Cardinale Crescenzio Sepe – “Dar da mangiare agli affamati”
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Cardinale Crescenzio Sepe
Arcivescovo Metropolita di Napoli
Lettera Pastorale
“Dar da mangiare agli affamati”
La Chiesa di Napoli in cammino per la missione
Cari fratelli e sorelle,
all’inizio di un nuovo anno pastorale sento vivo il bisogno di rivolgermi a voi sacerdoti e diaconi, consacrate e consacrati e fedeli tutti della Chiesa di Napoli, per mettere il mio cuore accanto al vostro e tracciare insieme a voi il prossimo tratto di strada del lungo, ma entusiasmante cammino che abbiamo intrapreso. Siamo spinti in tale direzione dalla consapevolezza della missione che il Signore ci ha affidato in questo momento della storia e dalla responsabile sollecitudine che avvertiamo nei confronti del futuro del nostro popolo.
Vengono in mente le parole di Papa Francesco che auspica una Chiesa “in uscita”, sollecita nel prendere l’iniziativa, disposta a farsi coinvolgere nella storia degli esclusi, pronta ad accompagnare gli uomini nei loro processi di sviluppo e a festeggiare con loro ogni tappa, ogni passo avanti (Evangelii gaudium, 24).
Il nostro percorso
La nostra comunità ecclesiale, negli ultimi anni, ha definito in maniera progressivamente più precisa le linee del suo agire pastorale. Il Piano del 2008, Organizzare la speranza, nato da una riflessione circostanziata sulla situazione della nostra Chiesa napoletana, ha rappresentato una sorta di mappatura complessiva delle nostre Comunità. Esso ha inteso offrire le coordinate generali per muoversi con consapevolezza su un territorio complesso e accidentato, anche se fecondato dal sacrificio di tanti sacerdoti e laici che, in ogni stagione, si sono spesi per la propria gente. Tale programmazione pastorale però non nasceva dal nulla. Essa si proponeva di valorizzare quanto era stato costruito in passato e teneva in gran conto il senso di fede ancora vivo nel nostro popolo. Si era tenuto conto, in particolare, delle acquisizioni assunte dal XXX Sinodo Diocesano del 1984, promosso e celebrato dal compianto arcivescovo Corrado Ursi e attuato dal successore, il cardinale Michele Giordano.
A ben riflettere, i problemi e le sofferenze della nostra città si rivelarono in gran parte comuni a tutto il Sud d’Italia. Sembrò quindi utile promuovere una riflessione corale sugli stessi temi e favorire – se possibile – la convergenza sugli identici obiettivi delle comunità ecclesiali meridionali. Nacque così l’idea d’invitare a Napoli, per la prima volta, tutti i vescovi del Sud con i rappresentanti delle loro comunità per discutere sui problemi ricorrenti e trovare delle linee condivise d’azione ecclesiale. Il convegno si celebrò nel febbraio del 2009 con la partecipazione di tutte le Chiese del Sud. Arrivarono più di novanta vescovi intenzionati a dare una svolta alla preoccupante situazione di arretratezza dei loro territori. Si discusse a lungo insieme e si avviò per la prima vota una riflessione programmatica sulla situazione del Meridione. Da essa è emersa una ricorrente consapevolezza: la Chiesa non può dirsi estranea al degrado del suo popolo. Presumibilmente nella propria azione educativa – parte irrinunciabile della missione evangelizzatrice – è venuta a mancare un’attenzione adeguata alla vita sociale come parte integrante della formazione del credente. Non si è fatto comprendere in maniera appropriata che la fede insegnata da Gesù è sempre un affidarsi a Dio ma in vista della costruzione del Regno, pienezza di vita per tutti da realizzare già in questo mondo. Un Regno che vede ogni uomo in grado di stare in piedi con dignità e di affrontare il futuro con fiducia, insieme alla propria gente.
L’Episcopato italiano, provocato anch’esso da questa iniziativa, promosse a sua volta un approfondimento sulle condizioni di vita del Meridione e sul ruolo che la comunità ecclesiale è chiamata a svolgere. Accogliendo ed elaborando le conclusioni del Convegno di Napoli, il 21 febbraio 2010, la Conferenza Episcopale emanò un denso documento dal titolo Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno. In esso si ribadiva la volontà della Chiesa di essere presente in ogni parte d’Italia, per promuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese, a partire dalle zone più disagiate.
