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Biblioteca – Educare – “Amare per educare”

2 Agosto 2013 | Filed under: Biblioteca
     

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beato fra eustochio

AMARE PER EDUCARE

P. Antonio M. Alessi

Educare – L’educazione è stata definita “Ars artium”, l’arte delle arti, la più difficile e impegnativa. È un’attività che riguarda ogni persona, perché siamo tutti chiamati, sia pure in grado diverso, a occuparci della formazione delle nuove generazioni: sono l’avvenire della società. 

Ma, mentre ogni professione esige un’adeguata pre­parazione, questo settore viene sovente trascurato con incalcolabili conseguenze per la vita delle famiglie e del mondo.

Nessuno oserebbe improvvisarsi medico, maestro, ingegnere o anche semplicemente sarto, falegname, muratore; quanti invece si autoproclamano educatori, senza un’adeguata preparazione. Ma, anche se uno sba­glia a costruire un muro, tagliare o cucire un vestito, il danno è relativo, riparabile, impostare male l’educazio­ne di un bambino, di un allievo, può avere conseguenze irreparabili, per lui e per la società di cui è parte inte­grante.

Quante esistenze sbagliate nel mondo odierno, dovu­te a una mancata o errata educazione, da parte di chi aveva il dovere di impartirla.

Nessun uomo è un’isola, ogni persona, con il suo comportamento, reca benefici o danni alla famiglia e alla collettività in cui vive. Ho pensato fare cosa utile e gradita presentando alcuni principi fondamentali del­l’educazione, compito che riguarda non solo i genitori, ma tutti coloro che vivono nell’ambito della famiglia, dove parole ed esempi possono avere una parte impor­tante, persino determinante, nella formazione dei picco­li.

Il compito primario spetta ai genitori “primi e inso­stituibili educatori”, come dice il Concilio.

Segue la scuola di ogni grado, cui compete il compito nobilissimo, non solo di insegnare, ma soprattutto di educare. Anche la Chiesa, maestra di verità, vi parteci­pa, secondo il comando del suo divin Fondatore: “Istruite tutte le genti, insegnando loro a osservare tutto quello che vi ho comandato” (Mt 28,20).

Alla società infine spetta il compito di fornire l’am­biente e gli insegnanti preparati per la formazione delle nuove generazioni.

Forze concorrenti, non divergenti, strettamente colle­gate tra loro per realizzare il più grande capolavoro del creato: la persona umana.

NB. Il volume è in parte tratto da “Educare il fan­ciullo” dello stesso autore, stampato in diverse edizioni per concorsi magistrali.

 

Il bambino – È stato chiesto a un grande educatore:

– Quando si dovrebbe cominciare l’educazione di un bambino?

– Almeno diversi anni prima che nasca!

Può sembrare una risposta paradossale, ma racchiu­de una grande verità. Per un compito così importante, che riguarda l’impostazione e il futuro di una vita, è necessario formare i genitori, cui è affidato questo com­pito altissimo.

Facciamo per loro qualche considerazione. Già per i pagani il bambino era “res sacra”, un essere sacro (Giovenale). Ogni bimbo è un tesoro di ineguagliabile valore, un autentico capolavoro del creato: nato dall’a­more di Dio, che chiama i genitori a partecipare al suo atto creativo. Essi formano il corpo del nascituro, Dio afferma la Genesi, primo libro delle Scrittura. Due potenze, fisica e spirituale, si fondono insieme per dare vita a un essere unico, irripetibile, il cui valore supera ogni immaginazione.

Possiamo affermare che ogni uomo vale quanto Dio: dono del suo amore infinito, offerta di immensa fiducia nell’umanità. Per lui, come per ogni altro uomo, il Figlio di Dio si è incarnato diventando fratello di ogni uomo, quindi tutti siamo figli dell’unico Padre che è nei cieli.

Per ognuno di noi Gesù ha accettato di morire in croce per espiare i nostri peccati; è risorto, per assicu­rarci che anche noi risorgeremo per nascere alla vita immortale e partecipare alla sua gloria e felicità infinita.

Compito dei genitori è sentirsi responsabili di questo “tesoro” che Dio affida loro, procurandogli quanto è necessario allo sviluppo della sua vita fisica, intellet­tuale, morale. Tre valori da tenere sempre presenti, perché questo fiore delicato e fragile possa crescere, svi­lupparsi, fiorire.

Sono essi i “giardinieri” chiamati a curare e difende­re la loro creatura da tutto ciò che può nuocere o impe­dirne lo sviluppo. Particolarmente nell’infanzia occorre molta attenzione e tante cure. Un fiore, una pianta, specialmente delicata, se non è curata, inaridisce o resta soffocata dalle erbacce che l’aggrediscono.

