoi testimoni davanti al popolo» (At 13,31)
Il. La risurrezione – opera della Santissima Trinità.
648 – La risurrezione di Cristo è oggetto di fede in quanto è un intervento trascendente di Dio stesso nella creazione e nella storia. In essa, le tre Persone divine agiscono insieme e al tempo stesso manifestano la loro propria originalità. Essa si è compiuta per la potenza del Padre che «ha risuscitato» (At 2,24) Cristo, suo Figlio, e in questo modo ha introdotto in maniera perfetta la sua umanità con il suo corpo nella Trinità. Gesù viene definitivamente «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1,4). San Paolo insiste sulla manifestazione della potenza di Dio per opera dello Spirito che ha vivificato l’umanità morta di Gesù e l’ha chiamata allo stato glorioso di Signore.
649 – Quanto al Figlio, egli opera la sua propria risurrezione in virtù della sua potenza divina. Gesù annunzia che il Figlio dell’uomo dovrà molto soffrire, morire ed in seguito risuscitare (senso attivo della parola). Altrove afferma esplicitamente: «Io offro la mia vita, per poi riprenderla… ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla» (Gv 10,17-18). «Noi crediamo… che Gesù è morto e risuscitato» (1 Ts 4,14).
650 – I Padri contemplano la risurrezione a partire dalla Persona divina di Cristo che è rimasta unita alla sua anima e al suo corpo separati tra loro dalla morte: «Per l’unità della natura divina che permane presente in ciascuna delle due parti dell’uomo, queste si riuniscono di nuovo. Così la morte si è prodotta per la separazione del composto umano e la risurrezione per l’unione delle due parti separate.
III. Senso e portata salvifica della risurrezione.
651 – «Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione e vana anche la vostra fede» (1 Cor 15,14). La risurrezione costituisce anzitutto la conferma di tutto ciò che Cristo stesso ha fatto e insegnato. Tutte le verità, anche le più inaccessibili allo spirito umano, trovano la loro giustificazione se, risorgendo, Cristo ha dato la prova definitiva, che aveva promesso, della sua autorità divina.
652 – La risurrezione di Cristo è compimento delle promesse dell’Antico Testamento e di Gesù stesso durante la sua vita terrena. L’espressione «secondo le Scritture» indica che la risurrezione di Cristo realizzò queste predizioni.
653 – La verità della divinità di Gesù è confermata dalla sua risurrezione. Egli aveva detto: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono» (Gv 8,28). La risurrezione del Crocifisso dimostrò che egli era veramente «Io Sono», il Figlio di Dio e Dio egli stesso. San Paolo ha potuto dichiarare ai Giudei: «La promessa fatta ai nostri padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato» (At l3,32-33). La risurrezione di Cristo è strettamente legata al mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Ne è il compimento secondo il disegno eterno di Dio.
654 – Vi è un duplice aspetto nel mistero pasquale: con la sua morte Cristo ci libera dal peccato, con la sua risurrezione ci dà accesso ad una nuova vita. Questa è dapprima la giustificazione che ci mette nuovamente nella grazia di Dio «perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Essa consiste nella vittoria sulla morte del peccato e nella nuova partecipazione alla grazia. Essa compie l’adozione filiale poiché gli uomini diventano fratelli di Cristo, come Gesù stesso chiama i suoi discepoli dopo la sua risurrezione: «Andate ad annunziare ai miei fratelli» (Mt 28,l0). Fratelli non per natura, ma per dono della grazia, perché questa filiazione adottiva procura una reale partecipazione alla vita del Figlio unico, la quale si è pienamente rivelata nella sua risurrezione.
655 – Infine, la risurrezione di Cristo e lo stesso Cristo risorto è principio e sorgente della nostra risurrezione futura: «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti (…); e in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1 Cor 15,20-22). Nell’attesa di questo compimento, Cristo risuscitato vive nel cuore dei suoi fedeli. In lui i cristiani gustano «le meraviglie del mondo futuro» (Eb 6,5) e la loro vita è trasportata da Cristo nel seno della vita divina: «Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2 Cor 5,15).
In sintesi
656 – La fede nella risurrezione ha per oggetto un avvenimento che è storicamente attestato dai discepoli i quali hanno realmente incontrato il Risorto, e che è insieme misteriosamente trascendente in quanto l’umanità di Cristo entra nella gloria di Dio. 657 – La tomba vuota e le bende per terra significano già per se stesse che il corpo di Cristo è sfuggito ai legami della morte e della corruzione, per la potenza di Dio. Esse preparano i discepoli all’incontro con il Risorto.
658 – Cristo, «il primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (Col l,18), è il principio della nostra risurrezione, fin d’ora per la giustificazione della nostra anima, più tardi per la vivificazione del nostro corpo.
Articolo 6
«GESU SALI AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE»
659 – «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16,19). Il corpo di Cristo è stato glorificato fin dall’istante della sua risurrezione, come lo provano le proprietà nuove e soprannaturali di cui ormai gode in permanenza. Ma durante i quaranta giorni nei quali egli mangia e beve familiarmente con i suoi discepoli e li istruisce sul Regno, la sua gloria resta ancora velata sotto i tratti di una umanità ordinaria. L’ultima apparizione di Gesù termina con l’entrata irreversibile della sua umanità nella gloria divina simbolizzata dalla nube e dal cielo ove egli siede ormai alla destra di Dio. In un modo del tutto eccezionale ed unico egli si mostrerà a Paolo «come a un aborto» (1 Cor 15,8) in un’ultima apparizione che costituirà Apostolo Paolo stesso.
660 – Il carattere velato della gloria del Risorto durante questo tempo traspare nelle sue misteriose parole a Maria Maddalena: «Non sono ancora salito al Padre: ma và dai miei fratelli e dì loro: lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17). Questo indica una differenza di manifestazione tra la gloria di Cristo risorto e quella di Cristo esaltato alla destra del Padre. L’avvenimento ad un tempo storico e trascendente dell’ascensione segna il passaggio dall’una all’altra.
661 – Quest’ultima tappa rimane strettamente unita alla prima, cioè alla discesa dal cielo realizzata nell’incarnazione. Solo colui che è «uscito dal Padre» può far ritorno al Padre: Cristo. «Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo» (Gv 3,13). Lasciata alle sue forze naturali, l’umanità non ha accesso alla «casa del Padre» alla vita e alla felicità di Dio. Soltanto Cristo ha potuto aprire all’uomo questo accesso «per darci la serena fiducia che dove è lui, Capo e Primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria.
662 – «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). L’elevazione sulla croce significa e annunzia l’elevazione dell’ascensione al cielo. Essa ne è l’inizio. Gesù Cristo, l’unico Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza, «non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo (…), ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24). In cielo Cristo esercita il suo sacerdozio in permanenza, «essendo egli sempre vivo per intercedere» a favore di «quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio» (Eb7,25). Come «sommo Sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), egli è il centro e l’attore principale della liturgia che onora il Padre nei cieli.
663 – Cristo, ormai, siede alla destra del Padre: «Per destra del Padre intendiamo la gloria e l’onore della divinità, ove colui che esisteva come Figlio di Dio prima di tutti i secoli, come Dio è consostanziale al Padre, s’è assiso corporalmente dopo che si è incarnato e la sua carne è stata glorificata.
664 – L’essere assiso alla destra del Padre significa l’inaugurazione del regno del Messia, compimento della visione del profeta Daniele riguardante il Figlio dell’uomo: «(Il Vegliardo) gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto» (Dn 7,14). A partire da questo momento, gli Apostoli sono divenuti i testimoni del «regno che non avrà fine».
In sintesi
665 – L’ascensione di Cristo segna l’entrata definitiva dell’umanità di Gesù nel dominio celeste di Dio, da dove ritornerà, ma che nel frattempo lo cela agli occhi degli uomini.
666 – Gesù Cristo, Capo della Chiesa, ci precede nel regno glorioso del Padre perché noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di essere un giorno eternamente con lui.
667 – Gesù Cristo, essendo entrato una volta per tutte nel santuario del cielo, intercede incessantemente per noi come il Mediatore che ci assicura la perenne effusione dello Spirito Santo.
Articolo 7
«DI LÀ VERRÀ A GIUDICARE I VIVI E I MORTI».
I. «Di nuovo verrà, nella gloria».
CRISTO REGNA GIÀ ATTRAVERSO LA CHIESA
668 – «Per questo Cristo è morto e ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14,9). L’ascensione di Cristo al cielo significa la sua partecipazione, nella sua umanità, alla potenza e all’autorità di Dio stesso. Gesù Cristo è Signore: egli detiene tutto il potere nei cieli e sulla terra. Egli è «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione» perché il Padre «tutto ha sottomesso ai suoi piedi» (Ef 1,21-22). Cristo è il Signore del cosmo e della storia. In lui la storia dell’uomo come pure tutta la creazione trovano la loro «ricapitolazione», il loro compimento trascendente.
669 – Come Signore, Cristo è anche il Capo della Chiesa che è il suo corpo. Elevato al cielo e glorificato, avendo così compiuto pienamente la sua missione, egli permane sulla terra, nella sua Chiesa. La redenzione è la sorgente dell’autorità che Cristo, in virtù dello Spirito Santo, esercita sulla Chiesa, la quale è «il regno di Cristo già presente in mistero. La Chiesa «di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio».
670 – Dopo l’ascensione, il disegno di Dio è entrato nel suo compimento. Noi siamo già nell’«ultima ora» (1 Gv 2,18). «Già dunque è arrivata a noi l’ultima fase dei tempi e la rinnovazione del mondo è stata irrevocabilmente fissata e in un certo modo è realmente anticipata in questo mondo; difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta». Il regno di Cristo manifesta già la sua presenza attraverso i segni miracolosi che ne accompagnano l’annunzio da parte della Chiesa.
NELL ATTESA CHE TUTTO SIA A LUI SOTTOMESSO
671 – Già presente nella sua Chiesa, il regno di Cristo non è tuttavia ancora compiuto «con potenza e gloria grande» (Lc 21,27) mediante la venuta del Re sulla terra. Questo regno è ancora insidiato dalle potenze inique, anche se esse sono già state vinte radicalmente dalla pasqua di Cristo. Fino al momento in cui tutto sarà a lui sottomesso, «fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora, la Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo, e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio del parto sino ad ora e attendono la manifestazione dei figli di Dio». Per questa ragione i cristiani pregano, soprattutto nell’Eucaristia, per affrettare il ritorno di Cristo dicendogli: «Vieni, Signore» (Ap 22,20).
672 – Prima dell’ascensione Cristo ha affermato che non era ancora giunto il momento del costituirsi glorioso del regno messianico atteso da Israele, regno che doveva portare a tutti gli uomini, secondo i profeti, l’ordine definitivo della giustizia, dell’amore e della pace. Il tempo presente è, secondo il Signore, il tempo dello Spirito e della testimonianza, – ma anche un tempo ancora segnato dalla necessità e dalla prova del male, che non risparmia la Chiesa e inaugura i combattimenti degli ultimi tempi. É un tempo di attesa e di vigilanza.
LA VENUTA GLORIOSA DI CRISTO, SPERANZA DI ISRAELE
673 – Dopo l’ascensione, la venuta di Cristo nella gloria è imminente, anche se non spetta a noi «conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta» (At l,7). Questa venuta escatologica può compiersi in qualsiasi momento. La venuta del Messia glorioso è sospesa in ogni momento della storia al riconoscimento di lui da parte di «tutto Israele» (Rm 11,26) a causa dell’indurimento di una parte nella «mancanza di fede» (Rm 11,20) verso Gesù. San Pietro dice agli Ebrei di Gerusalemme dopo la pentecoste: «Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù. Egli dev’essere accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall’antichità, per bocca dei suoi santi profeti» (At 3,19-21). E san Paolo gli fa eco: «Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione se non una risurrezione dai morti?» (Rm 11,15). La partecipazione totale degli Ebrei alla salvezza messianica a seguito della partecipazione totale dei pagani permetterà al popolo di Dio di arrivare «alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13) nella quale «Dio sarà tutto in tutti» (I Cor 15,28).
L’ULTIMA PROVA DELLA CHIESA
675 – Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il «mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne.
676 – Questa impostura anti-cristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si pretende di realizzare nella storia la speranza messianica che non può essere portata a compimento se non al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico; anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione del regno futuro sotto il nome di millenarismo, soprattutto sotto la forma politica di un messianismo secolarizzato «intrinsecamente perverso».
677 – La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest’ultima pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e resurrezione. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male che farà discendere dal cielo la sua Sposa. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell’ultimo giudizio dopo l’ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa.
Il. Per giudicare i vivi e i morti.
678 – In linea con i profeti e con Giovanni Battista Gesù ha annunziato nella sua predicazione il giudizio dell’ultimo giorno. Allora saranno messi in luce la condotta di ciascuno e il segreto dei cuori. Allora verrà condannata l’incredulità colpevole che non ha tenuto in alcun Credo in Gesù Cristo, unico Figlio di Dio conto la grazia offerta da Dio. L’atteggiamento verso il prossimo rivelerà l’accoglienza o il rifiuto della grazia e dell’amore divino. Gesù dirà nell’ultimo giorno: «Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
679 – Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del mondo. Egli ha «acquisito» questo diritto con la sua croce. Anche il Padre «ha rimesso ogni giudizio al Figlio» (Gv 5,22). Ora, il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare e per donare la vita che è in lui. È per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, riceve secondo le sue opere e può anche condannarsi per l’eternità rifiutando lo Spirito d’amore.
In sintesi
680 – Cristo Signore regna già attraverso la Chiesa, ma tutte le cose di questo mondo non gli sono ancora sottomesse. Il trionfo del regno di Cristo non avverrà senza un ultimo assalto delle potenze del male.
681 – Nel giorno del giudizio, alla fine del mondo, Cristo verrà nella gloria per dare compimento al trionfo definitivo del bene sul male che, come il grano e la zizzania, saranno cresciuti insieme nel corso della storia.
682 – Cristo glorioso, venendo alla fine dei tempi a giudicare i vivi e i morti, rivelerà la disposizione segreta dei cuori e renderà a ciascun uomo secondo le sue opere e secondo l’accoglienza o il rifiuto della grazia.
CAPITOLO TERZO
CREDO NELLO SPIRITO SANTO
683 – «Nessuno può dire:”Gesù è Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (I Cor 12,3). «Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,6). Questa conoscenza di fede è possibile solo nello Spirito Santo. Per essere in contatto con Cristo, bisogna dapprima essere stati toccati dallo Spirito Santo. E’ lui che ci precede e suscita in noi la fede. In forza del nostro Battesimo, primo sacramento della fede, la vita, che ha la sua sorgente nel Padre e ci è offerta nel Figlio, ci viene comunicata intimamente e personalmente dallo Spirito Santo nella Chiesa: Il Battesimo «ci accorda la grazia della nuova nascita in Dio Padre per mezzo del Figlio suo nello Spirito Santo. Infatti coloro che hanno lo Spirito di Dio sono condotti al Verbo, ossia al Figlio; ma il Figlio li presenta al Padre, e il Padre procura loro l’incorruttibilità. Dunque, senza lo Spirito, non è possibile vedere il Figlio di Dio, e, senza il Figlio, nessuno può avvicinarsi al Padre, perché la conoscenza del Padre è il Figlio. e la conoscenza del Figlio di Dio avviene per mezzo dello Spirito Santo».
684 – Lo Spirito Santo con la sua grazia è il primo nel destare la nostra fede e nel suscitare la vita nuova che consiste nel conoscere il Padre e colui che ha mandato, Gesù Cristo. Tuttavia è l’ultimo nella rivelazione delle Persone della Santa Trinità. San Gregorio Nazianzeno, «il Teologo», spiega questa progressione con la pedagogia della «condiscendenza» divina: «L’Antico Testamento proclamava chiaramente il Padre, più oscuramente il Figlio. Il Nuovo ha manifestato il Figlio, ha fatto intravvedere la divinità dello Spirito. Ora lo Spirito ha diritto di cittadinanza in mezzo a noi e ci accorda una visione più chiara di se stesso. Infatti non era prudente. quando non si professava ancora la divinità del Padre, proclamare apertamente il Figlio e, quando non era ancora ammessa la divinità del Figlio, aggiungere lo Spirito Santo come un fardello supplementare, per usare un’espressione un po’ ardita. […] Solo attraverso un cammino di avanzamento e di progresso “di gloria in gloria”, la luce della Trinità sfolgorerà in più brillante trasparenza».
685 – Credere nello Spirito Santo significa dunque professare che lo Spirito Santo è una delle Persone della Santa Trinità, consostanziale al Padre e al Figlio, «con il Padre e il Figlio adorato e glorificato». Per questo motivo si è trattato del mistero divino dello Spirito Santo nella «teologia» trinitaria. Qui, dunque, si considererà lo Spirito Santo solo nell’«economia» divina.
686 – Lo Spirito Santo è all’opera con il Padre e il Figlio dall’inizio al compimento del disegno della nostra salvezza. Tuttavia è solo negli «ultimi tempi», inaugurati con l’incarnazione redentrice del Figlio, che egli viene rivelato e donato, riconosciuto e accolto come Persona. Allora questo disegno divino, compiuto in Cristo, «Primogenito» e Capo della nuova creazione, potrà realizzarsi nell’umanità con l’effusione dello Spirito: la Chiesa, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna.
Articolo 8
«CREDO NELLO SPIRITO SANTO»
687 – «I segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio» (1 Cor 2,11). Ora, il suo Spirito, che lo rivela, ci fa conoscere Cristo, suo Verbo, sua Parola vivente, ma non manifesta se stesso. Colui che «ha parlato per mezzo dei profeti» ci fa udire la parola del Padre. Lui, però, non lo sentiamo. Non lo conosciamo che nel movimento in cui ci rivela il Verbo e ci dispone ad accoglierlo nella fede. Lo Spirito di verità che ci svela Cristo non parla da sé. Un tale annientamento, propriamente divino, spiega il motivo per cui «il mondo non può ricevere» lo Spirito, «perché non lo vede e non lo conosce» (Gv 14,l7), mentre coloro che credono in Cristo lo conoscono perché dimora presso di loro.
688 – La Chiesa, comunione vivente nella fede degli Apostoli che essa trasmette, è il luogo della nostra conoscenza dello Spirito Santo: nelle Scritture, che egli ha ispirato; nella Tradizione, di cui i Padri della Chiesa sono i testimoni sempre attuali; nel Magistero della Chiesa, che egli assiste; nella liturgia sacramentale, attraverso le sue parole e i suoi simboli, in cui lo Spirito Santo ci mette in comunione con Cristo; nella preghiera, nella quale intercede per noi; nei carismi e nei ministeri per mezzo dei quali si edifica la Chiesa; nei segni di vita apostolica e missionaria; nella testimonianza dei santi, in cui egli manifesta la sua santità e continua l’opera della salvezza.
I. La missione congiunta del Figlio e dello Spirito.
689 – Colui che il Padre ha mandato nei nostri cuori, lo Spirito del suo Figlio, è realmente Dio. Consostanziale al Padre e al Figlio, ne è inseparabile, tanto nella vita intima della Trinità quanto nel suo dono d’amore per il mondo. Ma adorando la Santissima Trinità, vivificante, consostanziale e indivisibile, la fede della Chiesa professa anche la distinzione delle Persone. Quando il Padre invia il suo Verbo, invia sempre il suo Soffio: missione congiunta in cui il Figlio e lo Spirito Santo sono distinti ma inseparabili. Certo, è Cristo che appare, egli, l’immagine visibile del Dio invisibile, ma è lo Spirito Santo che lo rivela.
690 – Gesù è Cristo, «unto», perché lo Spirito ne è l’unzione, e tutto ciò che avviene a partire dall’incarnazione sgorga da questa pienezza. Infine, quando Cristo è glorificato, può, a sua volta, dal Padre, inviare lo Spirito a coloro che credono in lui: comunica loro la sua gloria, cioè lo Spirito Santo che lo glorifica. La missione congiunta si dispiegherà da allora in poi nei figli adottati dal Padre nel corpo del suo Figlio: la missione dello Spirito di adozione sarà di unirli a Cristo e di farli vivere in lui: «La nozione di unzione suggerisce […] che non c’è alcuna distanza tra il Figlio e lo Spirito. Infatti, come tra la superficie del corpo e l’unzione dell’olio né la ragione né la sensazione conoscono intermediari, così è immediato il contatto del Figlio con lo Spirito; di conseguenza colui che sta per entrare in contatto con il Figlio mediante la fede, deve necessariamente dapprima entrare in contatto con l’olio. Nessuna parte infatti è priva dello Spirito Santo. Ecco perché la confessione della signoria del Figlio avviene nello Spirito Santo per coloro che la ricevono, dato che lo Spirito Santo viene da ogni parte incontro a coloro che si approssimano per la fede.
l. Il nome, gli appellativi e i simboli dello Spirito Santo.
IL NOME PROPRIO DELLO SPIRITO SANTO
691 – «Spirito Santo», tale è il nome proprio di colui che noi adoriamo e glorifichiamo con il Padre e il Figlio. La Chiesa lo ha ricevuto dal Signore e lo professa nel Battesimo dei suoi nuovi figli. Il termine «Spirito» traduce il termine ebraico Ruah, che nel suo senso primario significa soffio, aria, vento. Gesù utilizza proprio l’immagine sensibile del vento per suggerire a Nicodemo la novità trascendente di colui che è il Soffio di Dio, lo Spirito divino in persona. D’altra parte, Spirito e Santo sono attributi divini comuni alle tre Persone divine. Ma, congiungendo i due termini, la Scrittura, la liturgia e il linguaggio teologico designano la Persona ineffabile dello Spirito Santo, senza possibilità di equivoci con gli altri usi dei termini «spirito e «santo».
GLI APPELLATIVI DELLO SPIRITO SANTO
692 – Gesù, quando annunzia e promette la venuta dello Spirito Santo, lo chiama letteralmente: «Colui che è chiamato vicino», «ad-vocatus» (Gv 14,16.26; 15,26; 16,7). Viene abitualmente tradotto «Consolatore», essendo Gesù il primo consolatore. Il Signore stesso chiama lo Spirito Santo «Spirito di verità» (Gv 16,13).
693 – Oltre al suo nome proprio, che è il più usato negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere, in san Paolo troviamo gli appellativi: «Spirito promesso (Ef 1,13; GaI 3,14), «Spirito da figli adottivi» (Rm 8,15; Gai 4,6), «Spirito di Cristo» (Rm 8,9), «Spirito del Signore» (2 Cor3,17), «Spirito di Dio» (Rm 8,9.14; 15,19;] Cor 6,11; 7,40) e, in san Pietro, «Spirito della gloria» (1 Pt 4,14).
I SIMBOLI DELLO SPIRITO SANTO
694 – L’acqua. Il simbolismo dell’acqua significa l’azione dello Spirito Santo nel Battesimo, poiché dopo l’invocazione dello Spirito Santo essa diviene il segno sacramentale efficace della nuova nascita: come la gestazione della nostra prima nascita si è operata nell’acqua, allo stesso modo l’acqua battesimale significa realmente che la nostra nascita alla vita divina ci è donata nello Spirito Santo. Ma, «battezzati in un solo Spirito», noi «ci siamo» anche «abbeverati a un solo Spirito» (1 Cor 12,13): lo Spirito, dunque, è anche personalmente l’Acqua viva che scaturisce da Cristo crocifisso come dalla sua sorgente e che in noi zampilla per la vita eterna.
695 – L’unzione. Il simbolismo dell’unzione con l’olio è talmente significativo dello Spirito Santo da divenirne il sinonimo. Nell’iniziazione cristiana essa è il segno sacramentale della Confermazione, chiamata giustamente nelle Chiese d’Oriente «Crismazione». Ma per coglierne tutta la forza, bisogna tornare alla prima unzione compiuta dallo Spirito Santo: quella di Gesù. Cristo («Messia» in ebraico) significa «unto» dallo Spirito di Dio. Nell’Antica Alleanza ci sono stati alcuni « unti» del Signore, primo fra tutti il re Davide. Ma Gesù è l’unto di Dio in una maniera unica: l’umanità che il Figlio assume è totalmente «unta di Spirito Santo». Gesù è costituito «Cristo» dallo Spirito Santo. La Vergine Maria concepisce Cristo per opera dello Spirito Santo, il quale, attraverso l’angelo, lo annunzia come Cristo fin dalla nascita e spinge Simeone ad andare al Tempio per vedere il Cristo del Signore; è lui che ricolma Cristo, è sua la forza che esce da Cristo negli atti di guarigione e di risanamento. E’ lui, infine, che risuscita Cristo dai morti. Allora, costituito pienamente «Cristo o nella sua umanità vittoriosa della morte, Gesù effonde a profusione lo Spirito Santo, finché «i santi» costituiranno, nella loro unione all’umanità del Figlio di Dio, l’«uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13): «il Cristo totale», secondo l’espressione di sant’Agostino.
696 – Il fuoco. Mentre l’acqua significava la nascita e la fecondità della vita donata nello Spirito Santo, il fuoco simbolizza l’energia trasformante degli atti dello Spirito Santo. Il profeta Elia, che «sorse simile al fuoco» e la cui «parola bruciava come fiaccola» (Sir 48,1), con la sua preghiera attira il fuoco del cielo sul sacrificio del monte Carmelo, figura del fuoco dello Spirito Santo che trasforma ciò che tocca. Giovanni Battista, che cammina innanzi al Signore «con lo spirito e la forza di Elia» (Lc 1,17), annunzia Cristo come colui che «battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Lc 3,16), quello Spirito di cui Gesù dirà: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). É sotto la forma di «lingue come di fuoco» che lo Spirito Santo si posa sui discepoli il mattino di pentecoste e li riempie di sé. La tradizione spirituale riterrà il simbolismo del fuoco come uno dei più espressivi dell’azione dello Spirito Santo: «Non spegnete lo Spirito» (1 Ts 5,19).
697 – La nube e la luce. Questi due simboli sono inseparabili nelle manifestazioni dello Spirito Santo. Fin dalle teofanie dell’Antico Testamento, la nube, ora oscura, ora luminosa, rivela il Dio vivente e salvatore, velando la trascendenza della sua gloria: con Mosé sul monte Sinai, presso la tenda del convegno e durante il cammino nel deserto; con Salomone al momento della dedicazione del Tempio. Ora, queste figure sono portate a compimento da Cristo nello Spirito Santo. É questi che scende sulla Vergine Maria e su di lei stende la «sua ombra», affinché ella concepisca e dia alla luce Gesù. Sulla montagna della trasfigurazione è lui che viene nella nube che avvolge Gesù, Mosè e Elia, Pietro, Giacomo e Giovanni, e «dalla nube» esce una voce che dice: «Questi è il mio Figlio, l’eletto; ascoltatelo» (Lc9,35). Infine, è la stessa nube che sottrae Gesù allo sguardo dei discepoli il giorno dell’ascensione e che lo rivelerà Figlio dell’uomo nella sua gloria il giorno della sua venuta.
698 – Il sigillo è un simbolo vicino a quello dell’unzione. Infatti su Cristo «Dio ha messo il suo sigillo» (Gv 6,27), e in lui il Padre segna anche noi con il suo sigillo. Poiché indica l’effetto indelebile dell’unzione dello Spirito Santo nei sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Ordine, l’immagine del sigillo è stata utilizzata in certe tradizioni teologiche per esprimere il «carattere» indelebile impresso da questi tre sacramenti che non possono essere ripetuti.
699 – La mano. Imponendo le mani Gesù guarisce i malati e benedice i bambini. Nel suo nome, gli Apostoli compiranno gli stessi gesti. Ancor di più, è mediante l’imposizione delle mani da parte degli Apostoli che viene donato lo Spirito Santo. La lettera agli Ebrei mette l’imposizione delle mani tra gli «articoli fondamentali» del suo insegnamento. La Chiesa ha conservato questo segno dell’effusione onnipotente dello Spirito Santo nelle epiclesi sacramentali.
700 – Il dito. «Con il dito di Dio» Gesù scaccia «i demoni». Se la Legge di Dio è stata scritta su tavole di pietra «dal dito di Dio» (Es31,18), «la lettera di Cristo», affidata alle cure degli Apostoli, è «scritta con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei […] cuori» (2 Cor 3,3). L’inno «Veni, Creator Spirituso invoca lo Spirito Santo come «dexterae Dei tu digitus – dito della mano di Dio».
701 – La colomba. Alla fine del diluvio (il cui simbolismo riguarda il Battesimo), la colomba fatta uscire da Noé torna, portando nel becco un freschissimo ramoscello d’ulivo, segno che la terra è di nuovo abitabile. Quando Cristo risale dall’acqua del suo battesimo, lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, scende su di lui e in lui rimane. Lo Spirito scende e prende dimora nel cuore purificato dei battezzati. In alcune chiese, la santa Riserva eucaristica è conservata in una custodia metallica a forma di colomba (il columbarium) appesa al di sopra dell’altare. Il simbolo della colomba per indicare lo Spirito Santo è tradizionale nell’iconografia cristiana.
III. Lo Spirito e la Parola di Dio nel tempo delle promesse.
702 – Dalle origini fino alla «pienezza del tempo », la missione congiunta del Verbo e dello Spirito del Padre rimane nascosta, ma è all’opera. Lo Spirito di Dio va preparando il tempo del Messia, e l’uno e l’altro, pur non essendo ancora pienamente rivelati, vi sono già promessi, affinché siano attesi e accolti al momento della loro manifestazione. Per questo, quando la Chiesa legge l’Antico Testamento, vi cerca ciò che lo Spirito, «che ha parlato per mezzo dei profeti» vuole dirci di Cristo. Con il termine «profeti» la fede della Chiesa intende in questo caso tutti coloro che furono ispirati dallo Spirito Santo nel vivo annuncio e nella redazione dei Libri Sacri, sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento. La tradizione ebraica distingue la Legge (i primi cinque libri o Pentateuco), i Profeti (corrispondenti ai nostri libri detti storici e profetici) e gli Scritti (soprattutto sapienziali, in particolare i Salmi).
NELLA CREAZIONE
703 – La Parola di Dio e il suo Soffio sono all’origine dell’essere e della vita di ogni creatura: «È proprio dello Spirito Santo governare, santificare e animare la creazione, perché egli e Dio consostanziale al Padre e al Figlio […]. Egli ha potere sulla vita, perché, essendo Dio, custodisce la creazione nel Padre per mezzo del Figlio.
704 – «Quanto all’uomo, Dio l’ha plasmato con le sue proprie mani (cioè il Figlio e lo Spirito Santo) (…) e sulla carne plasmata disegnò la sua propria forma, in modo che anche ciò che era visibile portasse la forma divina».
LO SPIRITO DELLA PROMESSA
705 – Sfigurato dal peccato e dalla morte, l’uomo rimane «a immagine di Dio», a immagine del Figlio, ma è privo «della gloria di Dio, della «somiglianza». La Promessa fatta ad Abramo inaugura l’Economia della salvezza, al termine della quale il Figlio stesso assumerà «l’immagine» e la restaurerà nella «somiglianza o con il Padre, ridonandole la gloria, lo Spirito «che dà la vita».
706 – Contro ogni speranza umana, Dio promette ad Abramo una discendenza, come frutto della fede e della potenza dello Spirito Santo. In essa saranno benedetti tutti i popoli della terra. Questa discendenza sarà Cristo, nel quale l’effusione dello Spirito Santo riunirà insieme i figli di Dio che erano dispersi. Impegnandosi con giuramento, Dio si impegna già al dono del suo Figlio Prediletto e al dono dello Spirito della Promessa che prepara la redenzione del popolo che Dio si è acquistato».
NELLE TEOFANIE E NELLA LEGGE
707 – Le teofanie (manifestazioni di Dio) illuminano il cammino della Promessa, dai patriarchi a Mosè e da Giosuè fino alle visioni che inaugurano la missione dei grandi profeti. La tradizione cristiana ha sempre riconosciuto che in queste teofanie si lasciava vedere e udire il Verbo di Dio, ad un tempo rivelato e «adombrato» nella nube dello Spirito Santo.
708 – Questa pedagogia di Dio appare specialmente nel dono della Legge, la quale è stata donata come un «pedagogo» per condurre il popolo a Cristo. Tuttavia, la sua impotenza a salvare l’uomo, privo della «somiglianza» divina, e l’accresciuta conoscenza del peccato che da essa deriva suscitano il desiderio dello Spirito Santo. I gemiti dei salmi lo testimoniano.
NEL REGNO E NELL’ESILIO
709 – La Legge, segno della Promessa e dell’Alleanza, avrebbe dovuto reggere il cuore e le istituzioni del popolo nato dalla fede di Abramo. «Se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Esl9,5~6). Ma, dopo Davide, Israele cede alla tentazione di divenire un regno come le altre nazioni. Ora il regno, oggetto della promessa fatta a Davide, sarà opera dello Spirito Santo e apparterrà ai poveri secondo lo Spirito.
710 – La dimenticanza della Legge e l’infedeltà all’Alleanza conducono alla morte: è l’esilio, apparente smentita delle promesse, di fatto misteriosa fedeltà del Dio salvatore e inizio della restaurazione promessa, ma secondo lo Spirito. Era necessario che il popolo di Dio subisse questa purificazione; l’esilio immette già l’ombra della croce nel disegno di Dio, e il resto dei poveri che ritorna dall’esilio è una delle figure più trasparenti della Chiesa.
L’ATTESA DEL MESSIA E DEL SUO SPIRITO
711 – «Ecco, faccio una cosa nuova» (Is 43,19). Cominciano a delinearsi due linee profetiche, fondate l’una sull’attesa del Messia, l’altra sull’annunzio di uno Spirito nuovo; esse convergono sul piccolo «resto», il popolo dei poveri, che attende nella speranza il «conforto d’Israele» e la «redenzione di Gerusalemme» (Lc 2,25.38). Si è visto precedentemente come Gesù compia le profezie che lo riguardano. Qui ci si limita a quelle in cui è più evidente la relazione fra il Messia e il suo Spinto.
712 – I tratti del volto del Messia atteso cominciano a emergere nel Libro dell’Emmanuele (quando «Isaia […] vide la gloria» di Cristo: Gv12,41), in particolare in Is 11,1-2: «Un germoglio spunterà dal tronco di lesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore».
713 – I tratti del Messia sono rivelati soprattutto nei canti del Servo. Questi canti annunziano il significato della passione di Gesù, e indicano così in quale modo egli avrebbe effuso lo Spirito Santo per vivificare la moltitudine: non dall’esterno, ma assumendo la nostra «condizione di servi» (Fil 2,7). Prendendo su di sé la nostra morte, può comunicarci il suo Spirito di vita.
714 – Per questo Cristo inaugura l’annunzio della Buona Novella facendo suo questo testo di Isaia (Lc 4,18-19): «Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore».
715 – I testi profetici concernenti direttamente l’invio dello Spirito Santo sono oracoli in cui Dio parla al cuore del suo popolo nel linguaggio della Promessa, con gli accenti dell’amore e della fedeltà, il cui compimento san Pietro proclamò il mattino di pentecoste. Secondo queste promesse, negli «ultimi tempi», lo Spirito del Signore rinnoverà il cuore degli uomini scrivendo in essi una Legge nuova; radunerà e riconcilierà i popoli dispersi e divisi; trasformerà la primitiva creazione e Dio vi abiterà con gli uomini nella pace.
716 – Il popolo dei «poveri », gli umili e i miti, totalmente abbandonati ai disegni misteriosi del loro Dio, coloro che attendono la giustizia, non degli uomini ma del Messia, è alla fine la grande opera della missione nascosta dello Spirito Santo durante il tempo delle promesse per preparare la venuta di Cristo. E’ il loro cuore, purificato e illuminato dallo Spirito, che si esprime nei salmi. In questi poveri, lo Spirito prepara al Signore «un popolo ben disposto» (Lc 1,17).
IV. Lo Spirito di Cristo nella pienezza del tempo.
GIOVANNI, PRECURSORE, PROFETA E BATTISTA
717 – «Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni» (Gv 1,6). Giovanni è riempito «di Spirito Santo fin dal seno di sua madre» (Le l,l5) da Cristo stesso che la Vergine Maria aveva da poco concepito per opera dello Spirito Santo. La «visitazione» di Maria ad Elisabetta diventa così visita di Dio al suo popolo.
718 – Giovanni è «quell’Elia che deve venire»: il fuoco dello Spirito abita in lui e lo fa «correre avanti » (come «precursore») al Signore che viene. In Giovanni il Precursore, lo Spirito Santo termina di «preparare al Signore un popolo ben disposto» (Lc 1,17).
719 – Giovanni è «più che un profeta». In lui lo Spirito Santo termina di «parlare per mezzo dei profeti». Giovanni chiude il ciclo dei profeti inaugurato da Elia. Egli annunzia che la consolazione di Israele è prossima; è la «voce» del Consolatore che viene. Come farà lo Spirito di verità, egli viene «come testimone per rendere testimonianza alla Luce» (Gv 1,7). In Giovanni, lo Spirito compie così le «indagini dei profeti» e il «desiderio» degli angeli: «L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio. […] Ecco l’Agnello di Dio» (Gv 1,33-36).
720 – Infine, con Giovanni Battista lo Spirito Santo inaugura, prefigurandolo, ciò che realizzerà con Cristo e in Cristo: ridonare all’uomo «la somiglianza» divina. Il battesimo di Giovanni era per la conversione, quello nell’acqua e nello Spirito sarà una nuova nascita.
«GIOISCI, PIENA DI GRAZIA»
721 – Maria, la santissima Madre di Dio, sempre Vergine, è il capolavoro della missione del Figlio e dello Spirito nella pienezza del tempo. Per la prima volta nel disegno della salvezza e perché il suo Spirito l’ha preparata, il Padre trova la Dimora dove il suo Figlio e il suo Spirito possono abitare tra gli uomini. In questo senso la Tradizione della Chiesa ha spesso letto riferendoli a Maria i più bei testi sulla Sapienza: Maria è cantata e rappresentata nella liturgia come «Sede della Sapienza». In lei cominciano a manifestarsi le «meraviglie di Dio», che lo Spirito compirà in Cristo e nella Chiesa.
722 – Lo Spirito Santo ha preparato Maria con la sua grazia. Era conveniente che fosse «piena di grazia» la Madre di colui nel quale «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). Per pura grazia ella è stata concepita senza peccato come la creatura più umile e più capace di accogliere il Dono ineffabile dell’Onnipotente. A giusto titolo l’angelo Gabriele la saluta come la «Figlia di Sion»: «Gioisci». È il rendimento di grazie di tutto il popolo di Dio, e quindi della Chiesa, che Maria eleva al Padre, nello Spirito, nel suo cantico, quando ella porta in sé il Figlio eterno.
723 – In Maria, lo Spirito Santo realizza il disegno misericordioso del Padre. E per opera dello Spirito che la Vergine concepisce e dà alla luce il Figlio di Dio. La sua verginità diventa fecondità unica in virtù della potenza dello Spirito e della fede.
724 – In Maria, lo Spirito Santo manifesta il Figlio del Padre divenuto Figlio della Vergine. Ella è il roveto ardente della teofania definitiva: ricolma di Spirito Santo, mostra il Verbo nell’umiltà della sua carne ed è ai poveri e alle primizie dei popoli che lo fa conoscere.
725 – Infine, per mezzo di Maria, lo Spirito Santo comincia a mettere in comunione con Cristo gli uomini, oggetto dell’amore misericordioso di Dio. Gli umili sono sempre i primi a riceverlo: i pastori, i magi, Simeone e Anna, gli sposi di Cana e i primi discepoli.
726 – Al termine di questa missione dello Spirito, Maria diventa la «Donna», nuova Eva, «Madre dei viventi», Madre del «Cristo totale». In quanto tale, ella è presente con i Dodici, «assidui e concordi nella preghiera» (At 1,14), all’alba degli «ultimi tempi» che lo Spirito inaugura il mattino di pentecoste manifestando la Chiesa.
GESÙ CRISTO
727 – Tutta la missione del Figlio e dello Spirito Santo nella pienezza del tempo è racchiusa nel fatto che il Figlio è l’Unto dello Spirito del Padre dal momento dell’incarnazione: Gesù è Cristo, il Messia. Tutto il secondo articolo del Simbolo della fede deve essere letto in questa luce. L’intera opera di Cristo è missione congiunta del Figlio e dello Spirito Santo. Qui si menzionerà soltanto ciò che concerne la promessa dello Spirito Santo da parte di Gesù e il dono dello Spirito da parte del Signore glorificato.
728 – Gesù rivela in pienezza lo Spirito Santo solo dopo che è stato egli stesso glorificato con la sua morte e risurrezione. Tuttavia, lo lascia gradualmente intravvedere anche nel suo insegnamento alle folle, quando rivela che la sua carne sarà cibo per la vita del mondo. Inoltre lo lascia intuire a Nicodemo, alla Samaritana e a coloro che partecipano alla festa delle Capanne. Ai suoi discepoli ne parla apertamente a proposito della preghiera e della testimonianza che dovranno dare.
729 – Solo quando giunge l’Ora in cui sarà glorificato, Gesù promette la venuta dello Spirito Santo, poiché la sua morte e la sua risurrezione saranno il compimento della Promessa fatta ai Padri: lo Spirito di verità, sarà donato dal Padre per la preghiera di Gesù; sarà mandato dal Padre nel nome di Gesù; Gesù lo invierà quando sarà presso il Padre, perché è uscito dal Padre. Lo Spirito Santo verrà, noi lo conosceremo, sarà con noi per sempre, dimorerà con noi; ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Cristo ci ha detto e gli renderà testimonianza; ci condurrà alla verità tutta intera e glorificherà Cristo; convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.
730 – Infine viene l’Ora di Gesù: Gesù consegna il suo spirito nelle mani del Padre nel momento in cui con la sua morte vince la morte, in modo che, «risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre» (Rm 6,4), egli dona subito lo Spirito Santo «alitando» sui suoi discepoli. A partire da questa Ora, la missione di Cristo e dello Spirito diviene la missione della Chiesa: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21).
V. Lo Spirito e la Chiesa negli ultimi tempi.
LA PENTECOSTE
731 – Il giorno di pentecoste (al termine delle sette settimane pasquali), la pasqua di Cristo si compie nell’effusione dello Spirito Santo, che è manifestato, donato e comunicato come Persona divina: dalla sua pienezza Cristo Signore effonde a profusione lo Spirito.
732 – In questo giorno è pienamente rivelata la Santissima Trinità. Da questo giorno, il Regno annunziato da Cristo è aperto a coloro che credono in lui: nell’umiltà della carne e nella fede, essi partecipano già alla comunione della Santissima Trinità. Con la sua venuta, che non ha fine, lo Spirito Santo introduce il mondo negli «ultimi tempi», il tempo della Chiesa, il Regno già ereditato, ma non ancora compiuto:«Abbiamo visto la vera Luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede: adoriamo la Trinità indivisibile, perché ci ha salvati».
LO SPIRITO SANTO IL DONO DI DIO
733 – «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16) e l’amore è il primo dono, quello che contiene tutti gli altri. Questo amore, Dio l’ha «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato» (Rm 5,5).
734 – Poiché noi siamo morti, o, almeno, feriti per il peccato, il primo effetto del dono dell’amore è la remissione dei nostri peccati. È «la comunione dello Spirito Santo» (2 Cor 13,13) che nella Chiesa ridona ai battezzati la somiglianza divina perduta a causa del peccato.
735 – Egli dona allora la «caparra» o le «primizie» della nostra eredità; la vita stessa della Santissima Trinità che consiste nell’amare come egli ci ha amati. Questo amore (la carità di 1 Cor 13) è il principio della vita nuova in Cristo, resa possibile dal fatto che abbiamo «forza dallo Spirito Santo» (At 1,8).
736 – È per questa potenza dello Spirito che i figli di Dio possono portare frutto. Colui che ci ha innestati sulla vera Vite, farà sì che portiamo il frutto dello Spirito che «è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sè» (Gal 5,22-23). Lo Spirito è la nostra vita; quanto più rinunciamo a noi stessi, tanto più lo Spirito fa che anche operiamo. «Con lo Spirito Santo, che rende spirituali, c’è la riammissione al paradiso, il ritorno alla condizione di figlio, il coraggio di chiamare Dio Padre, il diventare partecipe della grazia di Cristo, l’essere chiamato figlio della luce, il condividere la gloria eterna.
LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA
737 – La missione di Cristo e dello Spirito Santo si compie nella Chiesa, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo. Questa missione congiunta associa ormai i seguaci di Cristo alla sua comunione con il Padre nello Spirito Santo: lo Spirito prepara gli uomini, li previene con la sua grazia per attirarli a Cristo. Manifesta loro il Signore risorto, ricorda loro la sua parola, apre il loro spirito all’intelligenza della sua morte e risurrezione. Rende loro presente il mistero di Cristo, soprattutto nell’Eucaristia, al fine di riconciliarli e di metterli in comunione con Dio perché portino «molto frutto».
738 – In questo modo la missione della Chiesa non si aggiunge a quella di Cristo e dello Spirito Santo, ma ne è il sacramento: con tutto il suo essere e in tutte le sue membra essa è inviata ad annunziare e testimoniare, attualizzare e diffondere il mistero della comunione della Santa Trinità (sarà questo l’argomento del prossimo articolo): «Noi tutti che abbiamo ricevuto l’unico e medesimo spirito, cioè lo Spirito Santo, siamo uniti tra di noi e con Dio. Infatti, sebbene, presi separatamente, siamo in molti e in ciascuno di noi Cristo faccia abitare lo Spirito del Padre e suo, tuttavia unico e indivisibile è lo Spirito. Egli riunisce nell’unità spiriti che tra loro sono distinti […] e fa di tutti in se stesso un’unica e medesima cosa. Come la potenza della santa umanità di Cristo rende concorporei coloro nei quali si trova, allo stesso modo l’unico e indivisibile Spirito di Dio che abita in tutti conduce tutti all’unità spirituale.
739 – Poiché lo Spirito Santo è l’unzione di Cristo, è Cristo, Capo del corpo, a diffonderlo nelle sue membra per nutrirle, guarirle, organizzarle nelle loro mutue funzioni, vivificarle, inviare per la testimonianza, associarle alla sua offerta al Padre e alla sua intercessione per il mondo intero. È per mezzo dei sacramenti della Chiesa che Cristo comunica alle membra del suo corpo il suo Spirito Santo e santificatore (questo sarà l’argomento della seconda parte del Catechismo).
740 – Queste «meraviglie di Dio», offerte ai credenti nei sacramenti della Chiesa, portano i loro frutti nella vita nuova, in Cristo, secondo lo Spirito (questo sarà l’argomento della terza parte del Catechismo).
741 – «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26). Lo Spirito Santo, artefice delle opere di Dio, è il maestro della preghiera (questo sarà l’argomento della quarta parte del Catechismo).
In sintesi
742 – «E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre» (Gal 4,6).
743 – Dall’inizio alla fine dei tempi, quando Dio invia suo Figlio, invia sempre il suo Spirito: la loro missione é congiunta e inseparabile.
744 – Nella pienezza del tempo, lo Spirito Santo porta a compimento in Maria tutte le preparazioni alla venuta di Cristo nel popolo di Dio. Mediante l’opera dello Spirito Santo in lei, il Padre dona al mondo l’Emmanuele, «Dio-con-noi» (Mt 1,23).
745 – Il Figlio di Dio é consacrato Cristo (Messia) attraverso l’unzione dello Spirito Santo nell’incarnazione.
746 – Per la sua morte e risurrezione, Gesù é costituito Signore e Cristo nella gloria. Dalla sua pienezza, egli effonde lo Spirito Santo sugli Apostoli e sulla Chiesa.
747 – Lo Spirito Santo, che Cristo, Capo, diffonde nelle sue membra, edifica, anima e santifica la Chiesa, sacramento della comunione della Santissima Trinità e degli uomini.
Articolo 9
«CREDO LA SANTA CHIESA CATTOLICA»
748 – «Cristo è la luce delle genti, e questo sacro Concilio, adunato nello Spirito Santo, ardentemente desidera che la luce di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini, annunziando il Vangelo a ogni creatura». Con queste parole si apre la «Costituzione dogmatica sulla Chiesa» del Concilio Vaticano Il. Con ciò il Concilio indica che l’articolo di fede sulla Chiesa dipende interamente dagli articoli concernenti Gesù Cristo. La Chiesa non ha altra luce che quella di Cristo. Secondo un’immagine cara ai Padri della Chiesa, essa è simile alla luna, la cui luce è tutta riflesso del sole.
749 – L’articolo sulla Chiesa dipende anche interamente da quello sullo Spirito Santo, che lo precede. «In quello, infatti, lo Spirito Santo ci appare come la fonte totale di ogni santità; in questo, il divino Spirito ci appare come la sorgente della santità della Chiesa». Secondo l’espressione dei Padri, la Chiesa è il luogo «dove fiorisce lo Spirito».
750 – Credere che la Chiesa è «Santa» e «Cattolica» e che è «Una» e «Apostolica» (come aggiunge il Simbolo niceno-costantinopolitano) è inseparabile dalla fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Nel Simbolo degli Apostoli professiamo di credere la santa Chiesa («Credo […] Ecclesiam»), e non nella Chiesa, per non confondere Dio con le sue opere e per attribuire chiaramente alla bontà di Dio tutti i doni che egli ha riversato nella sua Chiesa.
Paragrafo 1
LA CHIESA NEL DISEGNO DI DIO
I. I nomi e le immagini della Chiesa.
751 – La parola «Chiesa» significa «convocazione». Designa assemblee del popolo, generalmente di carattere religioso. È il termine frequentemente usato nell’Antico Testamento greco per indicare l’assemblea del popolo eletto riunita davanti a Dio, soprattutto l’assemblea del Sinai, dove Israele ricevette la Legge e fu costituito da Dio come suo popolo santo. Definendosi «Chiesa», la prima comunità di coloro che credevano in Cristo si riconosce erede di quell’assemblea. In essa, Dio «convoca» il suo popolo da tutti i confini della terra. I termini da cui sono derivati Church, Kirche, significa «colei che appartiene al Signore».
752 – Nel linguaggio cristiano, il termine «Chiesa» designa l’assemblea liturgica, ma anche la comunità locale tutta la comunità universale dei credenti. Di fatto questi tre significati sono inseparabili. La «Chiesa» è il popolo che Dio raduna nel mondo intero. Essa esiste nelle comunità locali e si realizza come assemblea liturgica, soprattutto eucaristica. Essa vive della Parola e del Corpo di Cristo, divenendo così essa stessa corpo di Cristo.
I SIMBOLI DELLA CHIESA
753 – Nella Sacra Scrittura troviamo moltissime immagini e figure tra loro connesse mediante le quali la Rivelazione parla del mistero insondabile della Chiesa. Le immagini dell’Antico Testamento sono variazioni di un’idea di fondo, quella del «popolo di Dio». Nel Nuovo Testamento tutte queste immagini trovano un nuovo centro, per il fatto che Cristo diventa il «Capo» di questo popolo, che è quindi il suo corpo. Attorno a questo centro si sono raggruppate immagini «desunte sia dalla pastorizia o dall’agricoltura, sia dalla costruzione di edifici o anche dalla famiglia e dagli sponsali».
754 – «Così la Chiesa è l’ovile, la cui porta unica e necessaria é Cristo. È pure il gregge, di cui Dio stesso ha preannunziato che sarebbe il pastore e le cui pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo, il Pastore buono e il Principe dei pastori, il quale ha dato la sua vita per le pecore.
755 – «La Chiesa é il podere o campo di Dio. In quel campo cresce l’antico olivo, la cui santa radice sono stati i patriarchi e nel quale è avvenuta e avverrà la riconciliazione dei Giudei e delle genti. Essa è stata piantata dal celeste Agricoltore come vigna scelta. Cristo è la vera Vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in lui e senza di lui nulla possiamo fare.
756 – «Più spesso ancora la Chiesa è detta l’edificio di Dio. Il Signore stesso si è paragonato alla pietra che i costruttori hanno rigettata, ma che è divenuta la pietra angolare (Mt 21,42 par.; At 4,11; I Pt 2,7; Sal 118,22). Sopra quel fondamento la Chiesa è stata costruita dagli Apostoli e da esso riceve stabilità e coesione. Questa costruzione viene chiamata in varie maniere: casa di Dio, nella quale abita la sua famiglia, la dimora di Dio nello Spirito, la dimora di Dio con gli uomini, e soprattutto tempio santo, rappresentato da santuari di pietra, che è lodato dai santi Padri e che la liturgia giustamente paragona alla Città santa, la nuova Gerusalemme. In essa, infatti, quali pietre viventi, veniamo a formare su questa terra un tempio spirituale. E questa Città santa Giovanni la contempla mentre nel finale rinnovamento del mondo essa scende dal cielo, da presso Dio, “preparata come una sposa che si è ornata per il suo sposo” (Ap 21,1-2)».
757 – «La Chiesa, che è chiamata “Gerusalemme che è in alto” e “Madre nostra” (Gal 4,26)147 viene pure descritta come l’immacolataSposa dell’Agnello immacolato, 149 Sposa che Cristo “ha amato (…) e per la quale ha dato se stesso, al fine di renderla santa” (Ef 5,25-26), che si è associata con patto indissolubile e che incessantemente nutre e […] cura” (Ef 5,29).
II. Origine, fondazione e missione della Chiesa.
758 – Per scrutare il mistero della Chiesa, è bene considerare innanzi tutto la sua origine nel disegno della Santissima Trinità e la sua progressiva realizzazione nella storia.
UN DISEGNO NATO NEL CUORE DEL PADRE
759 – «L’eterno Padre, con liberissimo e arcano disegno di sapienza e di bontà, ha creato l’universo, ha decretato di elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina», alla quale chiama tutti gli uomini nel suo Figlio: «I credenti in Cristo li ha voluti convocare nella santa Chiesa». Questa «famiglia di Dio» si costituisce e si realizza gradualmente lungo le tappe della storia umana, secondo le disposizioni del Padre: la Chiesa, infatti, «prefigurata sino dal principio del mondo, mirabilmente preparata nella storia del popolo d’Israele e nell’Antica Alleanza, e istituita “negli ultimi tempi”, é stata manifestata dall’effusione dello Spirito e avrà glorioso compimento alla fine dei secoli».
LA CHIESA PREFIGURATA FIN DALL’ORIGINE DEL MONDO
760 – «Il mondo fu creato in vista della Chiesa », dicevano i cristiani dei primi tempi. Dio ha creato il mondo in vista della comunione alla sua vita divina, comunione che si realizza mediante la «convocazione» degli uomini in Cristo, e questa «convocazione» è la Chiesa. La Chiesa è il fine di tutte le cose e le stesse vicissitudini dolorose, come la caduta degli angeli e il peccato dell’uomo, furono permesse da Dio solo in quanto occasione e mezzo per dispiegare tutta la potenza del suo braccio, tutta l’immensità d’amore che voleva donare al mondo: «Come la volontà di Dio è un atto, e questo atto si chiama mondo così la sua intenzione è la salvezza dell’uomo, ed essa si chiama Chiesa».
LA CHIESA PREPARATA NELL’ANTICA ALLEANZA
761 – La convocazione del popolo di Dio ha inizio nel momento in cui il peccato distrugge la comunione degli uomini con Dio e quella degli uomini tra di loro. La convocazione della Chiesa é, per così dire, la reazione di Dio di fronte al caos provocato dal peccato. Questa riunificazione si realizza segretamente in seno a tutti i popoli: «Chi teme […] [Dio] e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (At 10,35).