In questo spirito, l’anno successivo, il 2011, ho indetto il Giubileo per Napoli. Si trattava di accendere i fari sulla nostra realtà cittadina e diocesana per attirare l’attenzione di tutti sulle sue condizioni precarie e iniziare un virtuoso processo di riscatto. Fu una straordinaria esperienza di coinvolgimento, un appello a tutte le risorse disponibili a scendere in campo, a operare negli interessi generali del territorio. In molti risposero offrendo la propria collaborazione. Particolarmente attivi si dimostrarono il mondo della scuola e dell’università, le aree della sanità e del volontariato, l’imprenditoria, i sindacati e numerosi organismi sociali. In realtà, il Giubileo ha provocato uno choc pastorale che ha dato una scossa alle nostre comunità, un brivido spirituale per certi settori della nostra compagine ecclesiale, a volte troppo lenti e sonnolenti, adagiatisi col tempo in situazioni logore e stagnanti. Alla fine, tutti si sono sentiti coinvolti. Come nella vigna del Signore, c’è stato un gran da fare per ognuno.
A seguito di tale fermento d’idee e d’iniziative, si rese necessario tracciare un percorso ecclesiale più definito, che avesse chiari davanti a sé gli obiettivi da raggiungere, le risorse da mettere in campo, le priorità da realizzare a breve, i tempi d’attuazione. In particolare, nell’ultima lettera pastorale per l’anno 2013-2014, Canta e cammina, vennero precisate le linee del comune impegno pastorale. Essa disegnava il profilo della Chiesa di Napoli per i prossimi anni, senza doversi inventare ogni volta la direzione in cui procedere. Il traguardo appariva ormai chiaramente definito: formare ad una fede matura, responsabile degli interessi generali della comunità. Ma da dove partire? Decidemmo di concentrarci su due ambiti particolari: la catechesi e gli oratori. Essi rappresentano in realtà dei luoghi privilegiati per formare ad una nuova coscienza di fede consapevole delle responsabilità verso gli interessi generali della comunità.
Programmi avviati
Circa gli oratori, nello scorso anno, si sono compiuti notevoli passi avanti. Ne sono sorti di nuovi e sono stati potenziati altri già esistenti. Al riguardo è stato avviato un progetto che mira alla creazione di sette bande musicali, privilegiando alcune zone tra le più disagiate della Diocesi. Si tratta di una singolare opportunità di crescita per i nostri ragazzi, sottratti così alle tentazioni della strada e interessati a crescere in un clima di armoniosa bellezza. Tale iniziativa, di grande impatto sociale, coinvolge 350 ragazzi delle nostre periferie e offre loro – insieme al gusto e alle regole per una corretta esecuzione musicale – anche i principi della convivenza civile. Un secondo progetto approntato per gli oratori parrocchiali punta allo sviluppo della personalità dei ragazzi mediante la pratica delle attività sportive. A tal fine è stato organizzato in Diocesi un grande torneo di calcio con più di 2.200 iscritti, di età compresa tra i 10 e i 16 anni. Grazie ad esso è stato possibile garantire a tutti nuove opportunità: la visita medica, l’assicurazione contro gli infortuni, l’abbigliamento sportivo.
Si può fare di più in questa direzione? Possiamo pensare di far decollare qualche altro oratorio o di potenziare quelli già esistenti. Siamo tutti convinti che quella dei nostri giovani è purtroppo la prima generazione non evangelizzata, a cui è venuta a mancare la trasmissione della fede da parte degli adulti. L’oratorio – non semplice luogo di attività occasionali ma centro permanente di formazione umana e cristiana – potrebbe costituire una leva per ribaltare questa situazione. Di certo esso costituirà per tutti uno spazio di libertà dove i nostri ragazzi impareranno a coniugare simpatia, prossimità, crescita.
Per quanto si riferisce alla catechesi, si deve costatare che alle occasioni e alle modalità tradizionali se n’è aggiunta quest’anno un’altra di grande interesse, in linea con le finalità proprie del nostro piano pastorale. Si è attivato in diverse zone della Diocesi un fruttuoso cammino, tendente ad offrire gli elementi utili alla maturazione di una coscienza etica, sensibile e attenta al benessere generale della comunità, in linea con la dottrina sociale della Chiesa. La proposta è stata articolata su due livelli: uno a carattere introduttivo presentato nei vari decanati; l’altro – più lungo e sistematico – suggerito come approfondimento per quanti sono interessati alla problematica. Un ulteriore sviluppo hanno poi ottenuto i Centri del Vangelo, sorti nel nostro territorio già da alcuni anni. Si tratta di un progetto che in maniera concreta ed efficace esprime la dimensione missionaria della nostra comunità ecclesiale. Esso va sostenuto con ogni sforzo perché offre alla pietà del nostro popolo una base biblica e quindi un sentire religioso più autentico.