L’educazione va cominciata subito, in particolare modo dalla mamma, che ha un rapporto moltro stretto e continuo con il figlio; ma anche il padre è chiamato a collaborare, studiando insieme i mezzi più adatti per aiutarlo a crescere. È necessario tenere presente come per educare non basta amare, anzi spesso l’affetto esa­gerato, non controllato, può essere dannoso alla crescita del figlio. Un saggio, antico proverbio dice: “I figli si bacian di notte”. Sarebbe pericoloso rendersi schiavi di questi piccoli tiranni, i quali esigono spesso che tutti vivano in funzione loro. Certe esagerate accondiscen­denze e manifestazioni affettuose si pagano caramente. Strano, ma vero, i genitori che sono stati severi ed esigenti con i figli sono talvolta ricordati con più affetto e gratitudine.

 

Prime manifestazioni – Il grande poeta indiano, Tagore, ha scritto: “Ogni bimbo che nasce reca al mondo la notizia che Dio ha anco­ra fiducia negli uomini”. Per meritare questa fiducia è necessario che soprattutto i genitori si sentano impegnati a realizzare il progetto di Dio, un progetto meraviglioso che necessita tuttavia della collaborazione dell’uomo. Ogni bimbo ha una duplice potenzialità: migliorare o peg­giorare il mondo.

I bambini sono una pagina bianca della storia, su cui i genitori per primi scriveranno a caratteri indelebili le linee programmatiche su cui si svilupperà la vita del figlio. Una realtà da tenere sempre presente: la natura umana è stata ferita dal peccato originale, di cui non siamo responsabili, ma ne portiamo le conseguenze. “Vedo il ben, l’ammiro, ma al peggior m’appiglio”, cantava Ovidio e San Paolo afferma: “Sento in me una legge, forte­mente contraria alla legge di Dio, che la mia coscienza approva, ma mi sento schiavo della legge di peccato che abita in me” (Rom 7,23).

Tutta la vita sarà una lotta costante tra la duplice ten­denza, il bene e il male, da cui possiamo uscire vittoriosi con l’aiuto di Dio. “Senza di me non potete fare nulla”, dice Gesù (Gv 15,5), ma “con Dio tutto è possibile”, affer­ma S. Paolo (Fil 4,13).

Queste inclinazioni si manifestano fin dalla prima età: difetti, capricci, golosità, orgoglio, egoismo…

Ovviamente non possiamo ritenerle colpe, mancando la conoscenza e la volontà di fare il male. Sono però indica­zioni che chiedono l’intervento paziente dei genitori, per impedire che si radichino in profondità. Spesso sono come la gramigna che, per quanto si sradichi, finisce sempre per affiorare.

Il bambino è una tenera pianticella, finché è piccola è facile raddrizzarla; quando si è fatta adulta, diventa molto difficile o addirittura impossibile costringerla a cre­scere diritta.

Tanti genitori devono pentirsi amaramente per avere cominciato troppo tardi a correggere i figli. Con la scusa che non vi è malizia nei loro comportamenti, si lascia cor­rere, magari si sorride, ritenendo certi gesti e parole manifestazioni di personalità.

Educare viene dal latino “Educare”, far cioè emergere dalla natura umana gli aspetti migliori, i lati positivi, per realizzare il meraviglioso progetto di Dio, che chiama tutti alla santità. “È volontà del Signore, dice S. Paolo, che vi facciate santi” (Tes 4,3).

“Siate santi, dice ancora il Signore, perché io sono santo” (Lev 11,44). Non basta vigilare sui molti pericoli che attentano alla salute e alla vita del bambino: la stra­da, l’elettricità, corpi contundenti, animali aggressivi, cibi indigesti, medicine pericolose…

Tra i tanti pericoli desidero sottolineare quello della televisione. Lasciare un bambino per ore davanti all’appa­recchio, con immagini procaci o di violenza, può produrre danni gravissimi, per la sua vita fisica e psicologica.

Particolarmente alla sera il bambino deve coricarsi presto, senza il turbamento di spettacoli e scene che impressionano anche gli adulti.

 

Consigli ai genitori – Anzitutto curare molto la salute del bambino. Ha biso­gno di particolari attenzioni, soprattutto se è di costituzio­ne gracile e ha qualche anomalía. È ottima regola consul­tare un pediatra, specialmente quando si notasse qualche disfunzione.

Oggi la scienza ha fatto enormi progressi per protegge­re il bambino, già nel grembo materno e durante il perio­do dell’infanzia.