762 – La preparazione remota della riunione del popolo di Dio comincia con la vocazione di Abramo, al quale Dio promette che diverrà padre di un grande popolo. La preparazione immediata comincia con l’elezione di Israele come popolo di Dio. Con la sua elezione, Israele deve essere il segno della riunione futura di tutte le nazioni. Ma già i profeti accusano Israele di aver rotto l’Alleanza e di essersi comportato come una prostituta. Essi annunziano un’Alleanza nuova ed eterna. «Cristo istituì questo nuovo Patto».
LA CHIESA – ISTITUITA DA GESÙ CRISTO
763 – É compito del Figlio realizzare, nella pienezza dei tempi, il piano di salvezza del Padre; è questo il motivo della sua «missione». «Il Signore Gesù diede inizio alla sua Chiesa predicando la Buona Novella, cioè la venuta del regno di Dio da secoli promesso nelle Scritture». Per compiere la volontà del Padre, Cristo inaugurò il regno dei cieli sulla terra. La Chiesa è «il regno di Cristo già presente in mistero».
764 – «Questo regno si manifesta chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere e nella presenza di Cristo. Accogliere la parola di Gesù significa accogliere «il regno stesso di Dio. Il germe e l’inizio del regno sono il «piccolo gregge» (Lc 12,32) di coloro che Gesù è venuto a convocare attorno a sé e di cui egli stesso è il pastore. Essi costituiscono la vera famiglia di Gesù. A coloro che ha così radunati attorno a sé, ha insegnato un modo «nuovo di comportarsi», ma anche una preghiera loro propria.
765 – Il Signore Gesù ha dotato la sua comunità di una struttura che rimarrà fino al pieno compimento del Regno. Innanzi tutto vi è la scelta dei Dodici con Pietro come loro capo. Rappresentando le dodici tribù d’Israele, essi sono i basamenti della nuova Gerusalemme. I Dodici e gli altri discepoli partecipano alla missione di Cristo, al suo potere, ma anche alla sua sorte. Attraverso tutte queste azioni Cristo prepara ed edifica la sua Chiesa.
766 – Ma la Chiesa è nata principalmente dal dono totale di Cristo per la nostra salvezza, anticipato nell’istituzione dell’Eucaristia e realizzato sulla croce. L’inizio e la crescita della Chiesa «sono simboleggiati dal sangue e dall’acqua che uscirono dal costato aperto di Gesù crocifissso». «Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla dal costato di Adamo addormentato, così la Chiesa è nata dal cuore trafitto di Cristo morto sulla croce.
LA CHIESA MANIFESTATA DALLO SPIRITO SANTO
767 – «Compiuta l’opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra, il giorno di pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa. Allora «la Chiesa fu manifestata pubblicamente alla moltitudine [ed] ebbe inizio attraverso la predicazione la diffusione del Vangelo». Essendo «convocazione» di tutti gli uomini alla salvezza, la Chiesa è missionaria per sua natura, inviata da Cristo a tutti i popoli, per farli discepoli.
768 – Perché la Chiesa possa realizzare la sua missione, lo Spirito Santo «la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici, con i quali la dirige». «La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo Fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, di umiltà e di abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio».
LA CHIESA PIENAMENTE COMPIUTA NELLA GLORIA
769 – «La Chiesa […] non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo al momento del ritorno glorioso di Cristo. Fino a quel giorno, «la Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio». Quaggiù si sente in esilio, lontana dal Signore; «anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e brama di unirsi al suo Re nella gloria». Il compimento della Chiesa e per suo mezzo del mondo – nella gloria non avverrà se non attraverso molte prove. Allora soltanto, «tutti i giusti, a partire da Adamo, “dal giusto Abele fino all’ultimo eletto”, saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale».
III. Il mistero della Chiesa.
770 – La Chiesa è nella storia, ma nello stesso tempo la trascende. E unicamente «con gli occhi della fede» che si può scorgere nella sua realtà visibile una realtà contemporaneamente spirituale, portatrice di vita divina.
LA CHIESA INSIEME VISIBILE E SPIRITUALE
771 – «Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, come un organismo visibile; incessantemente la sostenta e per essa diffonde su tutti la verità e la grazia». La Chiesa è ad un tempo: «la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo»; – «l’assemblea visibile e la comunità spirituale»; «la Chiesa della terra e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti». Queste dimensioni «formano una sola complessa realtà risultante di un elemento umano e di un elemento divino La Chiesa «ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e, tuttavia, pellegrina; tutto questo in modo che quanto in lei è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura verso la quale siamo incamminati». «O umiltà! O sublimità! Tabernacolo di Cedar, santuario di Dio; abitazione terrena, celeste reggia; dimora di fango, sala regale; corpo di morte, tempio di luce; infine, rifiuto per i superbi, ma sposa di Cristo! Bruna sei, ma bella, o figlia di Gerusalemme: se anche la fatica e il dolore del lungo esilio ti sfigura, ti adorna tuttavia la bellezza celeste».
LA CHIESA MISTERO DELL’ UNIONE DEGLI UOMINI CON DIO
772 – È nella Chiesa che Cristo compie e rivela il suo proprio mistero come il fine del disegno di Dio: «ricapitolare in Cristo tutte le cose» (Ef 1,10). San Paolo chiama «mistero grande» (Ef 5,32) l’unione sponsale di Cristo con la Chiesa. Poiché la Chiesa è unita a Cristo come allo Sposo, diventa essa stessa a sua volta mistero. Contemplando in essa il mistero, san Paolo scrive: «Cristo in voi, speranza della gloria» (Col 1,27).
773 – Nella Chiesa questa comunione degli uomini con Dio mediante la parità che «non avrà mai fine» (1 Cor 13,8) è lo scopo cui tende tutto ciò che in essa è mezzo sacramentale, legato a questo mondo destinato a passare. «La sua struttura è completamente ordinata alla santità delle membra di Cristo. E la santità si misura secondo il “grande mistero”, nel quale la Sposa risponde col dono dell’amore al dono dello Sposo. Maria precede tutti noi sulla via verso la santità che è il mistero della Chiesa in quanto Sposa senza macchia né ruga. Per questo motivo «la dimensione mariana della Chiesa precede la sua dimensione petrina».
LA CHIESA SACRAMENTO UNIVERSALE DI SALVEZZA
774 – La parola greca (…) è stata tradotta in latino con due termini: mysterium e sacramentum. Nell’interpretazione ulteriore, il terminesacramentum esprime più precisamente il segno visibile della realtà nascosta della salvezza, indicata dal termine mysterium. In questo senso, Cristo stesso è il mistero della salvezza: «Non est enim aliud Dei mysterium, nisi Christus – Non v’è altro mistero di Dio, se non Cristo. L’opera salvifica della sua umanità santa e santificante è il sacramento della salvezza che si manifesta e agisce nei sacramenti della Chiesa (che le Chiese d’Oriente chiamano anche («i santi misteri»). I sette sacramenti sono i segni e gli strumenti mediante i quali lo Spirito Santo diffonde la grazia di Cristo, che è il Capo, nella Chiesa, che è il suo corpo. La Chiesa, dunque, contiene e comunica la grazia invisibile che essa significa. È in questo senso analogico che viene chiamata «sacramento».
775 – «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. Essere il sacramento dell’intima unione degli uomini con Dio: ecco il primo fine della Chiesa. Poiché la comunione tra gli uomini si radica nell’unione con Dio, la Chiesa è anche il sacramento dell’unità del genere umano. In essa, tale unità è già iniziata poiché essa raduna uomini «di ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7,9); nello stesso tempo, la Chiesa è «segno e strumento» della piena realizzazione di questa unità che deve ancora compiersi.
776 – In quanto sacramento, la Chiesa è strumento di Cristo. Nelle sue mani essa è lo «strumento della redenzione di tutti», «il sacramento universale della salvezza», attraverso il quale Cristo «svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo». Essa «è il progetto visibile dell’amore di Dio per l’umanità», progetto che vuole «la costituzione di tutto il genere umano nell’unico popolo di Dio, la sua riunione nell’unico corpo di Cristo, la sua edificazione nell’unico tempio dello Spirito Santo».
In sintesi
777 – La parola «Chiesa» significa «convocazione». Designa l’assemblea di coloro che la Parola di Dio convoca per formare il popolo di Dio e che, nutriti dal Corpo di Cristo, diventano essi stessi corpo di Cristo.
778 – La Chiesa è ad un tempo via e fine del disegno di Dio: prefigurata nella creazione, preparata nell’Antica Alleanza, fondata dalle parole e dalle azioni di Gesù Cristo, realizzata mediante la sua croce redentrice e la sua risurrezione, essa è manifestata come mistero di salvezza con l’effusione dello Spirito Santo. Avrà il suo compimento nella gloria del cielo come assemblea di tutti i redenti della terra.
779 – La Chiesa é ad un tempo visibile e spirituale, società gerarchica e corpo mistico di Cristo. È una, formata di un elemento umano e di un elemento divino. Questo è il suo mistero, che solo la fede può accogliere.
780 – La Chiesa è in questo mondo il sacramento della salvezza, il segno e lo strumento della comunione di Dio e degli uomini.
Paragrafo 2
LA CHIESA – POPOLO DI DIO, CORPO DI CRISTO, TEMPIO DELLO SPIRITO SANTO
I. La Chiesa – popolo di Dio.
781 – «In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la sua giustizia. Tuttavia piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse. Si scelse quindi per sé il popolo israelita, stabilì con lui un’alleanza e lo formò progressivamente. Tutto questo però avvenne in preparazione e in figura di quella nuova e perfetta Alleanza che doveva concludersi in Cristo […] cioè la Nuova Alleanza nel suo sangue, chiamando gente dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito ».
LE CARATTERISTICHE DEL POPOLO DI DIO
782 – Il popolo di Dio presenta caratteristiche che lo distinguono nettamente da tutti i aggruppamenti religiosi, etnici, politici o culturali della storia: È il popolo di Dio: Dio non appartiene in proprio ad alcun popolo. Ma egli si è acquistato un popolo da coloro che un tempo erano non-popolo: «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa» (1 Pt 2,9). Si diviene membri di questo popolo non per la nascita fisica, ma per la «nascita dall’alto», «dall’acqua e dallo Spirito» (Gv 3,3-5), cioè mediante la fede in Cristo e il Battesimo. – Questo popolo ha per Capo Gesù Cristo (Unto, Messia): poiché la medesima unzione, lo Spirito Santo, scorre dal Capo al corpo, esso è «il popolo messianico». – «Questo popolo ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come nel suo tempio» – «Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati». È la legge «nuova» dello Spirito Santo. – Ha per missione di essere il sale della terra e la luce del mondo. «Costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza». – «E, da ultimo, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento.
UN POPOLO SACERDOTALE, PROFETICO E REGALE
783 – Gesù Cristo è colui che il Padre ha unto con lo Spirito Santo e ha costituito «Sacerdote, Profeta e Re». L’intero popolo di Dio partecipa a queste tre funzioni di Cristo e porta le responsabilità di missione e di servizio che ne derivano.
784 – Entrando nel popolo di Dio mediante la fede e il Battesimo, si è resi partecipi della vocazione unica di questo popolo, la vocazionesacerdotale: «Cristo Signore, Pontefice assunto di mezzo agli uomini, fece del nuovo popolo un regno e dei sacerdoti per Dio, suo Padre. Infatti, per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo.
785 – «Il popolo santo di Dio partecipa pure alla funzione profetica di Cristo». Ciò soprattutto per il senso soprannaturale della fede che è di tutto il popolo, laici e gerarchia, quando «aderisce indefettibilmente al la fede una volta per tutte trasmessa ai santi » e ne approfondisce la comprensione e diventa testimone di Cristo in mezzo a questo mondo.
786 – Il popolo di Dio partecipa infine alla funzione regale di Cristo. Cristo esercita la sua regalità attirando a sé tutti gli uomini mediante la sua morte e la sua risurrezione. Cristo, Re e Signore dell’universo, si è fatto il servo di tutti, non essendo «venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Per il cristiano «regnare» è «servire» Cristo, soprattutto «nei poveri e nei sofferenti», nei quali la Chiesa riconosce «l’immagine del suo Fondatore, povero e sofferente». Il popolo di Dio realizza la sua «dignità regale» vivendo conformemente a questa vocazione di servire con Cristo. «Tutti quelli che sono rinati in Cristo conseguono dignità regale per il segno della croce. Con l’unzione dello Spirito Santo sono consacrati sacerdoti. Non c’é quindi solo quel servizio specifico proprio del nostro ministero, perché tutti i cristiani, rivestiti di un carisma spirituale e usando della loro ragione, si riconoscono membra di questa stirpe regale e partecipi della funzione sacerdotale. Non è forse funzione regale il fatto che un’anima governi il suo corpo in sottomissione a Dio? Non è forse funzione sacerdotale consacrare al Signore una coscienza pura e offrirgli sull’altare del proprio cuore i sacrifici immacolati del nostro culto?».
II. La Chiesa – corpo di Cristo.
LA CHIESA È COMUNIONE CON GESÙ
787- Fin dall’inizio Gesù ha associato i suoi discepoli alla sua vita; ha loro rivelato il mistero del Regno; li ha resi partecipi della sua missione, della sua gioia e delle sue sofferenze. Gesù parla di una comunione ancora più intima tra sé e coloro che lo seguiranno: «Rimanete in me e io in voi (…) Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,4-5). Annunzia inoltre una comunione misteriosa e reale tra il suo proprio corpo e il nostro: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,56).
788 – Quando la sua presenza visibile è stata tolta ai discepoli, Gesù non li ha lasciati orfani. Ha promesso di restare con loro sino alla fine dei tempi, ha mandato loro il suo Spirito. In un certo senso, la comunione con Gesù è diventata più intensa: «Comunicando infatti il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti».
789 – Il paragone della Chiesa con il corpo illumina l’intimo legame tra la Chiesa e Cristo. Essa non è soltanto radunata attorno a lui; è unificata in lui, nel suo corpo. Tre aspetti della Chiesa-corpo di Cristo vanno sottolineati in modo particolare: l’unità di tutte le membra tra di loro in forza della loro unione a Cristo; Cristo Capo del corpo; la Chiesa, Sposa di Cristo.
«UN SOLO CORPO»
790 – I credenti che rispondono alla Parola di Dio e diventano membra del corpo di Cristo, vengono strettamente uniti a Cristo: «in quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti che attraverso i Sacramenti vengono uniti in modo arcano ma reale a Cristo che ha sofferto ed è stato glorificato», Ciò è particolarmente vero del Battesimo, in virtù del quale siamo uniti alla morte e alla risurrezione di Cristo, e dell’Eucaristia, mediante la quale «partecipando realmente al Corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi».
791 – L’unità del corpo non elimina la diversità delle membra: «Nell’edificazione del corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle funzioni. Uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi». L’unità del corpo mistico genera e stimola tra i fedeli la carità: «E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra». Infine, l’unità del corpo mistico vince tutte le divisioni umane: «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più né giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,27-28).
CAPO DI QUESTO CORPO È CRISTO
792 – Cristo «è il Capo del corpo, cioè della Chiesa» (Col 1,18). È il Principio della creazione e della redenzione. Elevato alla gloria del Padre, ha «il primato su tutte le cose» (Col 1,18), principalmente sulla Chiesa, per mezzo della quale estende il suo regno su tutte le cose.
793 – Egli ci unisce alla sua pasqua. Tutte le membra devono sforzarsi di conformarsi a lui finché in esse «non sia formato Cristo» (Gal4,19). «Per questo siamo assunti ai misteri della sua vita. […] Come il corpo al Capo veniamo associati alle sue sofferenze e soffriamo con lui per essere con lui glorificati».
794 – Egli provvede alla nostra crescita. Per farci crescere verso di lui, nostrom Capo, Cristo dispone nel suo corpo, la Chiesa, i doni e i misteri attraverso i quali noi ci aiutiamo reciprocamente lungo il cammino della salvezza.
795 – Cristo e la Chiesa formano, dunque, il «Cristo totale» [«Christus totus»]. La Chiesa è una con Cristo. I santi hanno una coscienza vivissima di tale unità: «Rallegriamoci, rendiamo grazie a Dio, non soltanto perché ci ha fatti diventare cristiani, ma perché ci ha fatto diventare Cristo stesso. Vi rendete conto, fratelli, di quale grazia ci ha fatto Dio, donandoci Cristo come Capo? Esultate, gioite, siamo divenuti Cristo. Se egli è il Capo, noi siamo le membra: siamo un uomo completo, egli e noi. (…) Pienezza di Cristo: il Capo e le membra. Qual è la Testa, e quali sono le membra? Cristo e la Chiesa». «Redemptor noster unam se personam cum sancta Ecclesia, quam assumpsit, exhibuit – Il nostro Redentore presentò se stesso come unica persona unita alla santa Chiesa, da lui assunta» «Caput et membra, quasi una persona mystica – Capo e membra sono, per così dire, una sola persona mistica». Una parola di santa Giovanna d’Arco ai suoi giudici riassume la fede dei santi dottori ed esprime il giusto sentire del credente: «A mio avviso, Gesù Cristo e la Chiesa sono un tutt’uno, e non bisogna sollevare difficoltà».
LA CHIESA È LA SPOSA DI CRISTO
796 – L’unità di Cristo e della Chiesa, Capo e membra del corpo, implica anche la distinzione dei due in una relazione personale. Questo aspetto spesso viene espresso con l’immagine dello sposo e della sposa. Il tema di Cristo Sposo della Chiesa è stato preparato dai profeti e annunziato da Giovanni Battista. Il Signore stesso si è definito come lo «Sposo» (Mc 2,19). L’Apostolo presenta la Chiesa e ogni fedele, membro del suo corpo, come una Sposa «fidanzata» a Cristo Signore, per formare con lui un solo Spirito. Essa è la Sposa senza macchia dell’Agnello immacolato, che Cristo ha amato e per la quale ha dato se stesso, «per renderla santa» (Ef 5,26), che ha unito a sé con una Alleanza eterna e di cui non cessa di prendersi cura come del suo proprio corpo. «Ecco il Cristo totale, capo e corpo, uno solo formato da molti. […] Sia il capo a parlare, o siano le membra, è sempre Cristo che parla: parla nella persona del capo [«ex persona capitis»], parla nella persona del corpo [“ex persona corporis”]. Che cosa, infatti, sta scritto? “Saranno due in una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ef 5,31-32). E Cristo Stesso nel Vangelo: “Non sono più due, ma una carne sola” (Mt 19,6). Difatti, come ben sapete, queste persone sono sì due, ma poi diventano una sola nell’unione sponsale. (…) Dice di essere “sposo” in quanto capo, e “sposa” in quanto corpo».
III. La Chiesa – tempio dello Spirito Santo.
797 – «Quod est spiritus noster, id est anima nostra, ad membra nostra, hoc est Spiritus Sanctus ad membra Christi, ad corpus Christi, quod est Ecclesia – Quello che il nostro spirito, ossia la nostra anima, è per le nostre membra, lo stesso è lo Spirito Santo per le membra di Cristo, per il corpo di Cristo, che è la Chiesa», «Bisogna attribuire allo Spirito di Cristo, come ad un principio nascosto, il fatto che tutte le parti del corpo siano unite tanto fra loro quanto col loro sommo Capo, poiché egli risiede tutto intero nel Capo, tutto intero nel corpo, tutto intero in ciascuna delle sue membra». Lo Spirito Santo fa della Chiesa «il tempio del Dio vivente» (2 Cor 6,16). «È alla Chiesa che è stato affidato il dono di Dio. (…) In essa è stata posta la comunione con Cristo, cioè lo Spirito Santo, caparra dell’incorruttibilità, confermazione della nostra fede, scala per ascendere a Dio. […] Infatti, dove è la Chiesa, ivi è anche lo Spirito di Dio e dove è lo Spirito di Dio, ivi è la Chiesa e ogni grazia».
798 – Lo Spirito Santo è «il principio di ogni azione vitale e veramente salvifica in ciascuna delle diverse membra del corpo». Egli opera in molti modi l’edificazione dell’intero corpo nella carità: mediante la Parola di Dio «che ha il potere di edificare» (At 20,32); mediante il Battesimo con il quale forma il corpo di Cristo; mediante i sacramenti che fanno crescere e guariscono le membra di Cristo; mediante la grazia degli Apostoli che fra i vari doni viene al primo posto; mediante le virtù che fanno agire secondo il bene, e infine mediante le molteplici grazie speciali (chiamate «carismi»), con le quali rende i fedeli «adatti e pronti ad assumersi varie opere o uffici, utili al rinnovamento della Chiesa e allo sviluppo della sua costruzione».
I CARISMI
799 – Straordinari o semplici e umili, i carismi sono grazie dello Spirito Santo che, direttamente o indirettamente, hanno un’utilità ecclesiale, ordinati come sono all’edificazione della Chiesa, al bene degli uomini e alle necessità del mondo.
800 – I carismi devono essere accolti con riconoscenza non soltanto da chi li riceve, ma anche da tutti i membri della Chiesa. Infatti sono una meravigliosa ricchezza di grazia per la vitalità apostolica e per la santità di tutto il corpo di Cristo, purché si tratti di doni che provengono veramente dallo Spirito Santo e siano esercitati in modo pienamente conforme agli autentici impulsi dello stesso Spirito, cioè secondo la carità, vera misura dei carismi.
801 – E in questo senso che si dimostra sempre necessario il discernimento dei carismi. Nessun carisma dispensa dal riferirsi e sottomettersi ai Pastori della Chiesa, «ai quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono», affinché tutti i carismi, nella loro diversità e complementarità, cooperino all’«utilità comune (1 Cor 12,7).
In sintesi
802 – Gesù Cristo «ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga» (Tt 2,14).
803 – «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2,9).
804 – Si entra nel popolo di Dio mediante la fede e il Battesimo. «Tutti gli uomini sono chiamati a formare il nuovo popolo di Dio»,affinché, in Cristo, «gli uomini costituiscano una sola famiglia e un solo popolo di Dio».
805 – La Chiesa è il corpo di Cristo. Per mezzo dello Spirito e della sua azione nei sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, Cristo, morto e risorto, costituisce la comunità dei credenti come suo corpo.
806 – Nell’unità di questo corpo c’è diversità di membra e di funzioni. Tutte le membra sono legate le une alle altre, particolarmente a quelle che soffrono, che sono povere e perseguitate.
807 – La Chiesa è questo corpo, di cui Cristo è il Capo: essa vive di lui, in lui e per lui; egli vive con essa e in essa.
808 – La Chiesa è la Sposa di Cristo: egli l’ha amata e ha dato se stesso per lei. L’ha purificata con il suo sangue. Ha fatto di lei la Madre feconda di tutti i figli di Dio.
809 – La Chiesa è il tempio dello Spirito Santo. Lo Spirito è come l’anima del corpo mistico, principio della sua vita, dell’unità nella diversità e della ricchezza dei suoi doni e carismi.
810 – «Così la Chiesa universale si presenta come “un popolo adunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”»,
Paragrafo 3
LA CHIESA E’ UNA, SANTA, CATTOLICA E APOSTOLICA
811 – «Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica». Questi quattro attributi, legati inseparabilmente tra di loro, indicano tratti essenziali della Chiesa e della sua missione. La Chiesa non se li conferisce da se stessa; è Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a realizzare ciascuna di queste caratteristiche.
812 – Soltanto la fede può riconoscere che la Chiesa trae tali caratteristiche dalla sua origine divina. Tuttavia le loro manifestazioni storiche sono segni che parlano chiaramente alla ragione umana. «La Chiesa – ricorda il Concilio Vaticano -, a causa della sua eminente santità […], della sua cattolica unità, della sua incrollabile stabilità, è per se stessa un grande e perenne motivo di credibilità e una irrefragabile testimonianza della sua missione divina».
I. La Chiesa è una.
«IL SACRO MISTERO DELL’UNITÀ DELLA CHIESA»
813 – La Chiesa è una per la sua origine: «Il supremo modello e il principio di questo mistero è l’unità nella Trinità delle Persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo». La Chiesa è una per il suo Fondatore: «Il Figlio incarnato, infatti, […] per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio, […] ristabilendo l’unità di tutti i popoli in un solo popolo e in un solo corpo». La Chiesa è una per la sua «anima»: «Lo Spirito Santo, che abita nei credenti e tutta riempie e regge la Chiesa, produce quella meravigliosa comunione dei fedeli e tanto intimamente tutti unisce in Cristo, da essere il principio dell’unità della Chiesa». È dunque proprio dell’essenza stessa della Chiesa di essere una: «Che stupendo mistero! Vi è un solo Padre dell’universo, un solo Logos dell’universo e anche un solo Spirito Santo, ovunque identico; vi è anche una sola Vergine divenuta Madre, e io amo chiamarla Chiesa».
814 – Fin dal principio, questa Chiesa «una» si presenta tuttavia con una grande diversità, che proviene sia dalla varietà dei doni di Dio sia dalla molteplicità delle persone che li ricevono. Nell’unità del popolo di Dio si radunano le diversità dei popoli e delle culture. Tra i membri della Chiesa esiste una diversità di doni, di funzioni, di condizioni e modi di vita; «nella comunione ecclesiastica vi sono legittimamente delle Chiese particolari, che godono di proprie tradizioni». La grande ricchezza di tale diversità non si oppone all’unità della Chiesa. Tuttavia, il peccato e il peso delle sue conseguenze minacciano continuamente il dono dell’unità. Anche l’Apostolo deve esortare a «conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4,3).
815 – Quali sono i vincoli dell’unità? Al di sopra di tutto la carità, che «è il vincolo di perfezione» (Col 3,14). Ma l’unità della Chiesa nel tempo è assicurata anche da legami visibili di comunione: la professione di una sola fede ricevuta dagli Apostoli; la celebrazione comune del culto divino, soprattutto dei sacramenti; la successione apostolica mediante il sacramento dell’Ordine, che custodisce la concordia fraterna della famiglia di Dio.
816 – «L’unica Chiesa di Cristo…» è quella «che il Salvatore nostro, dopo la sua risurrezione, diede da pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri Apostoli la diffusione e la guida […]. Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come una società, sussiste [“subsistit in”] nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui». Il decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano Il esplicita: «Solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che é lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà al solo collegio apostolico con a capo Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza, per costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio».
LE FERITE DELL’UNITÀ
817 – Di fatto, «in questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte fino dai primissimi tempi alcune scissioni, che l’Apostolo riprova con gravi parole come degne di condanna; ma nei secoli posteriori sono nati dissensi più ampi e comunità non piccole si sono staccate dalla piena comunione della Chiesa cattolica, talora non senza colpa di uomini d’entrambe le parti». Le scissioni che feriscono l’unità del corpo di Cristo (cioè l’eresia, l’apostasia e lo scisma) non avvengono senza i peccati degli uomini: «Ubi peccata sunt, ibi est multitudo, ibi schismata, ibi haereses, ibi discussiones. Ubi autem virtus, ibi singularitas, ibi unio, ex quo omnium credentium erai cor unum et anima una – Dove c’è il peccato, lì troviamo la molteplicità, lì gli scismi, lì le eresie, lì le controversie. Dove, invece, regna la virtù, lì c’è unità, lì comunione, grazie alle quali tutti i credenti erano un cuor solo e un’anima sola.
818 – Coloro che oggi nascono in comunità sorte da tali scissioni «e sono istruiti nella fede di Cristo […] non possono essere accusati del peccato di separazione, e la Chiesa cattolica li abbraccia con fraterno rispetto e amore. […] Giustificati nel Battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore.
819 – Inoltre, «parecchi elementi di santificazione e di verità» trovano fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica, come la Parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili. Lo Spirito di Cristo si serve di queste Chiese e comunità ecclesiali come di strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla pienezza di grazia e di verità che Cristo ha dato alla Chiesa cattolica. Tutti questi beni provengono da Cristo e a lui conducono e «spingono verso l’unità cattolica».
VERSO L’UNITÀ
820 – L’unità, «che Cristo ha donato alla sua Chiesa fin dall’inizio, […] noi crediamo che sussista, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica e speriamo che crescerà ogni giorno di più sino alla fine dei secoli». Cristo fa sempre alla sua Chiesa il dono dell’unità, ma la Chiesa deve sempre pregare e impegnarsi per custodire, rafforzare e perfezionare l’unità che Cristo vuole per lei. Per questo Gesù stesso ha pregato nell’ora della sua passione e non cessa di pregare il Padre per l’unità dei suoi discepoli: «…Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). Il desiderio di ritrovare l’unità di tutti i cristiani è un dono di Cristo e un appello dello Spirito Santo.
821 – Per rispondervi adeguatamente sono necessari: – un rinnovamento permanente della Chiesa in una accresciuta fedeltà alla sua vocazione. Tale rinnovamento è la forza del movimento verso l’unità la conversione nel cuore per «condurre una vita più conforme al Vangelo», «poiché è l’infedeltà delle membra al dono di Cristo a causare le divisioni; la preghiera in comune; infatti la «conversione del cuore» e la «santità della vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale»; – la reciproca conoscenza fraterna; la formazione ecumenica dei fedeli e specialmente dei sacerdoti; – il dialogo tra i teologi e gli incontri tra i cristiani delle differenti Chiese e comunità; la cooperazione tra cristiani nei diversi ambiti del servizio agli uomini.
822 – «La cura di ristabilire l’unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i Pastori». Ma bisogna anche essere consapevoli «che questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane». Perciò riponiamo tutta la nostra speranza «nell’orazione di Cristo per la Chiesa, nell’amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo».
Il. La Chiesa è santa.
823 – «Noi crediamo che la Chiesa […] è indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito è proclamato “il solo Santo”, ha amato la Chiesa come sua Sposa e ha dato se stesso per essa, al fine di santificarla, e l’ha unita a sé come suo corpo e l’ha riempita col dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio». La Chiesa è dunque «il popolo santo di Dio», e i suoi membri sono chiamati «santi».
824 – La Chiesa, unita a Cristo, da lui è santificata; per mezzo di lui e in lui diventa anche santificante. Tutte le attività della Chiesa convergono, come a loro fine, «verso la santificazione degli uomini e la glorificazione di Dio in Cristo». È nella Chiesa che si trova «tutta la pienezza dei mezzi di salvezza». È in essa che «per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità».
825 – «La Chiesa già sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta». Nei suoi membri, la santità perfetta deve ancora essere raggiunta. «Muniti di tanti e così mirabili mezzi di salvezza, tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste».
826 – La carità è l’anima della santità alla quale tutti sono chiamati: essa «dirige tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine»: Capii che se la Chiesa aveva un corpo, composto da diverse membra, il più necessario, il più nobile di tutti non le mancava: capii che la Chiesa aveva un Cuore e che questo Cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l’Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue…Capii che l’Amore racchiudeva tutte le Vocazioni, che l’Amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi!… Insomma che é Eterno!…».
827 – «Mentre Cristo “santo, innocente, immacolato”, non conobbe il peccato, ma venne allo scopo di espiare i soli peccati del popolo, la Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento». Tutti i membri della Chiesa, compresi i suoi ministri, devono riconoscersi peccatori. In tutti, sino alla fine dei tempi, la zizzania del peccato si trova ancora mescolata al buon grano del Vangelo. La Chiesa raduna dunque peccatori raggiunti dalla salvezza di Cristo, ma sempre in via di santificazione: «La Chiesa è santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l’irradiazione della sua santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli con il sangue di Cristo e il dono dello Spirito Santo.
828 – Canonizzando alcuni fedeli, ossia proclamando solennemente che tali fedeli hanno praticato in modo eroico le virtù e sono vissuti nella fedeltà alla grazia di Dio, la Chiesa riconosce la potenza dello Spirito di santità che è in lei, e sostiene la speranza dei fedeli offrendo loro i santi quali modelli e intercessori. «I santi e le sante sono sempre stati sorgente e origine di rinnovamento nei momenti più difficili della storia della Chiesa. Infatti, «la santità è la sorgente segreta e la misura infallibile della sua attività apostolica e del suo slancio missionario».
829 – «Mentre la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione che la rende senza macchia e senza ruga, i fedeli si sforzano ancora di crescere nella santità debellando il peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria»: in lei la Chiesa è già tutta santa.
III. La Chiesa è cattolica.
CHE COSA VUOL DIRE «CATTOLICA»
830 – La parola «cattolica» significa «universale» nel senso di «secondo la totalità» o «secondo l’integralità». La Chiesa è cattolica in un duplice senso. È cattolica perché in essa è presente Cristo. «Là dove è Cristo Gesù, ivi è la Chiesa cattolica». In essa sussiste la pienezza del corpo di Cristo unito al suo Capo, e questo implica che essa riceve da lui «in forma piena e totale i mezzi di salvezza» che egli ha voluto: confessione di fede retta e completa, vita sacramentale integrale e ministero ordinato nella successione apostolica. La Chiesa, in questo senso fondamentale, era cattolica il giorno di pentecoste e lo sarà sempre fino al giorno della Parusia.
831 – Essa è cattolica perché è inviata in missione da Cristo alla totalità del genere umano: «Tutti gli uomini sono chiamati a formare il nuovo popolo di Dio. Perciò questo popolo, restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l’intenzione della volontà di Dio, il quale in principio ha creato la natura umana una, e vuole radunare insieme infine i suoi figli, che si erano dispersi. […] Questo carattere di universalità che adorna il popolo di Dio, è un dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo Capo nell’unità del suo Spirito.
OGNI CHIESA PARTICOLARE È «CATTOLICA»
832 – La «Chiesa di Cristo è veramente presente in tutte le legittime assemblee locali di fedeli, le quali, aderendo ai loro Pastori, sono anche esse chiamate Chiese nel Nuovo Testamento. […] In esse con la predicazione del Vangelo di Cristo vengono radunati i fedeli e si celebra il mistero della Cena del Signore […]. In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere o che vivono nella dispersione, è presente Cristo, per virtù del quale si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.
833 – Per Chiesa particolare, che è in primo luogo la diocesi (o l’eparchia), si intende una comunità di fedeli cristiani in comunione nella fede e nei sacramenti con il loro Vescovo ordinato nella successione apostolica. Queste Chiese particolari sono «formate a immagine della Chiesa universale»; in esse e a partire da esse «esiste la sola e unica Chiesa cattolica.
834 – Le Chiese particolari sono pienamente cattoliche per la comunione con una di loro: la Chiesa di Roma, «che presiede alla carità». «È sempre stato necessario che ogni Chiesa, cioè i fedeli di ogni luogo, si volgesse alla Chiesa romana in forza del suo sacro primato». «Infatti, dalla discesa del Verbo Incarnato verso di noi, tutte le Chiese cristiane sparse in ogni luogo hanno ritenuto e ritengono la grande Chiesa che è qui [a Roma] come unica base e fondamento perché, secondo le promesse del Salvatore, le porte degli inferi non hanno mai prevalso su di essa».
835 – «Ma dobbiamo ben guardarci dal concepire la Chiesa universale come la somma o, per così dire, la federazione […] di Chiese particolari […] È la stessa Chiesa che, essendo universale per vocazione e per missione, quando getta le sue radici nella varietà dei terreni culturali, sociali, umani, assume in ogni parte del mondo fisionomie ed espressioni esteriori diverse». La ricca varietà di discipline ecclesiastiche, di riti liturgici, di patrimoni teologici e spirituali propri alle «Chiese locali tra loro concordi dimostra con maggior evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa».
CHI APPARTIENE ALLA CHIESA CATTOLICA?
836 – «Tutti gli uomini sono chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio […], alla quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia, infine, tutti gli uomini, che dalla grazia di Dio sono chiamati alla salvezza».
837 – «Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integra la sua struttura e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e nel suo organismo visibile sono uniti con Cristo – che la dirige mediante il Sommo Pontefice e i Vescovi – dai vincoli della professione di fede, dei sacramenti, del governo ecclesiastico e della comunione. Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col “corpo” ma non col “cuore”».
838 – «Con coloro che, battezzati, sono sì insigniti del nome cristiano, ma non professano la fede integrale o non conservano l’unità della comunione sotto il successore di Pietro, la Chiesa sa di essere per più ragioni unita». «Quelli infatti che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il Battesimo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica». Con le Chiese ortodosse, questa comunione è così profonda «che le manca ben poco per raggiungere la pienezza che autorizzi una celebrazione comune della Eucaristia del Signore».
LA CHIESA E I NON CRISTIANI
839 – «Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, in vari modi sono ordinati al popolo di Dio». Il rapporto della Chiesa con il popolo ebraico. La Chiesa, popolo dì Dio nella Nuova Alleanza, scrutando il suo proprio mistero, scopre il proprio legame con il popolo ebraico, che Dio «scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola». A differenza delle altre religioni non cristiane, la fede ebraica è già risposta alla rivelazione di Dio nell’Antica Alleanza. E’ al popolo ebraico che appartengono «l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5) perché «i doni e la chiamata dì Dio sono irrevocabili!» (Rm 11,29).
840 – Del resto, quando si considera il futuro, il popolo di Dio dell’Antica Alleanza e il nuovo popolo di Dio tendono a fini analoghi: l’attesa della venuta (o del ritorno) del Messia. Ma tale attesa é, da una parte, rivolta al ritorno del Messia, morto e risorto, riconosciuto come Signore e Figlio di Dio, dall’altra è rivolta alla venuta del Messia, i cui tratti rimangono velati, alla fine dei tempi: si ha un’attesa accompagnata dall’ignoranza o dal misconoscimento dì Gesù Cristo.
841 – Le relazioni della Chiesa con i musulmani. «Il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale.
842 – Il legame della Chiesa con le religioni non cristiane è anzitutto quello della comune origine e del comune fine del genere umano:«Infatti tutti i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra; essi hanno anche un solo fine ultimo, Dio, del quale la provvidenza, la testimonianza di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti, finché gli eletti si riuniscano nella città santa.
843 – La Chiesa riconosce nelle altre religioni la ricerca, ancora «nelle ombre e nelle immagini», di un Dio ignoto ma vicino, poiché è lui che dà a tutti vita, respiro e ogni cosa, e vuole che tutti gli uomini siano salvi. Pertanto la Chiesa considera tutto ciò che di buono e di vero si trova nelle religioni come una preparazione al Vangelo, «e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita.
844 – Ma nel loro comportamento religioso, gli uomini mostrano anche limiti ed errori che sfigurano in loro l’immagine di Dio: «Molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore, oppure vivendo e morendo senza Dio in questo mondo sono esposti alla disperazione finale.
845 – Proprio per riunire di nuovo tutti i suoi figli, dispersi e sviati dal peccato, il Padre ha voluto convocare l’intera umanità nella Chiesa del Figlio suo. La Chiesa è il luogo in cui l’umanità deve ritrovare l’unità e la salvezza. È il «mondo riconciliato. È la nave che, «pleno dominicae crucis velo Saneti Spiritus flatu in hoc bene navigat mundo – spiegate le vele della croce del Signore al soffio dello Spirito Santo, naviga sicura in questo mondo»; secondo un’altra immagine, cara ai Padri della Chiesa, è l’arca di Noè che, sola, salva dal diluvio.
«FUORI DELLA CHIESA NON C’È SALVEZZA»
846 – Come bisogna intendere questa affermazione spesso ripetuta dai Padri della Chiesa? Formulata in modo positivo, significa che ogni salvezza viene da Cristo-Capo per mezzo della Chiesa che è il suo corpo: Il santo Concilio «insegna, appoggiandosi sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione, che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Infatti solo Cristo, presente per noi nel suo corpo, che è la Chiesa, è il Mediatore e la Via della salvezza; ora egli, inculcando espressamente la necessità della fede e del Battesimo, ha insieme confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il Battesimo come per la porta. Perciò non potrebbero salvarsi quegli uomini, i quali, non ignorando che la Chiesa cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo fondata come necessaria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa perseverare».
847 – Questa affermazione non si riferisce a coloro che, senza loro colpa, ignorano Cristo e la Chiesa: «Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l’influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna».
848 – «Benché Dio, attraverso vie a lui note, possa portare gli uomini, che senza loro colpa ignorano il Vangelo, alla fede, senza la quale è impossibile piacergli, è tuttavia compito imprescindibile della Chiesa, ed insieme sacro diritto, evangelizzare» tutti gli uomini.
LA MISSIONE – UN’ESIGENZA DELLA CATTOLICITÀ DELLA CIIIESA
849 – Il mandato missionario. «Inviata da Dio alle genti per essere “sacramento universale di salvezza”, la Chiesa, per le esigenze più profonde della sua cattolicità e obbedendo all’ordine del suo Fondatore, si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini»: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20).
850 – L’origine e lo scopo della missione. Il mandato missionario del Signore ha la sua ultima sorgente nell’amore eterno della Santissima Trinità: «La Chiesa pellegrinante per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre». E’ il fine ultimo della missione altro non è che di rendere partecipi gli uomini della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio nel loro Spirito d’amore.
851 – Il motivo della missione. Da sempre la Chiesa ha tratto l’obbligo e la forza del suo slancio missionario dall’amore di Dio per tutti gli uomini: «poiché l’amore di Cristo ci spinge…» (2 Cor 5,14). Infatti Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4). Dio vuole la salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. La salvezza si trova nella verità. Coloro che obbediscono alla mozione dello Spirito di verità sono già sul cammino della salvezza; ma la Chiesa, alla quale questa verità è stata affidata, deve andare incontro al loro desiderio offrendola loro. Proprio perché crede al disegno universale di salvezza, la Chiesa deve essere missionaria.
852 – Le vie della missione. «Lo Spirito Santo è il protagonista di tutta la missione ecclesiale. E’ lui che conduce la Chiesa sulle vie della missione. Essa continua e sviluppa nel corso della storia la missione del Cristo stesso, inviato a portare la Buona Novella ai poveri; «sotto l’influsso dello Spirito di Cristo, la Chiesa deve procedere per la stessa strada seguita da Cristo, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso, fino alla morte, da cui uscì vincitore con la sua risurrezione».E così che «il sangue dei martiri è seme di cristiani.
853 – Ma anche in questo nostro tempo sa bene la Chiesa «quanto distanti siano tra loro il messaggio ch’essa reca e l’umana debolezza di coloro cui è affidato il Vangelo. Solo applicandosi incessantemente «alla penitenza e al rinnovamento» e «camminando per l’angusta via della croce», il popolo di Dio può estendere il regno di Cristo. infatti, «come Cristo ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza.
854 – Per mezzo della sua stessa missione, la Chiesa «cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermenta e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio. L’impegno missionario esige dunque la pazienza. Incomincia con l’annunzio del Vangelo ai popoli e ai gruppi che ancora non credono a Cristo; prosegue con la costituzione di comunità cristiane che siano segni della presenza di Dio nel mondo, e con la fondazione di Chiese locali; avvia un processo di inculturazione per incarnare il Vangelo nelle culture dei popoli; non mancherà di conoscere anche gli insuccessi. «Per quanto riguarda gli uomini, i gruppi e i popoli solo gradatamente la Chiesa li raggiunge e li penetra, e li assume così nella pienezza cattolica».
855 – La missione della Chiesa richiede lo sforzo verso l’unità dei cristiani. Infatti, «le divisioni dei cristiani impediscono che la Chiesa stessa attui la pienezza della cattolicità ad essa propria in quei figli, che le sono bensì uniti col Battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione. Anzi, alla Chiesa stessa diventa più difficile esprimere sotto ogni aspetto la pienezza della cattolicità proprio nella realtà della vita».
856 – L’attività missionaria implica un dialogo rispettoso con coloro che non accettano ancora il Vangelo. I credenti possono trarre profitto per se stessi da questo dialogo, imparando a conoscere meglio «tutto ciò che di verità e di grazia era già riscontrabile, per una nascosta presenza dì Dio, in mezzo alle genti». Se infatti essi annunziano la Buona Novella a coloro che la ignorano, è per consolidare, completare ed elevare la verità e il bene che Dio ha diffuso tra gli uomini e i popoli, e per purificarli dall’errore e dal male «per la gloria di Dio, la confusione del demonio e la felicità dell’uomo».
IV. La Chiesa è apostolica.
857 – La Chiesa è apostolica, perché è fondata sugli Apostoli, e ciò in un triplice senso: essa è stata e rimane costruita sul «fondamento degli Apostoli» (Ef 2,20 366), testimoni scelti e mandati in missione da Cristo stesso; custodisce e trasmette, con l’aiuto dello Spirito che abita in essa, l’insegnamento, il buon deposito, le sane parole udite dagli Apostoli; fino al ritorno di Cristo, continua ad essere istruita, santificata e guidata dagli Apostoli grazie ai loro successori nella missione pastorale: il Collegio dei Vescovi, «coadiuvato dai sacerdoti ed unito al Successore di Pietro e Supremo Pastore della Chiesa». «Pastore eterno, tu non abbandoni il tuo gregge, ma lo custodisci e proteggi sempre per mezzo dei tuoi santi Apostoli, e lo conduci attraverso i tempi, sotto la guida dì coloro che tu stesso hai eletto vicari del tuo Figlio e hai costituito Pastori.
LA MISSIONE DEGLI APOSTOLI
858 – Gesù è l’inviato del Padre. Fin dall’inizio del suo ministero, «chiamò a sé quelli che egli volle (…) Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare» (Mc 3,13-14). Da quel momento, essi saranno i suoi «inviati» (…). In loro Gesù continua la sua missione: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,2l). Il loro ministero è quindi la continuazione della sua missione: «Chi accoglie voi, accoglie me», dice ai Dodici (Mt l0,40).
859 – Gesù li unisce alla missione che ha ricevuto dal Padre. Come «il Figlio da sé non può fare nulla» (Gv 5,19.30), ma riceve tutto dal Padre che lo ha inviato, così coloro che Gesù invia non possono fare nulla senza di lui, dal quale ricevono il mandato della missione e il potere di compierla. Gli Apostoli di Cristo sanno di essere resi da Dio «ministri adatti di una Nuova Alleanza» (2 Cor 3,6), «ministri di Dio» (2 Cor 6,4), «ambasciatori per Cristo» (2 Cor 5,20), «ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (1 Cor 4,1).
860 – Nella missione degli Apostoli c’è un aspetto che non può essere trasmesso: essere i testimoni scelti della risurrezione del Signore e le fondamenta della Chiesa. Ma vi è anche un aspetto permanente della loro missione. Cristo ha promesso di rimanere con loro sino alla fine del mondo. La «missione divina, affidata da Cristo agli Apostoli, dovrà durare sino alla fine dei secoli, poiché il Vangelo, che essi devono trasmettere, è per la Chiesa principio di tutta la sua vita in ogni tempo. Per questo gli Apostoli (…) ebbero cura di costituirsi dei successori».
I VESCOVI SUCCESSORI DEGLI APOSTOLI
861 – «Perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la loro morte, (gli Apostoli) lasciarono quasi in testamento ai loro immediati cooperatori l’incarico di completare e consolidare l’opera da essi incominciata, raccomandando loro di attendere a tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo li aveva posti per pascere la Chiesa di Dio. Essi stabilirono dunque questi uomini e in seguito diedero disposizione che, quando essi fossero morti, altri uomini provati prendessero la successione del loro ministero.
862 – «Come quindi permane l’ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli Apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori, così permane l’ufficio degli Apostoli di pascere la Chiesa, da esercitarsi ininterrottamente dal sacro ordine dei Vescovi». Perciò la Chiesa insegna che «i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli, quali Pastori della Chiesa: chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che Cristo ha mandato».
L’APOSTOLATO
863 – Tutta la Chiesa è apostolica in quanto rimane in comunione di fede e di vita con la sua origine attraverso i successori di san Pietro e degli Apostoli. Tutta la Chiesa è apostolica, in quanto è «inviata» in tutto il mondo; tutti i membri della Chiesa, sia pure in modi diversi, partecipano a questa missione. «La vocazione cristiana infatti è per sua natura anche vocazione all’apostolato». Si chiama «apostolato» «tutta l’attività del corpo mistico» ordinata alla «diffusione del regno di Cristo su tutta la terra.
864 – «Siccome la fonte e l’origine di tutto l’apostolato della Chiesa è Cristo, mandato dal Padre, è evidente che la fecondità dell’apostolato», sia quello dei ministri ordinati sia quello «dei laici, dipende dalla loro unione vitale con Cristo». «Secondo le vocazioni, le esigenze dei tempi, i vari doni dello Spirito Santo, l’apostolato assume le forme più diverse. Ma la carità, attinta soprattutto nell’Eucaristia, rimane sempre «come l’anima di tutto l’apostolato».
865 – La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica nella sua identità profonda e ultima, perché in essa già esiste e si compirà alla fine dei tempi «il regno dei cieli», «il regno di Dio», che è venuto nella persona di Cristo e che misteriosamente cresce nel cuore di coloro che a lui sono incorporati, fino alla sua piena manifestazione escatologica. Allora tutti gli uomini da lui redenti, in lui resi «santi e immacolati al cospetto» di Dio «nella carità» , saranno riuniti come l’unico popolo di Dio, «la Sposa dell’Agnello» «la Città santa» che scende «dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio»; e «le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi deidodici Apostoli dell’Agnello» (Ap 21,2 4).
In sintesi
866 – La Chiesa e’ una: essa ha un solo Signore, professa una sola fede, nasce da un solo Battesimo, forma un solo corpo, vivificato da un solo Spirito, in vista di un’unica speranza, al compimento della quale saranno superate tutte le divisioni.
867 – La Chiesa é santa: il Dio Santissimo é il suo autore; Cristo, suo Sposo, ha dato se stesso per lei, per santificarla; lo Spirito di santità la vivifica. Benché comprenda in sé uomini peccatori è senza peccato fatta di peccatori. Nei santi risplende la sua santità; in Maria è già tutta santa.
868 – La Chiesa è cattolica: essa annunzia la totalità della fède; porta in sé e amministra la pienezza dei mezzi di salvezza; è mandata a tutti i popoli; si rivolge a tutti gli uomini; abbraccia tutti i tempi; «per sua natura è missionaria».
869 – La Chiesa è apostolica: è costruita su basamenti duraturi: i dodici Apostoli dell’Agnello; è indistruttibile; è infallibilmente conservata nella verità; Cristo la governa per mezzo di Pietro e degli altri Apostoli, presenti nei loro successori, nel Sommo Pontefice e nel Collegio dei Vescovi.
870 – «Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica». […] Essa «sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo visibile si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità».
Paragrafo 4
I FEDELI: GERARCHIA, LAICI, VITA CONSACRATA
871 – «I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il Battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo».
872 – «Fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno».
873 – Le differenze stesse che il Signore ha voluto stabilire fra le membra del suo corpo sono in funzione della sua unità e della sua missione. Infatti «c’è nella Chiesa diversità di ministeri, ma unità di missione. Gli Apostoli e i loro successori hanno avuto da Cristo l’ufficio di insegnare, santificare, reggere in suo nome e con la sua autorità. Ma i laici, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, nella missione di tutto il popolo di Dio assolvono compiti propri nella Chiesa e nel mondo. Infine dai ministri sacri e dai laici «provengono fedeli i quali, con la professione dei consigli evangelici […], in modo speciale sono consacrati a Dio e danno incremento alla missione salvifica della Chiesa».
I. La costituzione gerarchica della Chiesa.
PERCHE IL MINISTERO ECCLESIALE?
874 – È Cristo stesso l’origine del ministero nella Chiesa. Egli l’ha istituita, le ha dato autorità e missione, orientamento e fine: «Cristo Signore, per pascere e sempre può accrescere il popolo di Dio. ha istituito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti, che sono dotati di sacra potestà, sono a servizio dei loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio […] arrivino alla salvezza.
875 – «E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati?» (Rm 10,l4-l5). Nessuno, né individuo né comunità, può annunziare a se stesso il Vangelo. «La fede di pende […] dalla predicazione» (Rm 10,l7). Nessuno può darsi da sé il mandato e la missione di annunziare il Vangelo. L’inviato del Signore parla e agisce non per autorità propria, ma in forza dell’autorità di Cristo; non come membro della comunità, ma parlando ad essa in nome di Cristo. Nessuno può conferire a se stesso la grazia, essa deve essere data e offerta. Ciò suppone che vi siano ministri della grazia, autorizzati e abilitati da Cristo. Da lui i Vescovi e i presbiteri ricevono la missione e la facoltà (la «sacra potestà») di agire in persona di Cristo Capo, i diaconi la forza di servire il popolo di Dio nella «diaconia» della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio. La tradizione della Chiesa chiama «sacramento» questo ministero, attraverso il quale gli inviati di Cristo compiono e danno per dono di Dio quello che da se stessi non possono né compiere né dare. Il ministero della Chiesa viene conferito mediante uno specifico sacramento.
876 – Alla natura sacramentale del ministero ecclesiale è intrinsecamente legato il carattere di servizio. I ministri, infatti, in quanto dipendono interamente da Cristo, il quale conferisce missione e autorità, sono veramente «servi di Cristo» (Rm 1,1), ad immagine di lui che ha assunto liberamente per noi «la condizione di servo» (Fil 2,7). Poiché la parola e la grazia di cui sono i ministri non sono loro, ma di Cristo che le ha loro affidate per gli altri, essi si faranno liberamente servi di tutti.
877 – Allo stesso modo, è proprio della natura sacramentale del ministero ecclesiale avere un carattere collegiale. Infatti il Signore Gesù, fin dall’inizio del suo ministero, istituì i Dodici, che «furono ad un tempo il seme del nuovo Israele e l’origine della sacra gerarchia. Scelti insieme, sono anche mandati insieme, e la loro unione fraterna sarà al servizio della comunione fraterna di tutti i fedeli; essa sarà come un riflesso e una testimonianza della comunione delle Persone divine. Per questo ogni Vescovo esercita il suo ministero in seno al Collegio episcopale, in comunione col Vescovo di Roma, Successore di san Pietro e capo del Collegio; i sacerdoti esercitano il loro ministero in seno al presbiterio della diocesi, sotto la direzione del loro Vescovo.
878 – Infine è proprio della natura sacramentale del ministero ecclesiale avere un carattere personale. Se i ministri di Cristo agiscono in comunione, agiscono però sempre anche in maniera personale. Ognuno è chiamato personalmente: «Tu seguimi» (Gv 21,22) per essere, nella missione comune, testimone personale, personalmente responsabile davanti a colui che conferisce la missione, agendo «in sua persona» e per delle persone: «Io ti battezzo nel nome del Padre… ; «Io ti assolvo…».
879 – Pertanto il ministero sacramentale nella Chiesa è un servizio esercitato in nome di Cristo. Esso ha un carattere personale e una forma collegiale. Ciò si verifica sia nei legami tra il Collegio episcopale e il suo capo, il Successore di san Pietro, sia nel rapporto tra la responsabilità pastorale del Vescovo per la sua Chiesa particolare e la sollecitudine di tutto il Collegio episcopale per la Chiesa universale.
IL COLLEGIO EPISCOPALE E IL SUO CAPO, Il. PAPA
880 – Cristo istituì i Dodici «sotto la forma di un collegio o di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro». «Come san Pietro e gli altri Apostoli costituirono, per istituzione del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il Romano Pontefice, Successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli Apostoli, sono tra loro uniti».
881 – Del solo Simone, al quale diede il nome di Pietro, il Signore ha fatto la pietra della sua Chiesa. A lui ne ha affidato le chiavi; l’ha costituito pastore di tutto il gregge. «Ma l’incarico di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro, risulta essere stato pure concesso al collegio degli Apostoli, unito col suo capo. Questo ufficio pastorale di Pietro e degli altri Apostoli costituisce uno dei fondamenti della Chiesa; è continuato dai Vescovi sotto il primato del Papa.