Inoltre, ed è questo l’evento più importante, è stato pubblicato il volume Andate in Città: un prezioso sussidio, frutto di anni di lavoro di alcuni sacerdoti, di docenti della Facoltà Teologica di Capodimonte e dell’équipe dell’Ufficio Catechistico. È una pubblicazione nata allo scopo di incarnare la catechesi “dentro le mura” della nostra Diocesi, suggerendo un metodo nuovo e offrendo un taglio specifico alla formazione della vita cristiana propria della nostra comunità ecclesiale. «Per chi vive a Napoli», ho scritto nell’Introduzione al sussidio, «il confronto con il Vangelo è quotidiano e difficile. Per le strade del centro o nei quartieri periferici, i segni di una fede antica e viva rimangono stabili, mentre intorno la vita si svolge in un processo a ostacoli tra impedimenti e ogni sorta di complessità. Per molti, Dio non abita più qui. Eppure, se c’è un posto nel quale il Vangelo affiora con tutta la sua forza è proprio questo».
Come pastore della Chiesa di Napoli, consegno a tutti questo sussidio con la speranza che esso, ricco non solo di idee, ma anche di esperienze vive, ci aiuti a superare la tentazione dell’immobilità. «Gesù Cristo», ha ricordato Papa Francesco, «non può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina» (Evangelii gaudium, 11). Sarà opportuno organizzare dei corsi di formazione e di aggiornamento per i catechisti, in modo da favorire questa nuova sensibilità pastorale, impregnata da una coscienza di fede matura e responsabile del bene comune.
Proseguire sulla strada intrapresa nel segno del pane condiviso
In occasione dello speciale Giubileo per Napoli lanciammo a tutti una sfida per coinvolgerli in questo programma e migliorare il livello di vivibilità della nostra gente. In realtà, in molti hanno risposto all’appello e diverse organizzazioni hanno offerto la loro disponibilità a collaborare per il bene della collettività. Così, oggi possiamo giovarci del contributo di tanti che intendono mettersi in rete con noi. Pensiamo al mondo della scuola, del lavoro, delle professioni; pensiamo anche all’associazionismo, al volontariato, agli organismi no profit. Si tratta di un potenziale sconfinato se solo si riesce a farlo convergere verso un obiettivo comune. Qui è posta la speranza della ripresa per la nostra città.
In verità, la situazione rimane ancora grave. Le condizioni di vita della nostra gente vanno peggiorando ogni giorno di più. Lo stato di criticità delle nostre città pare abbia toccato un livello mai prima raggiunto. Basti vedere come gran parte del suo territorio, una volta percepito come “paradiso”, è stato irrimediabilmente deturpato da varie specie di rifiuti tossici con inevitabili conseguenze persino sull’acqua che beviamo e sull’aria che respiriamo. Il “paradiso” si è trasformato in “inferno”! Ma a noi, pastori ed educatori di questo popolo, non viene una fitta al cuore nel vedere come è ridotta la nostra gente? Se per questo stato di arretratezza vi sono immancabili responsabilità a carico della politica e della società civile, non sono però meno lievi le negligenze della comunità ecclesiale.
Nell’intento di perseguire le peculiari finalità fissate dal piano pastorale, ho ritenuto opportuno dedicare le prossime lettere pastorali, di anno in anno, a ciascuna delle opere di misericordia, a iniziare quest’anno dalla prima. «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37) ci ripete Gesù. La gente ha certamente fame di pane materiale perché oggi, nonostante una sfacciata opulenza messa in mostra da alcuni, cresce sempre di più il numero di coloro che vivono nella miseria e non sanno come fare per sopravvivere. Ma c’è anche una grande fame di giustizia e, soprattutto nei nostri giovani, una drammatica fame di futuro, un disperato bisogno di speranza. La nostra terra somiglia spesso ad un deserto dove nessuno offre il pane della vita, dove tante esistenze vagano nel vuoto, si consumano nella propria autosufficienza, sperimentano delusioni e solitudini.