“Mens sana in corpore sano”, dicevano gli antichi (Giovenale); corpo e anima devono operare in perfetta armonia, per questo vanno curati con la massima atten­zione. Il bambino ha bisogno di riposare molto, non solo di notte, ma anche di giorno. La posizione supina è la miglio­re, preferire un materassino duro anziché molle.

Conviene possa dormire nella sua culla, con spalliere protette; evitare possibilmente di farlo dormire con i geni­tori, dove corre il pericolo di restare scoperto o anche di rimanere soffocato. Abituarlo a riposare in una sua came­retta ben arieggiata, magari in comunicazione con quella dei genitori. Evitare luci e rumori violenti, potrebbero danneggiare i suoi sensi molto delicati e sensibili.

Usare diete adatte, ma è bene, appena possibile, abi­tuarlo a mangiare di tutto, salvo prescrizioni mediche contrarie. Il latte della mamma è, almeno nei primi tempi, il latte più nutriente, salvo necessità diverse. Curare molto la pulizia con bagni frequenti; controllare il peso e, in caso di mancata crescita, chiedere consiglio al medico. Non preoccuparsi se non mangia quanto dovreb­be; invece se rifiuta il cibo ricorrere sempre al sanitario.

Sottoporlo nel periodo stabilito alle vaccinazioni, per prevenire le malattie proprie dell’infanzia: poliomelite, rosolia, difterite…

Il pianto, specialmente nel lattante, è sempre segnale di qualcosa che non va: fame, sonno, bisogno di essere cambiato, disturbi addominali. Nel bambino invece può esprimere una qualche necessità, ma sovente serve per attirare l’attenzione dei genitori, desiderio di sentirsi coc­colato.

Evitare anche di tenerlo sempre in braccio, di baciuc­chiarlo in continuazione, farlo oggetto di eccessive atten­zioni, anche da parte dei familiari e di persone estranee. Fare anche attenzione che gli animali con i quali giocare non siano affetti da malattie.

Lasciarlo giocare molto: è l’occupazione più importante per questa età; impedirglielo danneggerebbe molto il suo sviluppo. I giocattoli migliori sono i più semplici, partico­larmente quelli che richiedono la sua collaborazione, come le costruzioni.

Riempirlo di giocattoli di ogni specie è un grosso erro­re: passa dall’uno all’altro e finisce per annoiarsi. Il bam­bino sano ama il movimento, vedere, conoscere il mondo in cui vive. Appena possibile aiutarlo a camminare, con­durlo fuori dal suo ambiente per fare esperienze nuove. È importante lasciarlo fraternizzare con bambini della sua età, la socialità ha una grande importanza nella sua for­mazione.

 

Aspetti morali – La più grande felicità del bambino è sentirsi amato; la più grande sofferenza sentirsi trascurato, rifiutato. Spesso però l’eccessivo amore è contrario a una vera educazione. I bambini chiudono gli orecchi ai consigli, alle raccomandazioni, ma sono molto sensibili agli esempi. Imitare i grandi, giocare a fare il papà e la mamma, è uno dei passatempi preferiti, particolarmente tra i piccoli dei due sessi. Per questo, oltre alle cure fisiche perché cresca sano, occorrono altrettante attenzioni per difendere la sua sensibilità, il candore, l’innocenza dell’infanzia.

“Maxima debetur puero reverentia” dicevano gli anti­chi romani: al bambino si deve il massimo rispetto. I peri­coli possono venire da varie parti. Fare attenzione ai com­pagni di gioco, specialmente a ragazzi smaliziati che potrebbero abusare dell’ingenuità dei piccoli.

Vigilare perché non escano da soli: sono migliaia i bambini rapiti ogni anno per ignobili motivi. Anche l’affi­damento a un parente, se non è ben conosciuto, può costi­tuire un pericolo. Persino chi deve assumere una “baby­sitter”, deve sincerarsi della sua capacità di curare la creatura che le viene affidata. Anche la scelta della scuola materna, ottima soluzione se la madre non può accudire il figlio, deve avere garanzia di un’assistenza adeguata.

Socializzare con i coetanei è molto educativo, ma può nascondere dei pericoli, se gli addetti non sono all’altezza di un compito così delicato. Uno dei grandi compiti dei genitori è cominciare presto a educare la volontà: nel cibo, come nel gioco, non tutto ciò che piace è buono. Tocca a loro scegliere il meglio.

Un fattore assolutamente importante è il pieno accordo nell’imporre la loro volontà. Le redini sono due, guai se uno tira a destra e l’altro a sinistra. Discutete in privato, mai davanti ai figli, papà e mamma hanno sempre ragio­ne. È pericoloso scavalcare l’autorità di uno, ricorrendo al più debole e arrendevole.