882 – Il Papa, Vescovo di Roma e Successore di san Pietro, «è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli. «Infatti il Romano Pontefice, in virtù del suo ufficio di Vicario di Cristo e di Pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente.
883 – «Il Collegio o Corpo dei Vescovi non ha autorità, se non lo si concepisce insieme con il Romano Pontefice, […] quale suo capo». Come tale, questo Collegio «è pure soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa: potestà che non può essere esercitata se non con il consenso del Romano Pontefice.
884 – «Il Collegio dei Vescovi esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale nel Concilio Ecumenico». «Mai si ha Concilio Ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal Successore di Pietro».
885 – «Il Collegio episcopale, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, esprime l’unità del gregge di Cristo».
886 – «I Vescovi, singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento dell’unità nelle loro Chiese particolari». In quanto tali «esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata», coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi. Ma, in quanto membri del Collegio episcopale, ognuno di loro è partecipe della sollecitudine per tutte le Chiese, e la esercita innanzi tutto «reggendo bene la propria Chiesa come porzione della Chiesa universale», contribuendo cosi «al bene di tutto il corpo mistico che è pure il corpo delle Chiese». Tale sollecitudine si estenderà particolarmente ai poveri ai perseguitati per la fede, come anche ai missionari che operano in tutta la terra. Le Chiese particolari vicine e di cultura omogenea formano province ecclesiastiche o realtà più vaste chiamate patriarcati o regioni. I Vescovi di questi raggruppamenti possono riunirsi in Sinodi o in Concilii provinciali. «Così pure, le Conferenze Episcopali possono, oggi, contribuire in modo molteplice e fecondo a che lo spirito collegiale si attui concretamente».
L’UFFICIO DI INSEGNARE
888 – I Vescovi, con i presbiteri, loro cooperatori, «hanno anzitutto il dovere di annunziare a tutti il Vangelo di Dio», secondo il comando del Signore. Essi sono «gli araldi della fede, che portano a Cristo nuovi discepoli, sono i dottori autentici» della fede apostolica, «rivestiti dell’autorità di Cristo».
889 – Per mantenere la Chiesa nella purezza della fede trasmessa dagli Apostoli, Cristo, che è la verità, ha voluto rendere la sua Chiesa partecipe della propria infallibilità. Mediante il «senso soprannaturale della fede», il popolo di Dio «aderisce indefettibilmente alla fede», sotto la guida del Magistero vivente della Chiesa.
890 – La missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell’Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l’autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per compiere questo servizio, Cristo ha dotato i Pastori del carisma dell’infallibilità in materia di fede e di costumi. L’esercizio di questo carisma può avere parecchie modalità.
891 – «Di questa infallibilità il Romano Pontefice, capo del Collegio dei Vescovi, fruisce in virtù del suo ufficio, quando, quale supremo Pastore e Dottore di tutti i fedeli, che conferma nella fede i suoi fratelli, proclama con un atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale. (…) L’infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel Corpo episcopale, quando questi esercita il supremo Magistero col Successore di Pietro» soprattutto in un Concilio Ecumenico. Quando la Chiesa, mediante il suo Magistero supremo, propone qualche cosa «da credere come rivelato da Dio» e come insegnamento di Cristo, «a tali definizioni si deve aderire con l’ossequio della fede». Tale infallibilità abbraccia l’intero deposito della rivelazione divina.
892 – L’assistenza divina è inoltre data ai successori degli Apostoli, che insegnano in comunione con il Successore di Pietro, e, in modo speciale, al Vescovo di Roma, Pastore di tutta la Chiesa, quando, pur senza arrivare ad una definizione infallibile e senza pronunciarsi in «maniera definitiva», propongono, nell’esercizio del Magistero ordinario, un insegnamento che porta ad una migliore intelligenza della Rivelazione in materia di fede e di costumi. A questo insegnamento ordinario i fedeli devono «aderire col religioso ossequio dello spirito»che, pur distinguendosi dall’ossequio della fede, tuttavia ne è il prolungamento.
L’UFFICIO DI SANTIFICARE
893 – Il Vescovo «è il dispensatore della grazia del supremo sacerdozio», specialmente nell’Eucaristia che egli stesso offre o di cui assicura l’offerta mediante i presbiteri, suoi cooperatori. L’Eucaristia, infatti, è il centro della vita della Chiesa particolare. Il Vescovo e i presbiteri santificano la Chiesa con la loro preghiera e il loro lavoro, con il ministero della parola e dei sacramenti. La santificano con il loro esempio, «non spadroneggiando sulle persone» loro «affidate», ma facendosi «modelli del gregge» (1 Pt 5,3), in modo che «possano, insieme col gregge loro affidato, giungere alla vita eterna».
L’UFFICIO DI GOVERNARE
894 – «I Vescovi reggono le Chiese particolari, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà», che però dev’essere da loro esercitata allo scopo di edificare, nello spirito di servizio che è proprio del loro Maestro.
895 – «Questa potestà, che personalmente esercitano in nome di Cristo, è propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato dalla suprema autorità della Chiesa. Ma i Vescovi non devono essere considerati come dei vicari del Papa, la cui autorità ordinaria e immediata su tutta la Chiesa non annulla quella dei Vescovi, ma anzi la conferma e la difende. Tale autorità deve esercitarsi in comunione con tutta la Chiesa sotto la guida del Papa.
896 – Il Buon Pastore sarà il modello e la «forma» dell’ufficio pastorale del Vescovo. Cosciente delle proprie debolezze, «il Vescovo può compatire quelli che sono nell’ignoranza o nell’errore. Non rifugga dall’ascoltare i sudditi che cura come veri figli suoi. […] I fedeli poi devono aderire al Vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre»: «Obbedite tutti al Vescovo, come Gesù Cristo al Padre, e al presbiterio come agli Apostoli; quanto ai diaconi, rispettateli come la Legge di Dio. Nessuno compia qualche azione riguardante la Chiesa, senza il Vescovo.
Il. I fedeli laici.
897 – «Col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli a esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso riconosciuto dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti popolo di Dio, e nella loro misura resi partecipi della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano.
LA VOCAZIONE DEI LAICI
898 – «Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. […] A loro quindi particolarmente spetta illuminare e ordinare tutte le realtà temporali, alle quali essi sono strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e crescano e siano di lode al Creatore e al Redentore».
899 – L’iniziativa dei cristiani laici è particolarmente necessaria quando si tratta di scoprire, di ideare mezzi per permeare delle esigenze della dottrina e della vita cristiana le realtà sociali, politiche ed economiche. Questa iniziativa è un elemento normale della vita della Chiesa: «I fedeli laici si trovano sulla linea più avanzata della vita della Chiesa; grazie a loro, la Chiesa è il principio vitale della società. Per questo essi soprattutto devono avere una coscienza sempre più chiara non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere la Chiesa, cioè la comunità dei fedeli sulla terra sotto la guida dell’unico capo, il Papa, e dei Vescovi in comunione con lui. Essi sono la Chiesa.
900 – I laici, come tutti i fedeli, in virtù del Battesimo e della Confermazione, ricevono da Dio l’incarico dell’apostolato; pertanto hanno l’obbligo e godono del diritto, individualmente o riuniti in associazioni, di impegnarsi affinché il messaggio divino della salvezza sia conosciuto e accolto da tutti gli uomini e su tutta la terra; tale obbligo è ancora più pressante nei casi in cui solo per mezzo loro gli uomini possono ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo. Nelle comunità ecclesiali, la loro azione è così necessaria che, senza di essa, l’apostolato dei Pastori, la maggior parte delle volte, non può raggiungere il suo pieno effetto.
LA PARTECIPAZIONE DEI LAICI ALL’UFFICIO SACERDOTALE DI CRISTO
901 – «I laici, essendo dedicati a Cristo e consacrati dallo Spirito Santo, sono in modo mirabile chiamati e istruiti perché lo Spirito produca in essi frutti sempre più copiosi. Tutte infatti le opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita, se sono sopportate con pazienza, diventano sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo; e queste cose nella celebrazione dell’Eucaristia sono piissimamente offerte al Padre insieme all’oblazione del Corpo del Signore. Così anche i laici, operando santamente dappertutto come adoratori, consacrano a Dio il mondo stesso.
902 – In modo particolare i genitori partecipano all’ufficio di santificazione conducendo la vita coniugale secondo lo spirito cristiano e attendendo all’educazione cristiana dei figli».
903 – I laici, se hanno le doti richieste, possono essere assunti stabilmente ai ministeri di lettori e di accoliti. «Ove lo suggerisca la necessità della Chiesa, in mancanza di ministri. anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il Battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto.
LA LORO PARTECIPAZIONE ALL UFFICIO PROFETICO DI CRISTO
904 – «Cristo […] adempie la sua funzione profetica… non solo per mezzo della gerarchia, (…) ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni e forma nel senso della fede e nella grazia della parola»: «Istruire qualcuno per condurlo alla fede è il compito di ogni predicatore e anche di ogni credente.
905 – I laici compiono la loro missione profetica anche mediante l’evangelizzazione, cioè «con l’annunzio di Cristo fatto con la testimonianza della vita e con la parola». Questa azione evangelizzatrice ad opera dei laici «acquista una certa nota specifica e una particolare efficacia dal fatto che viene compiuta nelle comuni condizioni del secolo»: «Tale apostolato non consiste nella sola testimonianza della vita: il vero apostolo cerca le occasioni per annunziare Cristo con la parola, sia ai credenti (…), sia agli infedeli».
906 – Tra i fedeli laici coloro che ne sono capaci e che vi si preparano possono anche prestare la loro collaborazione alla formazione catechistica, all’insegnamento delle scienze sacre, ai mezzi di comunicazione sociale.
907 – «In rapporto alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona.
LA LORO PARTECIPAZIONE ALL’ UFFICIO REGALE DI CRISTO
908 – Mediante la sua obbedienza fino alla morte, Cristo ha comunicato ai suoi discepoli il dono della libertà regale, (perché con l’abnegazione di sé e la vita santa vincano in se stessi il regno del peccato «Colui che sottomette il proprio corpo e governa la sua anima senza lasciarsi sommergere dalle passioni è padrone di sé: può essere chiamato re perché è capace di governare la propria persona; è libero e indipendente e non si lascia imprigionare da una colpevole schiavitù.
909 – «Inoltre i laici, anche mettendo in comune la loro forza, risanino le istituzioni e le condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che spingano i costumi al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l’esercizio delle virtù. Così agendo impregneranno di valore morale la cultura e i lavori dell’uomo.
910 – «I laici […] possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i loro Pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare».
911 – Nella Chiesa, nell’esercizio della medesima potestà di governo, «i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto. E questo mediante la loro presenza nei Concili particolari, nei Sinodi diocesani, nei Consigli pastorali; nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia; nella collaborazione ai Consigli degli affari economici; nella partecipazione ai tribunali ecclesiastici, ecc.
912 – I fedeli devono «distinguere accuratamente tra i diritti e i doveri che loro incombono in quanto sono aggregati alla Chiesa, e quelli che loro competono in quanto membri della società umana. Cerchino di metterli in armonia, ricordandosi che in ogni cosa temporale devono essere guidati dalla coscienza cristiana, poiché nessuna attività umana, neanche in materia temporale, può essere sottratta al dominio di Dio.
913 – «Così ogni laico, in ragione degli stessi doni ricevuti, è un testimone e insieme uno strumento vivo della missione della Chiesa stessa “secondo la misura del dono di Cristo” (Ef 4,7).
III. La vita consacrata.
914 – «Lo stato [di vita] che è costituito dalla professione dei consigli evangelici, pur non appartenendo alla struttura gerarchica della Chiesa, interessa tuttavia indiscutibilmente la sua vita e la sua santità.
CONSIGLI EVANGEUCI, VITA CONSACRATA
915 – I consigli evangelici, nella loro molteplicità, sono proposti ad ogni discepolo di Cristo. La perfezione della carità, alla quale tutti i fedeli sono chiamati, comporta per coloro che liberamente accolgono la vocazione alla vita consacrata l’obbligo di praticare la castità nel celibato per il Regno, la povertà e l’obbedienza. È la professione ditali consigli, in uno stato di vita stabile riconosciuto dalla Chiesa, che caratterizza la «vita consacrata» a Dio.
916 – Lo stato di vita consacrata appare quindi come uno dei modi di conoscere una consacrazione «più intima», che si radica nel Battesimo e si dedica totalmente a Dio. Nella vita consacrata, i fedeli di Cristo si propongono, sotto la mozione dello Spirito Santo, di seguire Cristo più da vicino, di donarsi a Dio amato sopra ogni cosa e, tendendo alla perfezione della carità a servizio del Regno, di significare e annunziare nella Chiesa la gloria del mondo futuro.
UN GRANDE ALBERO DAI MOLTI RAMI
917 – «Come in un albero piantato da Dio e in un modo mirabile e molteplice ramificatosi nel campo del Signore, sono cresciute varie forme di vita solitaria o comune e varie Famiglie, che si sviluppano sia per il profitto dei loro membri, sia per il bene di tutto il corpo di Cristo.
918 – «Fin dai primi tempi della Chiesa vi furono uomini e donne che per mezzo della pratica dei consigli evangelici intesero seguire Cristo con maggiore libertà e imitarlo più da vicino e condussero, ciascuno a loro modo, una vita consacrata a Dio Molti di essi, dietro l’impulso dello Spirito Santo, o vissero una vita solitaria o fondarono Famiglie religiose, che la Chiesa con la sua autorità volentieri accolse e approvò».
919 – I Vescovi si premureranno sempre di discernere i nuovi doni della vita consacrata affidati dallo Spirito Santo alla sua Chiesa; l’approvazione di nuove forme di vita consacrata è riservata alla Sede Apostolica.
LA VITA EREMITICA
920 – Senza professare sempre pubblicamente i tre consigli evangelici, gli eremiti, «in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine e nell’assidua preghiera e nella penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo».
921 – Essi indicano a ogni uomo quell’aspetto interiore del mistero della Chiesa che è l’intimità personale con Cristo. Nascosta agli occhi degli uomini, la vita dell’eremita è predicazione silenziosa di colui al quale ha consegnato la sua vita, poiché egli è tutto per lui. È una chiamata particolare a trovare nel deserto, proprio nel combattimento spirituale, la gloria del Crocifisso.
LE VERGINI E LE VEDOVE CONSACRATE
922 – Fin dai tempi apostolici, ci furono vergini e vedove cristiane che, chiamate dal Signore a dedicarsi esclusivamente a lui in una maggiore libertà di cuore, di corpo e di spirito, hanno preso la decisione, approvata dalla Chiesa, di vivere nello stato rispettivamente di verginità o di castità perpetua «per il regno dei cieli» (Mt l9,12).
923 – «Emettendo il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, [le vergini] dal Vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico approvato e, unite in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio, si dedicano al servizio della Chiesa. Mediante questo rito solenne(Consacratio virginum), «la vergine è costituita persona consacrata» quale «segno trascendente dell’amore della Chiesa verso Cristo, immagine escatologica della Sposa celeste e della vita futura».
924 – Aggiungendosi alle altre forme di vita consacrata, l’ordine delle vergini stabilisce la donna che vive nel mondo (o la monaca) nella preghiera, nella penitenza, nel servizio dei fratelli e nel lavoro apostolico, secondo lo stato e i rispettivi carismi offerti ad ognuna. Le vergini consacrate possono associarsi al fine di mantenere più fedelmente il loro proposito.
LA VITA RELIGIOSA
925 – Nata in Oriente nei primi secoli del cristianesimo e continuata negli istituti canonicamente eretti dalla Chiesa, la vita religiosa si distingue dalle altre forme di vita consacrata per l’aspetto cultuale, la professione pubblica dei consigli evangelici, la vita fraterna condotta in comune, la testimonianza resa all’unione di Cristo e della Chiesa.
926 – La vita religiosa sgorga dal mistero della Chiesa. E’ un dono che la Chiesa riceve dal suo Signore e che essa offre come uno stato di vita stabile al fedele chiamato da Dio nella professione dei consigli. Così la Chiesa può manifestare Cristo e insieme riconoscersi Sposa del Salvatore. Alla vita religiosa, nelle sue molteplici forme, è chiesto di esprimere la carità stessa di Dio, nel linguaggio del nostro tempo.
927 – Tutti i religiosi, esenti o non esenti, sono annoverati fra i cooperatori del Vescovo diocesano nel suo ufficio pastorale. La fondazione e l’espansione missionaria della Chiesa richiedono la presenza della vita religiosa in tutte le sue forme fin dagli inizi dell’evangelizzazione. «La storia attesta i grandi meriti delle Famiglie religiose nella propagazione della fede e nella formazione di nuove Chiese, dalle antiche istituzioni monastiche e dagli Ordini medievali fino alle moderne Congregazioni».
GLI ISTITUTI SECOLARI
928 – «L’istituto secolare è un istituto di vita consacrata in cui i fedeli, vivendo nel mondo, tendono alla perfezione della carità e si impegnano per la santificazione del mondo, soprattutto operando all’interno di esso.
929 – Mediante una «vita perfettamente e interamente consacrata a [tale] santificazione», i membri di questi istituti «partecipano della funzione evangelizzatrice della Chiesa», «nel mondo e dal mondo», in cui la loro presenza agisce come un fermento. La loro testimonianza di vita cristiana mira a ordinare secondo Dio le realtà temporali e vivificare il mondo con la forza del Vangelo. Essi assumono con vincoli sacri i consigli evangelici e custodiscono tra loro la comunione e la fraternità che sono proprie al loro modo di vita secolare.
LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA
930 – Alle diverse forme di vita consacrata o si aggiungono le società di vita apostolica i cui membri, senza voti religiosi, perseguono il fine apostolico proprio della società e, conducendo vita fraterna in comunità secondo un proprio stile, tendono alla perfezione della carità mediante l’osservanza delle costituzioni. Fra queste vi sono società i cui membri assumono i consigli evangelici», secondo le loro costituzioni.
CONSACRAZIONE E MISSIONE: ANNUNZIARE IL RE CHE VIENE
931 – Consegnato a Dio sommamente amato, colui che già era stato votato a lui dal Battesimo, si trova in tal modo più intimamente consacrato al servizio divino e dedito al bene della Chiesa. Con lo stato di consacrazione a Dio, la Chiesa manifesta Cristo e mostra come lo Spirito Santo agisca in essa in modo mirabile. Coloro che professano i consigli evangelici hanno, dunque, come prima missione, quella di vivere la loro consacrazione. Ma «dal momento che in forza della stessa consacrazione si dedicano al servizio della Chiesa, sono tenuti all’obbligo di prestare l’opera loro in modo speciale nell’azione missionaria, con lo stile proprio dell’Istituto».
932 – Nella Chiesa che è come il sacramento, cioè il segno e lo strumento della vita di Dio, la vita consacrata appare come un segno particolare del mistero della redenzione. Seguire e imitare Cristo «più da vicino», manifestare «più chiaramente» il suo annientamento, significa trovarsi «più profondamente» presenti, nel cuore di Cristo, ai propri contemporanei. Coloro, infatti, che camminano in questa via «più stretta» stimolano con il proprio esempio i loro fratelli e «testimoniano in modo splendido che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini.
933 – Che tale testimonianza, sia pubblica, come nello stato religioso, oppure più discreta, o addirittura segreta, la venuta di Cristo rimane per tutti i consacrati l’origine e l’orientamento della loro vita: Poiché il popolo di Dio non ha qui città permanente. […1 (lo stato religioso) rende visibile per tutti i credenti la presenza, già in questo mondo, dei beni celesti; meglio testimonia la vita nuova ed eterna acquistata dalla redenzione di Cristo, e meglio preannunzia la futura risurrezione e la gloria del regno celeste».
In sintesi
934 – «Per istituzione divina vi sono nella Chiesa tra i fedeli i ministri sacri, che nel diritto sono chiamati anche chierici; gli altri poi sono chiamati anche laici». Dagli uni e dagli altri provengono fedeli, i quali, con la professione dei consigli evangelici, sono consacrati a Dio e così danno incremento alla missione della Chiesa.
935 – Per annunziare la fede e instaurare il suo regno, Cristo invia i suoi Apostoli e i loro successori. Li rende partecipi della sua missione. Da lui ricevono il potere di agire in sua persona.
936 – Il Signore ha fatto di san Pietro il fondamento visibile della sua Chiesa. A lui ne ha affidato le chiavi. Il Vescovo della Chiesa di Roma, Successore di san Pietro, e «Capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale».
937 – Il Papa «e per divina istituzione rivestito di un potere supremo, pieno, immediato e universale per il bene delle anime».
938 – I Vescovi, costituiti per mezzo dello Spirito Santo, succedono agli Apostoli. «Singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento dell’unità nelle loro Chiese particolari».
939 – Aiutati dai presbiteri, loro cooperatori, e dai diaconi, i Vescovi hanno l’ufficio di insegnare autenticamente la fede, di celebrare il culto divino, soprattutto l’Eucaristia, e di guidare la loro Chiesa da veri Pastori. E inerente al loro ufficio anche la sollecitudine per tutte le Chiese, con il Papa e sotto di lui.
940 – «I laici, essendo proprio del loro stato che vivano nel mondo e in mezzo agli affari secolari, sono chiamati da Dio affinché, ripieni di spirito cristiano, a modo di fermenta esercitino nel mondo il loro apostolato».
941 – I laici partecipano al sacerdozio di Cristo: sempre più uniti a lui, dispiegano la grazia del Battesimo e della Confermaziane in tutte le dimensioni della vita personale, familiare, sociale ed ecclesiale, e realizzano casì la chiamata alla santità rivolta a tutti i battezzati.
942 – Grazie alla loro missione profetica, «i laici sana chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in mezzo a tutti, e cioè pure in mezza alla società umana».
943 – Grazie alla loro missione regale, i laici hanno il potere di vincere in se stessi e nel manda il regna del peccata con l’abnegazione di sé e la santità della loro vita.
944 – La vita consacrata a Dio si caratterizza mediante la professione pubblica dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza in uno stato di vita stabile riconosciuta dalla Chiesa.
945 – Consegnato a Dio sommamente amata, colui che era già stata destinato a lui dal Battesimo si trova, nella stata di vita consacrata, più intimamente votato al servizio divina e dedita al bene di tutta la Chiesa.
Paragrafo 5
LA COMUNIONE DEI SANTI
946 – Dopo aver confessato «la santa Chiesa cattolica», il Simbolo degli Apostoli aggiunge «la comunione dei santi». Questo articolo è, per certi aspetti, una esplicitazione del precedente: «Che cosa è la Chiesa se non l’assemblea di tutti i santi? La comunione dei santi è precisamente la Chiesa.
947 – «Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è comunicato agli altri. […] Allo stesso modo bisogna credere che esista una comunione di beni nella Chiesa. Ma il membro più importante è Cristo, poiché è il Capo. […] Pertanto, il bene di Cristo è comunicato a tutte le membra; ciò avviene mediante i sacramenti della Chiesa». «L’unità dello Spirito, da cui la Chiesa è animata e retta, fa sì che tutto quanto essa possiede sia comune a tutti coloro che vi appartengono.
948 – Il termine «comunione dei santi» ha pertanto due significati, strettamente legati: «comunione alle cose sante (sancta) e «comunione tra le persone sante (sancti)». «Soncta sanctis!» – le cose sante ai santi – viene proclamato dal celebrante nella maggior parte delle liturgie orientali, al momento dell’elevazione dei santi Doni, prima della distribuzione della Comunione. I fedeli “sancti” vengono nutriti del Corpo e del Sangue di Cristo (sancta) per crescere nella comunione dello Spirito Santo e comunicarla al mondo.
I. La comunione dei beni spirituali.
949 – Nella prima comunità di Gerusalemme, i discepoli «erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). La comunione nella fede. La fede dei fedeli è la fede della Chiesa ricevuta dagli Apostoli, tesoro di vita che si accresce mentre viene condiviso.
950 – La comunione dei sacramenti. «Il frutto di tutti i sacramenti appartiene cosi a tutti i fedeli, i quali per mezzo dei sacramenti stessi, come altrettante arterie misteriose, sono uniti e incorporati in Cristo. Soprattutto il Battesimo è al tempo stesso porta per cui si entra nella Chiesa e vincolo dell’unione a Cristo […]. La comunione dei santi significa questa unione operata dai sacramenti […]. Il nome di “comunione” conviene a tutti i sacramenti in quanto ci uniscono a Dio […]; più propriamente però esso si addice all’Eucaristia che in modo affatto speciale attua questa intima e vitale comunione soprannaturale.
951 – La comunione dei carismi. Nella comunione della Chiesa, lo Spirito Santo «dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali» per l’edificazione della Chiesa. Ora «a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune (I Car 12,7).
952 – «Ogni casa era fra loro comune» (At 4,32). «Il cristiano veramente tale nulla possiede di così strettamente suo che non lo debba ritenere in comune con gli altri, pronto quindi a sollevare la miseria dei fratelli più poveri. Il cristiano è un amministratore dei beni del Signore.
953 – La comunione della carità. Nella «comunione dei santi» «nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso» (Rm14,7). «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (1 Car 12,26-27). «La carità non cerca il proprio interesse» (I Car 13.5). Il più piccolo dei nostri atti compiuto nella carità ha ripercussioni benefiche per tutti, in forza di questa solidarietà con tutti gli uomini, vivi o morti, solidarietà che si fonda sulla comunione dei santi. Ogni peccato nuoce a questa comunione.
Il. La comunione della Chiesa del cielo e della terra.
954 – I tre stati della Chiesa. «Fino a che il Signore non verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando chiaramente Dio uno e trino, qual è»: «Tutti però, sebbene in grado e modo diverso, comunichiamo nella stessa carità di Dio e del prossimo e cantiamo al nostro Dio lo stesso inno di gloria. Tutti quelli che sono di Cristo, infatti, avendo il suo Spirito formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in lui».
955 – «L’unione quindi di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali».
956 – L’intercessione dei santi. «A causa infatti della loro più intima unione con Cristo, i beati rinsaldano tutta la Chiesa nella santità […]. Non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini. […] La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine»: «Non piangete. Io vi sarò più utile dopo la mia morte e vi aiuterò più efficacemente di quando ero in vita». «Passerò il mio cielo a fare del bene sulla terra».
957 – La comunione con i santi. «Non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo d’esempio, ma più ancora perché l’unione di tutta la Chiesa nello Spirito sia consolidata dall’esercizio della fraterna carità. Poiché come la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a Cristo, così la comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte e dal capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo di Dio»: «Noi adoriamo Cristo quale Figlio di Dio, mentre ai martiri siamo giustamente devoti in quanto discepoli e imitatori del Signore e per la loro suprema fedeltà verso il loro Re e Maestro; e sia dato anche a noi di farci loro compagni e condiscepoli».
958 – La comunione con i defunti. «La Chiesa di quelli che sono in cammino, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana ha coltivato con una grande pietà la memoria dei defunti e, poiché ”santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati” (2 Mac 12,46), ha offerto per loro anche i suoi suffragi. La nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore.
959 – Nell’unica famiglia di Dia. «Tutti noi che siamo figli di Dio e costituiamo in Cristo una sola famiglia, mentre comunichiamo tra di noi nella mutua carità e nell’unica lode della Trinità Santissima, corrispondiamo all’intima vocazione della Chiesa».
In sintesi
960 – La Chiesa è «comunione dei santi»: questa espressione designa primariamente le «cose sante» (sancta), e innanzi tutto l’Eucaristia con la quale «viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli, che costituiscono un salo corpo in Cristo».
961 – Questa termine designa anche la comunione delle «persone sante» (sancti) nel Cristo che è «morto per tutti», in modo che quanto ognuno fa o soffre in e per Cristo parta frutto per tutti.
962 – «Noi crediamo alla comunione di tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sano pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo; tutti insieme formano una sala Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l’amare misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta costantemente le nostre preghiere».
Paragrafo 6
MARIA – MADRE DI CRISTO, MADRE DELLA CHIESA
963 – Dopo aver parlato del ruolo della beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e dello Spirito, è ora opportuno considerare il suo posto nel mistero della Chiesa. «Infatti la Vergine Maria (…) è riconosciuta e onorata come la vera Madre di Dio e del Redentore. (…) Insieme però (…) è veramente “Madre delle membra” (di Cristo), (…) perché ha cooperato con la sua carità alla nascita dei fedeli nella Chiesa, i quali di quel Capo sono le membra. «Maria, […] Madre di Cristo, Madre della Chiesa».
I. La maternità di Maria verso la Chiesa.
INTERAMENTE UNITA AL FIGI.IO SUO…
964 – Il ruolo di Maria verso la Chiesa è inseparabile dalla sua unione a Cristo e da essa direttamente deriva. «Questa unione della Madre col Figlio nell’opera della redenzione si manifesta dal momento della concezione verginale di Cristo fino alla morte di lui». Essa viene particolarmente manifestata nell’ora della sua passione: «La beata Vergine ha avanzato nel cammino della fede e ha conservato fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette ritta, soffrì profondamente col suo Figlio unigenito e si associò con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente, dallo stesso Cristo Gesù morente in croce fu data come madre al discepolo con queste parole: «“Donna, ecco il tuo figlio”». 965 Dopo l’ascensione del suo Figlio, Maria «con le sue preghiere aiutò le primizie della Chiesa».Riunita con gli Apostoli e alcune donne, «anche Maria implorava con le sue preghiere il dono dello Spirito, che l’aveva già presa sotto la sua ombra nell’annunciazione».
ANCHE NELLA SUA ASSUNZIONE…
966 – «Infine, l’immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria col suo corpo e con la sua anima, e dal Signore esaltata come la Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo, il Signore dei dominanti, il vincitore del peccato e della morte. L’assunzione della santa Vergine è una singolare partecipazione alla risurrezione del suo Figlio e un’anticipazione della risurrezione degli altri cristiani: «Nella tua maternità hai conservato la verginità, nella tua dormizione non hai abbandonato il mondo, Madre di Dio: hai raggiunto la sorgente della Vita, tu che hai concepito il Dio vivente e che con le tue preghiere libererai le nostre anime dalla morte».
ELLA E NOSTRA MADRE NELL’ORDINE DELLA GRAZIA
967 – Per la sua piena adesione alla volontà del Padre, all’opera redentrice del suo Figlio, ad ogni mozione dello Spirito Santo, la Vergine Maria è il modello della fede e della carità per la Chiesa. «Per questo è riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa» «ed è la figura (typus) della Chiesa».
968 – Ma il suo ruolo in rapporto alla Chiesa e a tutta l’umanità va ancora più lontano. «Ella ha cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo è stata per noi la Madre nell’ordine della grazia.
969 – «Questa maternità di Maria nell’economia della grazia perdura senza soste dal momento del consenso prestato nella fede al tempo dell’annunciazione, e mantenuto senza esitazioni sotto la croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti. Difatti, assunta in cielo ella non ha deposto questa missione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione continua ad ottenerci i doni della salvezza eterna. […] Per questo la beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di Avvocata, Ausiliatrice, Soccorritrice, Mediatrice».
970 – «La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce […] l’unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia. Infatti Ogni salutare influsso della beata Vergine […] sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si fonda sulla mediazione di lui, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia. «Nessuna creatura infatti può mai essere paragonata col Verbo incarnato e redentore, ma come il sacerdozio di Cristo è in vari modi partecipato dai sacri ministri e dal popolo fedele, e come l’unica bontà di Dio è realmente diffusa in vari modi nelle creature, così anche l’unica mediazione del Redentore non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione partecipata dall’unica fonte».
lI. Il culto della santa Vergine.
971 – «Tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). «La pietà della Chiesa verso la santa Vergine è elemento intrinseco del culto cristiano. La santa Vergine «viene dalla Chiesa giustamente onorata con un culto speciale. In verità dai tempi più antichi la beata Vergine è venerata col titolo di “Madre di Dio”, sotto il cui presidio i fedeli, pregandola, si rifugiano in tutti i loro pericoli e le loro necessità. […] Questo culto […], sebbene del tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione, prestato al Verbo incarnato come al Padre e allo Spirito Santo, e particolarmente lo promuove»; esso trova la sua espressione nelle feste liturgiche dedicate alla Madre di Dio e nella preghiera mariana come il santo Rosario, «compendio di tutto quanto il Vangelo».
III. Maria – icona escatologica della Chiesa.
972 – Dopo aver parlato della Chiesa, della sua origine, della sua missione e del suo destino, non sapremmo concludere meglio che volgendo lo sguardo verso Maria per contemplare in lei ciò che la Chiesa è nel suo mistero, nel suo «pellegrinaggio della fede», e quello che sarà nella patria al termine del suo cammino, dove l’attende, nella «gloria della Santissima e indivisibile Trinità», «nella comunione di tutti i santi colei che la Chiesa venera come la Madre del suo Signore e come sua propria Madre: «La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel corpo e nell’anima, è l’immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla come un segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in cammino».
In sintesi
973 – Pronunziando il «Fiat» dell’annunciaziane e dando il suo consenso al mistero dell’incarnazione, Maria già collabora a tutta l’opera che il Figlio suo deve compiere. Ella è Madre dovunque egli è Salvatore e Capo del corpo mistico.
974 – La santissima Vergine Maria, dopo aver terminato il corso della sua vita terrena, fu elevata, corpo e anima, alla gloria del cielo, dove già partecipa alla gloria della risurrezione del suo Figlio, anticipando la risurrezione di tutte le membra del sua corpo.
975 – «Noi crediamo che la santissima Madre di Dia, nuova Eva, Madre della Chiesa, continua in cielo il suo ruolo materno versa le membra di Cristo».
Articolo 10
«CREDO LA REMISSIONE DEI PECCATI»
976 – Il Simbolo degli Apostoli lega la fede nel perdono dei peccati alla fede nello Spirito Santo, ma anche alla fede nella Chiesa e nella comunione dei santi. Proprio donando ai suoi Apostoli lo Spirito Santo, Cristo risorto ha loro conferito il suo potere divino di perdonare i peccati: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv20,22-23). (La seconda parte del Catechismo tratterà esplicitamente del perdono dei peccati per mezzo del Battesimo, del sacramento della Penitenza e degli altri sacramenti, specialmente dell’Eucaristia. Pertanto qui è sufficiente richiamare brevemente qualche dato fondamentale).
I. Un solo Battesimo per la remissione dei peccati.
977 – Nostro Signore ha legato il perdono dei peccati alla fede e al Battesimo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» (Mc 16,l5-l6). Il Battesimo è il primo e principale sacramento per il perdono dei peccati perché ci unisce a Cristo messo a morte per i nostri peccati e risuscitata per la nostra giustificazione, affinché «anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4).
978 – «La remissione dei peccati nella Chiesa avviene innanzi tutto quando l’anima professa per la prima volta la fede. Con l’acqua battesimale, infatti, viene concesso un perdono talmente ampio che non rimane più alcuna colpa né originale né ogni altra contratta posteriormente e viene rimessa ogni pena da scontare. La grazia del Battesimo, peraltro, non libera la nostra natura dalla sua debolezza; anzi non vi è quasi nessuno» che non debba lottare «contro la concupiscenza, fomite continuo del peccato.
979 – In tale combattimento contro l’inclinazione al male, chi potrebbe resistere con tanta energia e con tanta vigilanza da riuscire ad evitare ogni ferita del peccato? «Fu quindi necessario che nella Chiesa vi fosse la potestà di rimettere i peccati anche in modo diverso dal sacramento del Battesimo. Per questa ragione Cristo consegnò alla Chiesa le chiavi del regno dei cieli, in virtù delle quali potesse perdonare a qualsiasi peccatore pentito i peccati commessi dopo il Battesimo, fino all’ultimo giorno della vita.
980 – È per mezzo del sacramento della Penitenza che il battezzato può essere riconciliato con Dio e con la Chiesa: «I Padri hanno giustamente chiamato la Penitenza “un Battesimo laborioso”. Per coloro che sono caduti dopo il Battesimo questo sacramento della Penitenza è necessario alla salvezza come lo stesso Battesimo per quelli che non sono stati ancora rigenerati».
l. Il potere delle chiavi.
981 – Cristo dopo la sua risurrezione ha inviato i suoi Apostoli a predicare «nel suo nome (…) a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24,47). Tale «ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18) non viene compiuto dagli Apostoli e dai loro successori solamente annunziando agli uomini il perdono di Dio meritato per noi da Cristo e chiamandoli alla conversione e alla fede, ma anche comunicando loro la remissione dei peccati per mezzo del Battesimo e riconciliandoli con Dio e con la Chiesa grazie al potere delle chiavi ricevuto da Cristo: La Chiesa «ha ricevuto le chiavi del regno dei cieli, affinché in essa si compia la remissione dei peccati per mezzo del sangue di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo. In questa Chiesa l’anima, che era morta a causa dei peccati, rinasce per vivere con Cristo, la cui grazia ci ha salvati.
982 – Non c’è nessuna colpa, per grave che sia, che non possa essere perdonata dalla santa Chiesa. «Non si può ammettere che ci sia un uomo, per quanto infame e scellerato, che non possa avere con il pentimento la certezza del perdono. Cristo, che è morto per tutti gli uomini, vuole che, nella sua Chiesa, le porte del perdono siano sempre aperte a chiunque si allontani dal peccato.
983 – La catechesi si sforzerà di risvegliare e coltivare nei fedeli la fede nella incomparabile grandezza del dono che Cristo risorto ha fatto alla sua Chiesa: la missione e il potere di perdonare veramente i peccati, mediante il ministero degli Apostoli e dei loro successori. «Il Signore vuole che i suoi discepoli abbiano i più ampi poteri; vuole che i suoi servi facciano in suo nome ciò che faceva egli stesso, quando era sulla terra . I sacerdoti «hanno ricevuto un potere che Dio non ha concesso né agli angeli né agli arcangeli. (…) Quello che i sacerdoti compiono quaggiù, Dio lo conferma lassù». Se nella Chiesa non ci fosse la remissione dei peccati, «non ci sarebbe nessuna speranza, nessuna speranza di una vita eterna e di una liberazione eterna. Rendiamo grazie a Dio che ha tatto alla sua Chiesa un tale dono».
In sintesi
984 – Il Credo mette in relazione «la remissione dei peccati» con la profèssione di fede nello Spirito Santo. Infatti, Cristo risorto ha affidato agli Apostoli il potere di perdonare i peccati quando ha loro donato lo Spirito Santo.
985 – Il Battesimo è il primo e principale sacramento per il perdono dei peccati: ci unisce a Cristo morto e risorto e ci dona lo Spirito Santo.
986 – Secondo la volontà di Cristo, la Chiesa possiede il potere di perdonare i peccati dei battezzati e lo esercita per mezzo dei Vescovi e dei sacerdoti normalmente nel sacramento della Penitenza.
987 – «I sacerdoti e i sacramenti sono gli strumenti per il perdono dei peccati; strumenti per mezzo dei quali Gesù Cristo, autore e dispensatore della salvezza, opera in noi la remissione dei peccati e genera la grazia».
Articolo 11
«CREDO LA RISURREZIONE DELLA CARNE»
988 – Il Credo cristiano professione della nostra fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e nella sua azione creatrice, salvifica e santificante culmina nella proclamazione della risurrezione dei morti alla fine dei tempi, e nella vita eterna.
989 – Noi fermamente crediamo e fermamente speriamo che, come Cristo é veramente risorto dai morti e vive per sempre, così pure i giusti, dopo la loro morte, vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà nell’ultimo giorno Come la sua, anche la nostra risurrezione sarà opera della Santissima Trinità: «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitata Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in vai» (Rm 8,11).
990 – Il termine «carne» designa l’uomo nella sua condizione di debolezza e di mortalità. La «risurrezione della carne» significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell’anima immortale, ma che anche i nostri «corpi mortali» (Rm 8,11) riprenderanno vita.
991 – Credere nella risurrezione dei morti è stato un elemento essenziale della fede cristiana fin dalle sue origini. «Fiducia christianorum resurrectio mortuorum; illam credentes, sumus – La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo tali»: «Come possono dire alcuni tra vai che non esiste risurrezione dei morti’? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo i risuscitata! Ma se Cristo non è risuscitata, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede […]. Ora, invece, Cristo è risuscitata dai morti, primizia di coloro che sono morti» (I Cor 15,12-14.20).
I. La risurrezione di Cristo e la nostra.
RIVELAZIONE PROGRESSIVA DELLA RISURREZIONE
992 – La risurrezione dei morti è stata rivelata da Dio al suo popolo progressivamente. La speranza nella risurrezione corporea dei morti si è imposta come una conseguenza intrinseca della fede in un Dio Creatore di tutto intero l’uomo, anima e corpo. Il Creatore del cielo e della terra è anche colui che mantiene fedelmente la sua Alleanza con Abramo e con la sua discendenza. É in questa duplice prospettiva che comincerà ad esprimersi la fede nella risurrezione. Nelle loro prove i martiri Maccabei confessano: «Il Re del mando, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna» (2 Mac 7,9). «È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati» (2 Mac 7,l4).
993 – I farisei e molti contemporanei del Signore speravano nella risurrezione. Gesù la insegna con fermezza. Ai sadducei che la negano risponde: «Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?» (Mc 12,24). La fede nella risurrezione riposa sulla fede in Dio che «non è un Dio dei morti, ma dei viventi!» (Mc 12,27).
994 – Ma c’è di più. Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa persona: «lo sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). Sarà lo stesso Gesù a risuscitare nell’ultimo giorno coloro che avranno creduto in lui e che avranno mangiato il suo Corpo e bevuto il suo Sangue. Egli fin d’ora ne dà un segno e una caparra facendo tornare in vita alcuni morti, annunziando con ciò la sua stessa risurrezione, la quale però sarà di un altro ordine. Di tale avvenimento senza eguale parla come del segno di Giona, del segno del Tempio: annunzia la sua risurrezione al terzo giorno dopo essere stato messo a morte.
995 – Essere testimone di Cristo è essere «testimone della sua risurrezione» (At I ,22), aver «mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,41). La speranza cristiana nella risurrezione è contrassegnata dagli incontri con Cristo risorto. Noi risusciteremo come lui, con lui, per mezzo di lui.
996 – Fin dagli inizi, la fede cristiana nella risurrezione ha incontrato incomprensioni ed opposizioni. «In nessun altro argomento la fede cristiana incontra tanta opposizione come a proposito della risurrezione della carne. Si accetta abbastanza facilmente che, dopo la morte, la vita della persona umana continui in un modo spirituale. Ma come credere che questo corpo, la cui mortalità è tanto evidente, possa risorgere per la vita eterna?
COME RISUSCITANO I MORTI?
997 – Che cosa significa «risuscitare»? Con la morte, separazione dell’anima e del corpo, il corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre la sua anima va incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo glorificato. Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza della risurrezione di Gesù.
998 – Chi risusciterà? Tutti gli uomini che sono morti: «Usciranno [dai sepolcri], quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,29).
999 – Come? Cristo è risorto con il suo proprio corpo: «Guardate le mie mani e miei piedi: sono proprio io!» (Lc 24,39); ma egli non è ritornato ad una vita terrena. Allo stesso modo, in lui, «tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti ma questo corpo sarà trasfigurato in corpo glorioso, in «corpo spirituale» (1 Cor I 5,44): «Ma qualcuno dirà: ”Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?”. Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore, e quella che semini non é corpo che nascerà, ma un semplice chicco […]. Si semina corruttibile e risorge incorruttibile. […] È necessaria infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questa corpo mortale si vesta di immortalità » (1 Cor 15,35-37.42.52-53).
1000 – Il «modo con cui avviene la risurrezione» supera le possibilità della nostra immaginazione e del nostro intelletto; è accessibile solo nella fede. Ma la nostra partecipazione all’Eucaristia ci fa già pregustare la trasfigurazione del nostro corpo per opera di Cristo: «Come il pane che é frutto della terra, dopo che é stata invocata su di essa la benedizione divina, non è più pane comune, ma Eucaristia, composta di due realtà, una terrena, l’altra celeste, così i nastri corpi che ricevono l’Eucaristia non sono più corruttibili, dal momento che portano in sé il germe della risurrezione».
1001 – Quando? Definitivamente «nell’ultimo giorno» (Gv 6,39-40.44.54; 11,24); «alla fine del mondo Infatti, la risurrezione dei morti è intimamente associata alla parusia di Cristo: «Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo» (1 Ts 4,16).
RISUSCITATI CON CRISTO
1002 – Se è vero che Cristo ci risusciterà «nell’ultimo giorno», è anche vero che, per un certo aspetto, siamo già risuscitati con Cristo. Infatti, grazie allo Spirito Santo, la vita cristiana, fin d’ora su questa terra, è una partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo:«Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel Battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitata dai morti […]. Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 2,12; 3,1).
1003 – I credenti, uniti a Cristo mediante il Battesimo, partecipano già realmente alla vita celeste di Cristo risorto, ma questa vita rimane «nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3). «Con lui, [Dio] ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2,6). Nutriti del suo Corpo nell’Eucaristia, apparteniamo già al corpo di Cristo. Quando risusciteremo nell’ultimo giorno «allora» saremo anche noi «manifestati con lui nella gloria» (Col 3,4).
1004 – Nell’attesa di quel giorno, il corpo e l’anima del credente già partecipano alla dignità di essere «in Cristo»; di qui l’esigenza di rispetto verso il proprio corpo, ma anche verso quello degli altri, particolarmente quando soffre: «Il corpo é per il Signore e il Signore è per il corpo. Dio poi che ha risuscitata il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sano membra di Cristo? […] Non appartenete a vai stessi. […] Glorificate dunque Dio nel vostra corpo (1 Cor 6,13-15.19-20)
Il. Morire in Cristo Gesù.
1005 – Per risuscitare con Cristo, bisogna morire con Cristo, bisogna «andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore» (2 Cor 5,8). In questo «essere sciolto» che è la morte, l’anima viene separata dal corpo. Essa sarà riunita al suo corpo il giorno della risurrezione dei morti.
LA MORTE
1006 – «In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo». Per un verso la morte corporale è naturale, ma per la fede essa in realtà è «salario del peccato» (Rm 6,23). E per coloro che muoiono nella grazia di Cristo, è una partecipazione alla morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua risurrezione.
1007 – La morte e’ il termine della vita terrena. Le nostre vite sono misurate dal tempo, nel corso del quale noi cambiamo, invecchiamo e, come per tutti gli esseri viventi della terra, la morte appare come la fine normale della vita. Questo aspetto della morte comporta un’urgenza per le nostre vite: infatti il far memoria della nostra mortalità serve anche a ricordarci che abbiamo soltanto un tempo limitato per realizzare la nostra esistenza. «Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza […] prima che ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato» (Qo 12,1.7).
1008 – La morte é conseguenza del peccato. Interprete autentico delle affermazioni della Sacra Scrittura e della Tradizione, il Magistero della Chiesa insegna che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato dell’uomo. Sebbene l’uomo possedesse una natura mortale, Dio lo destinava a non morire. La morte fu dunque contraria ai disegni di Dio Creatore ed essa entrò nel mondo come conseguenza del peccato». «La morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato» è pertanto «l’ultimo nemico» (I Cor 15,26) dell’uomo a dover essere vinto.
1009 – La morte é trasformata da Cristo. Anche Gesù, il Figlio di Dio ha subito la morte, propria della condizione umana. Ma, malgrado la sua angoscia di fronte ad essa, egli la assunse in un atto di totale e libera sottomissione alla volontà del Padre suo. L’obbedienza di Gesù ha trasformato la maledizione della morte in benedizione.
IL SENSO DELLA MORTE CRISTIANA
1010 – Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo. «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21) «Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui» (2 Tm 2,11). Qui sta la novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è già sacramentalmente «morto con Cristo», per vivere di una vita nuova; e se noi moriamo nella grazia di Cristo, la morte fisica consuma questo «morire con Cristo» e compie così la nostra incorporazione a lui nel suo atto redentore: Per me è meglio morire per Gesù Cristo, che essere re fino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il parto è imminente. […] Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo».
1011 – Nella morte, Dio chiama a sé l’uomo. Per questo il cristiano può provare nei riguardi della morte un desiderio simile a quello di san Paolo: «il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo» (Fil 1,23); e può trasformare la sua propria morte in un atto di obbedienza e di amore verso il Padre, sull’esempio di Cristo: Ogni mio desiderio terreno è crocifisso; […] un’acqua viva mormora dentro di me e interiormente mi dice: «”Vieni al Padre!” ». «Voglio vedere Dio, ma per vederlo bisogna morire «Non muoio, entro nella vita».
1012 – La visione cristiana della morte è espressa in modo impareggiabile nella liturgia della Chiesa: «Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non é tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo.
1013 – La morte è la fine del pellegrinaggio terreno dell’uomo, è la fine del tempo della grazia e della misericordia che Dio gli offre per realizzare la sua vita terrena secondo il disegno divino e per decidere il suo destino ultimo. Quando è «finito l’unico corso della nostra vita terrena», noi non ritorneremo più a vivere altre vite terrene. «E’ stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta» (Eb 9,27). Non c’è «reincarnazione» dopo la morte.
1014 – La Chiesa ci incoraggia a prepararci all’ora della nostra morte («Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore»: antiche Litanie dei santi), a chiedere alla Madre di Dio di intercedere per noi «nell’ora della nostra morte» («Ave Maria») e ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte: «In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; se avrai la coscienza retta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani? «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente pò skappare. Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda noi farà male.
In sintesi
1015 – «La carne è il cardine della salvezza». Noi crediamo in Dio che è il Creatore della carne; crediamo nel Verbo fatto carne per riscattare la carne; crediamo nella risurrezione della carne, compimento della creazione e della redenzione della carne. 1016 – Con la morte l’anima viene separata dal corpo, ma nella risurrezione Dio tornerà a dare la vita incorruttibile al nostro corpo trasformato, riunendolo alla nostra anima. Come Cristo è risorto e vive per sempre, così tutti noi risusciteremo nell’ultimo giorno.
1017 – «Crediamo […] nella vera risurrezione della carne che abbiamo ora » Mentre, tuttavia, si semina nella tomba un corpo corruttibile, risuscita un corpo incorruttibile, un «corpo spirituale» (1 Cor 15,44).
1018 – In conseguenza del peccato originale, l’uomo deve subire «la morte corporale, dalla quale sarebbe stato esentato se non avesse peccato».
1019 – Gesù, il Figlio di Dio, ha liberamente subito la morte per noi in una sottomissione totale e libera alla volontà di Dio, suo Padre. Con la sua morte ha vinto la morte, aprendo così a tutti gli uomini la possibilità della salvezza.
Articolo 12
«CREDO LA VITA ETERNA»
1020 – Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha pronunciato, per l’ultima volta, le parole di perdono dell’assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l’ha segnato, per l’ultima volta, con una unzione fortificante e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole: «Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. (…) Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. […] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplano per tutti i secoli in eterno»
I. Il giudizio particolare.
1021 – La morte pone fine alla vita dell’uomo come tempo aperto all’accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell’incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l’immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone così come altri testi del Nuovo Testamento parlano di una sorte ultima dell’anima che può essere diversa per le une e per le altre.
1022 – Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre. «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore».
Il. Il cielo.
1023 – Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono «così come egli è» (I Gv 3,2), «a faccia a faccia» (1 Cor 13,12): «Con la nostra apostolica autorità definiamo che, per disposizione generale di Dio, le anime di tutti i santi morti prima della passione di Cristo (…) e quelle di tutti i fedeli morti dopo aver ricevuto il santo Battesimo di Cristo, nelle quali al momento della morte non c’era o non ci sarà nulla da purificare, oppure, se in esse ci sarà stato o ci sarà qualcosa da purificare, quando, dopo la morte, si saranno purificate, (…) anche prima della risurrezione dei loro corpi e del giudizio universale e questo dopo l’ascensione del Signore e Salvatore Gesù Cristo al cielo sono state, sono e saranno in cielo, associate al regno dei cieli e al paradiso celeste con Cristo, insieme con i santi angeli. E dopo la passione e la morte del nostro Signore Gesù Cristo, esse hanno visto e vedono l’essenza divina in una visione intuitiva e anche a faccia a faccia, senza la mediazione di alcuna creatura.
1024 – Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata «il cielo». Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva.
1025 – Vivere in cielo è «essere con Cristo». Gli eletti vivono «in lui», ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il loro proprio nome: «Vita est enim esse cum Christo; ideo ubi Christus, ibi vita, ibi Regnum – La vita, infatti, è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è la vita, là c’è il Regno».
1026 – Con la sua morte e la sua risurrezione Gesù Cristo ci ha «aperto» il cielo. La vita dei beati consiste nel pieno possesso dei frutti della redenzione compiuta da Cristo, il quale associa alla sua glorificazione celeste coloro che hanno creduto in lui e che sono rimasti fedeli alla sua volontà. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui.
1027 – Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1 Cor 2,9).
1028 – A motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è se non quando egli stesso apre il suo mistero alla contemplazione immediata dell’uomo e gliene dona la capacità. Questa contemplazione di Dio nella sua gloria celeste è chiamata dalla Chiesa «la visione beatifica»: «Questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere l’onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo, il Signore tuo Dio, […] godere nel regno dei cieli, insieme con i giusti e gli amici di Dio, le gioie dell’immortalità raggiunta.
1029 – Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di Dio in rapporto agli altri uomini e all’intera creazione. Regnano già con Cristo; con lui «regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 22,5)
III. La purificazione finale o purgatorio.
1030 – Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo.
1031 La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt’altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al purgatorio soprattutto nei Concili di Firenze e di Trento. La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, parla di un fuoco purificatore: Per quanto riguarda alcune colpe leggere, si deve credere che c’è, prima del giudizio, un fuoco purificatore; infatti colui che è la Verità afferma che, se qualcuno pronuncia una bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro. Da questa affermazione si deduce che certe colpe possono essere rimesse in questo secolo, ma certe altre nel secolo futuro».
1032 – Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la Sacra Scrittura già parla: «Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (2 Mac 12,45). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti:«Rechiamo loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal sacrificio del loro padre, perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? […] Non esitiamo a soccorrere coloro che sono morti e ad offrire per loro le nostre preghiere».
IV. L’inferno.
1033 – Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: «Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna» (1 Gv 3,14-15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola «inferno».
1034 – Gesù parla ripetutamente della «geenna», del «fuoco inestinguibile», che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo. Gesù annunzia con parole severe: «Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno […] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente» (Mt 13,41-42), ed egli pronunzierà la condanna: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!» (Mt 25,41).
1035 – La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, «il fuoco eterno». La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
1036 – Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt7,13-14). «Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti».
1037 – Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole «che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2 Pt 3,9): «Accetta con benevolenza. o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti»
V. Il giudizio finale.
1038 – La risurrezione di tutti i morti, «dei giusti e degli ingiusti» (At 24,15), precederà il giudizio finale. Sarà «l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell’uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,28-29). Allora Cristo «verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli (…). E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. […] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,31-33.46).
1039 – Davanti a Cristo che è la verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio. Il giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena:«Tutto il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa. Il giorno in cui Dio non tacerà […] egli si volgerà verso i malvagi e dirà loro: lo avevo posto sulla terra i miei poverelli, per voi. lo, loro capo, sedevo nel cielo alla destra di mio Padre, ma sulla terra le mie membra avevano fame. Se voi aveste donato alle mie membra, il vostro dono sarebbe giunto fino al capo. Quando ho posto i miei poverelli sulla terra, li ho costituiti come vostri fattorini perché portassero le vostre buone opere nel mio tesoro: voi non avete posto nulla nelle loro mani, per questo non possedete nulla presso di me».
1040 – Il giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l’ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte.