Ma noi dove possiamo comprare il pane per tutti i poveri, gli emarginati e gli umiliati del nostro popolo? Già nel 2009, facemmo nostra questa domanda dei discepoli di Gesù nella lettera pastorale pubblicata in occasione del Giovedì Santo. «In questa drammatica situazione, scrivevo allora, la Chiesa, come sempre, si sente “vivamente” impegnata in questa causa, perché la considera come sua missione, suo servizio, come verifica della sua fedeltà a Cristo, onde essere veramente la “Chiesa dei poveri e per i poveri”» (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 8).
Sappiamo e ribadiamo che non è compito della Chiesa indicare soluzioni tecniche. Tuttavia, «spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili dell’evangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della Chiesa» (Paolo VI, Octagesima adveniens, 4). Il nostro impegno pastorale non può ridursi a mere forme di assistenzialismo, che lascia l’uomo in una persistente situazione di bisogno. Deve mirare alla maturazione delle coscienze e, pertanto, tendere in maniera funzionale al bene integrale dell’uomo, in modo da renderlo responsabile di se stesso e del destino della propria comunità di appartenenza. «Una fede autentica», ha scritto Papa Francesco, «non è mai comoda ed individualistica, ma implica sempre un profondo desiderio di cambiare, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra» (Evangelii gaudium, 183).
Immaginate una spiaggia con una folla di miserabili, ammassati ai margini della civiltà, giunti da ogni luogo. Respinti da tutti, umiliati dalla vita, in fuga dai loro Paesi, tentano un’ultima carta. Inseguono un sogno, cercano la salvezza. Dimenticano perfino di mangiare, di dormire. E attendono. Attendono che qualcuno si interessi a loro, che qualcuno li salvi. Non siamo a Lampedusa, ma sulle rive del lago di Tiberiade. E non siamo noi la soluzione, ma Gesù. È per incontrare lui che in tanti si sono mossi da lontano e hanno giocato il tutto per tutto. Vogliono ascoltare la sua parola, sperimentare la dolcezza dei suoi occhi, la profezia dei suoi gesti accoglienti. Chi non ha voce, chi è senza diritti e senza futuro sente nelle sue parole che un mondo diverso è possibile. «Il mare di Galilea è un po’ l’esistenza quotidiana, la piazza, la scuola, il luogo di lavoro; la casa, il condominio, la Chiesa; i luoghi istituzionali ed economici, laddove la fama del futuro attende di essere saziata da un impegno condiviso a favore del bene comune» (Andate in Città, p. 28).
Nel racconto della prima moltiplicazione dei pani e dei pesci, in cui l’evangelista Matteo prefigura la condivisione del banchetto eucaristico (cfr Mt 14,13-21), Gesù si aspetta dai suoi discepoli che provvedano alla fame della gente che li seguiva: «voi stessi date loro da mangiare» (14,16). L’intervento di Gesù a favore della folla è descritto attraverso tre momenti, in un crescendo d’intensità in cui i discepoli vengono progressivamente coinvolti e investiti di una diretta responsabilità. C’è, innanzitutto, l’osservazione obiettiva di una condizione di bisogno. Si prosegue con la valutazione realistica delle risorse utilizzabili e l’effettiva percezione del deficit con cui fare i conti. In ultimo si profila l’invito per un’assunzione di responsabilità nei confronti degli altri. Il tutto si realizza nello spazio creativo dell’iniziativa divina: «alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla» (14,19). Qui, nella sequenza eucaristica, viene inserita in maniera significativa la consegna profetica del pane spezzato. Esso basterà per tutti e ne avanzerà ancora (cfr 2Re 4,43).
“Date voi stessi da mangiare” è il monito che il Signore rivolge ancora oggi alla Chiesa di Napoli, perché i suoi discepoli si facciano loro stessi pane per il popolo. Qui, come allora, il deserto inospitale della disperazione può divenire un prato verde su cui sedersi e riposare. Un prato sul quale far giocare i bambini e immaginare con loro un futuro di condivisione a misura d’uomo.
La fede, è vero, va oltre il rispetto delle regole civiche né può mirare solo al benessere materiale. Essa ci sollecita a puntare in alto, a fissare lo sguardo sulla pienezza della vita dell’Eterno. Tuttavia il progetto di Gesù, la costruzione del Regno nel mondo, non avrebbe senso e non sarebbe realizzabile se non includesse il rispetto per ogni essere umano, la capacità di crescere insieme, la possibilità di progettare un mondo diverso. Ci ricorda Papa Francesco che «la vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia» (Evangelii gaudium, 181).