Abituarli presto all’obbedienza, fa parte di uno dei comandamenti di Dio: “obbedire al padre e alla madre”. Valutare bene prima se ciò che si chiede e impone è adatto alla loro età. Non si può chiedere a un bimbo di cinque anni di portare un peso di dieci chilogrammi. Così come non è opportuno costringerlo ad uno studio superiore alla sua capacità: ogni progresso si deve fare con gra­dualità.

Aiutiamo il bambino a vincere la golosità, la gelosia che può avere manifestazioni patologiche, specialmente con l’arrivo di un fratellino, se non è adeguatamente pre­parato ad accoglierlo come un grande dono.

L’egoismo è uno dei fattori da contrastare, aiutandolo, fin da piccolo, ad aprirsi all’amore alla carità verso gli altri: una virtù fondamentale nella vita di ogni persona.

Soprattutto avviciniamolo presto a Dio, padre di tutti gli uomini, insegnamogli delle preghierine adatte, condu­ciamolo presto a partecipare alla liturgia Eucaristica, senza preoccuparsi se disturba. Gesù li ama di amore par­ticolare, fino a sgridare gli apostoli che li volevano allon­tanare: “Lasciate che i piccoli vengano a me, a loro appar­tiene il regno dei cieli” (Mc 10,14).

Uno dei ricordi più vivi nella loro vita saranno i momenti di preghiera vissuti insieme ai genitori. Soprattutto pregate per loro, Dio ascolta sempre le pre­ghiere di chi chiede il bene delle creature amate.

 

La curiosità dei bambini – Perché? È la parola che affiora continuamente sulle labbra dei figli. Di fronte alle meraviglie di un mondo che vanno scoprendo poco a poco, si rivolgono ai genitori, di cui hanno grande fiducia, per conoscere la verità.

Anche se noiosi, insistenti, non si deve mai deludere questo loro desiderio di conoscere.

Nessuno meglio dei genitori può dare spiegazioni con­vincenti in questo primo periodo della vita. Rifiutarsi, dire loro che impareranno crescendo, andando a scuola, peggio ancora sgridarli, quando facessero domande imbarazzan­ti, è controproducente. Acuisce la curiosità e magari cer­cheranno da un compagno più grande una risposta, che non potrà mai essere convincente e delicata come quella dei genitori.

La domanda più imbarazzante, a cui molti genitori non sanno o non osano rispondere, è: come nascono i bambini? Il mistero della vita è sicuramente il più affascinante che si presenta necessariamente alla mente del fanciullo ed esige una risposta.

Quanto mai deleterio è ricorrere alla sciocchezza della cicogna o al ritrovamento fortuito sotto un cavolo. Ovviamente le spiegazioni devono essere proporzionate all’età di chi domanda. Non occorrono spiegazioni scienti­fiche, dettagliate, per soddisfare la loro curiosità. Ecco alcuni suggerimenti.

Anzitutto è sacrosanto diritto per ogni persona cono­scere la verità: ” Io sono la via, la verità e la vita” ha detto Gesù (Gv 14,6). Tutto quello che Dio ha creato è buono, bello, utile; l’ignoranza è uno dei più gravi mali del mondo e, “insegnare agli ignoranti”, è una delle sette opere di misericordia spirituale.

La santità, la purezza, non sono mai ignoranza; nè si deve aver timore di parlare delle leggi meravigliose stabi­lite dal Creatore. La nascita di un bimbo è un dono stu­pendo dell’amore di Dio, che chiama i genitori a collabora­re con lui per creare una nuova vita.

Ogni vita è un autentico miracolo che si rinnova conti­nuamente: i vecchi muoiono, ma la vita continua con la nascita di nuovi bambini. Quando un bambino riceve la vita è un essere piccolissimo, quasi invisibile, come il seme di un fiore. Per crescere ha bisogno di un nido ben protetto, il ventre della madre. Qui sta rinchiuso per nove mesi, respira, si nutre con la mamma; il suo cuoricino batte all’unisono con il suo. Quando è cresciuto abbastan­za, capace di vivere da solo, nasce e comincia a crescere, con una sua vita indipendente, anche se ha tanto bisogno dei genitori. Il seme che fa nascere il bimbo è il dono del papà, per cui ogni figlio è il frutto dell’amore dei genitori che si prolunga nella vita dei figli.

L’analogia con la nascita di un fiore, di una pianta, potrà aiutare a dare spiegazioni semplici, anche se poi, crescendo, avranno necessità di ulteriori approfondimenti, per conoscere lo sviluppo del corpo e le sue diverse funzio­ni, compresa quella generativa.