1041 – Il messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini «il momento favorevole, il giorno della salvezza» (2 Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del regno di Dio. Annunzia la «beata speranza» (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale «verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto»(2 Ts 1,10).
VI. La speranza dei cieli nuovi e della terra nuova.
1042 – Alla fine dei tempi, il regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo sarà rinnovato: Allora la Chiesa «avrà il suo compimento […] nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo».
1043 – Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l’umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l’espressione: «i nuovi cieli e una terra nuova» (2 Pt 3,1 3). Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di «ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef’ 1,10).
1044 – In questo nuovo universo, la Gerusalemme celeste, Dio avrà la sua dimora in mezzo agli uomini. Egli «tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4).
1045 – Per l’uomo questo compimento sarà la realizzazione definitiva dell’unità del genere umano, voluta da Dio fin dalla creazione e di cui la Chiesa nella storia è «come sacramento ». Coloro che saranno uniti a Cristo formeranno la comunità dei redenti, la «Città santa» di Dio (Ap 21,2), «la Sposa dell’Agnello» (Ap 21,9). Essa non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, dall’amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione.
1046 – Quanto al cosmo, la Rivelazione afferma la profonda comunione di destino fra il mondo materiale e l’uomo: «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio […] e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione (…). Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8,19-23).
1047 – Anche l’universo visibile, dunque, è destinato ad essere trasformato, «affinché il mondo stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia, senza più alcun ostacolo, al servizio dei giusti», partecipando alla loro glorificazione in Gesù Cristo risorto.
1048 – «Ignoriamo il tempo in cui saranno portate a compimento la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo in cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini».
1049 – «Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza».
1050 – «Infatti i beni della dignità dell’uomo, della comunione fraterna e della libertà, cioè tutti questi buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale». Dio allora sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15,28), nella vita eterna: «La vita, nella sua stessa realtà e verità, è il Padre, che attraverso il Figlio nello Spirito Santo riversa come fonte su tutti noi i suoi doni celesti. E’ per la sua bontà promette veramente anche a noi uomini i beni divini della vita eterna.
In sintesi
1051 – Ogni uomo riceve nella sua anima immortale la propria retribuzione eterna fin dalla sua morte, in un giudizio particolare ad opera di Cristo, giudice dei vivi e dei morti.
1052 – «Noi crediamo che le anime di tutti coloro che muoiono nella grazia di Cristo […] costituiscono il popolo di Dio nell’al di là della morte, la quale sarà definitivamente sconfitta nel giorno della risurrezione, quando queste anime saranno riunite ai propri corpi».
1053 – «Noi crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite attorno a Gesù e a Maria in paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse nella beatitudine eterna vedono Dio così com’e e dove sono anche associate, in diversi gradi, con i santi angeli al governo divino esercitato da Cristo glorioso, intercedendo per noi e aiutando la nostra debolezza con la loro fraterna sollecitudine».
1054 – Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma imperfettamente purificati, benché sicuri della loro salvezza eterna, vengono sottoposti, dopo la morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia di Dio.
1055 – In virtù della «comunione dei santi», la Chiesa raccomanda i defunti alla misericordia di Dio e per loro offre suffragi, in particolare il santo sacrificio eucaristico.
1056 – Seguendo l’esempio di Cristo, la Chiesa avverte i fedeli della triste e penosa realtà della marte eterna, chiamata anche «inferno».
1057 – La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio; in Dio soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creata e alle quali aspira.
1058 – La Chiesa prega perché nessuno si perda: «Signore, […] non permettere che sia mai separato da te». Se è vero che nessuno può salvarsi da se stesso, è anche vera che Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1 Tm 2,4) e che per lui «tutto è passibile» (Mt 19,26).
1059 – «La santissima Chiesa romana crede e confessa fermamente che nel (…) giorno del giudizio tutti gli uomini compariranno col loro corpo davanti al tribunale di Cristo per rendere conto delle loro azioni».
1060 – Alla fine dei tempi, il regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Allora i giusti regneranno con Cristo per sempre, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo materiale sarà trasformato. Dio allora sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15,28), nella vita eterna.
«AMEN»
1061 – Il Credo, come pure l’ultimo libro della Sacra Scrittura, termina con la parola ebraica Amen. La si trova frequentemente alla fine delle preghiere del Nuovo Testamento. Anche la Chiesa termina le sue preghiere con Amen.
1062 – In ebraico, Amen si ricongiunge alla stessa radice della parola «credere». Tale radice esprime la solidità, l’affidabilità, la fedeltà. Si capisce allora perché l’«Amen» può esprimere tanto la fedeltà di Dio verso di noi quanto la nostra fiducia in lui.
1063 – Nel profeta Isaia si trova l’espressione «Dio di verità», letteralmente «Dio dell’Amen», cioè il Dio fedele alle sue promesse: «Chi vorrà essere benedetto nel paese, vorrà esserlo per il Dio fedele» (Is 65,16). Nostro Signore usa spesso il termine «Amen», a volte in forma doppia, per sottolineare l’affidabilità del suo insegnamento, la sua autorità fondata sulla verità di Dio.
1064 – L’«Amen» finale del Simbolo riprende quindi e conferma le due parole con cui inizia: «Io credo». Credere significa dire «Amen» alle parole, alle promesse, ai comandamenti di Dio, significa fidarsi totalmente di colui che è l’«Amen» d’infinito amore e di perfetta fedeltà. La vita cristiana di ogni giorno sarà allora l’«Amen» all’«Io credo» della professione di fede del nostro Battesimo: «Il Simbolo sia per te come uno specchio. Guardati in esso, per vedere se tu credi quello che dichiari di credere e rallegrati ogni giorno per la tua fede».
1065- Gesù Cristo stesso è l’«Amen» per noi (Ap 3,14). Egli è l’«Amen» definitivo dell’amore del Padre; assume e porta alla sua pienezza il nostro «Amen» al Padre: «Tutte le promesse di Dio in lui sono divenute “si”. Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro “Amen” per la sua gloria» (2 Cor 1,20): Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre Onnipotente, nell’unbità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. AMEN!»
PARTE SECONDA
LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
PERCHE’ LA LITURGIA?
1066 – Nel Simbolo della fede, la Chiesa confessa il mistero della Santa Trinità e il «il mistero della sua volontà, secondo (…) la sua benevolenza» (Ef 1,9) su tutta la creazione: il Padre compie il «mistero della sua volontà» donando il suo Figlio diletto e il suo Santo Spirito per la salvezza del mondo e per la gloria del suo Nome. Questo è il mistero di Cristo,! rivelato e realizzato nella storia secondo un piano, una «disposizione» sapientemente ordinata che san Paolo chiama «adempimento del mistero» (Ef 3,9) e che la tradizione patristica chiamerà «l’Economia del Verbo incarnato» o «l’Economia della salvezza».
1067 – «Quest’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell’Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore, specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero col quale “morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha ridato a noi la vita”. Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa». Per questo, nella liturgia, la Chiesa celebra principalmente il mistero pasquale per mezzo del quale Cristo ha compiuto l’opera della nostra salvezza.
1068 – Questo mistero di Cristo la Chiesa annunzia e celebra nella sua liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo: «La liturgia, infatti, mediante la quale, massimamente nel divino sacrificio dell’Eucaristia, “si attua l’opera della nostra redenzione”, contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa».
CHE COSA SIGNIFICA IL TERMINE «LITURGIA»?
1069 – Il termine «liturgia» significa originalmente «opera pubblica», «servizio da parte del popolo e in favore del popolo». Nella tradizione cristiana vuole significare che il popolo di Dio partecipa all’«opera di Dio». Attraverso la liturgia Cristo, nostro Redentore e Sommo Sacerdote, continua nella sua Chiesa, con essa e per mezzo di essa, l’opera della nostra redenzione.
1070 – Il termine «liturgia» nel Nuovo Testamento è usato per designare non soltanto la celebrazione del culto divino, ma anche l’annunzio del Vangelo e la carità in atto. In tutti questi casi, si tratta del servizio di Dio e degli uomini. Nella celebrazione liturgica, la Chiesa è serva, a immagine del suo Signore, l’unico «Liturgo», poiché partecipa del suo sacerdozio (culto) profetico (annunzio) e regale (servizio della carità): «Giustamente perciò la liturgia è ritenuta quell’esercizio dell’ufficio sacerdotale di Gesù Cristo, mediante il quale con segni sensibili viene significata e, in modo proprio a ciascuno, realizzata la santificazione dell’uomo, e viene esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo Sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, é azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado».
LA LITURGIA COME FONTE DI VITA
1071 – Opera di Cristo, la liturgia è anche un’azione della sua Chiesa. Essa realizza e manifesta la Chiesa come segno visibile della comunione di Dio e degli uomini per mezzo di Cristo. Impegna i fedeli nella vita nuova della comunità. Esige «che i fedeli vi prendano parte consapevolmente, attivamente e fruttuosamente».
1072 – «La sacra liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa»: essa deve essere preceduta dalla evangelizzazione, dalla fede e dalla conversione; allora è in grado di portare i suoi frutti nella vita dei fedeli: la vita nuova secondo lo Spirito, l’impegno nella missione della Chiesa ed il servizio della sua unità.
PREGHIERA E LITURGIA
1073 – La liturgia è anche partecipazione alla preghiera di Cristo, rivolta al Padre nello Spirito Santo. In essa ogni preghiera cristiana trova la sua sorgente e il suo termine. Per mezzo della liturgia, l’uomo interiore è radicato e fondato nel «grande amore con il quale il Padre ci ha amati» (Ef 2,4) nel suo Figlio diletto. Ciò che viene vissuto e interiorizzato da ogni preghiera «in ogni occasione nello Spirito» (Ef6,18) è la stessa «meraviglia di Dio».
CATECHESI E LITURGIA
1074 – «La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù». Essa è quindi il luogo privilegiato della catechesi del popolo di Dio. «La catechesi è intrinsecamente collegata con tutta l’azione liturgica e sacramentale, perché è nei sacramenti, e soprattutto nell’Eucaristia, che Gesù Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli uomini».
1075 – La catechesi liturgica mira a introdurre nel mistero di Cristo, in quanto procede dal visibile all’invisibile, dal significante a ciò che è significato, dai «sacramenti» ai «misteri». Una tale catechesi spetta ai catechismi locali e regionali. Il presente Catechismo, che vuole essere al servizio di tutta la Chiesa, nella diversità dei suoi riti e delle sue culture, presenterà ciò che è fondamentale e comune a tutta la Chiesa riguardo alla liturgia come mistero e come celebrazione (sezione prima); quindi i sette sacramenti e i sacramentali (sezione seconda).
SEZIONE PRIMA
L’ECONOMIA SACRAMENTALE
CAPITOLO PRIMO
Il MISTERO PASQUALE EL TEMPO DELLA CHIESA
Articolo 1
LITURGIA – OPERA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ
I. Il Padre, sorgente e fine della liturgia.
1077 – «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto» (Ef 1,3-6).
1078 – Benedire è un’azione divina che dà la vita e di cui il Padre è la sorgente. La sua benedizione è insieme parola e dono. Riferito all’uomo, questo termine significherà l’adorazione e la consegna di sé al proprio Creatore nell’azione di grazie.
1079 – Dall’inizio alla fine dei tempi, tutta l’opera di Dio è benedizione. Dal poema liturgico della prima creazione ai cantici della Gerusalemme celeste, gli autori ispirati annunziano il disegno della salvezza come una immensa benedizione divina.
1080 – In principio, Dio benedice gli esseri viventi, specialmente l’uomo e la donna. L’alleanza con Noè e con tutti gli esseri animati rinnova questa benedizione di fecondità, nonostante il peccato dell’uomo, a causa del quale il suolo è «maledetto». Ma è a partire da Abramo che la benedizione divina penetra la storia degli uomini, che andava verso la morte, per farla ritornare alla vita, alla sua sorgente: grazie alla fede del «padre dei credenti» che accoglie la benedizione, si inaugura la storia della salvezza.
1081 – Le benedizioni divine si manifestano in eventi mirabili e salvifici: la nascita di Isacco, l’uscita dall’Egitto (Pasqua ed Esodo), il dono della Terra promessa, l’elezione di Davide, la presenza di Dio nel Tempio, l’esilio purificatore e il ritorno del «piccolo resto». La Legge, i profeti e i salmi, che tessono la liturgia del popolo eletto, ricordano queste benedizioni divine e nello stesso tempo rispondono ad esse con le benedizioni di lode e di rendimento di grazie.
1082 – Nella liturgia della Chiesa, la benedizione divina è pienamente rivelata e comunicata: il Padre è riconosciuto e adorato come la sorgente e il termine di tutte le benedizioni della creazione e della salvezza; nel suo Verbo, incarnato, morto e risorto per noi, egli ci colma delle sue benedizioni, e per suo mezzo effonde nei nostri cuori il dono che racchiude tutti i doni: lo Spirito Santo.
1083 – Si comprende allora la duplice dimensione della liturgia cristiana come risposta di fede e di amore alle «benedizioni spirituali» di cui il Padre ci fa dono. Da una parte, la Chiesa, unita al suo Signore e sotto l’azione dello Spirito Santo, benedice il Padre per il «suo ineffabile dono» (2 Cor 9,15) con l’adorazione, la lode e l’azione di grazie. Dall’altra, e fino al pieno compimento del disegno di Dio, la Chiesa non cessa di presentare al Padre «l’offerta dei propri doni» e d’implorare che mandi lo Spirito Santo sull’offerta, su se stessa, sui fedeli e sul mondo intero, affinché, per la comunione alla morte e alla risurrezione di Cristo Sacerdote e per la potenza dello Spirito, queste benedizioni divine portino frutti di vita «a lode e gloria della sua grazia» (Ef 1,6)
Il. L’opera di Cristo nella liturgia.
CRISTO GLORIFICATO…
1084 – «Assiso alla destra del Padre» da dove effonde lo Spirito Santo nel suo corpo che è la Chiesa, Cristo agisce ora attraverso i sacramenti, da lui istituiti per comunicare la sua grazia. I sacramenti sono segni sensibili (parole e azioni), accessibili alla nostra attuale umanità. Essi realizzano in modo efficace la grazia che significano, mediante l’azione di Cristo e la potenza dello Spirito Santo.
1085 – Nella liturgia della Chiesa Cristo significa e realizza principalmente il suo mistero pasquale. Durante la sua vita terrena, Gesù annunziava con l’insegnamento e anticipava con le azioni il suo mistero pasquale. Venuta la sua Ora, egli vive l’unico avvenimento della storia che non passa: Gesù muore, è sepolto, risuscita dai morti e siede alla destra del Padre «una volta per tutte» (Rm 6,10; Eb 7,27; 9,12). È un evento reale, accaduto nella nostra storia, ma è unico: tutti gli altri avvenimenti della storia accadono una volta, poi passano, inghiottiti dal passato. Il mistero pasquale di Cristo, invece, non può rimanere soltanto nel passato, dal momento che con la sua morte egli ha distrutto la morte, e tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi e in essi è reso presente. L’evento della croce e della risurrezione rimane e attira tutto verso la vita.
DALLA CHIESA DEGLI APOSTOLI…
1086 – «Come Cristo fu inviato dal Padre, così anch’egli ha inviato gli Apostoli, ripieni di Spirito Santo, non solo perché, predicando il Vangelo a tutti gli uomini, annunziassero che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte e trasferiti nel regno del Padre, ma anche perché attuassero, per mezzo del sacrificio e dei sacramenti, sui quali s’impernia tutta la vita liturgica, l’opera della salvezza che annunziavano».
1087 – Pertanto, donando lo Spirito Santo agli Apostoli, Cristo risorto conferisce loro il proprio potere di santificazione: diventano segni sacramentali di Cristo. Per la potenza dello stesso Spirito Santo, essi conferiscono tale potere ai loro successori. Questa «successione apostolica» struttura tutta la vita liturgica della Chiesa; essa stessa è sacramentale, trasmessa attraverso il sacramento dell’Ordine.
…E PRESENTE NELLA LITURGIA TERRESTRE…
1088 – «Per realizzare un’opera così grande [la dispensazione o comunicazione della sua opera di salvezza] Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della Messa sia nella persona del ministro, “egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti”, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È presente, infine, quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro” (Mt 18,20)».
1089 – «In quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua Sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’Eterno Padre».
…CHE PARTECIPA ALLA LITURGIA CELESTE
1090 – «Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa Città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro dei santi e del vero tabernacolo; con tutte le schiere del la milizia celeste cantiamo al Signore l’inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di ottenere un qualche posto con essi; aspettiamo, quale Salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, nostra vita, e noi appariremo con lui nella gloria
III. Lo Spirito Santo e la Chiesa nella liturgia.
109l – Nella liturgia lo Spirito Santo è il pedagogo della fede del popolo di Dio, l’artefice di quei «capolavori di Dio» che sono i sacramenti del Nuovo Testamento. Il desiderio e l’opera dello Spirito nel cuore della Chiesa è che noi viviamo della vita di Cristo risorto. Quando egli incontra in noi la risposta di fede da lui suscitata, si realizza una vera cooperazione. Grazie ad essa, la liturgia diventa opera comune dello Spirito Santo e della Chiesa.
1092 – In questa comunicazione sacramentale del mistero di Cristo, lo Spirito Santo agisce allo stesso modo che negli altri tempi dell’Economia della salvezza: egli prepara la Chiesa ad incontrare il suo Signore; ricorda e manifesta Cristo alla fede dell’assemblea; rende presente e attualizza il mistero di Cristo per mezzo della sua potenza trasformatrice; infine, lo Spirito di comunione unisce la Chiesa alla vita e alla missione di Cristo.
LO SPIRITO SANTO PREPARA AD ACCOGLIERE CRISTO
1093 – Nell’economia sacramentale lo Spirito Santo dà compimento alle figure dell’Antica Alleanza. Poiché la Chiesa di Cristo era «mirabilmente preparata nella storia del popolo d’Israele e nell’Antica Alleanza» la liturgia della Chiesa conserva come parte integrante e insostituibile, facendoli propri, alcuni elementi del culto dell’Antica Alleanza: in modo particolare la lettura dell’Antico Testamento; la preghiera dei salmi; e, soprattutto, il memoriale degli eventi salvifici e delle realtà prefigurative che hanno trovato il loro compimento nel mistero di Cristo (la Promessa e l’Alleanza, l’Esodo e la Pasqua, il Regno e il Tempio, l’Esilio e il Ritorno).
1094 – Proprio su questa armonia dei due Testamenti si articola la catechesi pasquale del Signore e in seguito quella degli Apostoli e dei Padri della Chiesa. Tale catechesi svela ciò che rimaneva nascosto sotto la lettera dell’Antico Testamento: il mistero di Cristo. Essa è chiamata «tipologica» in quanto rivela la novità di Cristo a partire dalle «figure» che lo annunziavano nei fatti, nelle parole e nei simboli della prima Alleanza. Attraverso questa rilettura nello Spirito di verità a partire da Cristo, le figure vengono svelate. Così, il diluvio e l’arca di Noè prefiguravano la salvezza per mezzo del Battesimo, come pure la nube e la traversata del Mar Rosso; l’acqua dalla roccia era figura dei doni spirituali di Cristo; la manna nel deserto prefigurava l’Eucaristia, «il vero pane dal cielo» (Gv; 6,32).
1095 – Per questo la Chiesa, specialmente nei tempi di Avvento, di Quaresima e soprattutto nella notte di Pasqua, rilegge e rivive tutti questi grandi eventi della storia della salvezza nell’«oggi» della sua liturgia. Ma questo esige pure che la catechesi aiuti i fedeli ad aprirsi a tale intelligenza «spirituale» dell’Economia della salvezza, come la liturgia della Chiesa la manifesta e ce la fa vivere.
1096 – Liturgia ebraica e liturgia cristiana. Una migliore conoscenza della fede e della vita religiosa del popolo ebraico, quali sono professate e vissute ancora al presente, può aiutare a comprendere meglio certi aspetti della liturgia cristiana. Per gli ebrei e per i cristiani la Sacra Scrittura è una parte essenziale delle loro liturgie: per la proclamazione della Parola di Dio, la risposta a questa Parola, la preghiera di lode e di intercessione per i vivi e per i morti, il ricorso alla misericordia divina. La liturgia della Parola, nella sua specifica struttura, ha la sua origine nella preghiera ebraica. La preghiera delle Ore e altri testi e formulari liturgici hanno in essa i loro corrispettivi, come pure le stesse formule delle nostre preghiere più degne di venerazione, tra le quali il «Padre nostro». Anche le preghiere eucaristiche si ispirano a modelli della tradizione ebraica. Il rapporto tra la liturgia ebraica e quella cristiana, ma anche le differenze tra i loro contenuti, sono particolarmente visibili nelle grandi feste dell’anno liturgico, come la Pasqua. Cristiani ed ebrei celebrano la Pasqua: Pasqua della storia, tesa verso il futuro, presso gli ebrei; presso i cristiani, Pasqua compiuta nella morte e nella risurrezione di Cristo, anche se ancora in attesa della definitiva consumazione.
1097 – Nella liturgia della Nuova Alleanza, Ogni azione liturgica, specialmente la celebrazione dell’Eucaristia e dei sacramenti, è un incontro tra Cristo e la Chiesa. L’assemblea liturgica riceve la propria unità dalla «comunione dello Spirito Santo» che riunisce i figli di Dio nell’unico corpo di Cristo. Essa supera le affinità umane, razziali, culturali e sociali.
1098 – L’assemblea deve prepararsi ad incontrare il suo Signore, essere un popolo ben disposto. Questa preparazione dei cuori è opera comune dello Spirito Santo e dell’assemblea, in particolare dei suoi ministri. La grazia dello Spirito Santo cerca di risvegliare la fede, la conversione del cuore e l’adesione alla volontà del Padre. Queste disposizioni sono il presupposto per l’accoglienza delle altre grazie offerte nella celebrazione stessa e per i frutti di vita nuova che essa è destinata a produrre in seguito.
LO SPIRITO SANTO RICORDA IL MISTERO DI CRISTO
1099 – Lo Spirito e la Chiesa cooperano per manifestare Cristo e la sua opera di salvezza nella liturgia. Specialmente nell’Eucaristia, e in modo analogo negli altri sacramenti, la liturgia è Memoriale del mistero della salvezza. Lo Spirito Santo è la memoria viva della Chiesa.
1100 – La Parola di Dio. Lo Spirito Santo ricorda in primo luogo all’assemblea liturgica il senso dell’evento della salvezza vivificando la Parola di Dio che viene annunziata per essere accolta e vissuta: «Massima è l’importanza della Sacra Scrittura nel celebrare la liturgia. Da essa infatti vengono tratte le letture da spiegare nell’omelia e i salmi da cantare; del suo affiato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici, e da essa prendono significato le azioni e i segni».
1101 – È lo Spirito Santo che dona ai lettori e agli uditori, secondo le disposizioni dei loro cuori, l’intelligenza spirituale della Parola di Dio. Attraverso le parole, le azioni e i simboli che costituiscono la trama di una celebrazione, egli mette i fedeli e i ministri in relazione viva con Cristo, Parola e Immagine del Padre, affinché possano trasfondere nella loro vita il significato di ciò che ascoltano, contemplano e compiono nella celebrazione.
1102 – «In virtù della parola salvatrice la fede […] si alimenta nel cuore dei credenti, e con la fede ha inizio e cresce la comunità dei credenti». L’annunzio della Parola di Dio non si limita ad un insegnamento: essa sollecita la risposta della fede, come adesione e impegno, in vista dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo. È ancora lo Spirito Santo che elargisce la grazia della fede, la fortifica e la fa crescere nella comunità. L’assemblea liturgica è prima di tutto comunione nella fede.
1103 – La celebrazione liturgica si riferisce sempre agli interventi salvifici di Dio nella storia. «L’economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro […]. Le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto». Nella liturgia della Parola lo Spirito Santo «ricorda» all’assemblea tutto ciò che Cristo ha fatto per noi. Secondo la natura delle azioni liturgiche e le tradizioni rituali delle Chiese, una celebrazione «fa memoria» delle meraviglie di Dio attraverso una anamnesi più o meno sviluppata. Lo Spirito Santo, che in tal modo risveglia la memoria della Chiesa, suscita di conseguenza l’azione di grazie e la lode.
LO SPIRITO SANTO ATTUALIZZA IL MISTERO DI CRISTO
1104 – La liturgia cristiana non soltanto ricorda gli eventi che hanno operato la nostra salvezza; essa li attualizza, li rende presenti. Il mistero pasquale di Cristo viene celebrato, non ripetuto; sono le celebrazioni che si ripetono; in ciascuna di esse ha luogo l’effusione dello Spirito Santo che attualizza l’unico mistero.
1105 – L’(«invocazione-su») è l’intercessione con la quale il sacerdote supplica il Padre di inviare lo Spirito Santificatore affinché le offerte diventino il Corpo e il Sangue di Cristo e i fedeli, ricevendole, divengano essi pure un’offerta viva a Dio.
1106 – Insieme con l’anamnesi, l’epiclesi è il cuore di ogni celebrazione sacramentale, in modo particolare dell’Eucaristia: «Tu chiedi in che modo il pane diventa Corpo di Cristo e il vino […] Sangue di Cristo? Te lo dico io: lo Spirito Santo discende e realizza ciò che supera ogni parola e ogni pensiero. […] Ti basti sapere che questo avviene per opera dello Spirito Santo, allo stesso modo che dalla santa Vergine e per mezzo dello Spirito Santo il Signore, da se stesso e in se stesso, assunse la carne».
1107 – La forza trasformatrice dello Spirito Santo nella liturgia affretta la venuta del Regno e la consumazione del mistero della salvezza. Nell’attesa e nella speranza egli ci fa realmente anticipare la piena comunione della Santissima Trinità. Mandato dal Padre che esaudisce l’epiclesi della Chiesa, lo Spirito dona la vita a coloro che l’accolgono, e costituisce per essi, fin d’ora, «la caparra» della loro eredità.
LA COMUNIONE DELLO SPIRITO SANTO
1108 – Il fine della missione dello Spirito Santo in ogni azione liturgica è quello di mettere in comunione con Cristo per formare il suo corpo. Lo Spirito Santo è come la linfa della vite del Padre che porta il suo frutto nei tralci. Nella liturgia si attua la più stretta cooperazione tra lo Spirito Santo e la Chiesa. Egli, lo Spirito di comunione, rimane nella Chiesa in modo indefettibile, e per questo la Chiesa è il grande sacramento della comunione divina che riunisce i figli di Dio dispersi. Il frutto dello Spirito nella liturgia è inseparabilmente comunione con la Santissima Trinità e comunione fraterna.
1109 – L’epiclesi è anche preghiera per la piena realizzazione della comunione dell’assemblea al mistero di Cristo. «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo» (2 Cor 13,13) devono rimanere sempre con noi e portare frutti al di là della celebrazione eucaristica. La Chiesa prega dunque il Padre di inviare lo Spirito Santo, perché faccia della vita dei fedeli un’offerta viva a Dio attraverso la trasformazione spirituale a immagine di Cristo, la sollecitudine per l’unità della Chiesa e la partecipazione alla sua missione per mezzo della testimonianza e del servizio della carità.
In sintesi
1110 – Nella liturgia della Chiesa Dio Padre è benedetto e adorato come sorgente di tutte le benedizioni della creazione e della salvezza, con le quali ci ha benedetti nel suo Figlio, per donarci lo Spirito dell’adozione filiale.
1111 – L’opera di Cristo nella liturgia è sacramentale perché il suo mistero di salvezza vi è reso presente mediante la potenza del suo Santo Spirito; perché il suo corpo, che è la Chiesa, è come il sacramento (segno e strumento) nel quale lo Spirito Santo dispensa il mistero della salvezza; perché, attraverso le sue azioni liturgiche, la Chiesa pellegrina nel tempo partecipa già, pregustandola, alla liturgia celeste.
1112 – La missione dello Spirito Santo nella liturgia della Chiesa è di preparare l’assemblea a incontrare Cristo; di ricordare e manifestare Cristo alla fède dell’assemblea; di rendere presente e attualizzare, con la sua potenza trasformatrice, l’opera salvifica di Cristo, e di far fruttificare il dono della comunione nella Chiesa.
Articolo 2
IL MISTERO PASQUALE NEI SACRAMENTI DELLA CHIESA
1113 – Tutta la vita liturgica della Chiesa gravita attorno al sacrificio eucaristico e ai sacramenti. Nella Chiesa vi sono sette sacramenti: il Battesimo, la Confermazione o Crismazione, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Unzione degli infermi, l’Ordine, il Matrimomo. In questo articolo viene trattato ciò che è comune ai sette sacramenti della Chiesa, dal punto di vista dottrinale. Quanto è loro comune riguardo alla celebrazione sarà esposto nel capitolo secondo, mentre ciò che è proprio a ciascuno di essi costituirà l’oggetto della sezione seconda.
I. I sacramenti di Cristo.
1114 – «Attenendoci alla dottrina delle Sacre Scritture, alle tradizioni apostoliche e all’unanime pensiero (…) dei Padri», noi professiamo «che i sacramenti della nuova Legge (…) sono stati istituiti tutti da Gesù Cristo nostro Signore».
1115 – Le parole e le azioni di Gesù nel tempo della sua vita nascosta e del suo ministero pubblico erano già salvifiche. Esse anticipavano la potenza del suo mistero pasquale. Annunziavano e preparavano ciò che egli avrebbe donato alla Chiesa quando tutto fosse stato compiuto. I misteri della vita di Cristo costituiscono i fondamenti di ciò che, ora, Cristo dispensa nei sacramenti mediante i ministri della sua Chiesa, poiché «ciò che […] era visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi sacramenti»,
1116 – «Forze che escono» dal corpo di Cristo, sempre vivo e vivificante, azioni dello Spirito Santo operante nel suo corpo che è la Chiesa, i sacramenti sono i «capolavori di Dio» nella Nuova ed eterna Alleanza.
II. I sacramenti della Chiesa.
1117 – Per mezzo dello Spirito che la guida «alla verità tutta intera» (Gv 16,13), la Chiesa ha riconosciuto a poco a poco questo tesoro ricevuto da Cristo e ne ha precisato la «dispensazione», come ha fatto per il canone delle divine Scritture e la dottrina della fede, quale fedele amministratrice dei misteri di Dio. Così la Chiesa, nel corso dei secoli, è stata in grado di discernere che, tra le sue celebrazioni liturgiche, ve ne sono sette le quali costituiscono, nel senso proprio del termine, sacramenti istituiti dal Signore.
1118 – I sacramenti sono «della Chiesa» in un duplice significato: sono «da essa» e «per essa». Sono «dalla Chiesa» per il fatto che questa è il sacramento dell’azione di Cristo che opera in lei grazie alla missione dello Spirito Santo. E sono «per la Chiesa», sono cioè «sacramenti (…) che fanno la Chiesa», in quanto manifestano e comunicano agli uomini, soprattutto nell’Eucaristia, il mistero della comunione del Dio Amore, uno in tre Persone.
1119 – Poiché con il Cristo-Capo forma «quasi un’unica […] persona mistica» la Chiesa agisce nei sacramenti come «comunità sacerdotale», «organicamente strutturata»: mediante il Battesimo e la Confermazione, il popolo sacerdotale è reso idoneo a celebrare la liturgia; d’altra parte alcuni fedeli, insigniti dell’Ordine sacro, «sono posti in nome di Cristo a pascere la Chiesa con la parola e la grazia di Dio».
1120 – Il ministero ordinato o «sacerdozio ministeriale» è al servizio del sacerdozio battesimale. Esso garantisce che, nei sacramenti, è proprio il Cristo che agisce per mezzo dello Spirito Santo a favore della Chiesa. La missione di salvezza affidata dal Padre al proprio Figlio incarnato è consegnata agli Apostoli e da essi ai loro successori; questi ricevono lo Spirito Santo di Gesù per operare in suo nome e in sua persona. Il ministro ordinato è dunque il legame sacramentale che collega l’azione liturgica a ciò che hanno detto e fatto gli Apostoli, e, tramite loro, a ciò che ha detto e operato Cristo, sorgente e fondamento dei sacramenti.
1121 – 1 tre sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Ordine conferiscono, oltre la grazia, un carattere sacramentale o «sigillo» in forza del quale il cristiano partecipa al sacerdozio di Cristo e fa parte della Chiesa secondo stati e funzioni diverse. Questa configurazione a Cristo e alla Chiesa, realizzata dallo Spirito, è indelebile; essa rimane per sempre nel cristiano come disposizione positiva alla grazia, come promessa e garanzia della protezione divina e come vocazione al culto divino e al servizio della Chiesa. Tali sacramenti non possono dunque mai essere ripetuti.
III. I sacramenti della fede.
1122 – Cristo ha inviato i suoi Apostoli perché «nel suo nome», siano «predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati»(Lc 24,47). «Ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). La missione di battezzare, dunque la missione sacramentale, è implicita nella missione di evangelizzare, poiché il sacramento è preparato dalla Parola di Dio e dalla fede, la quale è consenso a questa Parola: «Il popolo di Dio viene adunato innanzi tutto per mezzo dclla Parola del Dio vivente. […] La predicazione della Parola è necessaria per lo stesso ministero dei sacramenti, trattandosi di sacramenti della fede, la quale nasce e si alimenta con la Parola».
1123 – «1 sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, all’edificazione del corpo di Cristo, e, infine, a rendere culto a Dio; in quanto segni, hanno poi anche la funzione di istruire. Non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati sacramenti della fede».
1124 – La fede della Chiesa precede la fede del credente, che è invitato ad aderirvi. Quando la Chiesa celebra i sacramenti, confessa la fede ricevuta dagli Apostoli. Da qui l’antico adagio: «Lex orandi, lex credendi» (oppure: «Legein credendi lex statuat supplicandi»,secondo Prospero di Aquitania [secolo quinto). La legge della preghiera è la legge della fede, la Chiesa crede come prega. La liturgia è un elemento costitutivo della santa e vivente Tradizione.
1125 – Per questo motivo nessun rito sacramentale può essere modificato o manipolato dal ministro o dalla comunità a loro piacimento. Neppure l’autorità suprema nella Chiesa può cambiare la liturgia a sua discrezione, ma unicamente nell’obbedienza della fede e nel religioso rispetto del mistero della liturgia.
1126 – Inoltre, poiché i sacramenti esprimono e sviluppano la comunione di fede nella Chiesa, la lex orandi è uno dei criteri essenziali del dialogo che cerca di ricomporre l’unità dei cristiani
IV. I sacramenti della salvezza.
1127 – Degnamente celebrati nella fede, i sacramenti conferiscono la grazia che significano. Sono efficaci perché in essi agisce Cristo stesso: è lui che battezza, è lui che opera nei suoi sacramenti per comunicare la grazia che il sacramento significa. Il Padre esaudisce sempre la preghiera della Chiesa di suo Figlio, la quale, nell’epiclesi di ciascun sacramento, esprime la propria fede nella potenza dello Spirito. Come il fuoco trasforma in sé tutto ciò che tocca, così lo Spirito Santo trasforma in vita divina ciò che è sottomesso alla sua potenza.
1128 – È questo il significato dell’affermazione della Chiesa: i sacramenti agiscono ex opere operato (lett. «per il fatto stesso che l’azione viene compiuta»), cioè in virtù dell’opera salvifica di Cristo, compiuta una volta per tutte. Ne consegue che «il sacramento non è realizzato dalla giustizia dell’uomo che lo conferisce o lo riceve, ma dalla potenza di Dio. Quando un sacramento viene celebrato in conformità all’intenzione della Chiesa, la potenza di Cristo e del suo Spirito agisce in esso e per mezzo di esso, indipendentemente dalla santità personale del ministro. Tuttavia i frutti dei sacramenti dipendono anche dalle disposizioni di colui che li riceve.
1129 – La Chiesa afferma che per i credenti i sacramenti della Nuova Alleanza sono necessari alla salvezza. La «grazia sacramentale» è la grazia dello Spirito Santo donata da Cristo e propria di ciascun sacramento. Lo Spirito guarisce e trasforma coloro che li ricevono conformandoli al Figlio di Dio. Il frutto della vita sacramentale è che lo Spirito di adozione deifica i fedeli unendoli vitalmente al Figlio unico, il Salvatore
V. I sacramenti della vita eterna.
1130 – La Chiesa celebra il mistero del suo Signore «finché egli venga» (I Cor 11,26) e «Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15,28). Dall’età apostolica la liturgia è attirata verso il suo fine dal gemito dello Spirito nella Chiesa: «Marana tha! » (1 Cor 16,22). La liturgia condivide così il desiderio di Gesù: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, (…) finché essa non si compia nel regno di Dio» (Le 22,1 5-1 6). Nei sacramenti di Cristo la Chiesa già riceve la caparra della sua eredità, già partecipa alla vita eterna, pur «nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,13). «Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!” […]. Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,17.20). San Tommaso riassume così le diverse dimensioni del segno sacramentale: «Il sacramento è segno commemorativo del passato, ossia della passione del Signore; è segno dimostrativo del frutto prodotto in noi dalla sua passione, cioè della grazia: è segno profetico, che preannunzia la gloria futura».
In sintesi
1131 – I sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, attraversa i quali ci viene elargita la vita divina. I riti visibili con i quali i sacramenti sono celebrati significano e realizzano le grazie proprie di ciascun sacramento. Essi portano frutto in coloro che li ricevono con le disposizioni richieste.
1132 – La Chiesa celebra i sacramenti come comunità sacerdotale strutturata mediante il sacerdozio battesimale e quello dei ministri ordinati.
1133 – Lo Spirito Santo prepara ai sacramenti per mezzo della Parola di Dio e della fede che accoglie la Parola nei cuori ben disposti. Allora, i sacramenti fortificano ed esprimono la fede.
1134 – Il frutto della vita sacramentale è ad un tempo personale ed ecclesiale. Da una parte tale frutto è, per ogni fedele, vivere per Dio in Cristo Gesù; dall’altra costituisce per la Chiesa una crescita nella carità e nella sua missione di testimonianza.
CAPITOLO SECONDO
LA CELEBRAZIONE SACRAMENTALE DEL MISTERO PASQUALE
1135 – La catechesi della liturgia implica prima di tutto la comprensione dell’economia sacramentale (capitolo primo). A questa luce si rivela la novità della sua celebrazione. In questo capitolo si tratterà dunque della celebrazione dei sacramenti della Chiesa. Si esporrà ciò che, nella diversità delle tradizioni liturgiche, è comune alla celebrazione dei sette sacramenti; quanto invece è specifico di ciascuno di essi sarà presentato più avanti. Questa catechesi fondamentale delle celebrazioni sacramentali risponderà alle prime domande che i fedeli si pongono a proposito di questo argomento: Chi celebra? Come celebrare? Quando celebrare? Dove celebrare?
Articolo I
CELEBRARE LA LITURGIA DELLA CHIESA
I. Chi celebra?
1136 – La liturgia è «azione» di «Cristo tutto intero» (« totius Christi»). Coloro che qui la celebrano, al di là dei segni, sono già nella liturgia celeste, dove la celebrazione è totalmente comunione e festa.
I CELEBRANTI DELLA LITURGIA CELESTE
1137 – L’Apocalisse di san Giovanni, letta nella liturgia della Chiesa, ci rivela prima di tutto un trono nel cielo, e sul trono Uno seduto: «il Signore» (Is 6,1). Poi l’Agnello, «ritto (…) come immolato»(Ap 5,6): il Cristo crocifisso e risorto, l’unico Sommo Sacerdote del vero santuario, lo stesso «che offre e che viene offerto, che dona ed è donato». Infine, il «fiume di acqua viva» che scaturisce «dal trono di Dio e dell’Agnello» (Ap 22,1), uno dei simboli più belli dello Spirito Santo.
1138 – «Ricapitolati» in Cristo, partecipano al servizio della lode di Dio e al compimento del suo disegno: le Potenze celesti, tutta la creazione (i quattro esseri viventi), i servitori dell’Antica e della Nuova Alleanza (i ventiquattro vegliardi), il nuovo popolo di Dio (i centoquarantaquattromila), in particolare i martiri «immolati a causa della Parola di Dio» (Ap 6,9), e la santissima Madre di Dio (Donna; Sposa dell’Agnello), infine, «una moltitudine immensa, che nessuno» può contare, «di ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7,9).
1139 – È a questa liturgia eterna che lo Spirito e la Chiesa ci fanno partecipare, quando celebriamo nei sacramenti il mistero della salvezza.
I CELEBRANTI DELLA LITURGIA SACRAMENTALE
1140 – È tutta la comunità, il corpo di Cristo unito al suo Capo, che celebra. «Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che e sacramento di unità, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. Perciò (tali azioni) appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli membri poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli uffici e dell’attuale partecipazione». Per questo «ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria con la presenza e la partecipazione attiva dei fedeli, si incuichi che questa è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata degli stessi».
1141 – L’assemblea che celebra è la comunità dei battezzati i quali, «per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo, vengono consacrati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo, e poter così offrire in sacrificio spirituale tutte le attività umane del cristiano». Il «sacerdozio comune» è quello di Cristo, unico Sacerdote, partecipato da tutte le sue membra: «La Madre Chiesa desidera ardentemente che tutti i fedeli vengano guidati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione delle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato” (I Pt 2,9), ha diritto e dovere in forza del Battesimo».
1142 – Ma «le membra non hanno tutte la stessa funzione» (Rm 12,4). Alcuni sono chiamati da Dio, nella Chiesa e dalla Chiesa, ad un servizio speciale della comunità. Questi servitori sono scelti e consacrati mediante il sacramento dell’Ordine, con il quale lo Spirito Santo li rende idonei ad operare nella persona di Cristo-Capo per il servizio di tutte le membra della Chiesa. Il ministro ordinato è come «l’icona» di Cristo Sacerdote. Poiché il sacramento della Chiesa si manifesta pienamente nell’Eucaristia, è soprattutto nel presiedere l’Eucaristia che si manifesta il ministero del Vescovo e, in comunione con lui, quello dei presbiteri e dei diaconi.
1143 – Al fine di servire le funzioni del sacerdozio comune dei fedeli, vi sono inoltre altri ministeri particolari, non consacrati dal sacramento dell’Ordine, la cui funzione è determinata dai Vescovi secondo le tradizioni liturgiche e le necessità pastorali. «Anche i ministranti, i lettori, i commentatori, e tutti i membri del coro svolgono un vero ministero liturgico».
1144 – In questo modo, nella celebrazione dei sacramenti, tutta l’assemblea è «il liturgo», ciascuno secondo la propria funzione, ma nell’«unità dello Spirito» che agisce in tutti. «Nelle celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o fedele, svolgendo il proprio ufficio, compiasolo e tutto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza»
Il. Come celebrare?
SEGNI E SIMBOLI
1145 – Una celebrazione sacramentale è intessuta di segni e di simboli. Secondo la pedagogia divina della salvezza, il loro significato si radica nell’opera della creazione e nella cultura umana, si precisa negli eventi materiali dell’Antica Alleanza e sì rivela pienamente nella persona e nell’opera di Cristo.
1146 – Segni del mondo degli uomini. Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l’uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e di simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio.
1147 – Dio parla all’uomo attraverso la creazione visibile. L’universo materiale si presenta all’intelligenza dell’uomo perché vi legga le tracce del suo Creatore. La luce e la notte, il vento e il fuoco, l’acqua e la terra, l’albero e i frutti parlano di Dio, simboleggiano ad un tempo la sua grandezza e la sua vicinanza.
1148 – In quanto creature, queste realtà sensibili possono diventare il luogo in cui si manifesta l’azione di Dio che santifica gli uomini, e l’azione degli uomini che rendono a Dio il loro culto. Ugualmente avviene per i segni e i simboli della vita sociale degli uomini: lavare e ungere, spezzare il pane e condividere il calice possono esprimere la presenza santificante di Dio e la gratitudine dell’uomo verso il suo Creatore.
1149 – Le grandi religioni dell’umanità testimoniano, spesso in modo impressionante, tale senso cosmico e simbolico dei riti religiosi. La liturgia della Chiesa presuppone, integra e santifica elementi della creazione e della cultura umana conferendo loro la dignità di segni della grazia, della nuova creazione in Gesù Cristo.
1150 – Segni dell’Alleanza. Il popolo eletto riceve da Dio segni e simboli distintivi che caratterizzano la sua vita liturgica: non sono più soltanto celebrazioni di cicli cosmici e di gesti sociali, ma segni dell’Alleanza, simboli delle grandi opere compiute da Dio per il suo popolo. Tra questi segni liturgici dell’Antica Alleanza si possono menzionare la circoncisione, l’unzione e la consacrazione dei re e dei sacerdoti, l’imposizione delle mani, i sacrifici, e soprattutto la pasqua. In questi segni la Chiesa riconosce una prefigurazione dei sacramenti della Nuova Alleanza.
1151 – Segni assunti da Cristo. Nella sua predicazione il Signore Gesù si serve spesso dei segni della creazione per far conoscere i misteri del regno di Dio. Compie guarigioni o dà rilievo alla sua predicazione con segni o gesti simbolici. Conferisce un nuovo significato ai fatti e ai segni dell’Antica Alleanza, specialmente all’esodo e alla pasqua, poiché egli stesso è il significato di tutti questi segni.
1152 – Segni sacramentali. Dopo la pentecoste, è mediante i segni sacramentali della sua Chiesa che lo Spirito Santo opera la santificazione. I sacramenti della Chiesa non aboliscono, ma purificano e integrano tutta la ricchezza dei segni e dei simboli del cosmo e della vita sociale. Inoltre essi danno compimento ai tipi e alle figure dell’Antica Alleanza, significano e attuano la salvezza operata da Cristo, prefigurano e anticipano la gloria del cielo.
PAROLE E AZIONI
1153 – Ogni celebrazione sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il loro Padre, in Cristo e nello Spirito Santo, e tale incontro si esprime come un dialogo, attraverso azioni e parole. Anche se le azioni simboliche già per se stesse sono un linguaggio, è tuttavia necessario che la Parola di Dio e la risposta della fede accompagnino e vivifichino queste azioni, perché il seme del Regno porti il suo frutto nella terra buona. Le azioni liturgiche significano ciò che la Parola di Dio esprime: l’iniziativa gratuita di Dio e, nello stesso tempo, la risposta di fede del suo popolo.
1154 – La liturgia della Parola è parte integrante delle celebrazioni sacramentali. Per nutrire la fede dei credenti, devono essere valorizzati i segni della Parola di Dio: il libro della Parola (lezionario o evangeliario), la venerazione di cui è fatta oggetto (processione, incenso, candele), il luogo da cui viene annunziata (ambone), la sua proclamazione udibile e comprensibile, l’omelia del ministro che ne prolunga la proclamazione, le risposte dell’assemblea (acclamazioni, salmi di meditazione, litanie, professione di fede).
1155 – Inseparabili in quanto segni e insegnamento, le parole e le azioni liturgiche lo sono anche in quanto realizzano ciò che significano. Lo Spirito Santo non si limita a dare l’intelligenza della Parola di Dio suscitando la fede; attraverso i sacramenti egli realizza anche le «meraviglie» di Dio annunziate dalla Parola; rende presente e comunica l’opera del Padre compiuta dal Figlio diletto.
CANTO E MUSICA
1156 – «La tradizione musicale di tutta la Chiesa costituisce un tesoro di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrale della liturgia solenne». La composizione e il canto dei salmi ispirati, frequentemente accompagnati da strumenti musicali, sono già strettamente legati alle celebrazioni liturgiche dell’Antica Alleanza. La Chiesa continua e sviluppa questa tradizione: «Intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore» (Ef 5,19). Chi canta prega due volte.
1157 – Il canto e la musica svolgono la loro funzione di segni in una maniera tanto più significativa «quanto più sono strettamente uniti all’azione liturgica», secondo tre criteri principali: la bellezza espressiva della preghiera, l’unanime partecipazione dell’assemblea nei momenti previsti e il carattere solenne della celebrazione. In questo modo essi partecipano alla finalità delle parole e delle azioni liturgiche: la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli: «Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua Chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene».
1158 – L’armonia dei segni (canto, musica, parole e azioni) è qui tanto più significativa e feconda quanto più si esprime nella ricchezza culturale propria del popolo di Dio che celebra. Per questo «si promuova con impegno il canto popolare religioso, in modo che nei piì e sacri esercizi, e nelle stesse azioni liturgiche», secondo le norme della Chiesa, «possano risonare le voci dei fedeli». Tuttavia, «i testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla Sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche».
LE SACRE IMMAGINI
1159 – La sacra immagine, l’icona liturgica, rappresenta soprattutto Cristo. Essa non può rappresentare il Dio invisibile e incomprensibile; è stata l’incarnazione del Figlio di Dio ad inaugurare una nuova «economia» delle immagini: «Un tempo Dio, non avendo nè corpo, nè figura, non poteva in alcun modo essere rappresentato da una immagine. Ma ora che si è fatto vedere nella carne e che ha vissuto con gli uomini, posso fare una immagine di ciò che ho visto di Dio. […] A viso scoperto, noi contempliamo la gloria del Signore.
1160 – L’iconografia cristiana trascrive attraverso l’immagine il messaggio evangelico che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la parola. Immagine e parola si illuminano a vicenda: «In poche parole, noi intendiamo custodire gelosamente intatte tutte le tradizioni della Chiesa, sia scritte che orali. Una di queste riguarda la raffigurazione del modello mediante una immagine, in quanto si accordi con la lettera del messaggio evangelico, in quanto serva a confermare la vera e non fantomatica incarnazione del Verbo di Dio e procuri a noi analogo vantaggio, perché le cose rinviano l’una all’altra in ciò che raffigurano come in ciò che senza ambiguità esse significano.
1161 – Tutti i segni della celebrazione liturgica sono riferiti a Cristo: lo sono anche le sacre immagini della santa Madre di Dio e dei santi, poiché significano Cristo che in loro è glorificato. Esse manifestano «il gran numero di testimoni» (Eb 12,1) che continuano a partecipare alla salvezza del mondo e ai quali noi siamo uniti, soprattutto nella celebrazione sacramentale. Attraverso le loro icone, si rivela alla nostra fede l’uomo creato «a immagine di Dio», e trasfigurato «a sua somiglianza» come pure gli angeli, anch’essi ricapitolati in Cristo:«Procedendo sulla via regia, seguendo la dottrina divinamente ispirata dei nostri santi Padri e la Tradizione della Chiesa cattolica rìconosciamo, infatti, che lo Spirito Santo abita in essa – noi detiniamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell’immacolata Signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti».
1162 – «La bellezza e il colore delle immagini sono uno stimolo per la mia preghiera. È una festa per i miei occhi, così come lo spettacolo della campagna apre il mio cuore a rendere gloria a Dio. La contemplazione delle sante icone, unita alla meditazione della Parola di Dio e al canto degli inni liturgici, entra nell’armonia dei segni della celebrazione in modo che il mistero celebrato si imprima nella memoria del cuore e si esprima poi nella novità di vita dei fedeli.
IL TEMPO LITURGICO
1163 – «La santa Madre Chiesa considera suo dovere celebrare con sacra memoria, in determinati giorni nel corso dell’anno, l’opera salvifica del suo Sposo divino. Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di domenica, fa memoria della risurrezione del Signore, che una volta all’anno, unitamente alla sua beata passione, celebra a Pasqua, la più grande delle solennità. Nel ciclo annuale poi presenta tutto il mistero di Cristo […1 Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza.
1164 – Fin dalla Legge mosaica il popolo di Dio ha conosciuto feste in data fissa, a partire dalla Pasqua, per commemorare le stupende azioni del Dio Salvatore, rendergliene grazie, perpetuarne il ricordo e insegnare alle nuove generazioni a conformare ad esse la loro condotta di vita. Nel tempo della Chiesa, posto tra la pasqua di Cristo, già compiuta una volta per tutte, e la sua consumazione nel regno di Dio, la liturgia celebrata in giorni fissi è totalmente impregnata della novità del mistero di Cristo.
1165 – Quando la Chiesa celebra il mistero di Cristo, una parola scandisce la sua preghiera: «Oggi!», come eco della preghiera che le ha insegnato il suo Signore e dell’invito dello Spirito Santo. Questo «oggi» del Dio vivente in cui l’uomo è chiamato ad entrare è l’«Ora» della pasqua di Gesù, che attraversa tutta la storia e ne è il cardine: «La vita si è posata su tutti gli esseri e tutti sono investiti da una grande luce; l’Oriente degli orienti ha invaso l’universo, e colui che era prima della stella del mattino e prima degli astri, immortale e immenso, ìl grande Cristo, brilla su tutti gli esseri più del sole. Perciò, per noi che crediamo in lui, sorge un giorno di luce, lungo, eterno, che non si spegnerà più: la Pasqua mistica».
IL GIORNO DEL SIGNORE
1166 – «Secondo la Tradizione apostolica, che trae origine dal giorno stesso della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente giorno del Signore o domenica». Il giorno della risurrezione di Cristo è ad un tempo il «primo giorno della settimana», memoriale del primo giorno della creazione, e 1’«ottavo giorno» in cui Cristo, dopo il suo «riposo» del grande Sabato, inaugura il giorno «che il Signore ha fatto» (Sal 118,24), il «giorno che non conosce tramonto. La «Cena del Signore» ne costituisce il centro, poiché in essa l’intera comunità dei fedeli incontra il Signore risorto che la invita al suo banchetto: «Il giorno del Signore, il giorno della risurrezione, il giorno dei cristiani, è il nostro giorno. È chiamato giorno del Signore proprio per questo: perché in esso il Signore è salito vittorioso presso il Padre. I pagani lo chiamano giorno del sole: ebbene, anche noi lo chiamiamo volentieri in questo modo: oggi infatti è sorta la luce del mondo, Oggi è apparso il sole di giustizia i cui raggi ci portano la salvezza.
1167 – La domenica è per eccellenza il giorno dell’assemblea liturgica, giorno in cui i fedeli si riuniscono «perché, ascoltando la Parola di Dio e partecipando all’Eucaristia, facciano memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù, e rendano grazie a Dio che li ha rigenerati per una speranza viva per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti»: «O Cristo, quando contempliamo le meraviglie compiute in questo giorno della domenica della tua santa risurrezione noi diciamo: Benedetto il giorno di domenica, perché in esso ha avuto inizio la creazione, […] la salvezza del mondo, […] il rinnovamento del genere umano […]. In esso il cielo e la terra si sono rallegrati e l’universo intero si è riempito di luce. Benedetto il giorno di domenica, perché in esso furono aperte le porte del paradiso in modo che Adamo e tutti coloro che ne furono allontanati vi possano entrare senza timore».
L’ANNO LITURGICO
1168 – A partire dal Triduo pasquale, come dalla sua fonte di luce, il tempo nuovo della risurrezione permea tutto l’anno liturgico del suo splendore. Progressivamente, da un versante e dall’altro di questa fonte, l’anno è trasfigurato dalla liturgia. Esso costituisce realmente l’anno di grazia del Signore. L’Economia della salvezza è all’opera nello svolgersi del tempo, ma dopo il suo compimento nella pasqua di Gesù e nell’effusione dello Spirito Santo, la conclusione della storia è anticipata, «pregustata», e il regno di Dio entra nel nostro tempo.
1169 – Per questo la Pasqua non è semplicemente una festa tra le altre: è la «festa delle feste», la «solennità delle solennità», come l’Eucaristia è il sacramento dei sacramenti (il grande sacramento). Sant’Atanasio la chiama «la grande domenica come la Settimana santa in Oriente è chiamata «la grande Settimana». Il mistero della risurrezione, nel quale Cristo ha annientato la morte, permea della sua potente energia il nostro vecchio tempo, fino a quando tutto gli sia sottomesso.