“Tutti mangiarono a sazietà”. Così l’evangelista conclude la mirabile narrazione della moltiplicazione dei pani. Possiamo immaginare la presumibile festa che si accende intorno a Gesù. Cinque pani e due pesci sono sufficienti ad avviare la condivisione fra persone estranee, accomunate dalla stessa voglia di avvicinare Gesù. E Gesù dimostra che pure nel deserto è capace di imbandire la tavola e sfamare tutti. Anche noi – affamati di pane e di dignità, di parole di verità e di libertà, di bisogno di futuro e di vita piena – accorriamo a Gesù che ci suggerisce la possibilità di condividere la stessa tavola: «prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò» (Lc 9,16). Il gesto di spezzare il pane presuppone quello di pregare e benedire, di amare come ama Lui, di fare di ogni gesto un atto d’amore. La condivisione nasce dall’amore, il pane spezzato si offre come dono, nutrimento capace di saziare ogni fame.
Cari amici, se vogliamo dar da mangiare a chi è affamato, dobbiamo ascoltare Gesù che ci invita a confidare che i nostri pochi pani e pesci, le nostre scarse risorse possono mettere in moto un miracoloso processo di condivisione. È proprio il nostro vissuto, umile e inadeguato, a essere chiamato in causa. La condivisione è dono di se stessi, è mettere in comune orizzonti, passioni, esperienze. I discepoli “fecero così”, conclude l’evangelista. Anche noi siamo invitati a seguire le indicazioni del Maestro e a farci pane per chi ha fame.
La nostra coscienza di credenti tuttavia non ci suggerisce solo di chinarci sul bisogno dell’altro per risolvere un’occasionale emergenza. Essa ci sollecita a interrogarci accuratamente sulle cause che hanno indotto quel grave disagio per sanarlo in radice. Può essere anche umanamente gratificante offrire da mangiare ad un affamato. Richiede senza dubbio maggiore responsabilità interrogarsi sui motivi della sua povertà e avviare i necessari processi di emancipazione e di sviluppo perché in futuro non abbia più fame.
La vita consacrata luogo di frontiera e icona di carità
Cade opportuno in questo contesto l’invito di Papa Francesco a fissare – per il prossimo anno pastorale – il nostro sguardo sulla vita consacrata, su quella particolare forma di sequela del Maestro che si caratterizza per una più decisa radicalità, per una totale disponibilità a porsi al servizio del Regno. Essa è nel cuore stesso della Chiesa, perché esprime l’intima natura della vocazione cristiana di unirsi allo Sposo in un’alleanza incondizionata.
La vita consacrata, nonostante ombre e difficoltà, è un’esperienza intensa di vita, è tutt’altro che disinteresse per la storia e per il destino degli uomini. È servitium Dei et hominis, testimonianza di coerenza e responsabilità. Ancora oggi essa può costituire un prezioso spaccato di vita evangelica, uno spazio di servizio e di profezia; una riserva di coraggio e sapiente follia. La comunità umana ha bisogno della testimonianza dei religiosi e della loro laboriosa prossimità. La loro missione è servizio del bene comune: non mera ridistribuzione del benessere materiale, ma promozione del valore della persona, di ogni persona. Essi ci aiutano a superare la crisi antropologica in atto, il vuoto di tante esistenze, catturate da una falsa idea di autonomia, rinchiuse nella propria individualità.
Napoli ha bisogno dei religiosi. I cittadini li pensano con simpatia e riconoscenza per tutto il bene che hanno ricevuto, per le numerose istituzioni caritative ed educative di cui è ricca la nostra storia. La comunità ecclesiale li immagina al proprio fianco nel difficile compito di formare le coscienze ad una fede vigile e operosa, immersa nella concretezza delle difficili situazioni in cui versa la popolazione. Si tratta di una preziosa risorsa, insostituibile per la realizzazione delle finalità del nostro piano pastorale. La vocazione ad una vita integrale può essere di grande stimolo per una città dove regna spesso il pressapochismo, l’arte di arrangiarsi giocando al ribasso, la furbizia elevata a regola di vita. Per questo, ancora oggi c’è tanta fame di un riferimento alto d’impegno e di fedeltà!