Lode e castigo – Mezzi formativo-educativi, di grandissima efficacia, da usare con parsimonia e con grande attenzione, sono la lode, il rimprovero e il castigo.

Circondare il bambino di lodi per ogni sua esibizione non è educativo, è pericoloso. Egli gode di sentirsi ammi­rato, oggetto di esclamazioni esaltanti, per la sua bellez­za, per i piccoli gesti che compie: mangiare, giocare, com­portarsi bene…

Certo ogni tentativo per riuscire va incoraggiato, ma non è necessario colmarlo di lodi sperticate. Non dimenti­chiamo come l’orgoglio, la superbia, sono profondamente radicate nell’animo umano, non hanno bisogno di essere alimentate.

La lode deve sempre essere stimolo a compiere il pro­prio dovere, a far meglio. Quando crescerà, aiutarlo a comprendere come il premio più ambito è la coscienza del dovere compiuto, del bene fatto; come il rimorso, la disap­provazione della coscienza, sono il peggior castigo.

La lode è sempre preferibile al rimprovero, perché esalta il bene, incoraggia, entusiasma il bambino a perse­verare. Più che lodare le doti naturali, l’intelligenza, la memoria, l’attività, di cui non ha merito, esaltare quello che è frutto di uno sforzo personale: la condotta, il conte­gno, l’attenzione, la pulizia, il rispetto per le persone e le cose. Teniamo presente come la stima e l’affetto dei geni­tori sono già un premio per i figli.

Anche il castigo, come la lode, richiede un giusto dosaggio per essere efficace. Il rimprovero, la correzione non devono piovere dall’alto, ma essere motivati: far capi­re al bambino dove e perché ha sbagliato, solo così egli si rende conto di quanto ha fatto e del modo in cui deve com­portarsi.

Deve sempre riguardare un gesto, un atto che implica un’intenzione scorretta o pericolosa: un atto di crudeltà, di ingordigia, una tendenza distruttiva, un’aperta ribellio­ne. Se un bimbo giocando, correndo, rompe un bicchiere, si sbuccia un ginocchio, non va castigato, anche se occorre fargli capire come deve comportarsi.

Invece un atto di cattiveria, di crudeltà, una disobbe­dienza, meritano un rimprovero e, in qualche caso, un castigo adeguato. Non si deve mai uscire in escandescen­ze, minacciare, usare parolacce, volgarità e neppure urla­re per correggere i piccoli. Evitare di picchiarli: uno schiaffetto sulle manine o sul sedere, sono più che suffi­cienti; anche un richiamo a voce alterata può avere un effetto positivo. Obbligarlo a raccattare e riordinare quan­to ha messo a soqquadro, è un castigo adatto. Non dare importanza a gesti o parolacce apprese dai compagni, se il bambino non ne comprende il significato. Quando è suffi­ciente l’ammonizione, evitare sempre la punizione.

Un rimprovero a cui sono molto sensibili i bambini, anche se poco usato dai genitori, è uno sguardo corruccia­to e più ancora la sottrazione di affetto per costringerlo a ricredersi.

 

Aprirsi agli altri – Uno degli aspetti più importanti nell’educazione è preparare i figli a inserirsi nella società di cui fanno parte. Sarebbe un grave errore, per proteggerli dai pericoli di esperienze negative, costringerli a vivere ben ovattati tra le pareti domestiche. Certo la famiglia rimane sempre il centro insostituibile di appoggio e sicurezza, ma ogni per­sona non può vivere isolata, ma integrarsi nella società.

Sono avvantaggiati i figli che in famiglia allargano le loro esperienze vivendo con fratelli più piccoli e più gran­di, con nonni, zii, parenti, frequentando ambienti diversi da quello familiare. Si arricchiscono molto partecipando alle varie associazioni ecclesiali, scolastiche, culturali, ricrerative, sportive, che li aiutano a socializzare con i coetanei, incontrare persone nuove, fare esperienze per maturare la loro personalità, misurare doti e possibilità di cui è ricca la natura umana.

Chiuso in famiglia il figlio corre pericolo di essere oggetto di cure eccessive, attenzioni e manifestazioni affettive che finiscono per accrescere l’egoismo e farne un piccolo despota. Solo il contatto e la frequenza con altre persone riesce a fargli comprendere come a ogni diritto corrisponde un dovere, come il rispetto degli altri, l’inte­resse di gruppo, la solidarietà, sono autentici valori che lo aiutano a conoscersi e realizzarsi. Ovviamente tocca ai genitori vigilare sulle compagnie che frequentano, met­tendoli in guardia dai molti pericoli della società contem­poranea, dove il permissivismo e un falso concetto di libertà può rovinare la loro formazione.