1170 – Nel Concilio di Nicea (anno 325) tutte le Chiese si sono accordate perché la Pasqua cristiana sia celebrata la domenica che segue il plenilunio (14 Nisan) dopo l’equinozio di primavera. A causa dei diversi metodi utilizzati per calcolare il giorno 14 del mese di Nisan, il giorno di Pasqua non sempre ricorre contemporaneamente nelle Chiese occidentali e orientali. Perciò esse cercano oggi un accordo per ritornare a celebrare alla stessa data il giorno della risurrezione del Signore.
1171 – L’anno liturgico è il dispiegarsi dei diversi aspetti dell’unico mistero pasquale. Questo è vero soprattutto per il ciclo delle feste relative al mistero dell’incarnazione (Annunciazione, Natale, Epifania) le quali fanno memoria degli inizi della nostra salvezza e ci comunicano le primizie del mistero di Pasqua.
IL SANTORALE NELL’ANNO LITURGICO
1172 – «Nella celebrazione di questo ciclo annuale dei misteri di Cristo, la santa Chiesa venera con speciale amore la beata Maria Madre di Dio, congiunta indissolubilmente con l’opera salvifica del Figlio suo; in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della redenzione, e contempla con gioia, come in una immagine purissima, ciò che essa tutta desidera e spera di essere».
1173 – Quando, nel ciclo annuale, la Chiesa fa memoria dei martiri e degli altri santi, essa «proclama il mistero pasquale» in coloro «che hanno sofferto con Cristo e con lui sono glorificati; propone ai fedeli i loro esempi, che attraggono tutti al Padre per mezzo di Cristo, e implora per i loro meriti i benefici di Dio».
LA LITURGIA DELLE ORE
1174 – Il mistero di Cristo, la sua ìncarnazione e la sua pasqua, che celebriamo nell’Eucaristia, soprattutto nell’assemblea domenicale, penetra e trasfigura il tempo di ogni giorno attraverso la celebrazione della liturgia delle Ore, «l’Ufficio divino». Fedeli alle esortazioni apostoliche di «pregare incessantemente», questa celebrazione «è costituita in modo da santificare tutto il corso del giorno e della notte per mezzo della lode di Dio». Essa costituisce la «preghiera pubblica della Chiesa» nella quale i fedeli (chierici, religiosi e laici) esercitano il sacerdozio regale dei battezzati. Celebrata «nella forma approvata» dalla Chiesa, la liturgia delle Ore «è veramente la voce della Sposa stessa che parla allo Sposo, anzi è la preghiera di Cristo, con il suo corpo, al Padre».
1175 – La liturgia delle Ore è destinata a essere la preghiera di tutto il popolo di Dio. In essa Cristo stesso continua» ad esercitare il suo ufficio sacerdotale per mezzo della sua stessa Chiesa»; ciascuno vi prende parte secondo il ruolo che riveste nella Chiesa e le circostanze della propria vita: i sacerdoti in quanto impegnati nel sacro ministero pastorale, poiché sono chiamati a rimanere assidui nella preghiera e nel ministero della parola; i religiosi e le religiose in forza del carisma della loro vita di consacrazione; tutti i fedeli secondo le loro possibilità. «I Pastori d’anime procurino che le Ore principali, specialmente i Vespri, siano celebrate in chiesa con partecipazione comune, nelle domeniche e feste più solenni. Si raccomanda che pure i laici recitino l’Ufficio divino o con i sacerdoti, o riuniti tra loro, o anche da soli».
1176 – Celebrare la liturgia delle Ore richiede non soltanto di far concordare la voce con il cuore che prega, ma anche di procurarsi «una più ricca istruzione liturgica e biblica, specialmente riguardo ai salmi».
1177 – Gli inni e le preghiere litaniche della liturgia delle Ore inseriscono la preghiera dei salmi nel tempo della Chiesa, dando espressione al simbolismo dell’ora della giornata, del tempo liturgico o della festa celebrata. Inoltre la lettura della Parola di Dio ad ogni Ora (con i responsori o i tropari che seguono ad essa), e, in certe Ore, le letture dei Padri e dei maestri spirituali, rivelano in modo più profondo il senso del mistero celebrato, sono di aiuto alla comprensione dei salmi e preparano alla preghiera silenziosa. La lectio divina, nella quale la Parola di Dio è letta e meditata per trasformarsi in preghiera, è così radicata nella celebrazione liturgica.
1178 – La liturgia delle Ore, che costituisce quasi un prolungamento della celebrazione eucaristica, non esclude ma richiede come complementari le varie devozioni del popolo di Dio, in modo particolare l’adorazione e il culto del Santissimo Sacramento
IV. Dove celebrare?
1179 – Il culto «in spirito e verità» (Gv 4,24) della Nuova Alleanza non è legato ad un luogo esclusivo. Tutta la terra è santa e affidata ai figli degli uomini. Quando i fedeli si riuniscono in uno stesso luogo, la realtà più importante è costituita dalle «pietre vive», messe insieme «per la costruzione di un edificio spirituale» (1 Pt 2,5). Il corpo di Cristo risorto è il tempio spirituale da cui sgorga la sorgente d’acqua viva. Incorporati a Cristo dallo Spirito Santo, «noi siamo il tempio del Dio vivente» (2 Cor 6,16).
1180 – Quando non viene ostacolato l’esercizio della libertà religiosa, i cristiani costruiscono edifici destinati al culto divino. Tali chiese visibili non sono semplici luoghi di riunione, ma significano e manifestano la Chiesa che vive in quel luogo, dimora di Dio con gli uomini riconciliati e uniti in Cristo.
1181 – «La casa di preghiera in cui l’Eucaristia è celebrata e conservata; in cui i fedeli si riuniscono; in cui la presenza del Figlio di Dio nostro Salvatore, che si è offerto per noi sull’altare del sacrificio, viene venerata a sostegno e consolazione dei fedeli, dev’essere nitida e adatta alla preghiera e alle sacre funzioni». In questa «casa di Dio», la verità e l’armonia dei segni che la costituiscono devono manifestare Cristo che in quel luogo è presente e agisce:
1182 – L’altare della Nuova Alleanza è la croce del Signore dalla quale scaturiscono i sacramenti del mistero pasquale. Sull’altare, che è il centro della chiesa, viene reso presente il sacrificio della croce sotto i segni sacramentali. Esso è anche la Mensa del Signore, alla quale è invitato il popolo di Dio. In alcune liturgie orientali, l’altare è anche il simbolo della tomba (Cristo è veramente morto e veramente risorto).
1183 – Il tabernacolo, nelle chiese, deve essere situato «in luogo distintissimo, col massimo onore». La nobiltà, la disposizione e la sicurezza del tabernacolo eucaristico devono favorire l’adorazione del Signore realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ilsacro crisma (myron), la cui unzione è il segno sacramentale del sigillo del dono dello Spirito Santo, è tradizionalmente conservato e venerato in un luogo sicuro della chiesa. Vi si può collocare anche l’olio dei catecumeni e quello degli infermi.
1184 – La sede del Vescovo (cattedra) o del presbitero «deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l’assemblea e di guidare la preghiera». L’ambone: «L’importanza della Parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata e verso il quale, durante la liturgia della Parola, spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli».
1185 – Il radunarsi del popolo di Dio ha inizio con il Battesimo; la chiesa deve quindi avere un luogo per la celebrazione del Battesimo(battistero) e favorire il ricordo delle promesse battesimali (acqua benedetta). Il rinnovamento della vita battesimale esige la penitenza. La chiesa deve perciò prestarsi all’espressione del pentimento e all’accoglienza del perdono, e questo comporta un luogo adatto per accogliere i penitenti. La chiesa deve anche essere uno spazio che invita al raccoglimento e alla preghiera silenziosa, la quale prolunga e interiorizza la grande preghiera dell’Eucaristia. Infine, la chiesa ha un significato escatologico. Per entrare nella casa di Dio bisogna varcare unasoglia, simbolo del passaggio dal mondo ferito dal peccato al mondo della vita nuova al quale tutti gli uomini sono chiamati. La chiesa visibile è simbolo della casa paterna verso la quale il popolo di Dio è in cammino e dove il Padre «tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap21,4). Per questo la chiesa è anche la casa di tutti i figli di Dio, aperta e accogliente.
In sintesi
1187 – La liturgia é opera del Cristo totale, Capo e corpo. Il nostro Sommo Sacerdote la celebra ininterrottamente nella liturgia celeste, con la santa Madre di Dio, gli Apostoli, tutti i santi e la moltitudine degli uomini già entrati nel Regno.
1188 – Nella celebrazione liturgica tutta l’assemblea e’ «liturga», ciascuno secondo la propria funzione. Il sacerdozio battesimale èquello di tutto il corpo di Cristo. Tuttavia alcuni fedeli sono ordinati mediante il sacramento dell’Ordine per rappresentare Cristo come Capo del corpo.
1189 – La celebrazione liturgica comporta segni e simboli relativi alla creazione (luce, acqua, fuoco), alla vita umana (lavare, ungere, spezzare il pane) e alla storia della salvezza (i riti della Pasqua). Inseriti nel mondo della fede e assunti dalla forza dello Spirito Santo, questi elementi cosmici, questi riti umani, queste gesta memoriali di Dio diventano portatori dell’azione di salvezza e di santifìcazione compiuta da Cristo.
1190 – La liturgia della Parola è parte integrante della celebrazione. Il signficato della celebrazione viene espresso dalla Parola di Dio che è annunziata e dall’impegno della fede che ad essa risponde.
1191 – Il canto e la musica sono strettamente connessi con l’azione liturgica. I criteri della loro valida utilizzazione sono: la bellezza espressiva della preghiera, la partecipazione unanime dell’assemblea e il carattere sacro della celebrazione.
1192 – Le sacre immagini, presenti nelle nostre chiese e nelle nostre case, hanno la funzione di risvegliare e nutrire la nostra fede nel mistero di Cristo. Attraverso l’icona di Cristo e delle sue opere di salvezza, è lui che noi adoriamo. Attraverso le sacre immagini della santa Madre di Dio, degli angeli e dei santi, veneriamo le persone che in esse sono rappresentate.
1193 – La domenica, «giorno del Signore», è il giorno principale della celebrazione dell’Eucaristia, poiché è il giorno della risurrezione. E’ il giorno per eccellenza dell’assemblea liturgica, il giorno della famiglia cristiana, il giorno della gioia e del riposo dal lavoro. E’ «il fondamento e il nucleo di tutto l’anno hturgico».
1194 – La Chiesa «nel ciclo annuale presenta tutto il mistero di Cristo, dall’incarnazione e natività fino all’ascensione, al giorno di pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore».
1195 – Facendo memoria dei santi, in primo luogo della santa Madre di Dio, poi degli Apostoli, dei martiri e degli altri santi, in giorni fissi dell’anno liturgico, la Chiesa sulla terra manifesta di essere unita alla liturgia celeste; rende gloria a Cristo perché ha compiuto la salvezza nei suoi membri glorificati; il loro esempio le è di stimolo nel cammino verso il Padre.
1196 – I fedeli che celebrano la liturgia delle Ore si uniscono a Cristo, nostro Sommo Sacerdote, mediante la preghiera dei salmi, la meditazione della Parola di Dio, la preghiera dei cantici e delle benedizioni, per essere associati alla sua preghiera incessante e universale che glorifica il Padre e implora il dono dello Spirito Santo sul mondo intero.
1197 – Cristo è il vero tempio di Dio, «il luogo in cui abita la sua gloria»; per mezzo della grazia di Dio anche i cristiani diventano templi dello Spirito Santo, le pietre vive con le quali viene edifìcata la Chiesa.
1198 – Nella sua condizione terrena, la Chiesa ha bisogno di luoghi in cui la comunità possa radunarsi: le nostre chiese visibili, luoghi santi, immagini della Città santa, la celeste Gerusalemme verso la quale siamo in cammino come pellegrini.
1199 – In queste chiese la Chiesa celebra il culto pubblico a gloria della Santissima Trinità, ascolta la Parola di Dio e canta le sue lodi, eleva la sua preghiera, offre il sacriticio di Cristo, sacramentalmente presente in mezzo all’assemblea. Queste chiese sono inoltre luoghi di raccoglimento e di preghiera personale.
Articolo 2
DIVERSITÀ LITURGICA E UNITÀ DEL MISTERO
TRADIZIONI LITURGICHE E CATTOLICITÀ DELLA CHIESA
1200 – Dalla prima comunità di Gerusalemme fino alla parusia, le Chiese di Dio, fedeli alla fede apostolica, celebrano, in ogni luogo, lo stesso mistero pasquale. Il mistero celebrato nella liturgia è uno, ma variano le forme nelle quali esso è celebrato.
1201 – É tale l’insondabile ricchezza del mistero di Cristo che nessuna tradizione liturgica può esaurirne l’espressione. La storia dello sbocciare e dello svilupparsi di questi riti testimonia una stupefacente complementarità. Quando le Chiese hanno vissuto queste tradizioni liturgiche in comunione tra loro nella fede e nei sacramenti della fede, si sono reciprocamente arricchite crescendo nella fedeltà alla Tradizione e alla missione comune a tutta la Chiesa.
1202 – Le varie tradizioni liturgiche hanno avuto origine proprio in funzione della missione della Chiesa. Le Chiese di una stessa area geografica e culturale sono giunte a celebrare il mistero di Cristo con espressio ni particolari, culturalmente caratterizzate: nella tradizione del «deposito della fede», nel simbolismo liturgico, nell’organizzazione della comunione fraterna, nella comprensione teologica dei misteri e in varie forme di santità. In questo modo Cristo, luce e salvezza di tutti i popoli, viene manifestato attraverso la vita liturgica di una Chiesa al popolo e alla cultura ai quali essa è inviata e nei quali è radicata. La Chiesa è cattolica: può quindi integrare nella sua unità, purificandole, tutte le vere ricchezze delle culture.
1203 – Le tradizioni liturgiche, o riti, attualmente in uso nella Chiesa sono il rito latino (principalmente il rito romano, ma anche i riti di certe Chiese locali, come il rito ambrosiano o di certi ordini religiosi) e i riti bizantino, alessandrino o copto, siriaco, armeno, maronita e caldeo. «Il sacro Concilio, in fedele ossequio alla tradizione, dichiara che la santa Madre Chiesa considera con uguale diritto e onore tutti i riti legittimamente riconosciuti, e vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati».
LITURGIA E CULTURE
1204 – La celebrazione della liturgia deve quindi corrispondere al genio e alla cultura dei diversi popoli. Affinché il mistero di Cristo sia «rivelato […] a tutte le genti perché obbediscano alla fede» (Rm 16,26), esso deve essere annunziato, celebrato e vissuto in tutte le culture, così che queste non vengano abolite, ma recuperate e portate a compimento grazie ad esso. La moltitudine dei figli di Dio, infatti, ha accesso al Padre, per rendergli gloria, in un solo Spirito, con e per mezzo della propria cultura umana, assunta e trasfigurata da Cristo.
1205 – «Nella liturgia, e segnatamente in quella dei sacramenti, c’è una parte immutabile, perché di istituzione divina, di cui la Chiesa è custode, e ci sono parti suscettibili di cambiamento, che essa ha il potere, e talvolta anche il dovere, di adattare alle culture dei popoli recentemente evangelizzati.
1206 – «La diversità liturgica può essere fonte di arricchimento, ma può anche provocare tensioni, reciproche incomprensioni e persino scìsmì. In questo campo è chiaro che la diversità non deve nuocere all’unità. Essa non può esprimersi che nella fedeltà alla fede comune, ai segni sacramentali, che la Chiesa ha ricevuto da Cristo, e afla comunione gerarchica. L’adattamento alle culture esige anche una conversione del cuore e, se è necessario, anche rotture con abitudini ancestrali incompatibili con la fede cattolica».
In sintesi
1207 – È opportuno che la celebrazione della liturgia tenda ad esprimersi nella cultura del popolo in cui la Chiesa è inserita, senza tuttavia sottomettersi ad essa. D’altra parte, la liturgia stessa genera e plasma le culture.
1208 – Le direrse tradizioni liturgiche, o riti, legittimamente riconosciuti, in quanto significano e comuinicano lo stesso nustero di Cristo, manifestano la cattolicità della Chiesa.
1209 – Il criterio che assicura l’unità nella multilormità delle tradizioni liturgiche è la fedeltà alla Tradizione apostolica, ossia: la comunione nella fede e nei sacramenti ricevuti dagli Apostoli, comunione che è significata e garantita dalla successione apostolica.
SEZIONE CECONDA
I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA
1210 – I sacramenti della Nuova Legge sono istituiti da Cristo e sono sette, ossia: il Battesimo, la Confermazione, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Unzione degli infermi, l’Ordine e il Matrimonio. I sette sacramenti toccano tutte le tappe e tutti i momenti importanti della vita del cristiano: grazie ad essi, la vita di fede dei cristiani nasce e cresce, riceve la guarigione e il dono della missione. In questo si dà una certa somiglianza tra le tappe della vita naturale e quelle della vita spirituale.
1211 – Seguendo questa analogia saranno presentati per primi i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana (capitolo primo), poi i sacramenti della guarigione (capitolo secondo), infine i sacramenti che sono al servizio della comunione e della missione dei fedeli (capitolo terzo).Quest’ordine non è certo l’unico possibile; permette tuttavia di vedere che i sacramenti formano un organismo nel quale ciascuno di essi ha il suo ruolo vitale. In questo organismo l’Eucaristia occupa un posto unico in quanto è il «sacramento dei sacramenti»: «Gli altri sono tutti ordinati a questo come al loro specifico fine».
CAPITOLO PRIMO
I SACRAMENTI DELL’INIZIAZIONE CRISTIANA
1212 – Con i sacramenti dell’iniziazione cristiana, il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia, sono posti i fondamenti di ogni vita cristiana. «La partecipazione alla natura divina, che gli uomini ricevono in dono mediante la grazia di Cristo, rivela una certa analogia con l’origine, lo sviluppo e l’accrescimento della vita naturale. Difatti i fedeli, rinati nel santo Battesimo, sono corroborati dal sacramento della Confermazione e, quindi, sono nutriti con il cibo della vita eterna nell’Eucaristia, sicché, per effetto di questi sacramenti dell’iniziazione cristiana, sono ìn grado di gustare sempre più e sempre meglio i tesori della vita divina e progredire fino al raggiungimento della perfezione della carità».
Articolo 1
IL SACRAMENTO DEL BATTESIMO
1213 – Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito («vitae spiritualis ianua»), e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione: «Baptismus est sacramentum regenerationis per aquam in verbo – Il Battesimo può definirsi il sacramento della rigenerazione cristiana mediante l’acqua e la parola»
I. Come viene chiamato questo sacramento?
1214 – Lo si chiama Battesimo dal rito centrale con il quale è compiuto: battezzare significa «tuffare», «immergere»; l’«immersione» nell’acqua è simbolo del seppellimento del catecumeno nella morte di Cristo, dalla quale risorge con lui, quale «nuova creatura» (2 Cor5,17; GaI 6,15).
1215 – Questo sacramento è anche chiamato il «lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo» (Tt 3,5), poiché significa e realizza quella nascita dall’acqua e dallo Spirito senza la quale nessuno «può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5).
1216 – «Questo lavacro è chiamato illuminazione, perché coloro che ricevono questo insegnamento [catechistico] vengono illuminati nella mente». Poiché nel Battesimo ha ricevuto il Verbo, «la luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), il battezzato, dopo essere stato «illuminato», è divenuto «figlio della luce» e «luce » egli stesso (Ef 5,8): Il Battesimo «è il più bello e magnilico dei doni di Dio. (…) Lo chiamiamo dono, grazia, unzione, illuminazione, veste d’immortalità, lavacro di rigenerazione, sigillo, e tutto ciò che vi è di più prezioso. Dono, poiché è dato a coloro che non portano nulla; grazia, perché viene elargito anche ai colpevoli; Battesimo, perché il peccato viene seppellito nell’acqua; unzione, perché è sacro e regale (tali sono coloro che vengono unti); illuminazione, perché è luce sfolgorante; veste, perché copre la nostra vergogna; lavacro, perché ci lava; sigillo, perché ci custodisce ed è il segno della signoria di Dio».
Il. Il Battesimo nell’Economia della salvezza.
LA PREFIGURAZIONI DEL BATTESIMO NELL’ANTICA ALLEANZA
1217 – Nella liturgia della Notte pasquale, ìn occasione della benedizione dell’acqua battesimale, la Chiesa fa solenne memorìa dei grandi eventi della storia della salvezza che prefiguravano il mistero del Battesimo: «O Dio, (…) tu operi con invisibile potenza le meraviglie della salvezza; e in molti modi, attraverso i tempi, hai preparato l’acqua, tua creatura, ad essere segno del Battesimo».
1218 – Fin dalle origini del mondo l’acqua, questa umile e meravigliosa creatura, è la fonte della vita e della fecondità. La Sacra Scrittura la vede come «covata» dallo Spirito di Dio: «Fin dalle origini il tuo Spirito si librava sulle acque perché contenessero in germe la forza di santificare».
1219 – La Chiesa ha visto nell’arca di Noè una prefigurazione della salvezza per mezzo del Battesimo. Infatti, per mezzo di essa, «poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua» (1 Pt 3,20): «Nel diluvio hai prefigurato il Battesimo, perché, oggi come allora, l’acqua segnasse la fine dcl peccato e l’inizio della vita nuova».
1220 – Se l’acqua di fonte è simbolo di vita, l’acqua del mare è un simbolo di morte. Per questo poteva essere figura del mistero della croce. Per mezzo di questo simbolismo il Battesimo significa la comunione alla morte di Cristo.
1221 – E’ soprattutto il passaggio del Mar Rosso, vera liberazione d’Israele dalla schiavitù d’Egitto, che annunzia la liberazione operata dal Battesimo: «Tu hai liberato dalla schiavitù i figli di Abramo, facendoli passare illesi attraverso il Mar Rosso, perché fossero immagine del futuro popolo dei battezzati».
1222 – Infine il Battesimo è prefigurato nella traversata del Giordano, grazie alla quale il popolo di Dio riceve il dono della terra promessa alla discendenza di Abramo, immagine della vita eterna. La promessa di questa beata eredità si compie nella Nuova Alleanza.
IL BATTESIMO DI CRISTO
1223 – Tutte le prefigurazioni dell’Antica Alleanza trovano la loro realizzazione in Gesù Cristo. Egli dà inizio alla sua vita pubblica dopo essersi fatto battezzare da san Giovanni Battista nel Giordano e, dopo la sua risurrezione, affida agli Apostoli questa missione: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,l9-20).
1224 – Nostro Signore si è volontariamente sottoposto al battesimo di san Giovanni, destinato ai peccatori, per compiere ogni giustizia. Questo gesto di Gesù è una manifestazione del suo «annientamento». Lo Spirito che si librava sulle acque della prima creazione, scende ora su Cristo, come preludio della nuova creazione, e il Padre manifesta Gesù come il suo Figlio prediletto.
1225 – É con la sua pasqua che Cristo ha aperto a tutti gli uomini le fonti del Battesimo. Egli, infatti, aveva già parlato della passione, che avrebbe subito a Gerusalemme, come di un «battesimo» con il quale doveva essere battezzato. Il sangue e l’acqua sgorgati dal fianco trafitto di Gesù crocifisso sono segni del Battesimo e dell’Eucaristia, sacramenti della vita nuova: da quel momento è possibile nascere «dall’acqua e dallo Spirito» per entrare nel regno dei cieli (Gv 3,5). Considera, quando sei battezzato, donde viene il Battesimo, se non dalla croce di Cristo, dalla morte di Cristo. Tutto il mistero sta nel fatto che egli ha patito per te. In lui tu sei redento, in lui tu sei salvato».
IL BATTESIMO NELLA CHIESA
1226 – Dal giorno della pentecoste la Chiesa ha celebrato e amministrato il santo Battesimo. Infatti san Pietro, alla folla sconvolta dalla sua predicazione, dichiara: «Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38). Gli Apostoli e i loro collaboratori offrono il Battesimo a chiunque crede in Gesù: Giudei, timorati di Dio, pagani. Il Battesimo appare sempre legato alla fede: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia», dichiara san Paolo al suo carceriere a Filippi. Il racconto continua: «Subito il carceriere si fece battezzare con tutti i suoi» (At 16,31-33).
1227 – Secondo l’apostolo san Paolo, mediante il Battesimo il credente comunica alla morte di Cristo; con lui è sepolto e con lui risuscita:«Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,3-4). I battezzati si sono «rivestiti di Cristo». Mediante l’azione dello Spirito Santo, il Battesimo è un lavacro che purifica, santifica e giustifica.
1228 – Il Battesimo è quindi un bagno d’acqua nel quale «il seme incorruttibile» della Parola di Dio produce il suo effetto vivificante. Sant’Agostino dirà del Battesimo: «Accedit verbum ad elementum, et fit sacramentum – Si unisce la parola all’elemento, e nasce il sacramento ».
III. Come viene celebrato il sacramento del Battesimo.
L’INIZIAZIONE CRISTIANA
1229 – Diventare cristiano richiede, fin dal tempo degli Apostoli, un cammino e una iniziazione con diverse tappe. Questo itinerario può essere percorso rapidamente o lentamente. Dovrà in ogni caso comportare alcuni elementi essenziali: l’annunzio della Parola, l’accoglienza del Vangelo che provoca una conversione, la professione di fede, il Battesimo, l’effusione dello Spirito Santo, l’accesso alla Comunione eucaristica.
1230 – Questa iniziazione ha assunto forme molto diverse nel corso dei secoli e secondo le circostanze. Nei primi secoli della Chiesa l’iniziazione cristiana ha conosciuto un grande sviluppo, con un lungo periodo di catecumenato e una serie di riti preparatori che scandivano liturgicamente il cammino della preparazione catccumenale per concludersi con la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana.
1231 – Dove il Battesimo dei bambini è diventato largamente la forma abituale della celebrazione del sacramento, questa è divenuta un atto unico che, in modo molto abbreviato, integra le tappe preparatorie dell’iniziazione cristiana. Per la sua stessa natura il Battesimo dei bambini richiede un catecumenato postbattesimale. Non si tratta soltanto della necessità di una istruzione posteriore al Battesimo, ma del necessario sviluppo della grazia battesimale nella crescita della persona. È l’ambito proprio del catechismo.
1232 – Il Concilio Vaticano lI ha ripristinato, per la Chiesa latina, «il catecumenato degli adulti, diviso in più gradi». I riti si trovanonell’Ordo initiationis christianae adultorum (1972). Il Concilio ha inoltre permesso che o nelle terre di missione sia acconsentito accogliere (…) anche quegli elementi di iniziazione in uso presso ogni popolo, nella misura in cui possono essere adattati al rito cristiano.
1233 – Oggi, dunque, in tutti i riti latini e orientali, l’iniziazione cristiana degli adulti incomincia con il loro ingresso nel catecumenato e arriva al suo culmine nella celebrazione unitaria dei tre sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia. Nei riti orientali l’iniziazione cristiana dei bambini incomincia con il Battesimo immediatamente seguito dalla Confermazione e dall’Eucaristia, mentre nel rito romano essa continua durante alcuni anni di catechesi, per concludersi più tardi con la Confermazione e l’Eucaristia, culmine della loro iniziazione cristiana.
LA MISTAGOGIA DELLA CEI.EBRAZIONE
1234 – Il significato e la grazia del sacramento del Battesimo appaiono chiaramente nei riti della sua celebrazione. Seguendo con attenta partecipazione i gesti e le parole di questa celebrazione, i fedeli sono iniziati alle ricchezze che tale sacramento significa e opera in ogni nuovo battezzato.
1235 – Il segno della croce, all’inizio della celebrazione, esprime il sigillo di Cristo su colui che sta per appartenergli e significa la grazia della redenzione che Cristo ci ha acquistato per mezzo della sua croce.
1236 – L’annunzio della Parola di Dio illumina con la verità rivelata i candidati e l’assemblea, e suscita la risposta della fede, inseparabile dal Battesimo. Infatti il Battesimo è in modo tutto particolare «il sacramento della fede», poiché segna l’ingresso sacramentale nella vita di fede.
1237- Dal momento che il Battesimo significa la liberazione dal peccato e dal suo istigatore, il diavolo, vengono pronunziati uno (o più)esorcismi sul candidato. Questi viene unto con l’olio dei catecumeni, oppure il celebrante impone su di lui la mano, ed egli rinunzia esplicitamente a Satana. Così preparato, può professare la fede della Chiesa alla quale sarà «consegnato» per mezzo del Battesimo».
1238 – L’acqua battesimale viene quindi consacrata mediante una preghiera di epiclesi (sia al momento stesso, sia nella Veglia pasquale). La Chiesa chiede a Dio che, per mezzo del suo Figlio, la potenza dello Spirito Santo discenda su quest’acqua, in modo che quanti vi saranno battezzati nascano «dall’acqua e dallo Spirito» (Gv 3,5).
1239 – Segue poi il rito essenziale del sacramento: il Battesimo propriamente detto, che significa e opera la morte al peccato e l’ingresso nella vita della Santissima Trinità attraverso la configurazione al mistero pasquale di Cristo. Il Battesimo viene compiuto nel modo più espressivo per mezzo della triplice immersione nell’acqua battesimale. Ma fin dall’antichità può anche essere conferito versando per tre volte l’acqua sul capo del candidato.
1240 – Nella Chiesa latina questa triplice infusione è accompagnata dalle parole del ministro: «N., io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Nelle liturgie orientali, mentre il catecumeno è rivolto verso l’Oriente, il sacerdote dice: «Il servo di Dio, N., è battezzato nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo». E, all’invocazione di ogni Persona della Santissima Trinità, lo immerge nell’acqua e lo risolleva.
1241 – L’unzione con il sacro crisma, olio profumato consacrato dal Vescovo, significa il dono dello Spirito Santo elargito al nuovo battezzato. Egli è divenuto un cristiano, ossia «unto» di Spirito Santo, incorporato a Cristo, che è unto Sacerdote, Profeta e Re.
1242 – Nella liturgia delle Chiese Orientali, l’unzione post-battesimale costituisce il sacramento della Crismazione (Confermazione). Nella liturgia romana, essa annunzia una seconda unzione con il sacro crisma che sarà effettuata dal Vescovo: cioè il sacramento della Confermazione, il quale, per così dire, «conferma» e porta a compimento l’unzione battesimale.
1243 – La veste bianca significa che il battezzato si è rivestito di Cristo, che egli é risorto con Cristo. La candela, accesa al cero pasquale, significa che Cristo ha illuminato il neofita. In Cristo i battezzati sono «la luce del mondo» (Mt 5,14). Il nuovo battezzato è ora figlio di Dio nel Figlio unigenito. Può dire la preghiera dei figli di Dio: il Padre nostro.
1244 – La prima Comunione eucaristica. Divenuto figlio di Dio, rivestito dell’abito nuziale, il neofita è ammesso «al banchetto delle nozze dell’Agnello» e riceve il nutrimento della vita nuova, il Corpo e il Sangue di Cristo. Le Chiese Orientali conservano una viva coscienza dell’unità dell’iniziazione cristiana amministrando la santa Comunione a tutti i neo-battezzati e confermati, anche ai bambini piccoli, ricordando la parola del Signore: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite» (Mc 10,14). La Chiesa latina, che permette l’accesso alla santa Comunione solo a coloro che hanno raggiunto l’uso di ragione, mette in luce che il Battesimo introduce all’Eucaristia accostando all’altare il bambino neo-battezzato per la preghiera del «Padre nostro».
1245 – La benedizione solenne conclude la celebrazione del Battesimo. In occasione del Battesimo dei neonati la benedizione della madre occupa un posto di rilievo
IV. Chi può ricevere il Battesimo?
1246 – «È capace di ricevere il Battesimo ogni uomo e solo l’uomo non ancora battezzato».
IL BATTESIMO DEGLI ADULTI
1247 – Dalle origini della Chiesa, il Battesimo degli adulti è la situazione più normale là dove l’annunzio del Vangelo è ancora recente. Il catecumenato (preparazione al Battesimo) occupa in tal caso un posto importante. In quanto iniziazione alla fede e alla vita cristiana, esso deve disporre ad accogliere il dono di Dio nel Battesimo, nella Confermazione e nell’Eucaristia.
1248 – Il catecumenato, o formazione dei catecumeni, ha lo scopo di permettere a questi ultimi, in risposta all’iniziativa divina e in unione con una comunità ecclesiale, di condurre a maturità la loro conversione e la loro fede. Si tratta di una formazione «alla vita cristiana» mediante la quale «i discepoli vengono in contatto con Cristo, loro Maestro. Perciò i catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza e alla pratica delle norme evangeliche, e mediante i riti sacri, da celebrare in tempi successivi, siano introdotti nella vita della fede, della liturgia e della carità del popolo di Dio».
1249 – I catecumeni «sono già uniti alla Chiesa, appartengono già alla famiglia del Cristo, e spesso vivono già una vita di fede, di speranza e di carità». «La Madre Chiesa, come già suoi, li ricopre del suo amore e delle sue cure».
IL BATTESIMO DEI BAMBINI
1250 – Poiché nascono con una natura umana decaduta e contaminata dal peccato originale, anche i bambini hanno bisogno della nuova nascita nel Battesimo per essere liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno della libertà dei figli di Dio, alla quale tutti gli uomini sono chiamati. La pura gratuità della grazia della salvezza si manifesta in modo tutto particolare nel Battesimo dei bambini. La Chiesa e i genitori priverebbero quindi il bambino della grazia inestimabile di diventare figlio di Dio se non gli conferissero il Battesimo poco dopo la nascita.
1251 – I genitori cristiani riconosceranno che questa pratica corrisponde pure al loro ruolo di alimentare la vita che Dio ha loro affidato.
1252 – L’usanza di battczzare i bambini é una tradizione della Chiesa da tempo immcmorabile. Essa é esplicitamente attestata fin dal secondo secolo. È tuttavia probabile che, fin dagli inizi della predicazione apostolica, quando «famiglie» intere hanno ricevuto il Battesimo, siano stati battezzati anche i bambini.
FEDE E BATTESIMO
1253 – Il Battesimo è il sacramento della fede. La fede però ha bisogno della comunità dei credenti. È soltanto nella fede della Chiesa che ogni fedele può credere. La fede richiesta per il Battesimo non è una fede perfetta e matura, ma un inizio, che deve svilupparsi. Al catecumeno o al suo padrino viene domandato: «Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio?». Ed egli risponde: «La fede!».
1254 – In tutti i battezzati, bambini o adulti, la fede deve crescere dopo il Battesimo. Per questo ogni anno, nella Veglia pasquale, la Chiesa celebra la rinnovazione delle promesse battesimali. La preparazione al Battesimo conduce soltanto alla soglia della vita nuova. Il Battesimo è la sorgente della vita nuova in Cristo, dalla quale fluisce l’intera vita cristiana.
1255 – Perché la grazia battesimale possa svilupparsi è importante l’aiuto dei genitori. Questo è pure il ruolo del padrino o della madrina,che devono essere credenti solidi, capaci e pronti a sostenere nel cammìno della vita cristiana il neo-battezzato, bambino o adulto. Il loro compito è una vera funzione ecclesiale («officium»). L’intera comunità ecclesiale ha una parte di responsabilità nello sviluppo e nella conservazione della grazia ricevuta nel Battesimo
V. Chi può battezzare?
1256 – I ministri ordinari del Battesimo sono il Vescovo e il presbitero, e, nella Chiesa latina, anche il diacono. In caso di necessità, chiunque anche un non battezzato, purché abbia l’intenzione richiesta, può battezzare, utilizzando la formula battesimale trinitaria. L’intenzione richiesta è di voler fare ciò che fa la Chiesa quando battezza. La Chiesa trova la motivazione di questa possibilità nella volontà salvifica universale di Dio e nella necessità del Battesimo per la salvezza.
VI. La necessità del Battesimo.
1257 – Il Signore stesso afferma che il Battesimo è necessario per la saIvezza. Per questo ha comandato ai suoi discepoli di annunziare il Vangelo e di battezzare tutte le nazioni. Il Battesimo è necessario alla saIvezza per coloro ai quali è stato annunziato il Vangelo e che hanno avuto la possibilità di chiedere questo sacramento. La Chiesa non conosce altro mezzo all’infuori del Battesimo per assicurare l’ingresso nella beatitudine eterna; perciò si guarda dal trascurare la missione ricevuta dal Signore di far rinascere «dall’acqua e dallo Spirito» tutti coloro che possono essere battezzati. Dio ha legato la salvezza al sacranento del Battesimo, tuttavia egli non è legato ai suoi sacramenti.
1258 – Da sempre la Chiesa è fermamente convinta che quanti subiscono la morte a motivo della fede, senza aver ricevuto il Battesimo, vengono battezzati mediante la loro stessa morte per Cristo e con lui. Questo Battesimo di sangue, come pure il desiderio del Battesimo,porta i frutti del Battesimo, anche senza essere sacramento.
1259 – Per i catecumeni che muoiono prima del Battesimo, il loro desiderio esplicito di riceverlo, unito al pentimento dei propri peccati e alla carità, assicura loro la salvezza che non hanno potuto ricevere mediante il sacramento.
1260 – «Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale. Ogni uomo che, pur ignorando il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, cerca la verità e compie la volontà di Dio come la conosce, può essere salvato. È lecito supporre che tali persone avrebbero desiderato esplicitamente il Battesimo, se ne avessero conosciuta la necessità.
1261 – Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito dei funerali per loro. Infatti, la grande misericordia di Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1 Tm 2,4), e la tenerezza di Gesù verso i bambini, che gli ha fatto dire: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite» (Mc 10,14), ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza Battesimo. Tanto più pressante è perciò l’invito della Chiesa a non impedire che i bambini vengano a Cristo mediante il dono del santo Battesimo.
VII. La grazia del Battesimo.
1262 – I diversi effetti operati dal Battesimo sono significati dagli elementi sensibili del rito sacramentale. L’immersione nell’acqua richiama i simbolismi della morte e della purificazione, ma anche della rigenerazione e del rinnovamento. I due effetti principali sono dunque la purificazione dai peccati e la nuova nascita nello Spirito Santo.
PER LA REMISSIONE DEI PECCATI…
1263 – Per mezzo del Battesimo sono rimessi tutti i peccati, il peccato originale e tutti i peccati personali, come pure tutte le pene del peccato. In coloro che sono stati rigenerati, infatti, non rimane nulla che impedisca loro di entrare nel regno di Dio, nè il peccato di Adamo, nè il peccato personale, nè le conseguenze del peccato, di cui la più grave è la separazione da Dio.
1264 – Rimangono tuttavia nel battezzato alcune conseguenze temporali del peccato, quali le sofferenze, la malattia, la morte, o le fragilità inerenti alla vita come le debolezze del carattere, ecc., e anche una inclinazione al peccato che la Tradizione chiama la concupiscenza, o, metaforicamente, l’incentivo del peccato («fomes peccati»): «Essendo questa lasciata per la prova, non può nuocere a quelli che non vi acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, “non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole” (2 Tm 2,5)».
«UNA NUOVA CREATURA»
1265 – Il Battesimo non soltanto purifica da tutti i peccati, ma fa pure del neofita una «nuova creatura» (2 Cor 5,17), un figlio adottivo di Dio che è divenuto «partecipe della natura divina» (2 Pt 1,4), membro di Cristo e coerede con lui, tempio dello Spirito Santo.
1266 – La Santissima Trinità dona al battezzato la grazia santificante, la grazia della giustificazione che lo rende capace di credere in Dio, di sperare in lui e di amarlo per mezzo delle virtù teologali; – gli dà la capacità di vivere e agire sotto la mozione dello Spirito Santo per mezzo dei doni dello Spirito Santo; gli permette di crescere nel bene per mezzo delle virtù morali. In questo modo tutto l’organismo della vita soprannaturale del cristiano ha la sua radice nel santo Battesimo.
INCORPORATI ALLA CHIESA, CORPO DI CRISTO
1267 – Il Battesimo ci fa membra del corpo di Cristo. «Siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25). Il Battesimo incorpora alla Chiesa.Dai fonti battesimali nasce l’unico popolo di Dio della Nuova Alleanza che supera tutti i limiti naturali o razze e dei sessi: «In realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (I Cor 12,13).
1268 – I battezzati sono divenuti «pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo» (1 Pi 2,5). Per mezzo del Battesimo sono partecipi del sacerdozio di Cristo, della sua missione profetica e regale, sono «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui» che li «ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (I Pt 2,9). Il Battesimo rende partecipi del sacerdozio comune dei frdeli.
1269 – Divenuto membro della Chiesa, il battezzato non appartiene più a se stesso, ma a colui che è morto e risuscitato per noi. Perciò è chiamato a sottomettersi agli altri, a servirli nella comunione della Chiesa, ad essere «obbediente» e «sottomesso» ai capi della Chiesa, e a trattarli «con rispetto e carità. Come il Battesimo comporta responsabilità e doveri, allo stesso modo il battezzato fruisce anche di diritti in seno alla Chiesa: quello di ricevere i sacramenti, di essere nutrito dalla Parola di Dio e sostenuto dagli altri aiuti spirituali della Chiesa.
1270 – «Rigenerati [dal Battesimo] per essere figli di Dio, [i battezzati] sono tenuti a professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa» e a partecipare all’attività apostolica e missionaria del popolo di Dio.
IL VINCOLO SACRAMENTALE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI
1271 – Il Battesimo costituisce il fondamento della comunione tra tutti i cristiani, anche con quanti non sono ancora nella piena comunione con la Chiesa cattolica: «Quelli infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto debitamente il Battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica. Giustificati nel Battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore». «Il Battesimo quindi costituisce il vincolo sacramentale dell’unitù che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati.
UN SIGILLO SPIRITUALE INDELEBILE…
1272 – Incorporato a Cristo per mezzo del Battesimo, il battezzato viene conformato a Cristo. Il Battesimo segna il cristiano con un sigillo spirituale indelebile («carattere») della sua appartenenza a Cristo. Questo sigillo non viene cancellato da alcun peccato, sebbene il peccato impedisca al Battesimo di portare frutti di salvezza. Conferito una volta per sempre, il Battesimo non può essere ripetuto.
1273 – Incorporati alla Chiesa per mezzo del Battesimo, i fedeli hanno ricevuto il carattere sacramentale che li consacra per il culto religioso cristiano. Il sigillo battesimale abilita e impegna i cristianì a servìre Dio mediante una viva partecipazione alla santa liturgia della Chiesa e a esercitare il loro sacerdozio battesimale con la testimonianza di una vita santa e con una operosa carità.
1274 – Il «sigillo del Signore» è il sigillo con cui lo Spirito Santo ci ha segnati «per il giorno della redenzione» (Ef 4,30). «Il Battesimo, infatti, è il sigillo della vita eterna. Il fedele che avrà «custodito il sigillo» sino alla fine, ossia che sarà rimasto fedele alle esigenze del proprio Battesimo, potrà morire nel «segno della del proprio Battesimo, nell’attesa della beata visione di Dio – consumazione della fede – e nella speranza della risurrezione.
In sintesi
1275 – L’iniziazione cristiana si compie attraverso l’insieme di tre sacramenti: il Battesimo, che è l’inizio della vita nuova, la Confermazione, che ne è il rafforzamento; e l’Eucaristia, che nutre il discepolo con il Corpo e il Sangue di Cristo in vista della sua trasformazione in lui.
1276 – «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20).
1277 – Il Battesimo costituisce la nascita alla vita nuova in Cristo. Secondo la volontà del Signore esso è necessario per la salvezza, come la Chiesa stessa, nella quale il Battesimo introduce.
1278 – Il rito essenziale del Battesimo consiste nell’immergere nell’acqua il candidato o nel versargli dell’acqua sul capo, mentre si pronuncia l’invocazione della Santissima Trinità, ossia del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
1279 – Il frutto del Battesimo o grazia battesimale è una realtà ricca che comporta: la remissione del peccato originale e di tutti i peccati personali; la nascita alla vita nuova mediante la quale l’uomo diventa figlio adottivo del Padre, membro di Cristo, tempio dello Spirito Santo. Per ciò stesso il battezzato è incorporato alla Chiesa, corpo di Cristo, e reso partecipe del sacerdozio di Cristo.
1280 – Il Battesimo imprime nell’anima un segno spirituale indelebile, il carattere, il quale consacra il battezzato al culto della religione cristiana. A motivo del carattere che imprime, il Battesimo non può essere ripetuto.
1281 – Coloro che subiscono la morte a causa della fede, i catecumeni e tutti gli uomini che, sotto l’impulso della grazia, senza conoscere la Chiesa, cercano sinceramente Dio e si sforzano di compiere la sua volontà, possono essere salvati anche se non hanno ricevuto il Battesimo.
1282 – Fin dai tempi più antichi, il Battesimo viene amministrato ai bambini, essendo una grazia e un dono di Dio che non presuppongono meriti umani; i bambini sono battezzati nella fede della Chiesa. L’ingresso nella vita cristiana introduce nella vera libertà.
1283 – Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la liturgia della Chiesa ci invita a confidare nella misericordia di Dio, e a pregare per la loro salvezza.
1284 – In caso di necessità, chiunque può battezzare, a condizione che intenda fare ciò che fà la Chiesa, e che versi dell’acqua sul capo del candidato dicendo: «Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
Articolo 2
IL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE
1285 – Con il Battesimo e l’Eucaristia, il sacramento della Confermazione costituisce l’insieme dei «sacramenti dell’iniziazione cristiana», la cui unità deve essere salvaguardata. È dunque necessario spiegare ai fedeli che la recezione di questo sacramento è necessaria per il rafforzamento della grazia battesimale. Infatti, «con il sacramento della Confermazione [i battezzati] vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dallo Spirito Santo, e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con l’opera la fede come veri testimoni di Cristo .
I. La Confermazione nell’Economia della salvezza.
1286 – Nell’Antico Testamento, i profeti hanno annunziato che lo Spirito del Signore si sarebbe posato sul Messia atteso in vista della sua missione salvifica. La discesa dello Spirito Santo su Gesù, al momento del suo Battesimo da parte di Giovanni, costituì il segno che era lui che doveva venire, che egli era il Messia, il Figlio di Dio. Concepito per opera dello Spirito Santo, tutta la sua vita e la sua missione si svolgono in una totale comunione con lo Spirito Santo che il Padre gli dà «senza misura» (Gv 3,34).
1287 – Questa pienezza dello Spirito non doveva rimanere soltanto del Messia, ma doveva essere comunicata a tutto il popolo messianico. Più volte Cristo ha promesso l’effusione dello Spirito, promessa che ha attuato dapprima il giorno di Pasqua e in seguito, in modo più stupefacente, il giorno di Pentecoste. Pieni di Spirito Santo, gli Apostoli cominciano ad annunziare «le grandi opere di Dio» (Al2,11) e Pietro afferma che quella effusione dello Spirito sopra gli Apostoli è il segno dei tempi messianici. Coloro che allora hanno creduto alla predicazione apostolica e che si sono fatti battezzare, hanno ricevuto, a loro volta, il dono dello Spirito Santo.
1288 – «Fin da quel tempo gli Apostoli, in adempimento del volere di Cristo, comunicavano ai neofiti, attraverso l’imposizione delle mani, il dono dello Spirito, destinato a completare la grazia del Battesimo. Questo spiega perché nella lettera agli Ebrei viene ricordata, tra i primi elementi della formazione cristiana, la dottrina dei battesimi e anche dell’imposizione delle mani. E appunto questa imposizione delle mani che giustamente viene considerata dalla tradizione cattolica come la prima origine del sacramento della Confermazione, il quale rende, in qualche modo, perenne nella Chiesa la grazia della pentecoste».
1289 – Per meglio esprimere il dono dello Spirito Santo, ben presto all’imposizione delle mani si è aggiunta una unzione di olio profumato (crisma). Tale unzione spiega il nome di «cristiano» che significa «unto» e che trae la sua origine da quello di Cristo stesso, che «Dio consacrò [ha unto] in Spirito Santo» (At 10,38). Questo rito di unzione è rimasto in uso fino ai nostri giorni sia in Oriente sia in Occidente. Perciò in Oriente questo sacramento viene chiamato Crismazione, unzione con il crisma, che significa «crisma». In Occidente il termine Confermazione suggerisce che questo sacramento nel medesimo tempo conferma il Battesimo e rafforza la grazia battesimale.
DUE TRADIZIONI: L’ORIENTE E L’OCCIDENTE
1290 – Nei primi secoli la Confermazione costituisce in genere una celebrazione unica con il Battesimo, formando con questo, secondo l’espressione di san Cipriano, un «sacramento doppio». Ma, tra le altre cause, il moltiplicarsi dei Battesimi di bambini, e questo in qualsiasi periodo dell’anno, e la crescita numerica delle parrocchie (rurali), con il conseguente ampliamento delle diocesi, non permettono più la presenza del Vescovo a tutte le celebrazioni battesimali. In Occidente, poiché si preferisce riservare al Vescovo il portare a compimento il Battesimo, avviene la separazione temporale dei due sacramenti. L’Oriente ha invece conservato uniti i due sacramenti, così che la Confermazione è conferita dal presbitero stesso che battezza. Questi tuttavia può farlo soltanto con il «crisma» consacrato da un Vescovo.
1291 – Una consuetudine della Chiesa di Roma ha facilitato lo sviluppo della pratica occidentale: la duplice unzione con il sacro crisma dopo il Battesimo. La prima unzione, compiuta dal sacerdote sul neofita, al momento in cui esce dal lavacro battesimale, è portata a compimento da una seconda unzione fatta dal vescovo sulla fronte di ogni neo-battezzato. La prima unzione con il sacro crisma, quella data dal sacerdote, è rimasta unita al rito del Battesimo: significa la partecipazione del battezzato alle funzioni profetica, sacerdotale e regale di Cristo. Se il Battesimo viene conferito ad un adulto, vi è una sola unzione post-battesimale: quella della Confermazione.
1292 – La pratica delle Chiese Orientali sottolinea maggiormente l’unità dell’iniziazione cristiana. Quella della Chiesa latina evidenzia più nettamente la comunione del nuovo cristiano con il proprio Vescovo, garante e servo dell’unità della sua Chiesa, della sua cattolicità e della sua apostolicità, e, conseguentemente, il legame con le origini apostoliche della Chiesa di Cristo.
lI. I segni e il rito della Confermazione
1293 – Nel rito di questo sacramento è opportuno considerare il segno dell’unzione e ciò che l’unzione indica e imprime: il sigillospirituale. Nel simbolismo biblico e antico, l’unzione presenta una grande ricchezza di significati: l’olio è segno di abbondanza e di gioia, purifica (unzione prima e dopo il bagno), rende agile (l’unzione degli atleti e dei lottatori); è segno di guarigione, poiché cura le contusioni e le piaghe e rende luminosi di bellezza, di salute e di forza.
1294 – Questi significati dell’unzione con l’olio si ritrovano tutti nella vita sacramentale. L’unzione prima del Battesimo con l’olio dei catecumeni ha il significato di purificare e fortificare; l’unzione degli infermi esprime la guarigione e il conforto. L’unzione con il sacro crisma dopo il Battesimo, nella Confermazione e nell’Ordinazione, è il segno di una consacrazione. Mediante la Confermazione, i cristiani, ossia coloro che sono unti, partecipano maggiormente alla missione di Gesù Cristo e alla pienezza dello Spirito Santo di cui egli è ricolmo, in modo che tutta la loro vita effonda il profumo di Cristo.
1295 – Per mezzo di questa unzione il cresimando riceve «il marchio», il sigillo dello Spirito Santo. Il sigillo è il simbolo della persona, il segno della sua autorità, della sua proprietà su un oggetto – per questo si usava imprimere sui soldati il sigillo del loro capo, come sugli schiavi quello del loro padrone -; esso autentica un atto giuridico un documento e, in certi casi, lo rende segreto.
1296 – Cristo stesso si dichiara segnato dal sigillo del Padre suo. Anche il cristiano è segnato con un sigillo: «È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori»(2 Cor 1,21-22). Questo sigillo dello Spirito Santo segna l’appartenenza totale a Cristo, l’essere al suo servizio per sempre, ma anche la promessa della divina protezione nella grande prova escatologica.
LA CELEBRAZIONE DELLA CONFERMAZIONE
1297 – La consacrazione del sacro crisma è un momento importante che precede la celebrazione della Confermazione, ma che, in un certo senso, ne fa parte. È il Vescovo che, il Giovedì Santo, durante la Messa crismale, consacra il sacro crisma per tutta la sua diocesi. Anche nelle Chiese d’Oriente questa consacrazione è riservata al Patriarca: La liturgia antiochena esprime in questi termini l’epiclesi della consacrazione del sacro crisma: «[Padre (…) manda il tuo Santo Spirito] su di noi e su questo olio che è davanti a noi e consacralo, affinché per tutti coloro che ne verranno unti e segnati, esso sia: myron santo, myron sacerdotale, myron regale, unzione di letizia, la veste di luce, il manto della salvezza, il dono spirituale, la santificazione delle anime e dei corpi, la felicità eterna, il sigillo indelebile, lo scudo della fede e l’elmo invincibile contro tutte le macchinazioni dell’avversario».
1298 – Quando la Confermazione viene celebrata separatamente dal Battesimo, come avviene nel rito romano, la liturgia del sacramento ha inizio con la rinnovazione delle promesse battesimali e con la professione di fede da parte dei cresimandi. In questo modo risulta evidente che la Confermazione si colloca in suecessione al Battesimo. Quando viene battezzato un adulto, egli riceve ìmmediatamente la Confermazione e partecipa all’Eucaristia.
1299 – Nel rito romano, il Vescovo stende le mani sul gruppo dei cresimandi: gesto che, fin dal tempo degli Apostoli, è il segno del dono dello Spirito. Spetta al Vescovo invocare l’effusione dello Spirito: «Dio onnipotente, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che hai rigenerato questi tuoi figli dall’acqua e dallo Spirito Santo liberandoli dal peccato, infondi in loro il tuo santo Spirito Paraclito: spirito di sapienza e di intelletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e di pietà, e riempili dello spirito del tuo santo timore. Per Cristo, nostro Signore».
1300 – Segue il rito essenziale del sacramento. Nel rito latino, «il sacramento della Confermazione si conferisce mediante l’unzione del crisma sulla fronte, che si fa con l’imposizione della mano, e mediante le parole: “Accipe signaculum doni Spiritus Saneti” – “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono”». Presso le Chiese Orientali di rito bizantino, l’unzione con il (…) viene fatta, dopo una preghiera di epiclesi sulle parti più significative del corpo: la fronte, gli occhi, il naso, le orecchie, le labbra, il petto, il dorso, le mani e i piedi; ogni unzione è accompagnata dalla formula: («Signaculum doni Spiritus Sancti» – «Sigillo del dono dello Spirito Santo»),
1301 – Il bacio di pace che conclude il rito del sacramento significa ed esprime la comunione ecclesiale con il Vescovo e con tutti i fedeli.
III. Gli effetti della Confermazione.
1302 – Risulta dalla celebrazione che l’effetto del sacramento della Confermazione è la speciale effusione dello Spirito Santo, come già fu concessa agli Apostoli il giorno di pentecoste.
