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Breve storia dell’Aborto – Parte I

13 Novembre 2013 | Filed under: Società and tagged with: Aborto
     

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A pro-life campaigner holds up a model of a 12-week-old embryo during a  protest outside the Marie Stopes clinic in Belfast

Invito alla lettura

In questa breve storia dell’aborto e delle pratiche abortive, forse quel che manca è una lunga storia dell’aborto nei secoli. Così, la flagranza del ritorno sic et simpliciter ai tempi bui del paganesimo più retrivo e obsoleto sarebbe stata maggiormente evidente. Ma la logica del pamphlet è appunto quella di essere un pugno nello stomaco, cosa che un voluminoso e annotato tomo non consente. Il tema è quanto mai spinoso e politicamente scorretto, ed è il motivo per cui mi sono sempre malvolentieri occupato dell’argomento. Un orizzonte edonista non può non avere il sesso «libero» in cima ai suoi pensieri, e l’eliminazione dei cascami indesiderati, dei «danni collaterali» (il politically correct, com’è noto, si esprime solo per eufemismi) ne costituisce un corollario obbligato. L’unica rivoluzione veramente riuscita del Sessantotto è stata questa: nato negli USA, ha perso per strada le connotazioni marxiste che aveva preso in Europa ed è rimasto solo quel che era alle origini, un movimento di «liberazione» nient’altro che sessuale, dal momento che, droghe a parte (altro lascito sessantottardo), non c’è «divertimento» superiore a questo sotto il cielo degli uomini, gratis e alla portata di tutti. Libertà sessuale, omo ed etero, divorzio e aborto sono talmente connessi che, date alla mano, alla prima sono necessariamente seguiti tutti gli altri, e quasi a furor di popolo. Toltone uno, cade anche il resto; ammessa l’una, il resto si accoda. Per forza: la natura è quel che è, e quasi mai i fiumi rompono gli argini in un punto solo. L’incongruenza di un mondo occidentale, che è costretto ad importare manodopera immigrata per far fronte al suo deficit demografico, ma insiste nell’eliminare quote rilevanti dei suoi nuovi nati, è solo apparente. Sì, perché, ripeto, l’aborto è parte necessaria e integrante della cultura dell’edonismo; non a caso il Marchese De Sade (1740-1814) ne fu un appassionato sostenitore. E non a caso i regimi materialistici, ricordati nel lavoro di Agnoli, finirono (e finiscono) per favorirlo e renderlo «di massa». A quei non molti che ancora, tuttavia, ne conservano l’orrore, questa «breve storia» farà bene, perché non sia mai che all’orrore si faccia l’abitudine a furia di averlo sempre quasi sotto il naso, dietro il muro della clinica accanto. Sì, perché la coscienza può assopirsi e le fredde statistiche non hanno l’impatto di un’immagine raccapricciante quale quelle disegnate (e fotografate) dalle pagine che state per leggere. Né io, in questa stringata introduzione, ho parole atte a qualificare l’inqualificabile. Lo slogan che a suo tempo fu brandito, «l’aborto è un omicidio», conteneva già tutto quanto c’era da dire, eppure non bastò. Non basterà, certo, nemmeno la fatica di Agnoli. Ma se solo servisse almeno a non dimenticare sarebbe la benvenuta. Infatti, il rischio più grosso è questo: dimenticare, dimenticare la voce che grida giorno e notte fino a noi, col suo urlo silenzioso, fin dal giorno in cui i sofisti convinsero i più che il frutto del concepimento era un essere umano solo da un certo giorno in poi. E che prima non era niente. Come i più anziani ricorderanno, fu inutile ogni obiezione e ancora lo sarà perché, come ho detto, l’aborto e l’edonismo sono inscindibili. Solo una nuova evangelizzazione potrà cambiare le cose. Fino ad allora, sono convinto, l’unica cosa attuabile è il tenere acceso l’evangelico lucignolo fumigante. E non dimenticare.

Rino Camilleri

Di chi si sta parlando?