Soprattutto i genitori devono aiutare i figli ad aprirsi alla fraternità, alla condivisione verso coloro che sono meno fortunati, fino a saper donare qualcosa del molto superfluo che c’è nel nostro mondo di benessere. La carità è la virtù fondamentale che ogni uomo, particolarmente il cristiano, è chiamato a esercitare. “Da questo vi riconosce­ranno per miei discepoli, dice il divin Maestro, se vi amerete l’un l’altro” (Gv 13,35); un amore che dovrebbe arri­vare fino al sacrifcio della vita, se fosse necessario: “Amatevi come io vi ho amato” (1 Gv 3,4).

Entrando a far parte del popolo di Dio, con il Battesimo, abbiamo ricevuto tre doni di valore infinito: la fede, la speranza, la carità, virtù che devono permeare la vita di ogni cristiano, altrimenti non servono. Sono come un tesoro nascosto in uno scrigno, una ricchezza infruttuo­sa, che non reca alcun benessere a chi la possiede e tanto meno agli altri. La virtù più importante è sicuramente la carità, senza di questa le altre due non giovano. Credere in Dio, praticare i Comandamenti, la fede stessa non serve, se non è accompagnata dalle opere della carità: “La fede senza le opere, scrive S. Giacomo, è morta” (Gc 2,20).

Mettiamo a contatto il fanciullo, l’adolescente, il giova­ne, con la realtà in cui vive, dove non ci sono soltanto per­sone sane, ricche, felici, ma anche poveri, diseredati, vec­chi, malati, emarginati, persone costrette a vivere in con­dizioni di estrema miseria. La maggior parte delle persone della loro età non hanno neppure un decimo di quanto essi possiedono. Una visita negli ospedali, a un orfanotrofio, in una casa di riposo, l’incontro con qualche mendicante, possono incidere profondamente nella loro vita, non fosse altro li aiuta a comprendere il grande privilegio di essere nati in un paese, in una famiglia dove non è mai mancato nulla.

Allarghiamo l’esperienza alla tragica realtà di milioni di innocenti, 20 milioni solo di bambini, condannati ogni anno a morire di fame; ai milioni di lebbrosi, straziati da un male che non perdona, che strappa loro ogni giorno brandelli di carne e di vita; ai milioni di fanciulli costretti a vivere sulle strade, braccati spesso come animali randa­gi; ai milioni di famiglie senza tetto o lasciati vivere in topaie indegne di esseri umani…

Non dimentichiamo infine come l’ultimo giudizio che fisserà la sorte di ogni uomo per tutta l’eternità sarà pro­prio sull’esercizio o sul rifiuto della carità verso Dio, vivo, presente in questi nostri fratelli.

Insegnare per educare – “Non scholae sed vitae discimus”: dobbiamo insegnare per formarli alla vita, dicevano i saggi romani. Ogni inse­gnamento non può riguardare soltanto la cultura, ma deve preparare l’alunno ad affrontare la vita.

Anche qui è utile tenere presenti alcuni aspetti fonda­mentali. Anzitutto l’ascendente che ha il maestro, partico­larmente durante il periodo della fanciullezza. Il quotidia­no contatto con ciascuno di loro, può esercitare un’influen­za superiore a quella dei genitori stessi.

“L’ha detto il mio maestro, la mia maestra!”, aggettivo possessivo tanto espressivo ed estensivo. I romani avevano coniato la nota frase: “iurare in verbo magistri”, giurare sulla parola dell’insegnante, come autorità indiscutibile.

In questa età il fanciullo è come una spugna, una carta assorbente: accetta e assimila gli insegnamenti che riceve dal proprio maestro. Nessuno ha o avrà mai più, per tante ore al giorno, un allievo così disponibile ad accogliere i suggerimenti capaci di incidere fortemente.

Perché la sua azione educativa sia veramente efficace, deve sforzarsi di conoscere personalmente i suoi allievi. Non solo il nome, ma l’ambiente familiare e sociale in cui vive; conoscere il carattere di ciascuno. Dio non si ripete mai nella creazione, gli uomini non sono fatti in serie, ognuno ha la sua personalità, che affiora particolarmente in questi anni, perché ancora in formazione e quindi suscettibile di miglioramento.

Importante quindi avere colloqui frequenti con i genitori, particolarmente con coloro che per impegni di lavoro o negligenza trascurano questo dovere.

Mentre l’insegnamento si rivolge alla massa, l’educa­zione esige un rapporto personale con i singoli allievi, soprattutto con coloro che hanno bisogno di cure e atten­zioni particolari.