1303 – Ne deriva che la Confermazione apporta una crescita e un approfondimento della grazia battesimale: ci radica più profondamente nella filiazione divina grazie alla quale diciamo: «Abbà, Padre» (Rm 8,15); ci unisce più saldamente a Cristo; aumenta in noi i doni dello Spirito Santo; rende più perfetto il nostro legame con la Chiesa; ci accorda una speciale forza dello Spirito Santo per diffondere e difendere con la parola e con l’azione la fede, come veri testimoni di Cristo, per confessare coraggiosamente il nome di Cristo e per non vergognarci mai della sua croce: Ricorda che hai ricevuto il sigillo spirituale, lo Spirito di sapienza e di ìntelletto, lo Spirito di consiglio e di fortezza, lo Spirito di conoscenza e di pietà, lo Spirito di timore di Dio, e conserva ciò che hai ricevuta. Dio Padre ti ha segnato, ti ha confermato Cristo Signore e ha posto nel tuo cuore quale pegno lo Spirito».
1304 – Come il Battesimo, di cui costituisce il compimento, la Confermazione è conferita una sola volta. Essa infatti imprime nell’anima un marchio spirituale indelebile, il «carattere»; esso è il segno che Gesù Cristo ha impresso sul cristiano il sigillo del suo Spirito rivestendolo di potenza dall’alto perché sia suo testimone.
1305 – Il «carattere» perfeziona il sacerdozio comune dei fedeli, ricevuto nel Battesimo, e «il cresimato riceve il potere di professare pubblicamente la fede cristiana, quasi per un incarico ufficiale (quasi ex officio)
IV. Chi può ricevere questo sacramento?
1306 – Può e deve ricevere il sacramento della Confermazione ogni battezzato, che non l’abbia ancora ricevuto. Dal momento che Battesimo, Confermazione ed Eucaristia costituiscono un tutto unitario, ne deriva che «i fedeli sono obbligati a ricevere tempestivamente questo sacramento»; senza la Confermazione e l’Eucaristia, infatti, il sacramento del Battesimo è certamente valido ed efficace, ma l’iniziazione cristiana rimane incompiuta.
1307 – La consuetudine latina da secoli indica come punto di riferimento per ricevere la Confermazione «l’età della discrezione». Quando fossero in pericolo di morte, tuttavia, i bambini devono essere cresimati anche se non hanno ancora raggiunto tale età.
1308 – Se talvolta si parla della Confermazione come del «sacramento della maturità cristiana», non si deve tuttavia confondere l’età adulta della fede con l’età adulta della crescita naturale, e neppure dimenticare che la grazia del Battesimo è una grazia di elezione gratuita e immeritata, che non ha bisogno di una «ratifica» per diventare effettiva. Lo ricorda san Tommaso: «L’età fisica non condiziona l’anima. Quindi anche nell’età della puerizìi l’uomo può ottenere la perfezione dell’età spirituale di cui la Sapienza (4,8) dice: “Vecchiaia veneranda non è la longevità, nè si calcola dal numero degli anni”. È per questo che molti, nell’età della fanciullezza, avendo ricevuto la forza dello Spirito Santo, hanno combattuto generosamente per Cristo fino al sangue.
1309 – La preparazione alla Confermazione deve mirare a condurre il cristiano verso una più intima unione con Cristo, verso una familiarità più viva con lo Spirito Santo, la sua azione, i suoi doni e le sue mozioni, per poter meglio assumere le responsabilità apostoliche della vita cristiana. Di conseguenza la catechesi della Confermazione si sforzerà di risvegliare il senso dell’appartenenza alla Chiesa di Gesù Cristo, sia alla Chiesa universale che alla comunità parrocchiale. Su quest’ultima grava una particolare responsabilità nella preparazione dei confermandi.
1310 – Per ricevere la Confermazione si deve essere in stato di grazia. È opportuno accostarsi al sacramento della Penitenza per essere purificati in vista del dono dello Spirito Santo. Una preghiera più intensa deve preparare a ricevere con docilità e disponibilità la forza e le grazie dello Spirito Santo.
1311 – Per la Confermazione, come per il Battesimo, è conveniente che i candidati cerchino l’aiuto spirituale di un padrino o di unamadrina. E’ opportuno che sia la stessa persona scelta per il Battesimo, per sottolineare meglio l’unità dei due sacramenti.
V. Il ministro della Confermazione.
1312 – Ministro originario della Confermazione è il Vescovo». In Oriente, è ordinariamente il presbitero che battezza a conferire subito anche la Confermazione in una sola e medesima celebrazione. Tuttavia lo fa con il sacro crisma consacrato dal Patriarca o dal Vescovo: ciò esprime l’unità apostolica della Chiesa, i cui vincoli vengono rafforzati dal sacramento della Confermazione. Nella Chiesa latina si attua la stessa disciplina nel Battesimo degli adulti, o quando viene ammesso alla piena comunione con la Chiesa un battezzato che appartiene ad un’altra comunità cristiana il cui sacramento della Confermazione non è valido.
1313 – Nel rito latino, il ministro ordinario della Confermazione è il Vescovo sebbene, qualora se ne presenti la necessità, il Vescovo possa concedere ai presbiteri la facoltà di amministrare la Confermazione, e opportuno che la conferisca egli stesso, non dimenticando che appunto per questa ragione la celebrazione della Confermazione è stata separata temporalmente dal Battesimo. I Vescovi sono i successori degli Apostoli, essi hanno ricevuto la pienezza del sacramento dell’Ordine. Il fatto che questo sacramento venga amministrato da loro evidenzia che esso ha come effetto di unire più strettamente coloro che lo ricevono alla chiesa, alle sue origini apostoliche e alla sua missione di testimoniare Cristo.
1314 – Se un cristiano si trova in pericolo di morte, qualsiasi presbitero può conferirgli la Confermazione. La Chiesa infatti vuole che nessuno dei suoi figli, anche se in tenerissima età, esca da questo mondo senza essere stato reso perfetto dallo Spirito Santo mediante il dono della pienezza di Cristo.
In sintesi
1315 – «Gli Apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e vi inviarono Pietro e Giovanni. Essi discesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora sceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo» (At 8,14-17).
1316 – La Confermazione perfeziona la grazia battesimale; é il sacramento che dona lo Spirito Santo per radicarci più profondamente nella filiazione divina, incorporarci più saldamente a Cristo, rendere più solido il nostro legame con la Chiesa, associarci maggiormente alla sua missione e aiutarci a testimoniare la fède cristiana con la parola accompagnata dalle opere.
1317 – La Confermazione, come il Battesimo, imprime nell’anima del cristiano un segno spirituale o carattere indelebile; perciò si può ricevere questo sacramento una sola volta nella vita.
1318 – In Oriente questo sacramento viene amministrato immediatamente dopo il Battesimo; è seguito dalla partecipazione all’Eucaristia; questa tradizione sottolinea l’unità dei tre sacramenti dell’iniziazione cristiana. Nella Chiesa latina questo sacramento viene conferito quando si è raggiunta l’età della ragione, e la sua celebrazione è normalmente riservata al Vescovo, significando così che questo sacramento rinsalda il legame ecclesiale.
1319 – Un candidato alla Confermazione che abbia raggiunto l’età della ragione deve professare la fede, essere in stato di grazia, aver l’intenzione di ricevere il sacramento ed essere preparato ad assumere il proprio ruolo di discepolo e di testimone di Cristo nella comunità ecclesiale e negli impegni temporali.
1320 – Il rito essenziale della Confermazione è l’unzione con il sacro Crisma sulla fronte del battezzato (in Oriente anche su altre parti del corpo), accompagnata dall’imposizione delle mani da parte del ministro e dalle parole: «Accipe signaculum doni Spiritus Sancti» – «Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono», nel rito romano, «Signacuhim doni Spiritus Sancti» – «Sigillo del dono dello Spirito Santo», nel rito bizantino.
1321 – Quando la Confermazione viene celebrata separalamente dal Battesimo, il suo legame con questo è espresso, tra l’altro, dalla rinnovalane delle promesse battesimali. La celebrazione della Confermazione durante la liturgia eucaristica contribuisce a sottolineare l’unità dei sacramenti dell’iniziazione cristiana.
Articolo 3
IL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA
1322 – La santa Eucaristia completa l’iniziazione cristiana. Coloro che sono stati elevati alla dignità del sacerdozio regale per mezzo del Battesimo e sono stati conformati più profondamente a Cristo mediante la Confermazione, attraverso l’Eucaristia partecipano con tutta la comunità allo stesso sacrificio del Signore.
1323 – «Il nostro Salvatore nell’ultima Cena, la notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura».
I. L’Eucaristia – fonte e culmine della vita ecclesiale.
1324 – L’Eucaristia è «fonte e culmine di tutta la vita cristiana». «Tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua».
1325 – «La comunione della vita divina e l’unità del popolo di Dio, su cui si fonda la Chiesa, sono adeguatamente espresse e mirabilmente prodotte dall’Eucaristia. In essa abbiamo il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono a Cristo e per lui al Padre nello Spirito Santo».
1326 – Infine, mediante la celebrazione eucaristica, ci uniamo già alla liturgia del cielo e anticipiamo la vita eterna, quando Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15,28).
1327 – In breve, l’Eucaristia è il compendio e la somma della nostra fede: «Il nostro modo di pensare è conforme all’Eucaristia, e l’Eucaristia, a sua volta, si accorda con il nostro modo di pensare
Il. Come viene chiamato questo sacramento?
1328 – L’insondabile ricchezza di questo sacramento si esprime attraverso i diversi nomi che gli si danno. Ciascuno di essi ne evoca aspetti particolari. Lo si chiama: Eucarestia, perché è rendimento di grazie a Dio. I termini (…) (Lc 22,19;) Cor 11,24) e (…) (Mt 26,26;Mc 14,22) ricordano le benedizioni ebraiche che – soprattutto durante il pasto – proclamano le opere di Dio: la creazione, la redenzione e la santificazione.
1329 – Cena del Signore, perché si tratta della Cena che il Signore ha consumato con i suoi discepoli la vigilia della sua passione e dell’anticipazione della cena delle nozze dell’Agnello nella Gerusalemme celeste. Frazione del pane, perché questo rito, tipico della cena ebraica, è stato utilizzato da Gesù quando benediceva e distribuiva il pane come capo della mensa, soprattutto durante l’ultima Cena. Da questo gesto i discepoli lo riconosceranno dopo la sua risurrezione, e con tale espressione i primi cristiani designeranno le loro assemblee eucaristiche. In tal modo intendono significare che tutti coloro che mangiano dell’unico pane spezzato, Cristo, entrano in comunione con lui e formano in lui un solo corpo. Assemblea eucaristica (…), in quanto l’Eucaristia viene celebrata nell’assemblea dei fedeli, espressione visibile della Chiesa.
1330 – Memoriale della passione e della risurrezione del Signore. Santo sacrificio, perché attualizza l’unico sacrificio di Cristo Salvatore e comprende anche l’offerta della Chiesa; o ancora santo sacrificio o, poiché porta a compimento e supera tutti i sacrifici dell’Antica Alleanza. Santa e divina liturgia, perché tutta la liturgia della Chiesa trova il suo centro e la sua più densa espressione nella celebrazione di questo sacramento; è nello stesso senso che lo si chiama pure celebrazione dei santi misteri. Si parla anche del Santissimo Sacramento, in quanto costiuisce il sacramento dei sacramenti. Con questo nome si indicano le specie eucaristiche conservate nel tabernacolo.
1331 – Comunione, perché, mediante questo sacramento, ci uniamo a Cristo, il quale ci rende partecipi del suo Corpo e del suo Sangue per formare un solo corpo; viene inoltre chiamato le cose sante (…) – è il significato originale dell’espressione «comunione dei santi» di cui parla il Simbolo degli Apostoli – pane degli angeli, pane del cielo, farmaco d’immortalità, viatico.
1332 – Santa Messa, perché la liturgia, nella quale si è compiuto il mistero della salvezza, si conclude con l’invio dei fedeli («missio») affinché compiano la volontà di Dio nella loro vita quotidiana.
L’Eucaristia nell’Economia della salvezza.
I SEGNI DEL PANE E DEL VINO
1333 – Al centro della celebrazione dell’Eucaristia si trovano il pane e il vino i quali, per le parole di Cristo e per l’invocazione dello Spirito Santo, diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Fedele al comando del Signore, la Chiesa continua a fare, in memoria di lui, fino al suo glorioso ritorno, ciò che egli ha fatto la vigilia della sua passione: «Prese il pane…», «Prese il calice del vino…». Diventando misteriosamente il Corpo e il Sangue di Cristo, i segni del pane e del vino continuano a significare anche la bontà della creazione. Così, all’offertorio, rendiamo grazie al Creatore per il pane e per il vino, «frutto del lavoro dell’uomo», ma prima ancora «frutto della terra» e «della vite», doni del Creatore Nel gesto di Melchisedek, re e sacerdote, che «offrì pane e vino» (Gn 14,18) la Chiesa vede una prefigurazione della sua propria offerta.
1334 – Nell’Antica Alleanza il pane e il vino sono offerti in sacrificio tra le primizie della terra, in segno di riconoscenza al Creatore. Ma ricevono qui un nuovo significato nel contesto dell’Esodo: i pani azzimi, che Israele mangia ogni anno a Pasqua, commemorano la fretta della partenza liberatrice dall’Egitto; il ricordo della manna del deserto richiamerà sempre a Israele che egli vive del pane della Parola di Dio. Il pane quotidiano, infine, è il frutto della Terra promessa, pegno della fedeltà di Dio alle sue promesse. Il «calice della benedizione» (1 Cor 10,16), al termine della cena pasquale degli Ebrei, aggiunge alla gioia festiva del vino una dimensione escatologica, quella dell’attesa messianica della restaurazione di Gerusalemme. Gesù ha istituito la sua Eucaristia conferendo un significato nuovo e definitivo alla benedizione del pane e del calice.
1335 – I miracoli della moltiplicazione dei pani, allorché il Signore pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li distribuì per mezzo dei suoi discepoli per sfamare la folla, prefigurano la sovrabbondanza di questo unico pane che è la sua Eucanstia. Il segno dell’acqua trasformata in vino a Cana annunzia già l’Ora della glonficazione di Gesù. Manifesta il compimento del banchetto delle nozze nel regno del Padre, dove i fedeli berranno il vino nuovo divenuto il Sangue di Cristo.
1336 – Il primo annunzio dell’Eucaristia ha provocato una divisione tra i discepoli, così come l’annunzio della passione li ha scandalizzati: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?» (Gv 6,60). L’Eucaristia e la croce sono pietre d’inciampo. Si tratta dello stesso mistero, ed esso non cessa di essere occasione di divisione: «Forse anche voi volete andarvene’?» (Gv 6,67): questa domanda del Signore continua a risuonare attraverso i secoli, come invito del suo amore a scoprire che è lui solo ad avere «parole di vita eterna» (Gv 6,68) e che accogliere nella fede il dono della sua Eucaristia è accogliere lui stesso.
L’ISTITUZIoNE DELL’EUCARESTIA
1337 – Il Signore, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine. Sapendo che era giunta la sua Ora di passare da questo mondo al Padre, mentre cenavano, lavò loro i piedi e diede loro il comandamento ell’amore. Per lasciare loro un pegno di questo amore, per non allontanarsi mai dai suoi e renderli partecipi della sua pasqua, istituì l’Eucaristia come memoriale della sua morte e della sua risurrezione, e comandò ai suoi Apostoli di celebrarla fino al suo ritorno, costituendoli «in quel momento sacerdoti della Nuova Alleanza».
1338 – I tre Vangeli sinottici e san Paolo ci hanno trasmesso il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia; da parte sua, san Giovanni riferisce le parole di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, parole che preparano l’istituzione dell’Eucaristia: Cristo si definisce come il pane di vita, disceso dal cielo.
1339 – Gesù ha scelto il tempo della Pasqua per compiere ciò che aveva annunziato a Cafarnao: dare ai suoi discepoli il suo Corpo e il suo Sangue. «Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la vittima di Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: “Andate a preparare per noi la Pasqua, perché possiamo mangiare”. (…) Essi andarono e prepararono la Pasqua. Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli Apostoli con lui, e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. (…) Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio Corpo che é dato per voi; fate questo ìn memorìa di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi” (Lc 22,7-20).
1340 – Celebrando l’ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale, Gesù ha dato alla Pasqua ebraica il suo significato definitivo. Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua morte e la sua risurrezione, e anticipata nella Cena e celebrata nell’Eucaristia, che porta a compimento la Pasqua ebraica e anticipa la Pasqua finale della Chiesa nella gloria del Regno.
«FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME»
1341 – Quando Gesù comanda di ripetere i suoi gesti e le sue parole «finché egli venga» (Cor 11,26), non chiede soltanto che ci si ricordi di lui e di ciò che ha fatto. Egli ha di mira la celebrazione liturgica, per mezzo degli Apostoli e dei loro successori, del memoriale di Cristo, della sua vita, della sua morte, della sua risurrezione e della sua intercessione presso il Padre.
1342 – Fin dagli inizi la Chiesa è stata fedele al comando del Signore. Della Chiesa di Gerusalemme è detto: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. (…) Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore» (At 2,42.46).
1343 – Soprattutto «il primo giorno della settimana», cioè la domenica, il giorno della risurrezione di Gesù, i cristiani si riunivano «per spezzare il pane» (At 20,7). Da quei tempi la celebrazione dell’Eucaristia si è perpetuata fino ai nostri giorni, così che oggi la ritroviamo ovunque nella Chiesa, con la stessa struttura fondamentale. Essa rimane il centro della vita della Chiesa.
1344 – Così, di celebrazione in celebrazione, annunziando il mistero pasquale di Gesù «finché egli venga» (1 Cor 11,26), il popolo di Dio avanza «camminando per l’angusta via della croce» verso il banchetto celeste, quando tutti gli eletti si siederanno alla mensa del Regno.
IV. La celebrazione liturgica dell’Eucaristia.
LA MESSA LUNGO I SECOLI
1345 – Fin dal secondo secolo, abbiamo la testimonianza di san Giustino martire riguardo alle linee fondamentali dello svolgimento della celebrazione eucaristica. Esse sono rimaste invariate fino ai nostri giorni in tutte le grandi famiglie liturgiche. Ecco ciò che egli scrive, verso il 155, per spiegare all’imperatore pagano Antonino Pio (138-161) ciò che fanno i cristiani: Nel giorno chiamato del sole ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne. Si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo consente. Poi quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere» «sia per noi stessi […] sia per tutti gli altri, dovunque si trovino, affinché, appresa la verità, meritiamo di essere nei fatti buoni cittadini e fedeli custodi dei precetti, e di conseguire la salvezza eterna. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelh vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato. Egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie per essere stati fatti degni da lui di questi doni. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: Amen. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua “eucaristizzati” e ne portano agli assenti.
1346 – La liturgia dell’Eucaristia si svolge secondo una struttura fondamentale che, attraverso i secoli, si è conservata fino a noi. Essa si articola in due grandi momenti, che formano un’unità originaria: – la convocazione, la liturgia della Parola, con le letture, l’omelia e la preghiera universale; – la liturgia eucaristica, con la presentazione del pane e del vino, l’azione di grazie consacratoria e la Comunione. Liturgia della Parola e liturgia eucaristica costituiscono insieme «un solo atto di culto»; la mensa preparata per noi nell’Eucaristia è infatti ad un tempo quella della Parola di Dio e quella del Corpo del Signore.
1347 – Non si è forse svolta in questo modo la Cena pasquale di Gesù risorto con i suoi discepoli? Lungo il cammino spiegò loro le Scritture, poi, messosi a tavola con loro, «prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,30).
LO SVOLGIMENTO DELLA CELEBRAZIONE
1348 – Tutti si riuniscono. I cristiani accorrono in uno stesso luogo per l’assemblea eucaristica. Li precede Cristo stesso, che è il protagonista principale dell’Eucaristia. È il Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza. È lui stesso che presiede in modo invisibile ogni celebrazione eucaristica. Proprio in quanto lo rappresenta, il Vescovo o il presbitero (agendo in persona Christi Capitis – nella persona di Cristo Capo) presiede l’assemblea, prende la parola dopo le letture, riceve le offerte e proclama la preghiera eucaristica. Tutti hanno la loro parte attiva nella celebrazione, ciascuno a suo modo: i lettori, coloro che presentano le offerte, coloro che distribuiscono la Comunione, e il popolo intero che manifesta la propria partecipazione attraverso l’Amen.
1349 – La liturgia della Parola comprende «gli scritti dei profeti», cioè l’Antico Testamento, e «le memorie degli Apostoli», ossia le loro lettere e i Vangeli; all’omelia, che esorta ad accogliere questa parola come è veramente, quale Parola di Dio e a metterla in pratica, seguono le intercessioni per tutti gli uomini, secondo la parola dell’Apostolo: «Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere» (1 Tm 2,1-2).
1350 – La presentazione dei doni (l’offertorio): vengono recati poi all’altare, talvolta in processione, il pane e il vino che saranno offerti dal sacerdote in nome di Cristo nel sacrificio eucaristico, nel quale diventeranno il suo Corpo e il suo Sangue. È il gesto stesso di Cristo nell’ultima Cena, «quando prese il pane e il calice». «Soltanto la Chiesa può offrire al Creatore questa oblazione pura, offrendogli con rendimento di grazie ciò che proviene dalla sua creazione. La presentazione dei doni all’altare assume il gesto di Melchisedek e pone i doni del Creatore nelle mani di Cristo. È lui che, nel proprio sacrificio, porta alla perfezione tutti i tentativi umani di offrire sacrifici.
1351 – Fin dai primi tempi, i cristiani, insieme con il pane e con il vino per l’Eucaristia, presentano i loro doni perché siano condivisi con coloro che si trovano in necessità. Questa consuetudine della colletta, sempre attuale, trae ispirazione dall’esempio di Cristo che si è fatto povero per arricchire noi: «I facoltosi e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani. le vedove, e chi é indigente per malattia o per qualche altra causa; e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno».
1352 – L’anafora. Con la preghiera eucaristica, preghiera di rendimento di grazie e di consacrazione, arriviamo al cuore e al culmine della celebrazione: nel prefazio la Chiesa rende grazie al Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo, per tutte le sue opere, per la creazione, la redenzione e la santificazìone. In questo modo l’intera comunità si unisce alla lode incessante che la Chiesa celeste, gli angeli e tutti i santi cantano al Dio tre volte Santo.
1353 – Nell’epiclesi essa prega il Padre di mandare il suo Santo Spirito (la potenza della sua benedizione) sul pane e sul vino, affinché diventino, per la sua potenza, il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo e perché coloro che partecipano all’Eucaristia siano un solo corpo e un solo spirito (alcune tradizioni liturgiche situano l’epiclesi dopo l’anamnesi). Nel racconto dell’istituzione l’efficacia delle parole e dell’azione di Cristo, e la potenza dello Spirito Santo, rendono sacramentalmente presenti sotto le specie del pane e del vino il suo Corpo e il suo Sangue, il suo sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte.
1354 – Nell’anamnesi che segue, la Chiesa fa memoria della passione, della risurrezione e del ritorno glorioso di Gesù Cristo; essa presenta al Padre l’offerta di suo Figlio che ci riconcilia con lui. Nelle intercessioni, la Chiesa manifesta che l’Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa del cielo e della terra, dei vivi e dei defunti, e nella comunione con i Pastori della Chiesa, il Papa, il Vescovo della diocesi, il suo presbiterio e i suoi diaconi, e tutti i Vescovi del mondo con le loro Chiese.
1355 – Nella Comunione, preceduta dalla preghiera del Signore e dalla frazione del pane, i fedeli ricevono «il pane del cielo» e «il calice della salvezza», il Corpo e il Sangue di Cristo che si è dato «per la vita del mondo» (Gv 6,51). Poiché questo pane e questo vino sono stati «cucaristizzati» come tradizionalmente si dice, «questo cibo è chiamato da noi Eucaristia, e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato.
V. Il sacrificio sacramentale: azione di grazie, memoriale, presenza.
1356 – Se i cristiani celebrano l’Eucaristia fin dalle origini e in una forma che, sostanzialmente, non è cambiata attraverso la grande diversità dei tempi e delle liturgie, è perché ci sappiamo vincolati dal comando del Signore, dato la vigilia della sua passione: «Fate questo in memoria di me» (I Cor 11,24-25).
1357 – A questo comando del Signore obbediamo celebrando il memoriale o il suo sacrificio. Facendo questo, offriamo al Padre ciò che egli stesso ci ha dato: i doni della creazione, il pane e il vino, diventati, per la potenza dello Spirito Santo e per le parole di Cristo, il Corpo e il Sangue di Cristo: in questo modo Cristo è reso realmente e misteriosamente presente.
1358 – Dobbiamo dunque considerare l’Eucaristia come azione di grazie e lode al Padre, – come memoriale del sacrificio di Cristo e del suo corpo, come presenza di Cristo in virtù della potenza della sua parola e del suo Spirito.
L’AZIONE DI GRAZIE E LA LODE AL PADRE
1359 – L’Eucaristia, sacramento della nostra salvezza realizzata da Cristo sulla croce, è anche un sacrificio di lode in rendimento di grazie per l’opera della creazione. Nel sacrificio eucaristico, tutta la creazione amata da Dio è presentata al Padre attraverso la morte e la risurrezione di Cristo. Per mezzo di Cristo, la Chiesa può offrire il sacrificio di lode in rendimento di grazie per tutto ciò che Dio ha fatto di buono, di bello e di giusto nella creazione e nell’umanità.
1360 – L’Eucaristia è un sacrificio di ringraziamento al Padre, una benedizione con la quale la Chiesa esprime la propria riconoscenza a Dio per tutti i suoi benefici, per tutto ciò che ha operato mediante la creazione, la redenzione e la santificazione. Eucaristia significa prima di tutto: «azione di grazie».
1361 – L’Eucaristia è anche il sacrificio della lode, con il quale la Chiesa canta la gloria di Dio in nome di tutta la creazione. Tale sacrificio di lode è possibile unicamente attraverso Cristo: egli unisce i fedeli alla sua persona, alla sua lode e alla sua intercessione, in modo che il sacrificio di lode al Padre è offerto da Cristo e con lui per essere accettato in lui.
IL MEMORIALE DEL SACRIFICIO DI CRISTO E DEL SUO CORPO, LA CHIESA
1362 – L’Eucaristia è il memoriale della pasqua di Cristo, l’attualizzazione e l’offerta sacramentale del suo unico sacrificio, nella liturgia della Chiesa, che è il suo corpo. In tutte le preghiere eucaristiche, dopo le parole della istituzione, troviamo una preghiera chiamata anamnesi o memoriale.
1363 – Secondo la Sacra Scrittura, il memoriale non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini. Nella celebrazione liturgica di questi eventi, essi diventano in certo modo presenti e attuali. Proprio così Israele intende la sua liberazione dall’Egitto: ogni volta che viene celebrata la Pasqua, gli avvenimenti dell’Esodo sono resi presenti alla memoria dei credenti affinché conformino ad essi la propria vita.
1364 – Nel Nuovo Testamento il memoriale riceve un significato nuovo. Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, fa memoria della pasqua di Cristo, e questa diviene presente: il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla croce rimane sempre attuale: «Ogni volta che il sacrificio della croce, col quale “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato” (1 Cor 5,7), viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione».
1365 – In quanto memoriale della pasqua di Cristo, l’Eucaristia è anche un sacrificio. Il carattere sacrificale dell’Eucaristia si manifesta nelle parole stesse dell’istituzione: «Questo è il mio Corpo che è dato per voi» e: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi» (Lc 22,19-20). Nell’Eucaristia Cristo dona lo stesso corpo che ha consegnato per noi sulla croce, lo stesso sangue che egli ha «versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,28).
1366 – L’Eucaristia è dunque un sacrificio perché ripresenta (rende presente) i] sacrificio della croce, perché ne è il memoriale e perché ne applica il frutto: Cristo «Dio e Signore nostro, (…) si è immolato a Dio Padre una sola volta morendo sull’altare della croce per compiere una redenzione eterna: poiché, tuttavia, il suo sacerdozio non doveva estinguersi con la morte (Eb 7,24.27), nell’ultima Cena, “nella notte ìn cui venìva tradito” (I Cor 11,23), […] [volle] lasciare alla Chiesa, sua amata Sposa, un sacrificio visibile (come esige l’umana natura), con cui venìsse significato quello cruento che avrebbe offerto una volta per tutte sulla croce, prolungandone la memoria fino alla fine del mondo, e applicando la sua efficacia salvifica alla remissione dei nostri peccati quotidiani.
1367 – Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio: «Si tratta infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla croce: diverso e solo il modo di offrirsi». «E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che, “si offrì una sola volta in modo cruento” sull’altare della croce, […] questo sacrificio [è] veramente propiziatorio».
1368 – L’Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa. La Chiesa, che è il corpo di Cristo – partecipa all’offerta del suo Capo. Con lui, essa stessa viene offerta tutta intera. Essa si unisce alla sua intercessione presso il Padre a favore di tutti gli uomini. Nell’Eucaristia il sacrificio di Cristo diviene pure il sacrificio delle membra del suo corpo. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo. Il sacrificio di Cristo riattualizzato sull’altare offre a tutte le generazioni di cristiani la possibilità di essere uniti alla sua offerta. Nelle catacombe la Chiesa é spesso raffigurata come una donna in preghiera, con le braccia spalancate, in atteggiamento di orante. Come Cristo ha steso le braccia sulla croce, così per mezzo di lui, con lui e in lui essa si offre e intercede per tutti gli uomini.
1369 – Tutta la Chiesa è unita all’offerta e all’intercessione di Cristo. Investito del ministero di Pietro nella Chiesa, il Papa è unito a ogni celebrazione dell’Eucaristia nella quale viene nominato come segno e servo dell’unità della Chiesa universale. Il Vescovo del luogo è sempre responsabile dell’Eucaristia, anche quando viene presieduta da un presbitero; in essa è pronunziato il suo nome per significare che egli presiede la Chiesa particolare, in mezzo al suo presbiterio e con l’assistenza dei diaconi. La comunità a sua volta intercede per tutti i ministri che, per lei e con lei, offrono il sacrificio eucaristico: «Si ritenga legittima solo quell’Eucaristia che viene celebrata dal Vescovo, o da chi è stato da lui autorizzato. «È attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto perché viene unito al sacrificio dì Cristo, unico mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell’Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore.
1370 – All’offerta di Cristo si uniscono non soltanto i membri che sono ancora sulla terra, ma anche quelli che si trovano già nella gloria del cielo. La Chiesa offre infatti il sacrificio eucaristico in comunione con la santissima Vergine Maria, facendo memoria di lei, come pure di tutti i santi e di tutte le sante. Nell’Eucaristia la Chiesa, con Maria, è come ai piedi della croce, unita all’offerta e all’intercessione di Cristo.
1371 – Il sacrificio encaristico è offerto anche per i fedeli defunti «che sono morti in Cristo e non sono ancora pienamente purificati, affinché possano entrare nella luce e nella pace di Cristo: «Seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all’altare del Signore». «Poi [nell’anafora] preghiamo anche per i santi Padri e Vescovi e in generale per tutti quelli che si sono addormentati prima di noi, convinti che questo sia un grande vantaggio per le anime, per le quali viene offerta la supplica, mentre qui è presente la vittima santa e tremenda. (…) Presentando a Dio le preghiere per i defunti, anche se peccatori, resentiamo il Cristo immolato per i nostri peccati, cercando di rendere clemente per loro e per noi il Dio amico degli uomini.
1372 – Sant’Agostino ha mirabilmente riassunto questa dottrina che ci sollecita ad una partecipazione sempre più piena al sacrificio del nostro Redentore che celebriamo nell’Eucaristia: «Tutta quanta la città redenta, cioè l’assemblea e la società dei santi, offre un sacrificio universale […] a Dio per opera di quel Sommo Sacerdote che nella passione ha offerto anche se stesso per noi, assumendo la forma di servo, e costituendoci come corpo di un Capo tanto importante. […] Questo è il sacrificio dei cristiani: “Pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo” (Rm 12,5), e la Chiesa lo rinnova continuamente nel sacramento dell’altare, noto ai fedeli, dove si vede che, in ciò che offre, offre anche se stessa.
LA PRESENZA DI CRISTO OPERATA DALLA POTENZA DELLA SUA PAROLA E DELLO SPIRITO SANTO
1373 – «Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi» (Rm 8,34), è presente in molti modi alla sua Chiesa: nella sua parola, nella preghiera della Chiesa, «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt18,20), nei poveri, nei malati, nei prigionieri, nei sacramenti di cui egli è l’autore, nel sacrificio della Messa e nella persona del ministro. Ma «soprattutto (è presente) sotto le specie eucaristiche».
1374 – Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico. Esso pone l’Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa «quasi il coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti».Nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, ilCristo tutto intero. «Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché èsostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio e uomo, tutto intero si fa presente».
1375 – È per la conversione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue che Cristo diviene presente in questo sacramento. I Padri della Chiesa hanno sempre espresso con fermezza la fede della Chiesa nell’efficacia della parola di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo per operare questa conversione. San Giovanni Crisostomo, ad esempio, afferma: «Non è l’uomo che fa diventare le cose offerte Corpo e Sangue di Cristo, ma è Cristo stesso, che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote, figura di Cristo, pronunzia quelle parole, ma la virtù e la grazia sono di Dio. Questo è il mio Corpo, dice. Questa parola trasforma le cose offerte. E sant’Ambrogio, parlando della conversione eucaristica, dice: Dobbiamo essere convinti che «non si tratta dell’elemento formato dalla natura, ma della sostanza prodotta dalla formula della consacrazione, ed è maggiore l’efficacia della consacrazione di quella della natura, perché, per l’effetto della consacrazione, la stessa natura viene trasformata». «La parola di Cristo, che poté creare dal nulla ciò che non esisteva, non può trasformare in una sostanza diversa ciò che esiste? Non è minore impresa dare una nuova natura alle cose che trasformarla».
1376 – Il Concilio di Trento riassume la fede cattolica dichiarando: «Poiché il Cristo, nostro Redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie del pane era veramente il suo Corpo, nella Chiesa di Dio vi fu sempre la convinzione, e questo santo Concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo del Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione».
1377 – La presenza eucaristica di Cristo ha inizio al momento della consacrazione e continua finché sussistono le specie eucaristiche. Cristo è tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte; perciò la frazione del pane non divide Cristo.
1378 – Il culto dell’Eucaristia, nella liturgia della Messa esprimiamo la nostra fede nella presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino, tra l’altro, con la genuflessione, o con un profondo inchino in segno di adorazione verso il Signore. «La Chiesa cattolica professa questo culto latreutico al sacramento eucaristico non solo durante la Messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana.
1379 – La santa riserva (tabernacolo) era inizialmente destinata a custodire in modo degno l’Eucaristia perché potesse essere portata agli infermi e agli assenti, al di fuori della Messa. Approfondendo la fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, la Chiesa ha preso coscienza del significato dell’adorazione silenziosa del Signore presente sotto le specie eucaristiche. Perciò, il tabernacolo deve essere situato in un luogo particolarmente degno della chiesa, e deve essere costruito in modo da evidenziare e manifestare la verità della presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento.
1380 – È oltremodo conveniente che Cristo abbia voluto rimanere presente alla sua Chiesa in questa forma davvero unica. Poiché stava per lasciare i suoi nel suo aspetto visibile, ha voluto donarci la sua presenza sacramentale poiché stava per offrirsi sulla croce per la nostra salvezza, ha voluto che noi avessimo il memoriale dell’amore con il quale ci ha amati «sino alla fine» (Gv 13,1), fino al dono della propria vita. Nella sua presenza eucaristica, infatti, egli rimane misteriosamente in mezzo a noi come colui che ci ha amati e che ha dato se stesso per noi, e vi rimane sotto i segni che esprimono e comunicano questo amore: «La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarla nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione».
1381 – «Che in questo sacramento sia presente il vero Corpo e il vero Sangue di Cristo, come dice san Tommaso, “non si può apprendere coi sensi, ma con la sola fede, la quale si appoggia all’autorità di Dio. Per questo, commentando il passo di san Luca 22,19: Questo é il mio Corpo che viene dato per tutti, san Cirillo dice: Non mettere in dubbio se questo sia vero, ma piuttosto accetta con fede le parole del Salvatore: perché essendo egli la verità, non mentisce”»: Adoro te devote, latens Deitas… Ti adoro con devozione, o Dio che ti nascondi, che sotto queste figure veramente ti celi: a te il mio cuore si sottomette interamente, poiché, nel contemplarti, viene meno. La vista, il tatto e il gusto si ingannano a tuo riguardo, soltanto alla parola si crede con sicurezza. Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio: nulla è più vero della sua parola di verità».
VI. Il banchetto pasquale,
1382 – La Messa è ad un tempo e inseparabilmente memoriale del sacrificio nel quale si perpetua il sacrificio della croce, e il sacro banchetto della Comunione al Corpo e al Sangue del Signore. Ma la celebrazione del sacrificio eucaristico è totalmente orientata all’unione intima dei fedeli con Cristo attraverso la Comunione. Comunicarsi è ricevere Cristo stesso che si è offerto per noi.
1383 – L’altare, attorno al quale la Chiesa è riunita nella celebrazione dell’Eucaristia, rappresenta i due aspetti di uno stesso mistero: l’altare del sacrificio e la mensa del Signore, e questo tanto più in quanto l’altare cristiano è il simbolo di Cristo stesso, presente in mezzo all’assemblea dei suoi fedeli sia come vittima offerta per la nostra riconciliazione, sia come alimento celeste che si dona a noi. «Che cosa è l’altare di Cristo se non l’immagine del Corpo di Cristo? dice sant’Ambrogio, e altrove: L’altare è l’immagine del corpo, e il Corpo di Cristo sta sull’altare». La liturgia esprime in molte preghiere questa unità del sacrificio e della Comunione. La Chiesa di Roma, ad esempio, prega così nella sua anafora: «Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa’ che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull’altare del cielo davanti alla tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo mistero del Corpo e Sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo».
«PRENDETE E MANGIATENE TUTTI»: LA COMUNIONE
1384 – Il Signore ci rivolge un invito pressante a riceverlo nel sacramento dell’Eucaristia: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la Carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo Sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,53).
1385 – Per rispondere a questo invito dobbiamo prepararci a questo momento così grande e così santo. San Paolo esorta a un esame di coscienza: «Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1 Cor 11,27-29). Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione.
1386 – Davanti alla grandezza di questo sacramento, il fedele non può che fare sua con umiltà e fede ardente la supplica del centurione:«Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea» «O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato». Nella divina liturgia di san Giovanni Crisostomo i fedeli pregano con lo stesso spirito: «O Figlio di Dio, fammi oggi partecipe del tuo mistico convito. Non svelerò il mistero ai tuoi nemici, e neppure ti darò il bacio di Giuda. Ma, come il ladrone, io ti dico: Ricordati di me, Signore, quando sarai nel tuo regno.
1387 – Per prepararsi in modo conveniente a ricevere questo sacramento, i fedeli osserveranno il digiuno prescritto nella loro Chiesa. L’atteggiamento del corpo (gesti, abiti) esprimerà il rispetto, la solennità, la gioia di questo momento in cui Cristo diventa nostro ospite.
1388 – È conforme al significato stesso dell’Eucaristia che i fedeli, se hanno le disposizioni richieste, si comunichino quando partecipano alla Messa: «Si raccomanda molto quella partecipazione più perfetta alla Messa, per la quale i fedeli, dopo la Comunione del sacerdote, ricevono il Corpo del Signore dal medesimo sacrificio».
1389 – La Chiesa fa obbligo ai fedeli di «partecipare alla divina liturgia la domenica e le feste» e di ricevere almeno una volta all’anno l’Eucaristia, possibilmente nel tempo pasquale, preparati dal sacramento della Riconciliazione. La Chiesa tuttavia raccomanda vivamente ai fedeli di ricevere la santa Eucaristia la domenica e i giorni festivi, o ancora più spesso, anche tutti i giorni.
1390 – In virtù della presenza sacramentale di Cristo sotto ciascuna specie, la Comunione con la sola specie del pane permette di ricevere tutto il frutto di grazia dell’Eucaristia. Per motivi pastorali questo modo di fare la Comunione si è legittimamente stabilito come il più abituale nel rito latino. Tuttavia «la santa Comunione esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. In essa risulta infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico». Questa è la forma abituale di comunicarsi nei riti orientali.
I FRUTTI DELLA COMUNIONE
1391 – La Comunione accresce la nostra unione a Cristo. Ricevere l’Eucaristia nella Comunione reca come frutto principale l’unione intima con Cristo Gesù. Il Signore infatti dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,56). La vita in Cristo ha il suo fondamento nel banchetto eucaristico: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57): Quando, nelle feste (del Signore), i fedeli ricevono il Corpo del Figlio, essi annunziano gli uni agli altri la Buona Notizia che è stata donata la caparra della vita, come quando l’angelo disse a Maria (di Magdala): “Cristo è risorto!”. Ecco infatti che già ora la vita e la risurrezione sono elargite a colui che riceve Cristo.
1392 – Ciò che l’alimento materiale produce nella nostra vita fisica, la Comunione lo realizza in modo mirabile nella nostra vita spirituale. La Comunione alla Carne del Cristo risorto, «vivificata dallo Spirito Santo e vivificante», conserva, accresce e rinnova la vita di grazia ricevuta nel Battesimo. La crescita della vita cristiana richiede di essere alimentata dalla Comunione eucaristica, pane del nostro pellegrinaggio, fino al momento della morte, quando ci sarà dato come viatico.
1393 – La Comunione ci separa dal peccato. Il Corpo di Cristo che riceviamo nella Comunione è «dato per noi», e il Sangue che beviamo è «sparso per molti in remissione dei peccati». Perciò l’Eucaristia non può unirci a Cristo senza purificarci, nello stesso tempo, dai peccati commessi e preservarci da quelli futuri: Ogni volta che lo riceviamo, annunziamo la morte del Signore. Se annunziamo la morte, annunziamo la remissione dei peccati. Se, ogni volta che il suo sangue viene sparso, viene sparso per la remissione dei peccati, devo riceverlo sempre, perché sempre mi rimetta i peccati. Io che pecco sempre, devo sempre disporre della medicina.
1394 – Come il cibo del corpo serve a restaurare le forze perdute, l’Eucaristia fortifica la carità che, nella vita di ogni giorno, tende ad indebolirsi; la carità così vivificata cancella i peccati veniali. Donandosi a noi, Cristo ravviva il nostro amore e ci rende capaci di troncare gli attaccamenti disordinati alle creature e di radicarci in lui: «Cristo è morto per noi per amore. Perciò quando facciamo memoria della sua morte, durante il sacrificio, invochiamo la venuta dello Spirito Santo quale dono di amore. La nostra preghiera chiede quello stesso amore per cui Cristo si è degnato di essere crocifisso per noi. Anche noi, mediante la grazia dello Spirito Santo, possiamo essere crocifissi al mondo e il mondo a noi. […] Avendo ricevuto il dono dell’amore moriamo al peccato e viviamo per Dio».
1395 – Proprio per la carità che accende in noi, l’Eucaristia ci preservo in futuro dai peccati mortali. Quanto più partecipiamo alla vita di Cristo e progrediamo nella sua amicizia, tanto più ci è difficile separarci da lui con il peccato mortale. L’Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali. Questo è proprio del sacramento della Riconciliazione. Il proprio dell’Eucaristia è invece di essere il sacramento di coloro che sono nella piena comunione della Chiesa.
1396 – L’unità del corpo mistico: l’Eucaristia fa la Chiesa. Coloro che ricevono l’Eucaristia sono uniti più strettamente a Cristo. Per ciò stesso, Cristo li unisce a tutti i fedeli in un solo corpo: la Chiesa. La Comunione rinnova, fortifica, approfondisce questa incorporazione alla Chiesa già realizzata mediante il Battesimo. Nel Battesimo siamo stati chiamati a formare un solo corpo. L’Eucaristia realizza questa chiamata: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il Sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor 10,16-17): Se voi siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il vostro mistero, ricevete il vostro mistero. A ciò che siete rispondete: Amen, e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: Il Corpo di Cristo e tu rispondi: Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen.
1397 – L’Eucaristia in pegno nei confronti dei poveri. Per ricevere nella verità il Corpo e il Sangue di Cristo offerti per noi, dobbiamo riconoscere Cristo nei più poveri, suoi fratelli: «Tu hai bevuto il Sangue del Signore e non riconosci tuo fratello. […] Tu disonori questa stessa mensa, non giudicando degno che condivida il tuo cibo colui che è stato ritenuto degno di partecipare a questa mensa. […] Dio ti ha liberato da tutti i tuoi peccati e ti ha invitato a questo banchetto. E tu, nemmeno per questo, sei divenuto più misericordioso.
1398 – L’Eucaristia e l’unità dei cristiani. Davanti alla sublimità di questo sacramento, sant’Agostino esclama: «O sacramentum pietatis! O signum unitatis! O vinculum caritatis! – O sacramento di pietà! O segno di unità! O vincolo di carità!». Quanto più dolorosamente si fanno sentire le divisioni della Chiesa che impediscono la comune partecipazione alla mensa del Signore, tanto più pressanti sono le preghiere al Signore perché ritornino i giorni della piena unità di tutti Coloro che credono in lui.
1399 – Le Chiese Orientali che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica celebrano l’Eucaristia con grande amore. «Quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite a noi da strettissimi vincoli», quindi «una certa comunicazione nelle cose sacre, presentandosi opportune circostanze e con l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, non solo é possibile, ma anche consigliabile.
1400 – Le comunità ecclesiali sorte dalla Riforma, separate dalla Chiesa cattolica, «specialmente per la mancanza del sacramento dell’Ordine, non hanno conservato la genuina ed integra sostanza del mistero eucaristico. Per questo motivo, non é possibile, per la Chiesa cattolica, l’intercomunione eucaristica con queste comunità. Tuttavia, queste comunità ecclesiali, «mentre nella santa Cena fanno memoria della morte e della risurrezione del Signore, professano che nella Comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa.
1401 – La presenza di una grave necessità, a giudizio dell’Ordinario, i ministri cattolici possono amministrare i sacramenti (Eucaristia, Penitenza, Unzione degli infermi) agli altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, purché li chiedano spontaneamente: è necessario in questi casi che essi manifestino la fede cattolica a riguardo di questi sacramenti e che si trovino nelle disposizioni richieste.
VII. L’Eucaristia – «Pegno della gloria futura».
1402 – In un’antica preghiera, la Chiesa acclama il mistero dell’Eucaristia: «O sacrum convivium in quo Christus sumitur: recolitur memoria passionis eius, mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur – O sacro convito nel quale ci nutriamo di Cristo: si fa memoria della sua passione, l’anima è ricolmata di grazia e ci è donato il pegno della gloria futura», Se l’Eucaristia è il memoriale della pasqua del Signore, se mediante la nostra Comunione all’altare veniamo ricolmati «di ogni grazia e benedizione del cielo», l’Eucaristia è pure anticipazione della gloria del cielo.
1403 – Nell’ultima Cena il Signore stesso ha fatto volgere lo sguardo dei suoi discepoli verso il compimento della pasqua nel regno di Dio: «Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio» (Mt26,29). Ogni volta che la Chiesa celebra l’Eucaristia, ricorda questa promessa e il suo sguardo si volge verso «Colui che viene» (Ap 1,4). Nella preghiera, essa invoca la sua venuta: «Marana tha» (1 Cor 16,22), «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20), «Venga la tua grazia e passi questo mondo!».
1404 – La Chiesa sa che, fin d’ora, il Signore viene nella sua Eucaristia e che egli è lì, in mezzo a noi. Tuttavia questa presenza è nascosta. È per questo che celebriamo l’Eucaristia «expectantes beatam spem et Adventum Salvatoris nostri Iesu Christi – nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo», chiedendo «di ritrovarci insieme a godere della tua gloria quando, asciugata ogni lacrima, i nostri occhi vedranno il tuo volto e noi saremo simili a te, e canteremo per sempre la tua lode, in Cristo, nostro Signore».
1405 – Di questa grande speranza, quella dei nuovi cieli e della terra nuova nei quali abiterà la giustizia, non abbiamo pegno più sicuro, né segno più esplicito dell’Eucaristia. Ogni volta infatti che viene celebrato questo mistero, «si effettua l’opera della nostra redenzione», e noi spezziamo «l’unico pane, che è farmaco d’immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere in Gesù Cristo per sempre».
In sintesi
1406 – Gesù dice: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivra’ in eterno. […] Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha lo vita eterna, […] dimora in me e io in lui» Gv 6,51.54.56).
1407 – L’Eucaristia è il cuore e il culmine della vita della Chiesa, poiché in essa Cristo associa la sua Chiesa e tutti i suoi membri al proprio sacrificio di lode e di rendimento di grazie offerto al Padre una volta per tutte sulla croce; mediante questo sacrificio egli effonde le grazie della salvezza sul suo corpo, che é la Chiesa.
1408 – La celebrazione eucaristica comporta sempre: la proclamazione della Parola di Dio, l’azione di grazie a Dio Padre per tutti i suoi benefici, soprattutto per il dono del suo Figlio, la consacrazione del pane e del vino e la partecipazione al banchetto liturgico mediante la ricezione del Corpo e del Sangue del Signore. Questi elementi costituiscono un solo e medesimo atto di culto.
1409 – L’Eucaristia è il memoriale della pasqua di Cristo, cioè dell’opera della salvezza compiuta per mezzo della vita, della morte e della risurrezione di Cristo, opera che viene resa presente dall’azione liturgico.
1410 – È Cristo stesso, Sommo ed eterno Sacerdote della Nuova Alleanza, che, agendo attraverso il ministero dei sacerdoti, offre il sacrificio eucaristico. Ed è ancora lo stesso Cristo, realmente presente sotto le specie del pane e del vino, l’offerta del sacrificio eucaristico.
1411 – Soltanto i sacerdoti validamente ordinati possono presiedere l’Eucaristia e consacrare il pane e il vino perché diventino il Corpo e il Sangue del Signore.
1412 – I segni essenziali del sacramento eucaristico sono il pane di grano e il vino della vite, sui quali viene invocata la benedizione dello Spirito Santo e il sacerdote pronunzia le parole dello consacrazione dette da Gesù durante l’ultima Cena: «Questo è il mio Corpo doto per voi. (…) Questo è il calice del mio Sangue».
1413 – Mediante la consacrazione si opera la transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Sotto le specie consacrate del pane e del vino, Cristo stesso, vivente e glorioso, è presente in maniera vera, reale e sostanziale, il suo Corpo e Sangue con la sua anima e divinità.
1414 – In quanto sacrificio, l’Eucaristia viene anche offerta in riparazione dei peccati dei vivi e dei defunti, e al fine di ottenere da Dio benefici spirituali o temporali.
1415 – Chi vuole ricevere Cristo nella Comunione eucaristica deve essere in stato di grazia. Se uno è consapevole di aver peccato mortalmente, non deve accostarsi all’Eucaristia senza prima aver ricevuto l’assoluzione nel sacramento della Penitenza.
1416 – La santa Comunione al Corpo e al Sangue di Cristo accresce in colui che si comunica l’unione con il Signore, gli rimette i peccati veniali e lo preservo dai peccati gravi. Poiché vengono rafforzati i vincoli di carità tra colui che si comunica e Cristo, ricevere questo sacramento rafforza l’unità della Chiesa, corpo mistico di Cristo.
1417 – La Chiesa raccomanda vivamente ai fèdeli di ricevere la santa Comunione quando partecipano alla celebrazione dell’Eucaristia; ne fa loro obbligo almeno una volta all’anno.
1418 – Poiché Cristo stesso è presente nel Sacramento dell’altare, bisogna onorario con un culto di adorazione. La visita al Santissimo Sacramento «è prova di gratitudine, segno di amore e debito di riconoscenza a Cristo Signor ».
1419 – Poiché Cristo è passato da questo mondo al Padre, nell’Eucaristia ci dona il pegno della gloria futura presso di lui:la partecipazione al santo sacrificio ci identifica con il suo cuore, sostiene le nostre fede lungo il pellegrinaggio di questa vita, ci fà desiderare la vita eterna e già ci unisce alla Chiesa del cielo, allo beatissimo Vergine e a tutti i santi.
CAPITOLO SECONDO
I SACRAMENTI DI GUARIGIONE
1420 – Attraverso i sacramenti dell’iniziazione cristiana, l’uomo riceve la vita nuova di Cristo. Ora, questa vita, noi la portiamo «in vasi di creta» (2 Cor 4,7). Adesso è ancora «nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3). Noi siamo ancora nella nostra abitazione terrena, sottomessa alla sofferenza, alla malattia e alla morte. Questa vita nuova di figlio di Dio può essere indebolita e persino perduta a causa del peccato.
1421 – Il Signore Gesù Cristo, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, colui che ha rimesso i peccati al paralitico e gli ha reso la salute del corpo, ha voluto che la sua Chiesa continui, nella forza dello Spirito Santo, la sua opera di guarigione e di salvezza, anche presso le proprie membra. È lo scopo dei due sacramenti di guarigione: del sacramento della Penitenza e dell’Unzione degli infermi.
Articolo 4
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E DELLA RICONCILIAZIONE
1422 – «Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera».
I. Come viene chiamato questo sacramento?
1423 – È chiamato sacramento della Conversione poiché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione, il cammino di ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato. È chiamato sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore.
1424 – È chiamato sacramento della Confessione poiché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. In un senso profondo esso è anche una «confessione», riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore. È chiamato sacramento del Perdono poiché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente «il perdono e la pace». È chiamato sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia: « Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Colui che vive dell’amore misericordioso di Dio è pronto a rispondere all’invito del Signore: «Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello» (Mi 5,24)
II. Perché un sacramento della Riconciliazione dopo il Battesimo?
1425 – «Siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!» (1Cor 6,11). Bisogna rendersi conto della grandezza del dono di Dio, che ci è fatto nei sacramenti dell’iniziazione cristiana, per capire fino a che punto il peccato è cosa non ammessa per colui che si è rivestito di Cristo. L’apostolo san Giovanni però afferma anche: «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1 Gv 1,8). E il Signore stesso ci ha insegnato a pregare: «Perdonaci i nostri peccati» (Lc 11,4), legando il mutuo perdono delle nostre offese al perdono che Dio accorderà alle nostre colpe.
1426 – La conversione a Cristo, la nuova nascita dal Battesimo, il dono dello Spirito Santo, il Corpo e il Sangue di Cristo ricevuti in nutrimento, ci hanno resi «santi e immacolati al suo cospetto» (Ef’ 1,4), come la Chiesa stessa, Sposa di Cristo, è «santa e immacolata»(Ef 5,27) davanti a lui. Tuttavia, la vita nuova ricevuta nell’iniziazione cristiana non ha soppresso la fragilità e la debolezza della natura umana, né l’inclinazione al peccato che la tradizione chiama concupiscenza, la quale rimane nei battezzati perché sostengano le loro prove nel combattimento della vita cristiana, aiutati dalla grazia di Cristo. Si tratta del combattimento della conversione in vista della santità e della vita eterna alla quale il Signore non cessa di chiamarci
III. La conversione dei battezzati.
1427 – Gesù chiama alla conversione. Questo appello è una componente essenziale dell’annuncio del Regno: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è ormai vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc l,T5). Nella predicazione della Chiesa questo invito si rivolge dapprima a quanti non conoscono ancora Cristo e il suo Vangelo. Il Battesimo è quindi il luogo principale della prima e fondamentale conversione. E mediante la fede nella Buona Novella e mediante il Battesimo che si rinuncia al male e si acquista la salvezza, cioè la remissione di tutti i peccati e il dono della vita nuova.