Luogo di frontiera: così mi piacerebbe definire la vita consacrata. Luogo dell’imprevisto, dell’inedito, dell’originale; fuori dalle consuetudini scontate e rassicuranti; laboratorio attrezzato per la costruzione dell’uomo nuovo, sempre in attesa di futuro; spazio d’inclusione, senza chiusure, senza pregiudizi; luogo dove viene spezzato il pane della carità per i tanti affamati di Dio.
Sono certo che in occasione dell’anno dedicato alla vita consacrata e nel contesto di questo piano pastorale non mancheranno proposte concrete per favorire la crescita della vita consacrata nella nostra Diocesi.
Prospettive
Dinanzi a una complessa proposta d’impegno, possiamo avvertire un senso di disagio. Ci sentiamo spesso affaticati e disorientati da mille incombenze. È umano scoprirsi stanchi quando quotidianamente ci si spende per gli altri. Anche gli apostoli, e perfino Gesù, erano spesso sfiniti. In realtà le continue e numerose richieste della nostra gente, cui non sempre siamo in grado di dare una risposta, possono indurre uno stato di frustrazione che a lungo sfibra anche le tempre più robuste. Siamo però convinti che impegnarsi da protagonisti in un grande progetto pastorale accresce l’entusiasmo, riscalda il cuore e può costituire un forte antidoto contro quel senso d’impotenza che nasce dal vedere i nostri sforzi non sempre coronati da successo.
Anche la comunione ecclesiale ne può risultare rafforzata. Essa, infatti, viene alimentata, oltre che dall’amicizia personale e dal radicamento nella stessa comunità, dalla consapevolezza di lavorare insieme per nobili finalità, dalla responsabilità di mettere in comune i carismi personali al fine di dare voce e dignità al nostro popolo. Spesso lo spirito di comunione si stempera quando si hanno poche cose da comunicare, da mettere in circolo. Se ci si confronta su cose vitali e interessanti, anche l’intesa personale si rafforza, la conversazione diventa proficua e gratificante. Osiamo sperare che questa sfida lanciata alla fede dei credenti e in genere alla responsabilità di ogni cittadino possa contagiare tutti e renderli disponibili ad aggregarsi intorno a grandi obiettivi.
Dinanzi alle sfide che si profilano all’orizzonte, non sarebbe concepibile cedere il passo, ripiegare su linee pastorali superate e obsolete. La nostra proposta sta già penetrando nelle coscienze e nelle varie articolazioni della vita ecclesiale. Ne è prova la risposta positiva che arriva da diversi settori del nostro tessuto ecclesiale, nonché dai numerosi consensi di tanti che operano sul campo e si sentono interpellati dalle forti provocazioni lanciate dalla nostra comunità ecclesiale. Al riguardo vanno ricordate le assidue attività della Caritas, che sta aiutando ad affrontare l’attuale crisi moltiplicando in maniera esponenziale le mense, i centri di assistenza e di ascolto per accompagnare i nostri fratelli e sorelle affamati soprattutto di amicizia e di solidarietà.
Bisogna riconoscere in questo campo la preziosa, insostituibile opera dei diaconi permanenti. In virtù del loro ministero essi si spendono nel servizio della carità ed offrono una concreta testimonianza di fede operosa, interessata alla sorte dei più bisognosi. È auspicabile un loro maggiore coinvolgimento, orientato a risolvere in radice le cause della povertà e del disagio. Ad essi e a quanti operano nelle varie sedi della Caritas va il profondo ringraziamento della Chiesa di Napoli, che anche grazie a loro è diventata una immensa tavola imbandita dove, ogni giorno, è possibile trovare pane, dignità, rispetto. Dobbiamo continuare su questa linea, migliorando il nostro servizio e sottolineando la funzione pedagogica della carità.