Così Ramòn Lucas Lucas, nell’opera Bioetica per tutti, sintetizza l’idea di aborto. Fin dal concepimento vi è una vita che corre verso l’avvenire: a diciotto giorni c’è già un cuoricino che pulsa; ad un mese e mezzo i ditini si precisano, con le loro impronte digitali, già inconfondibili ed uniche; a due mesi vi è una creatura perfettamente simile ad un grande che misura tre centimetri, ma ha una precisione assoluta. A tre mesi, il bimbo è alto circa otto centimetri, vive una vita sua, in stretto collegamento con quella della mamma: si sveglia se si sveglia lei, la ascolta parlare o cantare, fà le capriole, scalcia, soffre terribilmente se una terribile macchina aspiratutto inizia, d’improvviso, a strappargli via via le braccia, le gambe, pezzo per pezzo, finché un arnese di ferro non entra a prelevare la sua testolina, per schiacciarla, come una noce, con un colpo secco, per asportarla.

L’aborto e le streghe

L’aborto è un argomento non molto trattato e non molto conosciuto al giorno d’oggi: non interessa tanto agli intellettuali e ai giornalisti; la cultura dominante lo ritiene scabroso e preferisce non parlarne; i libri di Storia adottati a scuola dribblano elegantemente le vicende politiche, culturali e gli scontri che hanno segnato l’introduzione nella modernità di questa discussa pratica. La televisione, sempre pronta a captare il marcio e il sensazionale, la violenza e il sangue, non ha mai trasmesso le immagini di un bimbo tormentato dagli acidi o inseguito da una minacciosa punta d’acciaio.

Falsità e ipocrisia, depistaggio continuo della cultura ufficiale e dominante. Eppure, l’aborto riguarda l’uomo, l’innocente, la vita ai suoi albori, l’essenza stessa dell’uomo, della famiglia, del frutto di un rapporto d’amore. Secondo il concetto giusnaturalista, che è stato alla base del pensiero giuridico europeo fino all’Illuminismo, la legge morale è come la legge fisica: non viene inventata, creata dall’uomo, ma scoperta, riconosciuta nella realtà come dato di fatto. Non uccidere, o non rubare, sono cioè regole inderogabili, che nessuna autorità politica, sia essa dittatoriale o maggioranza democratica, può modificare.

Fondamento di tutto il diritto è il diritto alla vita, senza la quale, appunto, non esiste diritto. Prima del Novecento, il diritto alla vita innocente, in questo caso a quella del bambino, è violato da singole persone, che praticano l’aborto con i cosiddetti «ferri», o con modalità di avvelenamento (indigestione di prezzemolo, segale cornuta, ecc…). Mai però viene stabilita per legge la bontà di una simile azione: per questo il fenomeno dell’uccisione dei bambini rimane limitato.

Intorno al Cinquecento, l’uccisione dei bambini viene talora praticata dalle cosiddette «streghe», persone superstiziose che in taluni casi uccidono i piccoli innocenti per fare filtri d’amore o pozioni magiche di qualche tipo. Si tratta di una perversione già presente nell’antichità, come ci racconta anche il poeta latino Orazio (I sec. a. C)., allorché ci parla della strega Canidia nel suo quinto epodo. Vi si descrive un puer, un fanciullo, che viene sepolto in una buca, fino al mento: «Col midollo raschiato e il fegato secco si farà il beveraggio dell’amore» (un’altra bevanda di Canidia è fatta di fichi selvaggi, piume di civetta, uova di rospo, erbe di iolco…).

L’uccisione di un fanciullo rientra nella logica tipica del sacrificio antico: il sacrificio più prezioso è quello di creature giovani, innocenti (se si tratta di animali, i vitelli; di vegetali, le primizie). Una celebre maga greca è invece Medea, anch’essa creatrice di filtri magici per mezzo di erbe: per salvare il suo Giasone finisce per uccidere e fare a brandelli il suo fratellino Absirto.

Tali pratiche terribili, ancora nel Cinquecento, vengono compiute sotto l’effetto di sostanze allucinogene, presenti in alcune erbe, soprattutto nella segale cornuta, che viene usata nel contempo come abortivo e come stupefacente, contenendo un alcaloide, l’ergonovina, da cui nel 1943 verrà sintetizzato in laboratorio l’acido lisergico dietilamide (LSD); le streghe usavano anche l’amanita muscaria, un fungo velenoso, e la butofenina, una sostanza contenuta nelle secrezioni della pelle del rospo (si capisce allora il senso degli strani ingredienti delle pozioni: «erbe» di iolco, code o uova di rospi, ecc…).

Culti e riti di questo tipo esistono ancora in Paesi africani e a Cuba. Tutto ciò, dicevo, rimane comunque un fenomeno limitato e riprovato dalla gente comune, oltre che dalle autorità e dalla Legge.

(Continua)

 Francesco Agnoli


     

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