Bisogna coltivare i doni di Dio
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Il sacerdote non può avere nessun cedimento al mondo, al demonio ed alla carne; dev’essere testimone intrepido del Signore, senza timidezza; deve saper sostenere dolori e travagli per il Vangelo, per il compimento dei suoi doveri, confidando sulla virtù di Dio, cioè sulla grazia e sull’aiuto divino. Ma questa grazia non può averla se non la implora con la preghiera, se non ravviva nella sua anima apprezzamento del dono di Dio, che lo ha chiamato con vocazione santa, gratuitamente, con un disegno d’amore fin dall’eternità, che si è poi realizzato nel tempo per Gesù Cristo.
È questa una considerazione misteriosa, che deve far ponderare al sacerdote la sua responsabilità innanzi a Dio ed innanzi al mondo, e deve indurlo a santificarsi.
Il sacerdote, infatti, è un combattente contro il mondo, il demonio e la carne; non può essere né un timido né un vile in questo combattimento, dal quale dipende la salvezza delle anime e la propagazione del regno di Dio sulla terra.
Nella sacra ordinazione, con la potestà a lui conferita, che è un carattere sublime ed indelebile, ha ricevuto lo Spirito Santo con i suoi doni. Il carattere è sempre lo stesso ma i doni bisogna coltivarli, perché siano efficienti nell’anima. Essi sono come piante seminate nell’anima che, non coltivate, possono avvizzire, cioè non producono frutto. È proprio per la mancanza di ravvivamento del dono di Dio, che la vita sacerdotale può decadere fino alla rovina, fino all’apostasia, pur rimanendo valido il suo carattere. Questi doni si sintetizzano nella fortezza, nell’amore e nella sobrietà.
Grazie Gesù per la Chiesa, e per i tuoi ministri: sono uno strumento della tua misericordia, grazie per il Papa, e i suoi collaboratori.
Don Dolindo Ruotolo
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