Intanto, per contagiare il senso della fede autentica, incarnata nella storia e sul territorio, sarà opportuno scegliere alcune zone circoscritte e sperimentare un metodo di coinvolgimento delle risorse disponibili: le parrocchie, le scuole, il mondo delle professioni, le associazioni e i movimenti laicali. L’attenzione su determinati microterritori renderà possibile prendersi carico di alcuni problemi emergenti e contribuirà a sviluppare una coscienza critica, a creare dei veri laboratori di cittadinanza attiva. Mediante un’organizzazione semplice ed efficiente, potremo essere incoraggiati ad alzare la voce nei confronti delle istituzioni quando fossero assenti, a rimboccarci le maniche là dove fosse necessario, in ogni caso a prendere più viva coscienza della comune responsabilità nei confronti del territorio. L’adozione di un’aiuola o di un monumento, la costituzione di un centro d’ascolto, l’accompagnamento di alcuni studenti in difficoltà, la sorveglianza per la pulizia delle strade, la realizzazione di una struttura di sostegno per gli alcolisti e i ludopatici sono solo alcuni tra gli obiettivi possibili in funzione di una nuova presa di coscienza di responsabilità civica.
Siamo convinti che non potremmo sperare di raggiungere risultati apprezzabili, senza coinvolgere nel nostro progetto la famiglia, soggetto ecclesiale e sociale di primaria importanza. Ma contiamo di ritornare su questo tema successivamente, dal momento che esso è oggetto nei prossimi mesi di una particolare riflessione della Chiesa universale, dalla quale attendiamo preziose indicazioni.
Desidero quindi che anche per il prossimo anno rimanga prioritario l’impegno per la catechesi e per gli oratori. Per la catechesi, punteremo in maniera del tutto particolare sull’utilizzo e sull’applicazione del sussidio Andate in Città, che dovrà essere il punto di riferimento per tutta l’attività catechistica diocesana. In particolare, il volume dovrà affiancare non solo l’impegno dei catechisti parrocchiali, ma anche l’opera dei vari organismi di formazione, quali il Seminario, la Facoltà Teologica, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose, il PUF. Inoltre, sarà opportuno coinvolgere in quest’opera gli altri settori strategici dell’educazione, quali l’insegnamento di religione, le scuole cattoliche, le aggregazioni e i movimenti laicali.
Per lo sviluppo degli oratori sarà necessario:
- individuare in ogni decanato le parrocchie che presentano possibilità di avviare o consolidare delle strutture oratoriali esistenti;
- reperire e riattare strutture utili alla pastorale giovanile, condividendole – quando è il caso – con altre parrocchie, scuole e organizzazioni educative del territorio;
- sostenere in certi casi l’iniziativa di un parroco troppo impegnato o anziano con la collaborazione di giovani formati e disponibili, inviati a tempo determinato;
- reperire risorse umane da riservare a questo settore;
- proporre iniziative giovanili aggreganti e formative a livello diocesano e decanale.
Cari fratelli e sorelle,
come discepoli di Cristo siamo chiamati a dare ragione della speranza che è in noi. Lo Spirito ci ha indicato il cammino, che stiamo percorrendo: farci sempre di più pane spezzato per la nostra gente. I progressi in questa direzione sono considerevoli. Eppure, quanto rimane ancora da fare! È necessario muoversi con ogni attenzione e rispetto per i più deboli. È necessario schierarsi al loro fianco per difenderne i diritti, per riconoscerne la dignità, per operare al loro riscatto. Tutto sarà possibile se svilupperemo un’azione costante, in sinergia con tutte le risorse disponibili. Occorre mettere in campo progetti e iniziative di pastorale integrata, che preveda corsi specifici di catechesi, un migliore utilizzo dei mezzi di comunicazione sociale, seminari formativi, proposte operative praticabili, sulle quali confrontarsi con le varie componenti della realtà sociale.
La vita spirituale e lo spirito di comunione verranno senz’altro esaltati da un progetto pastorale che avvince e coinvolge. Esso renderà più credibile il nostro impegno verso i lontani, più significativa la nostra presenza nel territorio, dove la Provvidenza ha voluto che vivessimo. Faccio appello, pertanto, all’intelligenza e alla solidarietà di tutti per guardare avanti con lucidità e per incarnare il Vangelo della carità nella nostra Diocesi, affamata del pane della vita. È questa la nostra vocazione di uomini e di credenti. È questo l’impegno di un comunità che vuole essere missionaria e profetica, come il Signore ci domanda.
Siamo certi di poter contare in questa impresa sul sostegno indispensabile dello Spirito e sul sorriso incoraggiante di Maria: benedicano Napoli e ci insegnino ad allargare i nostri orizzonti per poter meglio servire la crescita del Regno nel nostro territorio.
‘A Maronna c’accumpagna!
Napoli, dal Palazzo Arcivescovile, 14 settembre 2014
Festa della Esaltazione della Croce
15 – 09 – 2014
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