1428 – Ora, l’appello di Cristo alla conversione continua a risuonare nella vita dei cristiani. Questa seconda conversione è un impegno continuo per tutta la Chiesa che «comprende nel suo seno i peccatori» e che, «santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento »~” Questo sforzo di conversione non è soltanto un’opera umana. È il dinamismo del «cuore 1996 contrito » attirato e mosso dalla grazia 1a rispondere all’amore misericordioso di Dio che ci ha amati per primo.
1429 – Lo testimonia la conversione di san Pietro dopo il triplice rinnegamento del suo Maestro. Lo sguardo d’infinita misericordia di Gesù provoca le lacrime del pentimento e, dopo la risurrezione del Signore, la triplice confessione del suo amore per lui. La seconda conversione ha pure una dimensione comunitaria. Ciò appare nell’appello del Signore ad un’intera Chiesa: « Ravvediti! » (Ap 2,5.T6
IV. La penitenza interiore.
1430 – Come già nei profeti, l’appello di Gesù alla conversione e alla penitenza non riguarda anzitutto opere esteriori, «il sacco e la cenere», i digiuni e le mortificazioni, ma la conversione del cuore, la penitenza intenore. Senza di essa, le opere di penitenza rimangono sterili e menzognere; la conversione interiore spinge invece all’espressione i questo atteggiamento in segni visibili, gesti e opere di penitenza.
1431 – La penitenza interiore è un radicale nuovo orientamento di tutta la vita, un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato, un’avversione per il male, insieme con la riprovazione nei confronti delle cattive azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo, essa comporta il desiderio e la risoluzione di cambiare vita con la speranza nella misericordia di Dio e la fiducia nell’aiuto della sua grazia. Questa conversione del cuore è accompagnata da un dolore e da una tristezza salutari, che i Padri hanno chiamato «animi cruciatus [afflizione dello spirito]», «compunctio cordis [contrizione del cuore]
1432 – Il cuore dell’uomo è pesante e indurito. Bisogna che Dio conceda all’uomo un cuore nuovo. La conversione è anzitutto un’opera della grazia di Dio che fa ritornare a lui i nostri cuori: «Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo» (Lam 5,21). Dio ci dona la forza di ricominciare. E scoprendo la grandezza dell’amore di Dio che il nostro cuore viene scosso dall’orrore e dal peso del peccato e comincia a temere di offendere Dio con il peccato e di essere separato da lui. Il cuore umano si converte guardando a colui che è stato trafitto dai nostri peccati. «Teniamo fisso lo sguardo sul sangue di Cristo, e consideriamo quanto sia prezioso per Dio, suo Padre; infatti, sparso per la nostra salvezza, offri al mondo intero la grazia della conversione».
1433 – Dopo la pasqua, è lo Spirito Santo che convince il mondo quanto al peccato, cioè al fatto che il mondo non ha creduto in colui che il Padre ha inviato. Ma questo stesso Spirito, che svela il peccato, è il Consolatore che dona al cuore dell’uomo la grazia del pentimento e della conversione
V. Le molteplici forme della penitenza nella vita cristiana.
1434 – La penitenza interiore del cristiano può avere espressioni molto varie. La Scrittura e i Padri insistono soprattutto su tre forme: il digiuno, la preghiera, l’elemosina che esprimono la conversione in rapporto a se stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli altri. Accanto afla purificazione radicale Operata dal Battesimo o dal martirio, essi indicano, come mezzo per ottenere il perdono dei peccati, gli sforzi compiuti per riconciliarsi con il prossimo, le lacrime di penitenza, la preoccupazione per la salvezza del prossimo,27 l’intercessione dei santi e la pratica della carità che «copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8).
1435 – La conversione si realizza nella vita quotidiana attraverso gesti di riconciliazione, attraverso la sollecitudine per i poveri, l’esercizio e la difesa della giustizia e del diritto, attraverso la confessione delle colpe ai fratelli, la correzione fraterna, la revisione di vita, l’esame di coscienza, la direzione spirituale, l’accettazione delle sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia. Prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più sicura della penitenza.
1436 – Eucaristia e Penitenza. La conversione e la penitenza quotidiane trovano la lor~ sorgente e il loro alimento nefl’Eucaristia, poiché in essa è reso presente il sacrificio di Cristo che ci ha riconciliati coli Dio; per suo mezzo vengono nutriti e fortificati coloro che vivono defla vita di Cristo; essa «è come l’antidoto con cui essere liberati dalle colpe di ogni giorno e preservati dai peccati mortali».
1437 – La lettura della Sacra Scrittura, la preghiera della liturgia delle Ore e del «Padre nostro», ogni atto sincero di culto o di pietà ravviva in noi lo spirito di conversione e di penitenza e contribuisce al perdono dei nostri peccati.
1438 – I tempi e i giorni di penitenza nel corso dell’anno liturgico (il tempo defla Quaresima, ogni venerdì in memoria della morte del Signore) sono momenti forti della pratica penitenziale della Chiesa. Questi tempi sono particolarmente adatti per gli esercizi spirituali, le liturgie penitenziali, i pellegrinaggi in segno di penitenza, le privazioni volontarie come il digiuno e l’elemosina, la condivisione fraterna (opere caritative e missionarie).
1439 – Il dinamismo della conversione e della penitenza è stato meravigliosamente descritto da Gesù nella parabola detta «del figlio prodigo» il cui centro è «il padre misericordioso»: il fascino di una libertà illusoria, l’abbandono della casa paterna; la miseria estrema nella quale il figlio viene a trovarsi dopo aver dilapidato la sua fortuna; l’umiliazione profonda di vedersi costretto a pascolare i porci, e, peggio ancora, quella di desiderare di nutrirsi delle carrube che mangiavano i maiali; la riflessione sui beni perduti; il pentimento e la decisione di dichiararsi colpevole davanti a suo padre; il cammino del ritorno; l’accoglienza generosa da parte del padre; la gioia del padre: ecco alcuni tratti propri del processo di conversione. L’abito bello, l’anello e il banchetto di festa sono simboli della vita nuova, pura, dignitosa, piena di gioia che è la vita dell’uomo che ritorna a Dio e in seno alla sua famiglia, la Chiesa. Soltanto il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell’amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l’abisso della sua misericordia in una maniera così piena dì semplicità e di bellezza.
VI. Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione.
1440 – Il peccato è anzitutto offesa a Dio, rottura della comunione con lui. Nello stesso tempo esso attenta alla comunione con la Chiesa. Per questo motivo la conversione arreca ad un tempo il perdono di Dio e la riconciliazione con la Chiesa, ciò che il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione esprime e realizza liturgicamente.
DIO SOLO PERDONA IL PECCATO
1441 – Dio solo perdona i peccati. Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli dice di se stesso: «Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati» (Mc 2,10) ed esercita questo potere divino: «Ti sono rimessi i tuoi peccati!» (Mc 2,5. Ancor di più: in virtù della sua autorità divina dona tale potere agli uomini affinché lo esercitino nel suo nome.
1442 – Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico. A questo è affidato il «ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18). L’Apostolo è inviato «nel nome di Cristo», ed è Dio stesso che, per mezzo di lui, esorta e supplica: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20).
RICONCILIAZIONE CON LA CHIESA
1443 – Durante la sua vita pubblica, Gesù non ha soltanto perdonato i peccati; ha pure manifestato l’effetto di questo perdono: egli ha reintegrato i peccatori perdonati nella comunità del popolo di Dio, dalla quale il peccato li aveva allontanati o persino esclusi. Un segno chiaro di ciò è il fatto che Gesù ammette i peccatori alla sua tavola; più ancora, egli stesso siede alla loro mensa, gesto che esprime in modo sconvolgente il perdono di Dio e, nello stesso tempo, il ritorno in seno al popolo di Dio.
1444 – Rendendo gli Apostoli partecipi del suo proprio potere di perdonare i peccati, il Signore dà loro anche l’autorità di riconciliare i peccatori con la Chiesa. Tale dimensione ecclesiale del loro ministero trova la sua più chiara espressione nella solenne parola di Cristo a Simon Pietro: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19). Questo «incarico di legare e dì sciogliere, che è stato dato a Pietro, risulta essere stato pure concesso al collegio degli Apostoli, unito col suo capo (cf Mt 18,18; 28,16-20)».
1445 – Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio.
IL SACRAMENTO DEL PERDONO
1446 – Cristo ha istituito il sacramento della Penitenza per tutti i membri peccatori della sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato grave e hanno così perduto la grazia battesimale e inflitto una ferita alla comunione ecclesiale. A costoro il sacramento della Penitenza offre una nuova possibilità di convertirsi e di recuperare la grazia della giustificazione. I Padri della Chiesa presentano questo sacramento come «la seconda tavola [di salvezza] dopo il naufragio della grazia perduta.
1447 – Nel corso dei secoli la forma concreta, secondo la quale la Chiesa ha esercitato questo potere ricevuto dal Signore, ha subito molte variazioni. Durante i primi secoli, la riconciliazione dei cristiani che avevano commesso peccati particolarmente gravi dopo il loro Battesimo (per esempio l’idolatria, l’omicidio o l’adulterio), era legata ad una disciplina molto rigorosa, secondo la quale i penitenti dovevano fare pubblica penitenza per i loro peccati, spesso per lunghi anni, prima di ricevere la riconciliazione. A questo ordine dei penitenti (che riguardava soltanto certi peccati gravi) non si era ammessi che raramente e, in talune regioni, una sola volta durante la vita. Nel settimo secolo, ispirati dalla tradizione monastica d’Oriente, i missionari irlandesi portarono nell’Europa continentale la pratica «privata» della penitenza, che non esige il compimento pubblico e prolungato di opere di penitenza prima di ricevere la riconciliazione con la Chiesa. Il sacramento si attua ormai in una maniera più segreta tra il penitente e il sacerdote. Questa nuova pratica prevedeva la possibilità della reiterazione e apriva così la via ad una frequenza regolare di questo sacramento. Essa permetteva di integrare in una sola celebrazione sacramentale il perdono dei peccati gravi e dei peccati veniali. È questa, a grandi linee, la forma di Penitenza che la Chiesa pratica fino ai nostri giorni.
1448 – Attraverso i cambiamenti che la disciplina e la celebrazione di questo sacramento hanno conosciuto nel corso dei secoli, si discerne la medesima struttura fondamentale. Essa comporta due elementi ugualmente essenziali: da una parte, gli atti dell’uomo che si converte sotto l’azione dello Spirito Santo: cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; dall’altra parte, l’azione di Dio attraverso l’intervento della Chiese. La Chiesa che, mediante il Vescovo e i suoi presbìteri, concede nel nome dì Gesù Cristo il perdono dei peccati e stabilisce la modalità della soddisfazione, prega anche per il peccatore e fa penitenza con lui. Così il peccatore viene guarito e ristabilito nella comunione ecclesiale.
1449 – La formula di assoluzione in uso nella Chiesa latina esprime gli elementi essenziali di questo sacramento: il Padre delle misericordie è la sorgente di ogni perdono. Egli realizza la riconciliazione dei peccatori mediante la pasqua del suo Figlio e il dono del suo Spirito, attraverso la preghiera e il ministero della Chiesa: «Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
VII. Gli atti del penitente.
1450 – «La penitenza induce il peccatore a sopportare di buon animo ogni sofferenza; nel suo cuore vi sia la contrizione, nella sua bocca la confessione, nelle sue opere tutta l’umiltà e la feconda soddisfazione».
LA CONTRIZIONE
1451 – Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa è «il dolore dell’animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire.
1452 – Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta «perfetta » (contrizione di carità). Tale contrizione rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale.
1453 – La contrizione detta «imperfetta» (o «attrizione») è, anch’essa, un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo. Nasce dalla considerazione della bruttura del peccato o dal timore della dannazione eterna e delle altre pene la cui minaccia incombe sul peccatore (contrizione da timore). Quando la coscienza viene così scossa, può aver inizio un’evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto l’azione della grazia, dall’assoluzione sacramentale. Da sola, tuttavia, la contrizione imperfetta non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza.
1454 – È bene prepararsi a ricevere questo sacramento con un esame di coscienza fatto alla luce della Parola di Dio. I testi più adatti a questo scopo sono da cercarsi nel Decalogo e nella catechesi morale dei Vangeli e delle lettere degli Apostoli: il discorso della montagna, gli insegnamenti apostolici.
LA CONFESSIONE DEI PECCATI
1455 – La confessione dei peccati (l’accusa), anche da un punto di vista semplicemente umano, ci libera e facilita la nostra riconciliazione con gli altri. Con l’accusa, l’uomo guarda in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne assume la responsabilità e, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla comunione della Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire.
1456 – La confessione al sacerdote costituisce una parte essenziale del sacramento della Penitenza: «È necessario che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo, perché spesso feriscono più gravemente l’anima e si rivelano più pericolosi di quelli chiaramente commessi»: «I cristiani [che] si sforzano di confessare tutti i peccati che vengono loro in mente, senza dubbio li mettono tutti davanti alla divina misericordia perché li perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e tacciono consapevolmente qualche peccato, é come se non sottoponessero nulla alla divina bontà perché sia perdonato per mezzo del sacerdote. “Se infatti l’ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non può curare quello che non conosce“.
1457 – Secondo il precetto della Chiesa, Ogni fedele, raggiunta l’età della discrezione, è tenuto all’obbligo di confessare fedelmente i propri peccati gravi, almeno una volta nell’anno. Colui che è consapevole di aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, anche se prova una grande contrizione, senza aver prima ricevuto l’assoluzione sacramentale, a meno che non abbia un motivo grave per comunicarsi e non gli sia possibile accedere a un confessore. I fanciulli devono accostarsi al sacramento della Penitenza prima di ricevere per la prima volta la santa Comunione.
1458 – Sebbene non sia strettamente necessaria, la confessione delle colpe quotidiane (peccati veniali) è tuttavia vivamente raccomandata dalla Chiesa. In effetti, la confessione regolare dei peccati veniali ci aiuta a formare la nostra coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, a progredire nella vita dello Spirito. Ricevendo più frequentemente, attraverso questo sacramento, il dono della misericordia del Padre, siamo spinti ad essere misericordiosi come lui: «Chi riconosce i propri peccati e li condanna, è già d’accordo con Dio. Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio. L’uomo e il peccatore sono due cose distinte: l’uomo è opera di Dio, il peccatore è opera tua, o uomo. Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto. […] Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le opere buone cominciano col riconoscimento delle opere cattive. Operi la verità, e così vieni alla Luce »
LA SODDISFAZIONE
1459 – Molti peccati recano offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare (ad esempio restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato, risanare le ferite). La semplice giustizia lo esige. Ma, in più, il peccato ferisce e indebolisce il peccatore stesso, come anche le sue relazioni con Dio e con il prossimo. L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o «espiare» i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza».
1460 – La penitenza che il confessore impone deve tener conto della situazione personale del penitente e cercare il suo bene spirituale. Essa deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati commessi. Può consistere nella preghiera, in un’offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare. Tali penitenze ci aiutano a configurarci a Cristo che, solo, ha espiato per i nostri peccati una volta per tutte. Esse ci permettono di diventare coeredi di Cristo risorto, dal momento che «partecipiamo alle sue sofferenze» (Rm 8,17): «Ma questa soddisfazione, che campiamo per i nostri peccati, non è talmente nostra da non esistere per mezzo di Gesù Cristo: noi, infatti, che non possiamo nulla da noi stessi. col suo aiuto “possiamo tutto in lui che ci dà la forza”. Quindi l’uomo non ha di che gloriarsi; ma ogni nostro vanto è riposto in Cristo, […] in cui offriamo soddisfazione, “facendo opere degne della conversione”, che da lui traggono il loro valore, da lui sono offerte al Padre e grazie a lui sono accettate dal Padre».
VIII. Il ministro di questo sacramento.
1461 – Poiché Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della riconciliazione, i Vescovi, loro successori, e i presbiteri, collaboratori dei Vescovi, continuano ad esercitare questo ministero. Infatti sono i Vescovi e i presbiteri che hanno, in virtù del sacramento dell’Ordine, il potere di perdonare tutti i peccati «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
1462 – Il perdono dei peccati riconcilia con Dio ma anche con la Chiesa. Il Vescovo, capo visibile della Chiesa particolare, è dunque considerato a buon diritto, sin dai tempi antichi, come colui che principalmente ha il potere e il ministero della riconciliazione: è il moderatore della disciplina penitenziale. I presbiteri, suoi collaboratori, esercitano tale potere nella misura in cui ne hanno ricevuto l’ufficio sia dal proprio Vescovo (o da un superiore religioso), sia dal Papa, in base al diritto della Chiesa.
1463 – Alcuni peccati particolarmente gravi sono colpiti dalla scomunica, la pena ecclesiastica più severa, che impedisce di ricevere i sacramenti e di compiere determinati atti ecclesiastici, e la cui assoluzione, di conseguenza, non può essere accordata, secondo il diritto della Chiesa, che dal Papa, dal Vescovo del luogo o da presbiteri da loro autorizzati. In caso di pericolo di morte, ogni sacerdote, anche se privo della facoltà di ascoltare le confessioni, può assolvere da qualsiasi peccato e da qualsiasi scomunica.
1464 – I sacerdoti devono incoraggiare i fedeli ad accostarsi al sacramento della Penitenza e devono mostrarsi disponibili a celebrare questo sacramento ogni volta che i cristiani ne facciano ragionevole richiesta.
1465 – Celebrando il sacramento della Penitenza, il sacerdote compie il ministero del buon pastore che cerca la pecora perduta, quello del buon Samaritano che medica le ferite, del padre che attende il figlio prodigo e lo accoglie al suo ritorno, del giusto giudice che non fa distinzione di persone e il cui giudizio è ad un tempo giusto e misericordioso. Insomma, il sacerdote è il segno e lo strumento dell’amore misericordioso di Dio verso il peccatore.
1466 – Il confessore non è il padrone, ma il servitore del perdono di Dio. Il ministro di questo sacramento deve unirsi all’intenzione e alla carità di Cristo. Deve avere una provata conoscenza del comportamento cristiano, l’esperienza delle realtà umane, il rispetto e la delicatezza nei confronti di colui che è caduto; deve amare la verità, essere fedele al Magistero della Chiesa e condurre con pazienza il penitente verso la guarigione e la piena maturità. Deve pregare e fare penitenza per lui, affidandolo alla misericordia del Signore.
1467 – Data la delicatezza e la grandezza di questo ministero e il rispetto dovuto alle persone, la Chiesa dichiara che ogni sacerdote che ascolta le confessioni è obbligato, sotto pene molto severe, a mantenere un segreto assoluto riguardo ai peccati che i suoi penitenti gli hanno confessato. Non gli è lecito parlare neppure di quanto viene a conoscere, attraverso la confessione, della vita dei penitenti. Questo segreto, che non ammette eccezioni, si chiama il «sigillo sacramentale», poiché ciò che il penitente ha manifestato al sacerdote rimane «sigillato» dal sacramento.
IX. Gli effetti di questo sacramento.
1468 – «Tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia». Il fine e l’effetto di questo sacramento sono dunque la riconciliazione con Dio. Coloro che ricevono il sacramento della Penitenza con cuore contrito e in una disposizione religiosa conseguono «la pace e la serenità della coscienza insieme a una vivissima consolazione dello spirito». Infatti, il sacramento della Riconciliazione con Dio opera una autentica «risurrezione spirituale», restituisce la dignità e i beni della vita dei figli di Dio, di cui il più prezioso è l’amicizia di Dio.
1469 – Questo sacramento ci riconcilia con la Chiesa. Il peccato incrina o infrange la comunione fraterna. Il sacramento della Penitenza la ripara o la restaura. In questo senso, non guarisce soltanto colui che viene ristabilito nella comunione ecclesiale, ma ha pure un effetto vivificante sulla vita della Chiesa che ha sofferto a causa del peccato di uno dei suoi membri. Ristabilito o rinsaldato nella comunione dei santi, il peccatore viene fortificato dallo scambio dei beni spirituali tra tutte le membra vive del corpo di Cristo, siano esse ancora nella condizione di pellegrini o siano già nella patria celeste. «Bisogna aggiungere che tale riconciliazione con Dio ha come conseguenza, per così dire, altre riconciliazioni, che rimediano ad altrettante rotture, causate dal peccato: il penitente perdonato si riconcilia con se stesso nel fondo più intimo del proprio essere, in cui ricupera la propria verità interiore; si riconcilia con i fratelli, da lui in qualche modo offesi e lesi; si riconcilia con la Chiesa; si riconcilia con tutto il creato».
1470 – In questo sacramento, il peccatore, rimettendosi al giudizio misericordioso di Dio, anticipa in un certo modo il giudizio al quale sarà sottoposto al termine di questa esistenza terrena. E’ infatti ora, in questa vita, che ci è offerta la possibilità di scegliere tra la vita e la morte, ed è soltanto attraverso il cammino della conversione che possiamo entrare nel regno di Dio, dal quale il peccato grave esclude. Convertendosi a Cristo mediante la penitenza e la fede, il peccatore passa dalla morte alla vita «e non va incontro al giudizio» (Gv 5,24).
X. Le indulgenze.
1471 – La dottrina e la pratica delle indulgenze nella Chiesa sono strettamente legate agli effetti del sacramento della Penitenza.
CHE COSE’ L’INDULGENZA?
«L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi». «L’indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati». «Ogni fedele può acquisire le indulgenze […] per se stesso o applicarle ai defunti».
LE PENE DEL PECCATO
1472 – Per comprendere questa dottrina e questa pratica della Chiesa bisogna tener presente che il peccato ha una duplice conseguenza.Il peccato grave ci priva della comunione con Dio e perciò ci rende incapaci di conseguire la vita eterna, la cui privazione è chiamata la «pena eterna» del peccato. D’altra parte, ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio. Tale purificazione libera dalla cosiddetta «pena temporale» del peccato. Queste due pene non devono essere concepite come una specie di vendetta, che Dio infligge dall’esterno, bensì come derivanti dalla natura stessa del peccato. Una conversione, che procede da una fervente carità, può arrivare alla totale purificazione del peccatore, così che non sussista più alcuna pena.
1473 – Il perdono del peccato e la restaurazione della comunione con Dio comportano la remissione delle pene eterne del peccato. Rimangono, tuttavia, le pene temporali del peccato. Il cristiano deve sforzarsi, sopportando pazientemente le sofferenze e le prove di ogni genere e, venuto il giorno, affrontando serenamente la morte, di accettare come una grazia queste pene temporali del peccato; deve impegnarsi, attraverso le opere di misericordia e di carità, come pure mediante la preghiera e le varie pratiche di penitenza, a spogliarsi completamente dell’«uomo vecchio» e a rivestire «l’uomo nuovo».
NELLA COMUNIONE DEI SANTI
1474 – Il cristiano che si sforza di purificarsi del suo peccato e di santificarsi con l’aiuto della grazia di Dio, non si trova solo. «La vita dei singoli figli di Dio in Cristo e per mezzo di Cristo viene congiunta con legame meraviglioso alla vita di tutti gli altri fratelli cristiani nella soprannaturale unità del corpo mistico dì Cristo, fin quasi a formare una sola mistica persona.
1475 – Nella comunione dei santi «tra i fedeli, che già hanno raggiunto la patria celeste o che stanno espiando le loro colpe nel purgatorio, o che ancora sono pellegrini sulla terra, esiste certamente un vincolo perenne di carità ed un abbondante scambio di tutti i beni». In questo ammirabile scambio, la santità dell’uno giova agli altri, ben al di là del danno che il peccato dell’uno ha potuto causare agli altri. In tal modo, il ricorso alla comunione dei santi permette al peccatore contrito di essere in più breve tempo e più efficacemente purificato dalle pene del peccato.
1476 – Questi beni spirituali della comunione dei santi sono anche chiamati il tesoro della Chiesa, che non «si deve considerare come la somma di beni materiali, accumulati nel corso dei secoli, ma come l’infinito ed inesauribile valore che le espiazioni e i meriti dì Cristo hanno presso il Padre, offerti perché tutta l’umanità sia liberata dal peccato e pervenga alla comunione con il Padre; è lo stesso Cristo Redentore, in cui sono e vivono le soddisfazioni ed i meriti della sua redenzione».
1477 – Appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso incommensurabile e sempre nuovo che presso Dio hanno le preghiere e le buone opere della beata Vergine Maria e di tutti i santi, i quali, seguendo le orme di Cristo Signore per grazia sua, hanno santificato la loro vita e condotto a compimento la missione affidata loro dal Padre; in tal modo, realizzando la loro salvezza, hanno anche cooperato alla salvezza dei propri fratelli nell’unità del corpo mistico».
OTTENERE L’INDULGENZA DI DIO MEDIANTE LA CHIESA
1478 – L’indulgenza si ottiene mediante la Chiesa che, in virtù del potere di legare e di sciogliere accordatole da Gesù Cristo, interviene a favore di un cristiano e gli dischiude il tesoro dei meriti di Cristo e dei santi perché ottenga dal Padre delle misericordie la remissione delle pene temporali dovute per i suoi peccati. Così la Chiesa non vuole soltanto venire in aiuto a questo cristiano, ma anche spingerlo a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità.
1479 – Poiché i fedeli defunti in via di purificazione sono anch’essi membri della medesima comunione dei santi, noi possiamo aiutarli, tra l’altro, ottenendo per loro indulgenze, in modo tale che siano sgravati dalle pene temporali dovute per i loro peccati
XI. La celebrazione del sacramento della Penitenza.
1480 – Come tutti i sacramenti, la Penitenza è un’azione liturgica. Questi sono ordinariamente gli elementi della celebrazione: il saluto e la benedizione del sacerdote; la lettura della Parola di Dio per illuminare la coscienza e suscitare la contrizione, e l’esortazione al pentimento; la confessione che riconosce i peccati e li manifesta al sacerdote; l’imposizione e l’accettazione della penitenza; l’assoluzione da parte del sacerdote; la lode con rendimento di grazie e il congedo con la benedizione da parte del sacerdote.
1481 – La liturgia bizantina usa più formule di assoluzione, a carattere deprecativo, le quali mirabilmente esprimono il mistero del perdono: «Il Dio che, attraverso il profeta Natan, ha perdonato a Davide quando confessò i propri peccati, e a Pietro quando pianse amaramente, e alla peccatrice quando versò lacrime sui suoi piedi, e al pubblicano e al prodigo, questo stesso Dio ti perdoni, attraverso me, peccatore, in questa vita e nell’altra, e non ti condanni quando apparirai al suo tremendo tribunale, egli che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.
1482 – Il sacramento della Penitenza può anche aver luogo nel quadro di una celebrazione comunitaria, nella quale ci si prepara insieme alla confessione e insieme si rende grazie per il perdono ricevuto. In questo caso, la confessione personale dei peccati e l’assoluzione individuale sono inserite in una liturgia della Parola di Dio, con letture e omelia, esame di coscienza condotto in comune, richiesta comunitaria del perdono, preghiera del «Padre nostro» e ringraziamento comune. Tale celebrazione comunitaria esprime più chiaramente il carattere ecclesiale della penitenza. Tuttavia, in qualunque modo venga celebrato, il sacramento della Penitenza é sempre, per sua stessa natura, un’azione liturgica, quindi ecclesiale e pubblica.
1483 – In casi di grave necessità si può ricorrere alla celebrazione comunitaria della Riconciliazione con confessione generale e assoluzione generale. Tale grave necessità può presentarsi qualora vi sia un imminente pericolo di morte senza che il sacerdote o i sacerdoti abbiano il tempo sufficiente per ascoltare la confessione di ciascun penitente. La necessità grave può verificarsi anche quando, in considerazione del numero dei penitenti, non vi siano confessori in numero sufficiente per ascoltare debitamente le confessioni dei singoli entro un tempo ragionevole, così che i penitenti, senza loro colpa, rimarrebbero a lungo privati della grazia sacramentale o della santa Comunione. In questo caso i fedeli, perché sia valida l’assoluzione, devono fare il proposito di confessare individualmente i propri peccati gravi a tempo debito. Spetta al Vescovo diocesano giudicare se ricorrano le condizioni richieste per l’assoluzione generale. Una considerevole affluenza di fedeli in occasione di grandi feste o di pellegrinaggi non costituisce un caso di tale grave necessità.
1484 – «La confessione individuale e completa, con la relativa assoluzione, resta l’unico modo ordinario grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con la Chiesa, a meno che un’impossibilità fisica o morale non li dispensi da una tale confessione». Ciò non è senza motivazioni profonde. Cristo agisce in ogni sacramento. Si rivolge personalmente a ciascun peccatore: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati»(Mc 2,5); è il medico che si china sui singoli malati che hanno bisogno di lui per guarirli; li rialza e li reintegra nella comunione fraterna. La confessione personale è quindi la forma più significativa della riconciliazione con Dio e con la Chiesa.
In sintesi
1485 – La sera di pasqua, il Signore Gesù si mostrò ai suoi Apostoli e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimettere te, resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23).
1486 – Il perdono dei peccati commessi dopo il Battesimo e accordato mediante un sacramento apposito chiamato sacramento della Conversione, della Confessione, della Penitenza o della Riconciliazione.
1487 – Colui che pecca ferisce l’onore di Dio e il suo amore, la propria dignità di uomo chiamato ad essere figlio di Dio e la salute spirituale della Chiesa di cui ogni cristiano deve essere una pietra viva.
1488 – Agli occhi della fede, nessun male é più grave del peccato, e niente ha conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la Chiesa e per il mondo intero.
1489 – Ritornare alla comunione con Dio dopo averla perduta a causa del peccato, e un movimento nato dalla grazia di Dio ricco di misericordia e sollecito della salvezza degli uomini. Bisogna chiedere questo dono prezioso per sé e per gli altri.
1490 – Il cammino di ritorno a Dio, chiamato conversione e pentimento, implica un dolore e una repulsione per i peccati commessi, e il fermo proposito di non peccare più in avvenire. La conversione riguarda dunque il passato e il futuro; essa si nutre della speranza nella misericordia divina.
1491 – Il sacramento della Penitenza è costituito dall’insieme dei tre atti compiuti dal penitente e dall’assoluzione da parte del sacerdote. Gli atti del penitente sono: il pentimento, la confessione o manifestazione dei peccati al sacerdote e il proposito di compiere la soddisfazione e le opere di soddisfazione.
1492 – Il pentimento (chiamato anche contrizione) deve essere ispirato da motivi dettati dalla fede. Se il pentimento nasce dall’amore di carità verso Dio, lo si dice «perfetto»; se è fondato su altri motivi, lo si chiama «imperfetto».
1493 – Colui che vuole ottenere la riconciliazione con Dio e con la Chiesa deve confessare al sacerdote tutti i peccati gravi che ancora non ha confessato e di cui si ricorda dopo aver accuratamente esaminato la propria coscienza. Sebbene non sia in sé necessaria, la confessione delle colpe veniali è tuttavia vivamente raccomandata dalla Chiesa.
1494 – Il confessore propone al penitente il compimento di certi atti di «soddi#azione» o di «penitenza», al fine di riparare il danno causato dal peccato e ristabilire gli atteggiamenti consoni al discepolo di Cristo.
1495 – Soltanto i sacerdoti che hanno ricevuto dall’autorità della Chiesa la facoltà di assolvere possono perdonare i peccati nel nome di Cristo.
1496 – Gli effetti spirituali del sacramento della Penitenza sono: la riconciliazione con Dio mediante la quale il penitente ricupera la grazia; la riconciliazione con la Chiesa; la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali, la remissione, almeno in parte, delle pene temporali, conseguenze del peccato; la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione spirituale; l’accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano.
1497 – La confessione individuale e completa dei peccati gravi seguita dall’assoluzione rimane l’unico mezzo ordinario per la riconciliazione con Dio e con la Chiesa.
1498 – Mediante le indulgenze i fedeli possono ottenere per se stessi, e anche per le anime del purgatorio, la remissione delle pene temporali, conseguenze dei peccati.
Articolo 5
L’UNZIONE DEGLI INFERMI
1499 – «Con la sacra Unzione degli infermi e la preghiera dei presbiteli, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del popolo di Dio».
I. Suoi fondamenti nell’Economia della salvezza
LA MALATTIA NELLA VITA UMANA
1500 – La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più gravi che mettono alla prova la vita umana. Nella malattia l’uomo fa l’esperienza della propria impotenza, dei propri limiti e della propria finitezza. Ogni malattia può farci intravvedere la morte.
1501 – La malattia può condurre all’angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può anche rendere la persona più matura, aiutarla a discernere nella propria vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciò che lo è. Molto spesso la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a lui.
IL MALATO DI FRONTE A DIO
1502 – L’uomo dell’Antico Testamento vive la malattia di fronte a Dio. È davanti a Dio che egli versa le sue lacrime sulla propria malattia è da lui, il Signore della vita e della morte, che egli implora la guarigione. La malattia diventa cammino di conversione e il perdono di Dio dà inizio alla guarigione. Israele sperimenta che la malattia è legata, in un modo misterioso, al peccato e al male, e che la fedeltà a Dio, secondo la sua Legge, ridona la vita: «Perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!» (Es 15,26). Il profeta intuisce che la sofferenza può anche avere un valore redentivo per i peccati altrui. Infine Isaia annuncia che Dio farà sorgere per Sion un tempo in cui perdonerà ogni colpa e guarirà ogni malattia.
CRISTO-MEDICO
1503 – La compassione di Cristo verso i malati e le sue numerose guarigioni di infermi di ogni genere sono un chiaro segno del fatto che Dio ha visitato il suo popolo e che il regno di Dio è vicino. Gesù non ha soltanto il potere di guarire, ma anche di perdonare i peccati: è venuto a guarire l’uomo tutto intero, anima e corpo; è il medico di cui i malati hanno bisogno. La sua compassione verso tutti coloro che soffrono si spinge così lontano che egli si identifica con loro: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). Il suo amore di predilezione per gli infermi non ha cessato, lungo i secoli, di rendere i cristiani particolarmente premurosi verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito. Esso sta all’origine degli instancabili sforzi per alleviare le loro pene.
1504 – Spesso Gesù chiede ai malati di credere.107 Si serve di segni per guarire: saliva e imposizione delle mani,’08 fango e abluzione.109 I malati cercano di toccarlo ‘~ «perché da lui usciva una forza che sanava tutti» (Lc 6,19). Così, nei sacramenti, Cristo continua a «toccarci» per guarirci.
1505 – Commosso da tante sofferenze, Cristo non soltanto si lascia toccare dai malati, ma fa sue le loro miserie: «Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Mt 8,17). Non ha guarito però tutti i malati. Le sue guarigioni erano segni della venuta del regno di Dio. Annunciavano una guarigione più radicale: la vittoria sul peccato e sulla morte attraverso la sua pasqua. Sulla croce, Cristo ha preso su di sé tutto il peso del male e ha tolto il «peccato del mondo» (Gv 1,29), di cui la malattia non è che una conseguenza. Con la sua passione e la sua morte sulla croce, Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza: essa può ormai configurarci a lui e unirci alla sua passione redentrice.
«GUARITE GLI INFERMI…»
1506 – Cristo invita i suoi discepoli a seguirlo prendendo anch’essi la loro croce. Seguendolo, assumono un nuovo modo di vedere la malattia e i malati. Gesù li associa alla sua vita di povertà e di servizio. Li rende partecipi del suo ministero di compassione e di guarigione: «E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano» (Mc 6,12-13).
1507 – Il Signore risorto rinnova questo invio («Nel mio nome (…) imporranno le mani ai malati e questi guariranno»: Mc 16,17-18) e lo conferma per mezzo dei segni che la Chiesa compie invocando il suo nome. Questi segni manifestano in modo speciale che Gesù è veramente «Dio che salva».
1508 – Lo Spirito Santo dona ad alcuni un carisma speciale di guarigione per manifestare la forza della grazia del Risorto. Tuttavia, neppure le preghiere più intense ottengono la guarigione di tutte le malattie. Così san Paolo deve imparare dal Signore: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12,9), e che le sofferenze da sopportare possono avere questo significato: «Io completo ella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).
1509 – «Guarite gli infermi!» (Mt 10,8). La Chiesa ha ricevuto questo compito dal Signore e cerca di attuarlo sia attraverso le cure che presta ai malati sia mediante la preghiera di intercessione con la quale li accompagna. Essa crede nella presenza vivificante di Cristo, medico delle anime e dei corpi. Questa presenza è particolarmente operante nei sacramenti e in modo tutto speciale nell’Eucaristia, pane che dà la vita eterna e al cui legame con la salute del corpo san Paolo allude.
1510 – La Chiesa apostolica conosce tuttavia un rito specifico in favore degli infermi, attestato da san Giacomo: «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,14-I 5). La Tradizione ha riconosciuto in questo rito uno dei sette sacramenti della Chiesa.
UN SACRAMENTO DEGLI INFERMI
1511 – La Chiesa crede e professa che esiste, tra i sette sacramenti, un sacramento destinato in modo speciale a confortare coloro che sono provati dalla malattia: l’Unzione degli infermi: «Questa Unzione sacra dei malati è stata istituita come vero e proprio sacramento del Nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù Cristo. Accennato da Marco, è stato raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore».
1512 – Nella tradizione liturgica, tanto in Oriente quanto in Occidente, si hanno fin dall’antichità testimonianze di unzioni di infermi praticate con olio benedetto. Nel corso – dei secoli, l’Unzione degli infermi è stata conferita sempre più esclusivamente a coloro che erano in punto di morte. Per questo motivo aveva ricevuto il nome di «Estrema Unzione». Malgrado questa evoluzione, la liturgia non ha mai tralasciato di pregare il Signore affinché il malato riacquisti la salute, se ciò può giovare alla sua salvezza.
1513 – La Costituzione apostolica «Sacram Unctionem infirmorum» (30 novembre 1972), in linea con il Concilio Vaticano ha stabilito che, per l’avvenire, sia osservato nel rito romano quanto segue: «Il sacramento dell’Unzione degli infermi viene conferito ai malati in grave pericolo ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente benedetto olio di oliva o altro olio vegetale dicendo una sola volta: “Per questa santa Unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo e, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi».
II. Chi riceve e chi amministra questo sacramento?
IN CASO DI MALATTIA GRAVE…
1514 – L’Unzione degli infermi «non è il sacramento soltanto di coloro che sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverla si ha certamente già quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo di morte».
1515 – Se un malato che ha ricevuto l’Unzione riacquista la salute, può, in caso di un’altra grave malattia, ricevere nuovamente questo sacramento. Nel corso della stessa malattia il sacramento può essere ripetuto se si verifica un peggioramento. È opportuno ricevere l’Unzione degli infermi prima di un intervento chirurgico rischioso. Lo stesso vale per le persone anziane la cui debolezza si accentua.
«…CHIAMI A SÉ I PRESBITERI DELLA CHIESA»
1516 – Soltanto i sacerdoti (Vescovi e presbiteri) sono i ministri dell’Unzione degli infermi. È dovere dei Pastori istruire i fedeli sui benefici di questo sacramento. I fedeli incoraggino i malati a ricorrere al sacerdote per ricevere tale sacramento. I malati si preparino a riceverlo con buone disposizioni, aiutati dal loro Pastore e da tutta la comunità ecclesiale, che è invitata a circondare in modo tutto speciale i malati con le sue preghiere e le sue attenzioni fraterne
III. Come si celebra questo sacramento?
1517 – Come tutti i sacramenti, l’Unzione degli infermi è una celebrazione liturgica e comunitaria, sia che abbia luogo in famiglia, all’ospedale o in chiesa, per un solo malato o per un gruppo di infermi. E’ molto opportuno che sia celebrata durante l’Eucaristia, memoriale della pasqua del Signore. Se le circostanze lo consigliano, la celebrazione del sacramento può essere preceduta dal sacramento della Penitenza e seguita da quello dell’Eucaristia. In quanto sacramento della pasqua di Cristo, l’Eucaristia dovrebbe sempre essere l’ultimo sacramento del pellegrinaggio terreno, il «viatico» per il «passaggio» alla vita eterna.
1518 – Parola e sacramento costituiscono un tutto inseparabile. La liturgia della Parola, preceduta da un atto penitenziale, apre la celebrazione. Le parole di Cristo, la testimonianza degli Apostoli ravvivano la fede del malato e della comunità per chiedere al Signore la forza del suo Spirito.
1519 – La celebrazione del sacramento comprende principalmente i seguenti elementi: «i presbiteri della Chiesa» impongono – in silenzio – le mani ai malati; pregano sui malati nella fede della Chiesa: l’epiclesi propria di questo sacramento; quindi fanno l’unzione con l’olio, benedetto, possibilmente, dal Vescovo. Queste azioni liturgiche indicano quale grazia tale sacramento conferisce ai malati.
IV. Gli effetti della celebrazione di questo sacramento.
1520 – Un dono particolare dello Spirito Santo. La grazia fondamentale di questo sacramento è una grazia di conforto, di pace e di coraggio per superare le difficoltà proprie dello stato di malattia grave o della fragilità della vecchiaia. Questa grazia è un dono dello Spirito Santo che rinnova la fiducia e la fede in Dio e fortifica contro le tentazioni del maligno, cioè contro la tentazione di scoraggiamento e di angoscia di fronte alla morte. Questa assistenza del Signore attraverso la forza del suo Spirito vuole portare il malato alla guarigione dell’anima, ma anche a quella del corpo, se tale è la volontà di Dio. Inoltre, «se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,15).
1521 – L’unione alla passione di Cristo. Per la grazia di questo sacramento il malato riceve la forza e il dono di unirsi più intimamente alla passione di Cristo: egli viene in certo qual modo consacrato per portare frutto mediante la configurazione alla passione redentrice del Salvatore. La sofferenza, conseguenza del peccato originale, riceve un senso nuovo: diviene partecipazione all’opera salvifica di Gesù.
1522 – Una grazia ecclesiale. I malati che ricevono questo sacramento, unendosi «spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo», contribuiscono «al bene del popolo di Dio». Celebrando questo sacramento, la Chiesa, nella comunione dei santi, intercede per il bene del malato. E l’infermo, a sua volta, per la grazia di questo sacramento, contribuisce alla santificazione della Chiesa e al bene di tutti gli uomini per i quali la Chiesa soffre e si offre, per mezzo di Cristo, a Dio Padre.
1523 – Una preparazione all’ultimo passaggio. Se il sacramento dell’Unzione degli infermi è conferito a tutti coloro che soffrono di malattie e di infermità gravi, a maggior ragione è dato a coloro che stanno per uscire da questa vita («in exitu vitae constituti»), per cui lo si è anche chiamato «sacramentum exeuntium». L’Unzione degli infermi porta a compimento la nostra conformazione alla morte e alla risurrezione di Cristo, iniziata dal Battesimo. Essa completa le sante unzioni che segnano tutta la vita cristiana; quella del Battesimo aveva suggellato in noi la vita nuova; quella della Confermazione ci aveva fortificati per il combattimento di questa vita. Quest’ultima unzione munisce la fine della nostra esistenza terrena come di un solido baluardo in vista delle ultime lotte prima dell’ingresso nella Casa del Padre
. V. Il viatico, ultimo sacramento del cristiano
1524 – A coloro che stanno per lasciare questa vita, la Chiesa offre, oltre all’Unzione degli infermi, l’Eucaristia come viatico. Ricevuta in questo momento di passaggio al Padre, la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo ha un significato e un’importanza particolari. E seme di vita eterna e potenza di risurrezione, secondo le parole del Signore: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Sacramento di Cristo morto e risorto, l’Eucaristia è, qui, sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre.
1525 – Come i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia costituiscono una unità chiamata «i sacramenti dell’iniziazione cristiana», così si può dire che la Penitenza, la santa Unzione e l’Eucaristia, in quanto viatico, costituiscono, al termine della vita cristiana, «i sacramenti che preparano alla Patria» o i sacramenti che concludono il pellegrinaggio terreno.
In sintesi
1526 – «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15).
1527 – Il sacramento dell’Unzione degli infermi ha lo scopo di conferire una grazia speciale al cristiano che sperimenta le difficoltà inerenti allo stato di malattia grave o alla vecchiaia.
1528 – Il momento opportuno per ricevere la santa Unzione è certamente quello in cui il fedele comincia a trovarsi in pericolo di morte per malattia o vecchiaia.
1529 – Ogni volta che un cristiano cade gravemente malato, può ricevere la santa Unzione, come pure quando, dopo averla giù ricevuta, si verifica un aggravarsi della malattia.
1530 – Soltanto i sacerdoti (presbiteri e Vescovi) possono amministrare il sacramento dell’Unzione degli infermi; per conferirlo usano olio benedetto dal Vescovo o, all’occorrenza, dallo stesso presbitero celebrante.
1531 – L’essenziale della celebrazione di questo sacramento consiste nell’unzione sulla fronte e sulle mani del malato (nel rito romano) o su altre parti del corpo (in Oriente), unzione accompagnata dalla preghiera liturgica del sacerdote celebrante che implora la grazia speciale di questo sacramento.
1532 – La grazia speciale del sacramento dell’Unzione degli infermi ha come effetti: l’unione del malato alla passione di Cristo, per il suo bene e per quello di tutta la Chiesa; il conforto, la pace e il coraggio per sopportare cristianamente le sofferenze della malattia o della vecchiaia; il perdono dei peccati, se il malato non ha potuto ottenerlo con il sacramento della Penitenza; il recupero della salute, se ciò giova alla salvezza spirituale; la preparazione al passaggio alla vita eterna.
CAPITOLO TERZO
I SACRAMENTI AL SERVIZIO DELLA COMUNIONE
1533 – Il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia sono i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Essi fondano la vocazione comune di tutti i discepoli di Cristo, vocazione alla santità e alla missione di evangelizzare il mondo. Conferiscono le grazie necessarie per vivere secondo lo Spirito in questa vita di pellegrini in cammino verso la patria.
1534 – Due altri sacramenti, l’Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del popolo di Dio.
1535 – In questi sacramenti, coloro che sono già stati consacrati mediante il Battesimo e la Confermazione per il sacerdozio comune di tutti i fedeli, possono ricevere consacrazioni particolari. Coloro che ricevono il sacramento dell’Ordine sono consacrati per essere «posti, in nome di Cristo, a pascere la Chiesa con la parola e la grazia di Dio». Da parte loro, «i coniugi cristiani sono corroborati e comeconsacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato».
Articolo 6
IL SACRAMENTO DELL’ORDINE
1536 – L’Ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è, dunque, il sacramento del ministero apostolico. Comporta tre gradi: l’Episcopato, il presbiterato e il diaconato. (Qui si tratta soltanto della via sacramentale attraverso la quale tale ministero viene trasmesso.)
I. Perché il nome di sacramento dell’Ordine?
1537 – La parola Ordine, nell’antichità romana, designava corpi costituiti in senso civile, soprattutto il corpo di coloro che governano. «Ordinatio» – ordinazione – indica l’integrazione in un «ordo» – ordine -. Nella Chiesa ci sono corpi costituiti che la Tradizione, non senza fondamenti scritturistici, chiama sin dai tempi antichi con il nome di (…) (in greco), di ordines: così la liturgia parla dell’«ordo Episcoporum» – ordine dei Vescovi – dell’«ordo presbyterorum» – ordine dei presbileri – dell’«ordo diaconorum» – ordine dei diaconi.Anche altri gruppi ricevono questo nome di «ordo»: i catecumeni, le vergini, gli sposi, le vedove…
1538 – L’integrazione in uno di questi corpi ecclesiali avveniva con un rito chiamato ordinatio, atto religioso e liturgico che consisteva in una consacrazione, una benedizione o un sacramento. Oggi la parola «ordinatio» è riservata all’atto sacramentale che integra nell’ordine dei Vescovi, dei presbiteri e dei diaconi e che va al di là di una semplice elezione, designazione, delega o istituzione da parte della comunità, poiché conferisce un dono dello Spirito Santo che permette di esercitare una potestà sacra («sacra potestas»), la quale non può venire che da Cristo stesso, mediante la sua Chiesa. L’ordinazione è chiamata anche «consecratio» – consacrazione – poiché è una separazione e una investitura da parte di Cristo stesso, per la sua Chiesa. L’imposizione delle mani del Vescovo, insieme con la preghiera consacratoria, costituisce il segno visibile di tale consacrazione.
Il. Il sacramento dell’Ordine nell’Economia della salvezza.
IL SACERDOZIO DELL’ANTICA ALLEANZA
1539 – Il popolo eletto fu costituito da Dio come «un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,6). Ma, all’interno del popolo di Israele, Dio scelse una delle dodici tribù, quella di Levi, riservandola per il servizio liturgico; Dio stesso è la sua parte di eredità. Un rito proprio ha consacrato le origini del sacerdozio dell’Antica Alleanza. In essa i sacerdoti sono costituiti «per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati».
1540 – Istituito per annunciare la parola di Dio e per ristabilire la comunione con Dio mediante i sacrifici e la preghiera, tale sacerdozio resta tuttavia impotente a operare la salvezza, avendo bisogno di offrire continuamente sacrifici e non potendo portare ad una santificazione definitiva, che soltanto il sacrificio di Cristo avrebbe operato.
1541 – La liturgia della Chiesa vede tuttavia nel sacerdozio di Aronne e nel servizio dei leviti, come pure nell’istituzione dei settanta «Anziani», prefigurazioni del ministero ordinato della Nuova Alleanza. Così, nel rito latino, la Chiesa si esprime nella preghiera consacratoria dell’ordinazione dei Vescovi: «O Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, […] con la parola di salvezza hai dato norme di vita nella tua Chiesa: tu, dal principio, hai eletto Abramo come padre dei giusti, hai costituito capi e sacerdoti per non lasciare mai senza ministero il tuo santuario…».
1542 – Nell’ordinazione dei sacerdoti, la Chiesa prega: «Signore, Padre santo, […] nell’Antica Alleanza presero forma e figura vari uffici istituiti per il servizio liturgico. A Mosè e ad Aronne, da te prescelti per reggere e santificare il tuo popolo, associasti collaboratori che li seguivano nel grado e nella dignità. Nel cammino dell’esodo comunicasti a settanta uomini saggi e prudenti lo spirito di Mosé tuo servo […]. Tu rendesti partecipi i figli di Aronne della pienezza del loro padre».
1543 – E nella preghiera consacratoria per l’ordinazione dei diaconi, la Chiesa confessa: «Dio onnipotente, […] tu hai formato la Chiesa […]; hai disposto che mediante i tre gradi del ministero da te istituito cresca e si edifichi il nuovo tempio, come in antico scegliesti i figli di Levi a servizio del tabernacolo santo».
L’UNICO SACERDOZIO DI CRISTO
1544 – Tutte le prefigurazioni del sacerdozio dell’Antica Alleanza trovano il loro compimento in Cristo Gesù, «unico […] mediatore tra Dio e gli uomini» (1 Tm 2,5). Melchisedek, «sacerdote del Dio altissimo» (Gn 14,18), è considerato dalla Tradizione cristiana come una prefigurazione del sacerdozio di Cristo, unico «sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek» (Eb 5,10; 6,20), «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), il quale «con un’unica oblazione […] ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (Eb 10,14), cioè con l’unico sacrificio della sua croce.
1545 – Il sacrificio redentore di Cristo è unico, compiuto una volta per tutte. Tuttavia è reso presente nel sacrificio eucaristico della Chiesa. Lo stesso vale per l’unico sacerdozio di Cristo: esso è reso presente dal sacerdozio ministeriale senza che venga diminuita l’unicità del sacerdozio di Cristo. «Infatti solo Cristo è il vero Sacerdote, mentre gli altri sono i suoi ministri».
DUE PARTECIPAZIONI ALL’UNICO SACERDOZIO DI CRISTO
1546 – Cristo, Sommo Sacerdote e unico mediatore, ha fatto della Chiesa un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre. Tutta la comunità dei credenti è, come tale, sacerdotale. I fedeli esercitano il loro sacerdozio battesimale attraverso la partecipazione, ciascuno secondo la vocazione sua propria, alla missione di Cristo, Sacerdote, Profeta e Re. È per mezzo dei sacramenti del Battesimo e della Confermazione che i fedeli «vengono consacrati a formare (…) un sacerdozio santo».
1547 – Il sacerdozio ministeriale o gerarchico dei Vescovi e dei sacerdoti e il sacerdozio comune di tutti i fedeli, anche se «l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano all’unico sacerdozio di Cristo», differiscono tuttavia essenzialmente, pur essendo «ordinati l’uno all’altro». In che senso? Mentre il sacerdozio comune dei fedeli si realizza nello sviluppo della grazia battesimale vita di fede, di speranza e di carità, vita secondo lo Spirito, il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è relativo allo sviluppo della grazia battesimale di tutti i cristiani. È uno dei mezzi con i quali Cristo continua a costruire e a guidare la sua Chiesa. Proprio per questo motivo viene trasmesso mediante un sacramento specifico, il sacramento dell’Ordine.
IN PERSONA DI CRISTO CAPO…
1548 – Nel servizio ecclesiale del ministero ordinato è Cristo stesso che è presente alla sua Chiesa in quanto Capo del suo corpo, Pastore del suo gregge, Sommo Sacerdote del sacrificio redentore, Maestro di verità. È ciò che la Chiesa esprime dicendo che il sacerdote, in virtù del sacramento dell’Ordine, agisce «in persona Christi Capitis» – in persona di Cristo Capo: «È il medesimo Sacerdote, Cristo Gesù, di cui realmente il ministro fa le veci. Costui se, in forza della consacrazione sacerdotale che ha ricevuto, è in verità assimilato al Sommo Sacerdote, gode della potestà di agire con la potenza dello stesso Cristo che rappresenta (“virtute ac persona ipsius Christi”)». «Cristo è la fonte di Ogni sacerdozio: infatti il sacerdote della Legge [antica] era figura di lui, mentre il sacerdote della nuova Legge agisce in persona di lui».
1549 – Attraverso il ministero ordinato, specialmente dei Vescovi e dei sacerdoti, la presenza di Cristo quale Capo della Chiesa è resa visibile in mezzo alla comunità dei credenti. Secondo la bella espressione di sant’Ignazio di Antiochia, il Vescovo è (…) come l’immagine vivente di Dio Padre.
1550 – Questa presenza di Cristo nel ministro non deve essere intesa come se costui fosse premunito contro ogni debolezza umana, lo spirito di dominio, gli errori, persino il peccato. La forza dello Spirito Santo non garantisce nello stesso modo tutti gli atti dei ministri. Mentre nell’amministrazione dei sacramenti viene data questa garanzia, così che neppure il peccato del ministro può impedire il frutto della grazia, esistono molti altri atti in cui l’impronta umana del ministro lascia tracce che non sono sempre segno della fedeltà al Vangelo e che di conseguenza possono nuocere alla fecondità apostolica della Chiesa.
1551 – Questo sacerdozio è ministeriale. «Questo ufficio che il Signore ha affidato ai Pastori del suo popolo è un vero servizio». Esso è interamente riferito a Cristo e agli uomini. Dipende interamente da Cristo e dal suo unico sacerdozio ed è stato istituito in favore degli uomini e della comunità della Chiesa. Il sacramento dell’Ordine comunica «una potestà sacra», che è precisamente quella di Cristo. L’esercizio di tale autorità deve dunque misurarsi sul modello di Cristo, che per amore è fatto l’ultimo e il servo di tutti. «Il Signore ha esplicitamente detto che la sollecitudine per il suo gregge era una prova di amore verso di lui».
…«A NOME DI TUTTA LA CHIESA»
1552 – Il sacerdozio ministeriale non ha solamente il compito di rappresentare Cristo – Capo della Chiesa – di fronte all’assemblea dei fedeli; esso agisce anche a nome di tutta la Chiesa allorché presenta a Dio la preghiera della Chiesa e soprattutto quando offre il sacrificio eucaristico.