Uno degli aspetti più difficili oggi, è la disciplina, da ottenere e conquistare fin dall’inizio, bandendo ogni forma di autoritarismo o di violenze fisiche e verbali. Attenzione alle preferenze verso i più dotati fisicamente o intellet­tualmente; eventualmente gli ultimi, i meno dotati devo­no essere maggiormente seguiti e aiutati. La via più sicu­ra per farsi temere e ottenere il massimo rendimento, è la via del cuore, l’amore. Ogni allievo dovrebbe essere per­suaso di essere il preferito dal proprio insegnante.

“Quando un allievo sa di essere amato, diceva don Bosco, ottiene tutto dai ragazzi”. E aggiungeva “non basta amarli, devono sentirsi amati”. Un amore che non si manifesta, ma si percepisce con i sensi, perché “nulla giunge all’intelletto che non passi attraverso i sensi”. Un amore fatto di dedizione al dovere, di attenzioni, di sacri­fici, di preoccupazioni per il loro bene.

Farsi piccoli con loro, amare ciò che essi amano, con­quistare la loro fiducia e confidenza. Sulla cattedra è il maestro, fuori l’amico, il fratello maggiore, che si interes­sa a tutti i loro problemi, per aiutarli a crescere sani, buoni, generosi, aperti ai grandi ideali.

 

Il ruolo della Chiesa – “Ragione e religione”, diceva il grande educatore della gioventù don Bosco, sono i capisaldi dell’educazione.

Chi volesse educare prescindendo dall’aspetto religioso, basandosi su un’etica puramente naturale, costruisce un edificio senza fondamenta. Oltre alla vita naturale, l’uomo ha una vita soprannaturale, che costituisce la realtà meno visibile, ma sicuramente la più valida nella formazione della personalità.

L’educazione religiosa, spetta anzitutto ai genitori e in gran parte agli insegnanti, particolarmente dove la religio­ne è materia scolastica. In modo però preminente è compito della Chiesa, depositaria della verità divina, come dovere primario per realizzare la salvezza di ogni uomo, partico­larmente di coloro che le sono affidati.

La legge di Dio ha segnato e segnerà sempre un progres­so o un regresso nella vita dei popoli, in proporzione alla sua accettazione o al suo rifiuto.

Vescovi, sacerdoti, catechisti, hanno il compito nobilissi­mo e insieme la grande responsabilità di accompagnare le nuove generazioni lungo il cammino della vita.

Essi devono essere “luce del mondo e sale della terra”, come dice il divino Maestro, che essi rappresentano e sosti­tuiscono in questo delicatissimo compito. Soprattutto in questo campo devono tenere presente come, oltre la cono­scenza, devono dare la massima importanza alla formazio­ne, alla pratica della verità.

Per molte discipline è sufficiente la conoscenza della dottrina, da ricordare al momento dell’esame, o nell’eserci­zio di un’attività specifica; per la religione non è assoluta­mente sufficiente conoscerla, occorre accettarla, viverla.

L’insegnamento deve essere proporzionato all’età del fanciullo e alla sua capacità di apprendimento e riguardare le verità fondamentali della religione. Le preghiere più importanti e le formule principali è bene si imparino a memoria, memori del detto: “Si sa solo quello che si ricor­da”. Anche la memoria, come tutte le facoltà, se non si eser­cita, finisce per atrofizzarsi con grave danno per la cultura. Esercitare soprattutto la volontà, la facoltà sovrana che determina la persona a scegliere tra il bene e il male: “dimmi quanto vuoi e ti dirò quanto vali”. Prepararli accu­ratamente, con lo studio e con piccoli, ma frequenti atti di pietà, di virtù, alla ricezione dei Sacramenti propri dell’in­fanzia: il Battesimo quando non fosse già stato impartito, la Confessione, la Comunione e la Cresima. Invitare i geni­tori e magari anche gli insegnanti, a prendere parte attiva a queste tappe fondamentali della vita cristiana.

Insistere perché questi momenti non vengano turbati, profanati da gare esibizionistiche di vestiti, regali, pranzi… Almeno in questi momenti i fanciulli si sentano tutti egua­li, figli dell’unico Padre che li ama e colma con gli stessi doni. Seguire i fanciulli con un’adeguata catechesi post­sacramentale, perché partecipino all’Eucarestia, si accosti­no sovente ai Sacramenti, fonti della Grazia.

Comincia per loro, il passaggio dalla fanciullezza all’a­dolescenza, il periodo più difficile, quando hanno maggior bisogno dell’aiuto di Dio.

Il dovere della società – Ma accanto al dovere educativo della famiglia, della scuola, della Chiesa, vorrei anche sottolineare quello della società, particolarmente di quanti hanno autorità, quindi l’obbligo di tutelare il bene comune, i grandi valori della collettività.