1553 – «A nome di tutta la Chiesa». Ciò non significa che i sacerdoti siano i delegati della comunità. La preghiera e l’offerta della Chiesa sono inseparabili dalla preghiera e dall’offerta di Cristo, suo Capo. È sempre il culto di Cristo nella sua Chiesa e per mezzo di essa. È tutta la Chiesa, corpo di Cristo, che prega e si offre, «per ipsum et cum ipso et in ipso» – per lui, con lui e in lui nell’unità dello Spirito Santo, a Dio Padre. Tutto il corpo, «Caput et membra» – Capo e membra – prega e si offre; per questo coloro che, nel corpo, sono suoi ministri in senso proprio, vengono chiamati ministri non solo di Cristo, ma anche della Chiesa. Proprio perché rappresenta Cristo, il sacerdozio ministeriale può rappresentare la Chiesa
III. I tre gradi del sacramento dell’Ordine.
1554 – «Il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini da quelli che già anticamente sono chiamati Vescovi, presbiteri, diaconi». La dottrina cattolica, espressa nella liturgia, nel Magistero e nella pratica costante della Chiesa, riconosce che esistono due gradi di partecipazione ministeriale al sacerdozio di Cristo: l’Episcopato e il presbiterato. Il diaconato è finalizzato al loro aiuto e al loro servizio. Per questo il termine «sacerdos» – sacerdote – designa, nell’uso attuale, i Vescovi e i presbiteri, ma non i diaconi. Tuttavia, la dottrina cattolica insegna che i gradi di partecipazione sacerdotale (Episcopato e presbiterato) e il grado di servizio (diaconato) sono tutti e tre conferiti da un atto sacramentale chiamato «ordinazione», cioè dal sacramento dell’Ordine: «Tutti rispettino i diaconi come lo stesso Gesù Cristo, e il Vescovo come l’immagine del Padre, e i presbiteri come senato di Dio e come collegio apostolico: senza di loro non c’è Chiesa».
L’ORDINAZIONE EPISCOPALE PIENEZZA DEL SACRAMENTO DELL’ORDINE 1555 – «Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa, secondo la testimonianza della tradizione, tiene il primo posto l’ufficio di quelli che, costituiti nell’Episcopato, per successione che risale all’origine, possiedono i tralci del seme apostolico».
1556 – Per adempiere alla loro alta missione, «gli Apostoli sono stati arricchiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo discendente su loro, ed essi stessi, con l’imposizione delle mani, hanno trasmesso questo dono dello Spirito ai loro collaboratori, dono che è stato trasmesso fino a noi nella consacrazione episcopale. 1557 – Il Concilio Vaticano Il insegna che «con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’Ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, vertice [“summa”] del sacro ministero».
1558 – «La consacrazione episcopale conferisce pure, con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e di governare […]. Infatti (…) con l’imposizione delle mani e con le parole della consacrazione la grazia dello Spirito Santo viene conferita e viene impresso un sacro carattere, in maniera che i Vescovi, in modo eminente e visibile, sostengano le parti dello stesso Cristo Maestro, Pastore e Pontefice, e agiscano in sua persona [“in Eius persona agant”] «Perciò i Vescovi, per virtù dello Spirito Santo, che loro è stato dato, sono divenuti veri e autentici Maestri della fede, Pontefici e Pastori».
1559 – «Uno viene costituito membro del Corpo episcopale in virtù della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col capo del Collegio e con i membri. Il carattere e la natura collegiale dell’ordine episcopale si manifestano, tra l’altro, nell’antica prassi della Chiesa che per la consacrazione di un nuovo Vescovo vuole la partecipazione di più Vescovi. Per l’ordinazione legittima di un Vescovo, oggi è richiesto un intervento speciale del Vescovo di Roma, per il fatto che egli è il supremo vincolo visibile della comunione delle Chiese particolari nell’unica Chiesa e il garante della loro libertà.
1560 – Ogni Vescovo ha, quale vicario di Cristo, l’ufficio pastorale della Chiesa particolare che gli è stata affidata, ma nello stesso tempo porta collegialmente con tutti i fratelli nell’Episcopato la sollecitudine per tutte le Chiese: «Se ogni Vescovo è propriamente Pastore soltanto della porzione del gregge affidata alle sue cure, la sua qualità di legittimo successore degli Apostoli, per istituzione divina, lo rende solidalmente responsabile della missione apostolica della Chiesa».
1561 – Quanto è stato detto Spiega perché l’Eucaristia celebrata dal Vescovo ha un significato tutto speciale come espressione della Chiesa riunita attorno all’altare sotto la presidenza di colui che rappresenta visibilmente Cristo, Buon Pastore e Capo della sua Chiesa.
L’ORDINAZIONE DEI PRESBITERI COOPERATORI DEI VESCOVI
1562 – «Cristo, consacrato e mandato nel mondo dal Padre, per mezzo dei suoi Apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i Vescovi, i quali hanno legittimamente affidato, secondo diversi gradi, l’ufficio del loro ministero a vari soggetti nella Chiesa. «La [loro] funzione ministeriale fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri, affinché questi, costituiti nell’ordine del presbiterato, fossero cooperatori dell’ordine episcopale, per il retto assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo.
1563 – «La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente unita all’ordine episcopale, partecipa dell’autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo. Per questo motivo, il sacerdozio dei presbiteri, pur presupponendo i sacramenti dell’iniziazione cristiana, viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che si configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo Capo».
1564 – «I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipendendo dai Vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro uniti nell’onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell’Ordine, a immagine di Cristo, Sommo ed eterno Sacerdote, sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento.
1565 – In virtù del sacramento dell’Ordine i sacerdoti partecipano alla dimensione universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli. Il dono spirituale che hanno ricevuto nell’ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, «fino agli ultimi confini della terra» (At 1,8) «pronti nel loro animo a predicare dovunque il Vangelo.
1566 – Essi «soprattutto esercitano la loro funzione sacra nel culto o assemblea eucaristica, dove, agendo in persona di Cristo, e proclamando il suo mistero, uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro Capo e nel sacrificio della Messa rendono presente e applicano, fino alla venuta del Signore, l’unico sacrificio del Nuovo Testamento, il sacrificio cioè di Cristo, che una volta per tutte si offre al Padre quale vittima immacolata». Da questo unico sacrificio tutto il loro ministero sacerdotale trae la sua forza.
1567 – «I presbiteri, saggi collaboratori dell’ordine episcopale e suo aiuto e strumento, chiamati al servizio del popolo di Dio, costituiscono col loro Vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi. Nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande, condividono in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine e le esercitano con dedizione quotidiana». I sacerdoti non possono esercitare il loro ministero se non in dipendenza dal Vescovo e in comunione con lui. La promessa di obbedienza che fanno al Vescovo al momento dell’ordinazione e il bacio di pace del Vescovo al termine della liturgia dell’ordinazione significano che il Vescovo li considera come suoi collaboratori, suoi figli, suoi fratelli e suoi amici, e che, in cambio, essi gli devono amore e obbedienza.
1568 – «I presbiteri, costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono tutti tra loro uniti da intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio Vescovo». L’unità del presbiterio trova un’espressione liturgica nella consuetudine secondo la quale, durante il rito dell’ordinazione, i presbiteri, dopo il Vescovo, impongono anch’essi le mani.
L’ORDINAZIONE DEI DIACONI «PER IL SERVIZIO»
1569 – «In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani «”non per il sacerdozio, ma per il servizio”». Per l’ordinazione al diaconato soltanto il Vescovo impone le mani, significando cosi che il diacono è legato in modo speciale al Vescovo nei compiti della sua «diaconia».
1570 – I diaconi partecipano in una maniera particolare alla missione e alla grazia di Cristo. Il sacramento dell’Ordine imprime in loro un sigillo («carattere») che nulla può cancellare e che li configura a Cristo, il quale si è fatto «diacono», cioè servo di tutti. Compete ai diaconi, tra l’altro, assistere il Vescovo e i presbiteri nella celebrazione dei divini misteri, Soprattutto dell’Eucaristia, distribuirla, assistere e benedire il Matrimonio, proclamare il Vangelo e predicare, presiedere ai funerali e dedicarsi ai vari servizi della carità.
1571 – Dopo il Concilio Vaticano li la Chiesa latina ha ripristinato il diaconato «come un grado proprio e permanente della gerarchia mentre le Chiese d’Oriente lo avevano sempre conservato. Il diaconato permanente, che può essere conferito a uomini sposati, costituisce un importante arricchimento per la missione della Chiesa. In realtà, è conveniente e utile che gli uomini che nella Chiesa adempiono un ministero veramente diaconale, sia nella vita liturgica e pastorale, sia nelle opere sociali e caritative «siano fortificati per mezzo dell’imposizione delle mani, trasmessa dal tempo degli Apostoli, e siano più strettamente uniti all’altare, per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l’aiuto della grazia sacramentale del diaconato»
IV. La celebrazione di questo sacramento.
1572 – La celebrazione dell’ordinazione di un Vescovo, di presbiteri o di diaconi, data la sua importanza per la vita della Chiesa particolare, richiede il concorso del maggior numero possibile di fedeli. Avrà luogo preferibilmente la domenica e nella cattedrale, con quella solennità che si addice alla circostanza. Le tre ordinazioni, del Vescovo, del presbitero, e del diacono, hanno la medesima configurazione. Il loro posto è in seno alla liturgia eucaristica.
1573 – Il rito essenziale del sacramento dell’Ordine è costituito, per i tre gradi, dall’imposizione delle mani, da parte del Vescovo, sul capo dell’ordinando come pure dalla specifica preghiera consacratoria che domanda a Dio l’effusione dello Spirito Santo e dei suoi doni adatti al ministero per il quale il candidato viene ordinato.
1574 – Come in tutti i sacramenti, accompagnano la celebrazione alcuni riti annessi. Pur variando notevolmente nelle diverse tradizioni liturgiche, essi hanno in comune la proprietà di esprimere i molteplici aspetti della grazia sacramentale. Cosi, nel rito latino, i riti di introduzione la presentazione e l’elezione dell’ordinando, l’omelia del Vescovo, l’interrogazione dell’ordinando, le litanie dei santi – attestano che la scelta del candidato é stata fatta in conformità alla prassi della Chiesa e preparano l’atto solenne della consacrazione. A questa fanno seguito altri riti che esprimono e completano in maniera simbolica il misiero che si è compiuto: per il Vescovo e il presbitero l’unzione del santo crisma, segno dell’unzione speciale dello Spirito Santo che rende fecondo il loro ministero; la consegna del libro dei Vangeli, dell’anello, della mitra e del pastorale al Vescovo, come segno della sua missione apostolica di annunziare la Parola di Dio, della sua fedeltà alla Chiesa, Sposa di Cristo, del suo compito di Pastore del gregge del Signore; la consegna, al sacerdote, della patena e del calice, l’offerta del popolo santo, che egli è chiamato a presentare a Dio; la consegna del libro dei Vangeli al diacono, che ha ricevuto la missione di annunzia-re il Vangelo di Cristo.
V. Chi può conferire questo sacramento?
1575 – È Cristo che ha scelto gli Apostoli e li ha resi partecipi della sua missione e della sua autorità. Innalzato alla destra del Padre, non abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre per mezzo degli Apostoli e ancora lo conduce sotto la guida di quegli stessi Pastori che continuano oggi la sua opera. È dunque Cristo che stabilisce alcuni come Apostoli, altri come Pastori. Egli continua ad agire per mezzo dei Vescovi.
1576 – Poiché il sacramento dell’Ordine è il sacramento del ministero apostolico, spetta ai Vescovi in quanto successori degli Apostoli trasmettere «questo dono dello Spirito» «il seme apostolico». I Vescovi validamente ordinati, che sono cioè nella linea della successione apostolica, conferiscono validamente i tre gradi del sacramento dell’Ordine.
VI. Chi può ricevere questo sacramento?
1577 – «Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile [“vir”]». Il Signore Gesù ha scelto uomini [“viri”] per formare il collegio dei dodici Apostoli, e gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori che sarebbero loro succeduti nel ministero. Il collegio dei Vescovi, con i quali i presbiteri sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo il collegio dei Dodici. La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso. Per questo motivo l’ordinazione delle donne non è possibile.
1578 – Nessuno ha un diritto a ricevere il sacramento dell’Ordine. Infatti nessuno può attribuire a se stesso questo ufficio. Ad esso si è chiamati da Dio. Chi crede di riconoscere i segni della chiamata di Dio al ministero ordinato, deve sottomettere umilmente il proprio desiderio all’autorità della Chiesa, alla quale spetta la responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli Ordini. Come ogni grazia, questo sacramento non può essere ricevuto che come dono immeritato.
1579 – Tutti i ministri ordinati della Chiesa latina, ad eccezione dei diaconi permanenti, sono normalmente scelti fra gli uomini credenti che vivono da celibi e che intendono conservare il celibato «per il regno dei cieli» (Mt 19,12). Chiamati a consacrarsi con cuore indiviso al Signore e alle «sue cose», essi si donano interamente a Dio e agli uomini. Il celibato è un segno di questa vita nuova al cui servizio il ministro della Chiesa viene consacrato; abbracciato con cuore gioioso, esso annuncia in modo radioso il regno di Dio.
1580 – Nelle Chiese Orientali, da secoli, è in vigore una disciplina diversa: mentre i Vescovi sono scelti unicamente fra coloro che vivono nel celibato, uomini sposati possono essere ordinati diaconi e presbiteri. Tale prassi è da molto tempo considerata come legittima; questi presbiteri esercitano un ministero fruttuoso in seno alle loro comunità. altro canto il celibato dei presbiteri è in grande onore nelle Chiese Orientali, e numerosi sono i presbiteri che l’hanno scelto liberamente, per il regno di Dio. In Oriente come in Occidente, chi ha ricevuto il sacramento dell’Ordine non può più sposarsi
VII. Gli effetti del sacramento dell’Ordine.
IL CARATTERE INDELEBILE
1581 – Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua Chiesa. Per mezzo dell’ordinazione si viene abilitati ad agire come rappresentanti di Cristo, Capo della Chiesa, nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re.
1582 – Come nel caso del Battesimo e della Confermazione, questa partecipazione alla funzione di Cristo è accordata una volta per tutte. Il sacramento dell’Ordine conferisce, anch’esso, un carattere spirituale indelebile e non può essere ripetuto né essere conferito per un tempo limitato.
1583 – Un soggetto validamente ordinato può, certo, per gravi motivi, essere dispensato dagli obblighi e dalle funzioni connessi all’ordinazione o gli può essere fatto divieto di esercitarli, ma non può più ridiventare laico in senso stretto, poiché il carattere impresso dall’ordinazione rimane per sempre. La vocazione e la missione ricevute nel giorno della sua ordinazione lo segnano in modo permanente.
1584 – Poiché in definitiva è Cristo che agisce e opera la salvezza mediante il ministro ordinato, l’indegnità di costui non impedisce a Cristo di agire. Sant’Agostino lo dice con forza: «Un ministro superbo va messo assieme al diavolo; ma non per questo viene contaminato il dono di Cristo, che attraverso di lui continua a fluire nella sua purezza e per mezzo di lui arriva limpido a fecondare la terra. […] La virtù spirituale del sacramento é infatti come la luce: giunge pura a coloro che devono essere illuminati e, anche se deve passare attraverso esseri immondi, non viene contaminata».
LA GRAZIA DELLO SPIRITO SANTO
1585 – La grazia dello Spirito Santo propria di questo sacramento consiste in una configurazione a Cristo Sacerdote, Maestro e Pastore del quale l’ordinato è costituito ministro.
1586 – Per il Vescovo è innanzi tutto una grazia di fortezza («Il tuo Spirito che regge e guida»: Preghiera consacratoria del Vescovo nel rito latino: la grazia di guidare e di difendere con forza e prudenza la sua Chiesa come padre e pastore, con un amore gratuito verso tutti e una predilezione per i poveri, gli ammalati e i bisognosi. Questa grazia lo spinge ad annunciare a tutti il Vangelo, ad essere il modello del suo gregge, a precederlo sul cammino della santificazione identificandosi nell’Eucaristia con Cristo Sacerdote e Vittima, senza temere di dare la vita per le sue pecore: «Concedi, Padre che conosci i cuori, a questo servo che hai scelto per l’Episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di esercitare in maniera irreprensibile e in tuo onore la massima dignità sacerdotale, servendoti notte e giorno; di rendere il tuo volto incessantemente propizio e di offrirti i doni della tua santa Chiesa; di avere, in virtù dello spirito del sommo sacerdozio, il potere di rimettere i peccati secondo il tuo comando, di distribuire i compiti secondo la tua volontà e di sciogliere ogni legame in virtù del potere che hai dato agli Apostoli; di esserti accetto per la sua mansuetudine e per la purezza del suo cuore, offrendoti un profumo soave per mezzo di Gesù Cristo tuo Figlio…».
1587 – Il dono spirituale conferito dall’ordinazione presbiterale è espresso da questa preghiera propria del rito bizantino. Il Vescovo, imponendo le mani, dice tra l’altro: «Signore, riempi di Spirito Santo colui che ti sei degnato di elevare alla dignità sacerdotale, affinché sia degno di stare irreprensibile davanti al tuo altare, di annunciare il Vangelo del tuo regno, di compiere il ministero della tua parola di verità, di offrirti doni e sacrifici spirituali, di rinnovare il tuo popolo mediante il lavacro della rigenerazione; in modo che egli stesso vada incontro al nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, tuo unico Figlio, nel giorno della sua seconda venuta, e riceva dalla tua immensa bontà la ricompensa di un fedele adempimento del suo ministero».
1588 – Quanto ai diaconi, «sostenuti dalla grazia sacramentale, servono il popolo di Dio nel ministero della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio.
1589 – Dinanzi alla grandezza della grazia e dell’ufficio sacerdotali, i santi dottori hanno avvertito l’urgente appello alla conversione al fine di corrispondere con tutta la loro vita a colui di cui sono divenuti ministri mediante il sacramento. Così, san Gregorio Nazianzeno, giovanissimo sacerdote, esclama: «Bisogna cominciare col purificare se stessi prima di purificare gli altri; bisogna essere istruiti per poter istruire; bisogna divenire luce per illuminare, avvicinarsi a Dio per avvicinare a lui gli altri, essere santificati per santificare, condurre per mano e consigliare con intelligenza». So di chi siamo i ministri, a quale altezza ci troviamo e chi è colui verso il quale ci dirigiamo. Conosco la grandezza di Dio e la debolezza dell’uomo, ma anche la sua forza.” «[Chi è dunque il sacerdote? È] il difensore della verità, che si eleva con gli angeli, glorifica con gli arcangeli, fa salire sull’altare del cielo le vittime dei sacrifici, condivide il sacerdozio di Cristo, riplasma la creatura, restaura [in essa] l’immagine [di Dio], la ricrea per il mondo di lassù, e, per dire ciò che vi è di più sublime, èdivinizzato e divinizza». Il santo Curato d’Ars: «È il sacerdote che continua l’opera di redenzione sulla terra. […] Se si comprendesse bene il sacerdote qui in terra, si morirebbe non di spavento, ma di amore». «Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù».
In sintesi
1590 – San Paolo dice al suo discepolo Timoteo: «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani» (2 Tm 1,6), e: «Se uno aspira all’Episcopato, desidera un nobile lavoro» (1 Tm 3,1). A Tito diceva: «Per questo ti ho lasciato a Creta, perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato» (Tt 1,5).
1591 – Tutta la Chiesa è un popolo sacerdotale. Grazie al battesimo, tutti i fedeli partecipano al sacerdozio di Cristo. Tale partecipazione si chiama «sacerdozio comune dei fedeli». Sulla sua base e al suo servizio esiste un ‘altra partecipazione alla missione di Cristo: quella del ministero conferito dal sacramento dell’Ordine, la cui funzione e’ di servire a nome e in persona di Cristo Capo in mezzo alla comunità.
1592 – Il sacerdozio ministeriale differisce essenzialmente dal sacerdozio comune dei fedeli poiché conferisce un potere sacro per il servizio dei fedeli. I ministri ordinati esercitano il loro servizio presso il popolo di Dio attraverso l’insegnamento (munus docenti), il culto divino (munus liturgicum) e il governo pastorale (munus regendi).
1593 – Fin dalle origini, il ministero ordinato è stato conferito ed esercitato in tre gradi: quello dei Vescovi, quello dei presbiteri e quello dei diaconi. I ministeri confériti dall’ordinazione sono insostituibili per la struttura organica della Chiesa: senza il Vescovo, i presbiteri e i diaconi, non si può parlare di Chiesa.
1594 – Il Vescovo riceve la pienezza del sacramento dell’Ordine che lo inserisce nel Collegio episcopale e fa di lui il capo visibile della Chiesa particolare che gli è affidata. I Vescovi, in quanto successori degli Apostoli e membri del Collegio, hanno parte alla responsabilità apostolica e alla missione di tutta la Chiesa sotto l’autorità del Papa, Successore di san Pietro.
1595 – I presbiteri sono uniti ai Vescovi nella dignità sacerdotale e nello stesso tempo dipendono da essi nell’esercizio delle loro funzioni pastorali; sono chiamati ad essere i saggi collaboratori dei Vescovi; riuniti attorno al loro Vescovo formano il «presbiterio», che insieme con lui porta la responsabilità della Chiesa particolare. Essi ricevono dal Vescovo la responsabilità di una comunità parrocchiale o di una determinata funzione ecclesiale.
1596 – I diaconi sono ministri ordinati per gli incarichi di servizio della Chiesa; non ricevono il sacerdozio ministeriale, ma l’ordinazione conferisce loro funzioni importanti nel ministero della parola, del culto divino, del governo pastorale e del servizio della carità, compiti che devono assolvere sotto l’autorità pastorale del loro Vescovo.
1597 – Il sacramento dell’Ordine è conferito mediante l’imposizione delle mani seguita da una preghiera consacratoria solenne che chiede a Dio per l’ordinando le grazie dello Spirito Santo richieste per il suo ministero. L’ordinazione imprime un carattere sacramentale indelebile.
1598 – La Chiesa conferisce il sacramento dell’Ordine soltanto a uomini (viri) battezzati, le cui attitudini per l’esercizio del ministero sono state debitamente riconosciute. Spetta all’autorità della Chiesa la responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli ordini.
1599 – Nella Chiesa latina il sacramento dell’Ordine per il presbiterato è conferito normalmente solo a candidati disposti ad abbracciare liberamente il celibato e che manifestano pubblicamente la loro volontà di osservano per amore del regno di Dio e del servizio degli uomini.
1600 – Spetta ai Vescovi conferire il sacramento dell’Ordine nei tre gradi.
Articolo 7
IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO
1601 – «Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento
I. Il Matrimonio nel disegno di Dio.
1602 – La Sacra Scrittura si apre con la creazione dell’uomo e della donna ad immagine e somiglianza di Dio e si chiude con la visione delle «nozze dell’Agnello» (Ap l9,9). Da un capo all’altro la Scrittura parla del Matrimonio e del suo mistero, della sua istituzione e del senso che Dio gli ha dato, della sua origine e del suo fine, delle sue diverse realizzazioni lungo tutta la storia della salvezza, delle sue difficoltà derivate dal peccato e del suo rinnovamento «nel Signore» (1 Cor 7,39), nella Nuova Alleanza di Cristo e della Chiesa.
IL MATRIMONIO NELL’ORDINE DELLA CREAZIONE
1603 – «L’intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale (…). Dio stesso è l’autore del matrimonio. La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell’uomo e della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore. Il matrimonio non è un’istituzione puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto subire nel corso dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali. Queste diversità non devono far dimenticare i tratti comuni e permanenti. Sebbene la dignità di questa istituzione non traspaia ovunque con la stessa chiarezza, esiste tuttavia in tutte le culture un certo senso della grandezza dell’unione matrimoniale. «La salvezza della persona e della società umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare».
1604 – Dio, che ha creato l’uomo per amore, lo ha anche chiamato all’amore, vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano. Infatti l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio che «è amore» (1 Gv 4,8.16). Avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco amore diventa un’immagine dell’amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l’uomo. E’ cosa buona, molto buona, agli occhi del Creatore. E questo amore che Dio benedice è destinato ad essere fecondo e a realizzarsi nell’opera comune della custodia della creazione: «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela”» (Gn 1,28).
1605 – Che l’uomo e la donna siano creati l’uno per l’altro, lo afferma la Sacra Scrittura: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18). La donna, «carne della sua carne», sua eguale, del tutto prossima a lui, gli è donata da Dio come «aiuto», rappresentando così Dio dal quale viene il nostro aiuto. «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gn2,24). Che ciò significhi un’unità indefettibile delle loro due esistenze, il Signore stesso lo mostra ricordando quale sia stato, «da principio», il disegno del Creatore: «Così che non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19,6).
IL MATRIMONIO SOTTO IL REGIME DEL PECCATO
1606 – Ogni uomo fa l’esperienza del male, attorno a sé e in sé stesso. Questa esperienza si fa sentire anche nelle relazioni fra l’uomo e la donna. Da sempre la loro unione è stata minacciata dalla discordia, dallo spirito di dominio, dall’infedeltà, dalla gelosia e da conflitti che possono arrivare fino all’odio e alla rottura. Questo disordine può manifestarsi in modo più o meno acuto, e può essere più o meno superato, secondo le culture, le epoche, gli individui, ma sembra proprio avere un carattere universale.
1607 – Secondo la fede, questo disordine che noi constatiamo con dolore, non deriva dalla natura dell’uomo e della donna, né dalla natura delle loro relazioni, ma dal peccato. Rottura con Dio, il primo peccato ha come prima conseguenza la rottura della comunione originale dell’uomo e della donna. Le loro relazioni sono distorte da accuse reciproche; la loro mutua attrattiva, dono proprio del Creatore, si cambia in rapporti di dominio e di bramosia; la splendida vocazione dell’uomo e della donna ad essere fecondi, a moltiplicarsi e a soggiogare la terra è gravata dai dolori del parto e dalle fatiche del lavoro.
1608 – Tuttavia, anche se gravemente sconvolto, l’ordine della creazione permane. Per guarire le ferite del peccato, l’uomo e la donna hanno bisogno dell’aiuto della grazia che Dio, nella sua infinita misericordia, non ha loro mai rifiutato. Senza questo aiuto l’uomo e la donna non possono giungere a realizzare l’unione delle loro vite, in vista della quale Dio li ha creati «da principio».
IL MATRIMONIO SOTTO LA PEDAGOGIA DELLA LEGGE
1609 – Nella sua misericordia, Dio non ha abbandonato l’uomo peccatore. Le sofferenze che derivano dal peccato, i dolori del parto, il lavoro «con il sudore del tuo volto» (Gn 3,19) costituiscono anche dei rimedi che attenuano i danni del peccato. Dopo la caduta, il matrimonio aiuta a vincere il ripiegamento su di sé, «l’egoismo», la ricerca del proprio piacere, e ad aprirsi all’altro, all’aiuto vicendevole, al dono di sé.
1610 – La coscienza morale riguardante l’unità e l’indissolubilità del matrimonio si è sviluppata sotto la pedagogia della Legge antica. La poligamia dei patriarchi e dei re non è ancora esplicitamente rifiutata. Tuttavia, la Legge data a Mosè mira a proteggere la donna contro l’arbitrarietà del dominio da parte dell’uomo, sebbene anch’essa porti, secondo la parola del Signore, le tracce della «durezza del cuore» dell’uomo, a motivo della quale Mosè ha permesso il ripudio della donna.
1611 – Vedendo l’Alleanza di Dio con Israele sotto l’immagine di un amore coniugale esclusivo e fedele, i profeti hanno preparato la coscienza del popolo eletto ad una intelligenza approfondita dell’unicità e dell’indissolubilità del matrimonio. I libri di Rut e di Tobia offrono testimonianze commoventi di un alto senso del matrimonio, della fedeltà e della tenerezza degli sposi. La Tradizione ha sempre visto nel Cantico dei Cantici un’espressione unica dell’amore umano, in quanto è riflesso dell’amore di Dio, amore «forte come la morte» che «le grandi acque non possono spegnere» (Ct 8,6-7). IL MATRIMONIO NEL SIGNORE
1612 – L’Alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo Israele aveva preparato l’Alleanza nuova ed eterna nella quale il Figlio di Dio, incarnandosi e offrendo la propria vita, in certo modo ha unito a sé tutta l’umanità da lui salvata, preparando così «le nozze dell’Agnello».
1613 – Alle soglie della sua vita pubblica, Gesù compie il suo primo segno su richiesta di sua Madre durante una festa nuziale. La Chiesa attribuisce una grande importanza alla presenza di Gesù alle nozze di Cana. Vi riconosce la conferma della bontà del matrimonio e l’annuncio che ormai esso sarà un segno efficace della presenza di Cristo.
1614 – Nella sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso originale dell’unione dell’uomo e della donna, quale il Creatore l’ha voIuta all’origine: il permesso, dato da Mosè, di ripudiare la propria moglie, era una concessione motivata dalla durezza del cuore; l’unione matrimoniale dell’uomo e della donna è indissolubile: Dio stesso l’ha conclusa: «Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19,6).
1615 – Questa inequivocabile insistenza sull’indissolubilità del vincolo matrimoniale ha potuto lasciare perplessi e apparire come un’esigenza irrealizzabile. Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e troppo gravoso, più pesante della Legge di Mosè. Venendo a ristabilire l’ordine iniziale della creazione sconvolto dal peccato, egli stesso dona la forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova dimensione del regno di Dio. Seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce, gli sposi potranno «capire» il senso originale del matrimonio e viverlo con l’aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana.
1616 – É ciò che l’Apostolo Paolo lascia intendere quando dice: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (Ef 5,25-26), e aggiunge subito: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (Ef 5,31-32).
1617 – Tutta la vita cristiana porta il segno dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa. Già il Battesimo, che introduce nel popolo di Dio, è un mistero nuziale: è, per così dire, il lavacro di nozze che precede il banchetto di nozze, l’Eucaristia. Il Matrimonio cristiano diventa, a sua volta, segno efficace, sacramento dell’Alleanza di Cristo e della Chiesa. Poiché ne significa e ne comunica la grazia, il Matrimonio fra battezzati è un vero sacramento della Nuova Alleanza.
LA VERGINITÀ PER IL REGNO
1618 – Cristo è il centro di ogni vita cristiana. Il legame con lui occupa il primo posto rispetto a tutti gli altri legami, familiari o sociali. Fin dall’inizio della Chiesa, ci sono stati uomini e donne che hanno rinunciato al grande bene del matrimonio per seguire l’Agnello dovunque vada, per preoccuparsi delle cose del Signore e cercare di piacergli, per andare incontro allo Sposo che viene. Cristo stesso ha invitato certuni a seguirlo in questo genere di vita, di cui egli rimane il modello: «Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca» (Mt 19,12).
1619 – La verginità per il regno dei cieli è uno sviluppo della grazia battesimale, un segno possente della preminenza del legame con Cristo, dell’attesa ardente del suo ritorno, un segno che ricorda pure come il matrimonio sia una realtà del mondo presente che passa.
1620 – Entrambi, il sacramento del Matrimonio e la verginità per il regno di Dio, provengono dal Signore stesso. È lui che dà loro senso e concede la grazia indispensabile per viverli conformemente alla sua volontà. La stima della verginità per il Regno e il senso cristiano del Matrimonio sono inseparabili e si favoriscono reciprocamente: «Chi denigra il matrimonio, sminuisce anche la gloria della verginità; chi lo loda, aumenta l’ammirazione che è dovuta alla verginità (…). Infatti, ciò che sembra bello solo in rapporto a ciò che è brutto non può essere molto bello; quello che invece è la migliore delle cose considerate buone, è la cosa più bella in senso assoluto»
Il. La celebrazione del Matrimonio.
1621 – Nel rito latino, la celebrazione del Matrimonio tra due fedeli cattolici ha luogo normalmente durante la santa Messa, a motivo del legame di tutti i sacramenti con il mistero pasquale di Cristo. Nell’Eucaristia si realizza il memoriale della Nuova Alleanza, nella quale Cristo si è unito per sempre alla Chiesa, sua diletta Sposa per la quale ha dato se stesso. E’ dunque conveniente che gli sposi suggellino il loro consenso a donarsi l’uno all’altro con l’offerta delle loro proprie vite, unendola all’offerta di Cristo per la sua Chiesa, resa presente nel sacrificio eucaristico, e ricevendo l’Eucaristia, affinché, nel comunicare al medesimo Corpo e al medesimo Sangue di Cristo, essi «formino un corpo solo» in Cristo.
1622 – «In quanto gesto sacrarnentale di santificazione, la celebrazione liturgica del Matrimonio […] deve essere per sé valida, degna e fruttuosa». Conviene quindi che i futuri sposi si dispongano alla celebrazione del loro Matrimonio ricevendo il sacramento della Penitenza.
1623 – Secondo la tradizione latina, sono gli sposi, come ministri della grazia di Cristo, a conferirsi mutuamente il sacramento del Matrimonio esprimendo davanti alla Chiesa il loro consenso. Nelle tradizioni delle Chiese Orientali, i sacerdoti – Vescovi o presbiteri – sono testimoni del reciproco consenso scambiato tra gli sposi, ma anche la loro benedizione è necessaria per la validità del sacramento.
1624 – Le diverse liturgie sono ricche di preghiere di benedizione e di epiclesi che chiedono a Dio la sua grazia e la benedizione sulla nuova coppia, specialmente sulla sposa. Nell’epiclesi di questo sacramento gli sposi ricevono lo Spirito Santo come comunione di amore di Cristo e della Chiesa. È lui il sigillo della loro alleanza, la sorgente sempre offerta del loro amore, la forza in cui si rinnoverà la loro fedeltà
III. Il consenso matrimoniale.
1625 – I protagonisti dell’alleanza matrimoniale sono un uomo e una donna battezzati, liberi di contrarre il matrimonio e che esprimono liberamente il loro consenso. «Essere libero» vuol dire: non subire costrizioni; non avere impedimenti in base ad una legge naturale o ecclesiastica.
1626 – La Chiesa considera lo scambio del consenso tra gli sposi come l’elemento indispensabile «che costituisce il Matrimonio». Se il consenso manca, non c’è Matrimonio.
1627 – Il consenso consiste in un «atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono» «Io prendo te come mia sposa…» «Io prendo te come mio sposo…» Questo consenso che lega gli sposi tra loro trova il suo compimento nel fatto che i due diventano «una carne sola».
1628 – Il consenso deve essere un atto della volontà di ciascuno dei contraenti, libero da violenza o da grave costrizione esterna. Nessuna potestà umana può sostituirsi a questo consenso. Se tale libertà manca, il Matrimonio è invalido.
1629 – Per questo motivo (o per altre cause che rendono nullo e non avvenuto il Matrimonio la Chiesa può, dopo esame della situazione da parte del tribunale ecclesiastico competente, dichiarare «la nullità del Matrimonio», vale a dire che il Matrimonio non è mai esistito. In questo caso i contraenti sono liberi di sposarsi, salvo il rispetto degli obblighi naturali derivanti da una precedente unione.
1630 – Il sacerdote (o il diacono) che assiste alla celebrazione del Matrimonio, accoglie il consenso degli sposi a nome della Chiesa e dà la benedizione della Chiesa. La presenza del ministro della Chiesa (e anche dei testimoni) esprime visibilmente che il Matrimonio è una realtà ecclesiale.
1631 – È per questo motivo che la Chiesa normalmente richiede per i suoi fedeli la forma ecclesiastica della celebrazione del Matrimonio. Diverse ragioni concorrono a spiegare questa determinazione: il Matrimonio sacramentale è un atto liturgico. È quindi conveniente che venga celebrato nella liturgia pubblica della Chiesa; il Matrimonio introduce in un ordo ordine – ecclesiale, crea diritti e doveri nella Chiesa, fra gli sposi e verso i figli; poiché il Matrimonio è uno stato di vita nella Chiesa, è necessario che vi sia certezza sul Matrimonio (da qui l’obbligo di avere dei testimoni); il carattere pubblico del consenso protegge il consenso una volta dato e aiuta a rimanervi fedele.
1632 – Perché il «Si» degli sposi sia un atto libero e responsabile, e l’alleanza matrimoniale abbia delle basi umane e cristiane solide e durature, la preparazione al Matrimonio è di fondamentale importanza. L’esempio e l’insegnamento dati dai genitori e dalle famiglie restano il cammino privilegiato di questa preparazione. Il ruolo dei Pastori e della comunità cristiana come «famiglia di Dio» è indispensabile per la trasmissione dei valori umani e cristiani del matrimonio e della famiglia, tanto più che nel nostro tempo molti giovani conoscono l’esperienza di focolari distrutti che non assicurano più sufficientemente questa iniziazione: I giovani devono essere adeguatamente e tempestivamente istruiti, soprattutto in seno alla propria famiglia, sulla dignità dell’amore coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni; così che, formati nella stima della castità, possano ad età conveniente passare da un onesto fidanzamento alle nozze».
I MATRIMONI MISTI E LA DISPARITÀ DI CULTO
1633 – In numerosi paesi si presenta assai di frequente la situazione del matrimonio misto (fra cattolico e battezzato non cattolico). Essa richiede un’attenzione particolare dei coniugi e dei Pastori. Il caso di matrimonio con disparità di colto (fra cattolico e non-battezzato) esige una circospezione ancora maggiore.
1634 – La diversità di confessione fra i coniugi non costituisce un ostacolo insormontabile per il matrimonio, allorché essi arrivano a mettere in comune ciò che ciascuno di loro ha ricevuto nella propria comunità, e ad apprendere l’uno dall’altro il modo in cui ciascuno vive la sua fedeltà a Cristo. Ma le difficoltà dei matrimoni misti non devono neppure essere sottovalutate. Esse sono dovute al fatto che la separazione dei cristiani non è ancora superata. Gli sposi rischiano di risentire il dramma della disunione dei cristiani all’interno stesso del loro focolare. La disparità di culto può aggravare ulteriormente queste difficoltà. Divergenze concernenti la fede, la stessa concezione del matrimonio, ma anche mentalità religiose differenti possono costituire una sorgente di tensioni nel matrimonio, soprattutto a proposito dell’educazione dei figli. Una tentazione può allora presentarsi: l’indifferenza religiosa.
1635 – Secondo il diritto in vigore nella Chiesa latina, un matrimonio misto necessita, per la sua liceità, dell’espressa licenza dell’autorità ecclesiastica. In caso di disparità di culto è richiesta, per la validità del Matrimonio, una espressa dispensa dall’impedimento. Questa licenza o questa dispensa suppongono che entrambe le parti conoscano e non escludano i fini e le proprietà essenziali del Matrimonio; inoltre che la parte cattolica confermi gli impegni, portati a conoscenza anche della parte acattolica, di conservare la propria fede e di assicurare il Battesimo e l’educazione dei figli nella Chiesa cattolica.
1636 – In molte regioni, grazie al dialogo ecumenico, le comunità cristiane interessate hanno potuto organizzare una pastorale comune per i matrimoni misti. Suo compito è di aiutare queste coppie a vivere la loro situazione particolare alla luce della fede. Essa deve anche aiutarle a superare le tensioni fra gli obblighi reciproci dei coniugi e quelli verso le loro comunità ecclesiali. Deve incoraggiare lo sviluppo di ciò che è loro comune nella fede, e il rispetto di ciò che li separa.
1637- Nei matrimoni con disparità di culto lo sposo cattolico ha un compito particolare: «Infatti il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente» (1 Cor 7,14). È una grande gioia per il coniuge cristiano e per la Chiesa se questa «santificazione» conduce alla libera conversione dell’altro coniuge alla fede cristiana. L’amore coniugale sincero, la pratica umile e paziente delle virtù familiari e la preghiera perseverante possono preparare il coniuge non credente ad accogliere la grazia della conversione.
IV. Gli effetti del sacramento del Matrimonio.
1638 – «Dalla valida celebrazione del Matrimonio sorge tra i coniugi un vincolo di sua natura perpetuo ed esclusivo; inoltre nel Matrimonio cristiano i coniugi, per i compiti e la dignità del loro stato, vengono corroborati e come consacrati da uno speciale sacramento».
IL VINCOLO MATRIMONIALE
1639 – Il consenso, mediante il quale gli sposi si donano e si ricevono mutuamente, è suggellato da Dio stesso. Dalla loro alleanza «nasce, anche davanti alla società, l’istituto [del matrimonio] che ha stabilità per ordinamento divino», L’alleanza degli sposi è integrata nell’Alleanza di Dio con gli uomini: «L’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino».
1640 – Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il Matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina. LA GRAZIA DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO
1641 – I coniugi cristiani «hanno, nel loro stato di vita e nel loro ordine, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio». Questa grazia propria del sacramento del Matrimonio è destinata a perfezionare l’amore dei coniugi, a rafforzare la loro unità indissolubile. In virtù di questa grazia essi «si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale, nell’accettazione e nell’educazione della prole».
1642 – Cristo e’ la sorgente di questa grazia. «Come un tempo Dio venne incontro al suo popolo con un Patto di amore e di fedeltà, così ora il Salvatore degli uomini e Sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del Matrimonio». Egli rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri, di essere «sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (Ef 5,21) e di amarsi di un amore soprannaturale, tenero e fecondo. Nelle gioie del loro amore e della loro vita familiare egli concede loro, fin da quaggiù, una pregustazione del banchetto delle nozze dell’Agnello: «Come sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che la Chiesa unisce, l’offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli angeli annunciano e il Padre celeste ratifica? […] Quale giogo quello di due fedeli uniti in un’unica speranza, in un unico desiderio, in un’unica osservanza, in un unico servizio! Entrambi sono figli dello stesso Padre, servi dello stesso Signore; non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi, sono veramente due in una sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito».
V. I beni e le esigenze dell’amore coniugale.
1643 – «L’amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona – richiamo del corpo e dell’istinto, forza del sentimento e dell’affettività, aspirazione dello spirito e della volontà; esso mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là dell’unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuore solo e un’anima sola; esso esige l’indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità. In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma anche le eleva al punto di farne l’espressione di valori propriamente cristiani».
L’UNITÀ E L’INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO
1644 – L’amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l’unità e l’indissolubilità della loro comunità di persone che abbraccia tutta la loro vita: «Così che non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19,6).157 Essi «sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale». Questa comunione umana è confermata, purificata e condotta a perfezione mediante la comunione in Cristo Gesù, donata dal sacramento del Matrimonio. Essa si approfondisce mediante la vita di comune fede e mediante l’Eucaristia ricevuta insieme.
1645 – «L’unità del Matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell’uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore », La poligamia è contraria a questa pari dignità e all’amore coniugale che è unico ed esclusivo.
LA FEDELTÀ DELL’AMORE CONIUGALE
1646 – L’amore coniugale esige dagli sposi, per sua stessa natura, una fedeltà inviolabile. È questa la conseguenza del dono di se stessi che gli sposi si fanno l’uno all’altro. L’amore vuole essere definitivo. Non può essere «fino a nuovo ordine». «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità».
1647 – La motivazione più profonda si trova nella fedeltà di Dio alla sua Alleanza, di Cristo alla sua Chiesa. Dal sacramento del Matrimonio gli sposi sono abilitati a rappresentare tale fedeltà e a darne testimonianza. Dal sacramento, l’indissolubilità del Matrimonio riceve un senso nuovo e più profondo.
1648 – Può sembrare difficile, persino impossibile, legarsi per tutta la vita a un essere umano. È perciò quanto mai necessario annunciare la Buona Novella che Dio ci ama di un amore definitivo e irrevocabile, che gli sposi sono partecipi di questo amore, che egli li conduce e li sostiene, e che attraverso la loro fedeltà possono essere testimoni dell’amore fedele di Dio. I coniugi che, con la grazia di Dio, danno questa testimonianza, spesso in condizioni molto difficili, meritano la gratitudine e il sostegno della comunità ecclesiale.
1649 – Esistono tuttavia situazioni in cui la coabitazione matrimoniale diventa praticamente impossibile per le più varie ragioni. In tali casi la Chiesa ammette la separazione fisica degli sposi e la fine della coabitazione. I coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; non sono liberi di contrarre una nuova unione. In questa difficile situazione, la soluzione migliore sarebbe, se possibile, la riconciliazione. La comunità cristiana è chiamata ad aiutare queste persone a vivere cristianamente la loro situazione, nella fedeltà al vincolo del loro matrimonio che resta indissolubile.
1650 – Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo («Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio»: (Mc 10,1 1-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.
1651 – Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che spesso conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli, i sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di una attenta sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa, alla vita della quale possono e devono partecipare in quanto battezzati: «Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il Sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per implorare cosi, di giorno in giorno, la grazia di Dio.
L’APERTURA ALLA FECONDITÀ
1652 – «Per sua indole naturale, l’istituto stesso del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e all’educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento»: «I figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori. Lo stesso Dio che disse: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2,18) e che “creò all’inizio l’uomo maschio e femmina” (Mt 19,4), volendo comunicare all’uomo una certa speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l’uomo e la donna, dicendo loro: “Crescete e moltiplicatevi” (Gn 1,28). Di conseguenza la vera pratica dell’amore coniugale e tutta la struttura della vita familiare che ne nasce, senza posporre gli altri fini del matrimonio, a questo tendono che i coniugi, con fortezza d’animo, siano disposti a cooperare con l’amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia».
1653 – La fecondità dell’amore coniugale si estende ai frutti della vita morale, spirituale e soprannaturale che i genitori trasmettono ai loro figli attraverso l’educazione. I genitori sono i primi e principali educatori dei loro figli. In questo senso il compito fondamentale del matrimonio e della famiglia è di essere al servizio della vita.
1654 – I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono nondimeno avere una vita coniugale piena di senso, umanamente e cristianamente. Il loro matrimonio può risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di sacrificio.
VI. La Chiesa domestica.
1655 – Cristo ha voluto nascere e crescere in seno alla santa Famiglia di Giuseppe e di Maria. La Chiesa non è altro che la «famiglia di Dio». Fin dalle sue origini, il nucleo della Chiesa era spesso costituito da coloro che, insieme con tutta la loro famiglia, erano divenuti credenti. Allorché si convertivano, desideravano che anche «tutta la loro famiglia» fosse salvata. Queste famiglie divenute credenti erano piccole isole di vita cristiana in un mondo incredulo.
1656 – Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla fede, le famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come focolari di fede viva e irradiante. È per questo motivo che il Concilio Vaticano Il, usando un’antica espressione, chiama la famiglia«Ecclesia domestica» – Chiesa domestica. È in seno alla famiglia che «i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale».
1657 – È qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio battesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della famiglia, «con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità. Il focolare è così la prima scuola di vita cristiana e «una scuola di umanità più ricca». È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita.
1658 – Bisogna anche ricordare alcune persone che, a causa delle condizioni concrete in cui devono vivere e spesso senza averlo voluto sono particolarmente vicine al cuore di Gesù e meritano quindi affetto e premurosa sollecitudine da parte della Chiesa e in modo speciale dei Pastori: il gran numero di persone celibi. Molte di loro restano senza famiglia umana, spesso a causa di condizioni di povertà. Ve ne sono di quelle che vivono la loro situazione nello spirito delle beatitudini, servendo Dio e il prossimo in maniera esemplare. A tutte loro bisogna aprire le porte dei focolari, «Chiese domestiche», e della grande famiglia che è la Chiesa. «Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono “affaticati e oppressi” (Mt 11,28)».
In sintesi
1659 – San Paolo dice: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa […]. Questo mistero é grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5,25.32).
1660 – L’alleanza matrimoniale, mediante la quale un uomo e una donna costituiscono fra loro un’intima comunione di vita e di amore, è stata fondata e dotata di sue proprie leggi dal Creatore. Per sua natura è ordinata al bene dei coniugi così come alla generazione e all’educazione della prole. Tra battezzati essa è stata elevata da Cristo Signore alla dignità di sacramento.
1661 – Il sacramento del Matrimonio e segno dell’unione di Cristo e della Chiesa. Esso dona agli sposi la grazia di amarsi con l’amore con cui Cristo ha amato la sua Chiesa, la grazia del sacramento perfeziona casi l’amore umano dei coniugi, consolida la loro unità indissolubile e li santifica nel cammino della vita eterna.
1662 – Il matrimonio si fonda sul consenso dei contraenti, cioè sulla volontà di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un’alleanza d’amore fedele e fecondo.
1663 – Poiché il matrimonio stabilisce i coniugi in una stato pubblico di vita nella Chiesa, è opportuno che la sua celebrazione sia pubblica, inserita in una celebrazione liturgica, alla presenza del sacerdote (o del testimone qualificato della Chiesa), dei testimoni e dell’assemblea dei fedeli.
1664 – L’unità, l’indissolubilità e l’apertura alla fecondità sono essenziali al matrimonio. La poligamia è incompatibile con l’unità del matrimonio; il divorzio separa ciò che Dio ha unito; il rifiuto della fecondità priva la vita coniugale del sua «preziosissimo dono», il figlio.
1665 – Il nuovo matrimonio dei divorziati, mentre è ancora vivo il coniuge legittimo, con travviene al disegno e alla Legge di Dio insegnati da Cristo. Costoro non sono separati dalla Chiesa, ma non possono accedere alla Comunione eucaristica. Vivranno la loro vita cristiana particolarmente educando i loro figli nella fede.
1666 – Il focolare cristiano è il luogo in cui i figli ricevono il primo annuncio della fede. Perciò la casa familiare è chiamata a buon diritto «la Chiesa domestica», comunità di grazia e di preghiera, scuola delle virtù umane e della carità cristiana.
CAPITOLO QUARTO
LE ALTRE CELEBRAZIONI LITURGICHE
Articolo 1
I SACRAMENTALI
1667 – «La santa Madre Chiesa ha istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita».
I TRATTI CARATTERISTICI DEI SACRAMENTALI
1668 – Essi sono istituiti dalla Chiesa per la santificazione di alcuni ministeri ecclesiastici, di alcuni stati di vita, di circostanze molto varie della vita cristiana, così come dell’uso di cose utili all’uomo. Secondo le decisioni pastorali dei Vescovi, possono anche rispondere ai bisogni, alla cultura e alla storia propri del popolo cristiano di una regione o di un’epoca. Comportano sempre una preghiera, spesso accompagnata da un determinato segno, come l’imposizione della mano, il segno della croce, l’aspersione con l’acqua benedetta (che richiama il Battesimo).
1669 – Essi derivano dal sacerdozio battesimale: ogni battezzato è chiamato ad essere una benedizione e a benedire. Per questo anche i laici possono presiedere alcune benedizioni; più una benedizione riguarda la vita ecclesiale e sacramentale, più la sua presidenza è riservata al ministro ordinato (Vescovo, presbiteri o diaconi).
1670 – I sacramentali non conferiscono la grazia dello Spirito Santo alla maniera dei sacramenti; però mediante la preghiera della Chiesa preparano a ricevere la grazia e dispongono a cooperare con essa. «Ai fedeli ben disposti è dato di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia divina che fluisce dal mistero pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo, mistero dal quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti e i sacramentali; e così ogni uso onesto delle cose materiali può essere indirizzato alla santificazione dell’uomo e alla lode di Dio».
LE VARIE FORME DI SACRAMENTALI
1671 – Fra i sacramentali ci sono innanzi tutto le benedizioni (di persone, della mensa, di oggetti, di luoghi). Ogni benedizione è lode di Dio e preghiera per ottenere i suoi doni. In Cristo, i cristiani sono benedetti da Dio Padre «con ogni benedizione spirituale» (Ef 1,3). Per questo la Chiesa impartisce la benedizione invocando il nome di Gesù, e facendo normalmente il santo segno della croce di Cristo.
1672 – Alcune benedizioni hanno una portata duratura: hanno per effetto di consacrare persone a Dio e di riservare oggetti e luoghi all’uso liturgico. Fra quelle che sono destinate a persone da non confondere con l’ordinazione sacramentale figurano la benedizione dell’abate o dell’abbadessa di un monastero, la consacrazione delle vergini e delle vedove, il rito della professione religiosa e le benedizioni per alcuni ministeri ecclesiastici (lettori, accoliti, catechisti, ecc). Come esempio delle benedizioni che riguardano oggetti, si può segnalare la dedicazione o la benedizione di una chiesa o di un altare, la benedizione degli olii santi, dei vasi e delle vesti sacre, delle campane, ecc.
1673 – Quando la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del maligno e sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo. Gesù l’ha praticato; è da lui che la Chiesa deriva il potere e il compito di esorcizzare. In una forma semplice, l’esorcismo è praticato durante la celebrazione del Battesimo. L’esorcismo solenne, chiamato «grande esorcismo», può essere praticato solo da un presbitero e con il permesso del Vescovo. In ciò bisogna procedere con prudenza, osservando rigorosamente le norme stabilite dalla Chiesa. L’esorcismo mira a scacciare i demoni o a liberare dall’influenza demoniaca, e ciò mediante l’autorità spirituale che Gesù ha affidato alla sua Chiesa. Molto diverso è il caso di malattie, soprattutto psichiche, la cui cura rientra nel campo della scienza medica. È importante, quindi, accertarsi, prima di celebrare l’esorcismo, che si tratti di una presenza del maligno e non di una malattia.
LA RELIGIOSITÀ POPOLARE
1674 – Oltre che della liturgia dei sacramenti e dei sacramentali, la catechesi deve tener conto delle forme della pietà dei fedeli e della religiosità popolare. Il senso religioso del popolo cristiano, in ogni tempo, ha trovato la sua espressione nelle varie forme di pietà che accompagnano la vita sacramentale della Chiesa, quali la venerazione delle reliquie, le visite ai santuari, i pellegrinaggi, le processioni, la «via crucis», le danze religiose, il Rosario, le medaglie, ecc.
1675 – Queste espressioni sono un prolungamento della vita liturgica della Chiesa, ma non la sostituiscono: «Bisogna che tali esercizi, tenuto conto dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, derivino in qualche modo da essa, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano».
1676 – E’ necessario un discernimento pastorale per sostenere e favorire la religiosità popolare e, all’occorrenza, per purificare e rettificare il senso religioso che sta alla base di tali devozioni e per far progredire nella conoscenza del mistero di Cristo. Il loro esercizio è sottomesso alla cura e al giudizio dei Vescovi e alle norme generali della Chiesa. «La religiosità popolare, nell’essenziale, è un insieme di valori che, con saggezza cristiana, risponde ai grandi interrogativi dell’esistenza. Il buon senso popolare cattolico è fatto di capacità di sintesi per l’esistenza. E’ così che esso unisce, in modo creativo, il divino e l’umano, Cristo e Maria, lo spirito e il corpo, la comunione e l’istituzione, la persona e la comunità, la fede e la patria, l’intelligenza e il sentimento. Questa saggezza è un umanesimo cristiano che afferma radicalmente la dignità di ogni essere in quanto figlio di Dio, instaura una fraternità fondamentale, insegna a porsi in armonia con la natura e anche a comprendere il lavoro, e offre motivazioni per vivere nella gioia e nella serenità, pur in mezzo alle traversie dell’esistenza. Questa saggezza è anche, per il popolo, un principio di discernimento, un istinto evangelico che gli fa spontaneamente percepire quando il Vangelo è al primo posto nella Chiesa, o quando esso è svuotato del suo contenuto e soffocato da altri interessi.
In sintesi
1677 – Si chiamano sacramentali i sacri segni istituiti dalla Chiesa il cui scopo è di preparare g