Non basta costruire strade, ponti, case; è necessario difendere la libertà, attuare una maggiore giustizia socia­le. Ci sono valori morali da difendere come il patrimonio più prezioso per una società che vuole vivere e crescere.

Il benessere economico e anche quello culturale, non servono al vero progresso, se non sono accompagnati dalla tutela di questi valori fondamentali. Il progresso materia­le si trasforma in regresso, se non vengono tutelati, presentati come autentici valori da offrire alle nuove genera­zioni.

La civiltà contadina di un tempo, ormai remoto, igna­ra dell’enorme progresso raggiunto oggi in tutti i settori dalla società, aveva trasmesso integri questi valori alle nuove generazioni, cresciute sane fisicamente e moral­mente.

Giovani che accanto alla gioia di vivere, conoscevano il valore del dovere, del lavoro, del sacrificio, del rispetto verso la persona e la proprietà altrui. Il senso dell’onestà e dell’onore erano profondamente radicati nella coscienza, fino al sacrificio della vita.

Nessuno può negare i vantaggi del benessere economi­co conseguiti, ma dobbiamo domandarci: è tutto valido il progresso di cui godiamo i benefici?

I giovani sono ancora disponibili alle privazioni, ai sacrifici che la vita comporta e talvolta la società impone? Alla parola dovere oggi si sostituisce spesso la parola piacere. Il permissivismo ha abolito ogni barriera, allen­tato ogni freno. L’egoismo, profondamente radicato nella natura umana, non si è forse ingigantito, portando molti a rinnegare la propria dignità e calpestare i sacrosanti diritti degli altri?

La bramosia di possedere, di godere, non induce molti a violare senza scrupoli le leggi divine e umane? Riteniamo che i giovani oggi siano più liberi, più felici delle generazioni passate? Il numero di suicidi, di drogati, di disperati, che percorrono le nostre strade sembrano provare il contrario. Chi può misurare l’impatto funesto della libertà più sfrenata, alimentata dal cinema, dalla stampa, dalla televisione, che presentano la vita come una caccia senza riserve al godimento?

Un bombardamento continuo, per sfruttare gli appetiti peggiori della natura umana. Quale responsabilità per la società e chi la presiede, di tutelare e impedire che il male continui a dilagare!

Su certi medicinali è obbligatoria un’etichetta che denuncia il pericolo mortale di chi ne fa uso. Quando si comincerà a fare qualcosa di serio anche per i mezzi di comunicazione? Quando avremo una legislazione vera­mente efficace per il controllo degli stupefacenti, dell’al­cool, delle droghe?

Una società che non si preoccupa di tutelare la vita fisica e morale dei giovani è destinata a invecchiare e morire.

 

Lettera ai genitori –

1. Fateci sentire che ci avete desiderato e ci amate vera­mente con i nostri pregi e difetti.

2. Stateci sempre vicini, ma senza opprimere lo svilup­po della nostra personalità.

3. Aiutateci a capire che avremo sempre bisogno di voi, soprattutto del vostro amore.

4. Consigliateci nella scelta della professione, ma rispettate la vocazione a cui ci sentiamo chiamati.

5. Rispettate le nostre opinioni, anche se contrarie alle vostre, correggendo con pazienza i nostri errori.

6. Date sempre risposte vere e precise alle nostre domande anche se importune e noiose.

7. Interessatevi a quello che stiamo facendo, aiutandoci a migliorare la nostra condotta.

8. Impegnatevi ad essere in ogni momento nostri modelli ai quali ispirare i nostri comportamenti.

9. Trattateci come persone responsabili, impegnate a far valere i nostri diritti, ma anche i nostri doveri.

10. Non considerateci come eterni bambini, sempre biso­gnosi dei vostri consigli e del vostro aiuto.

11. Lasciateci piena libertà di socializzare con altre per­sone, per arricchire le nostre esperienze e maturare.

12. Non ridete e non sgridateci anche se commettiamo sbagli, dovuti alla inesperienza.

13. Vigilate sulla nostra condotta per evitare pericolose esperienze, aiutandoci a migliorare e a scegliere le vie più sicure.

14. Non costringeteci ad avere sempre bisogno dei vostri consigli e aiuti per prendere delle decisioni.

15. Permettete che facciamo le nostre esperienze positive e negative, anche se commettiamo degli errori.

16. Continuate ad aiutarci, ad avere sempre bisogno di voi, dei vostri consigli e delle vostre preghiere.

17. Dateci la gioia di ripagare i sacrifici, le sofferenze che vi abbiamo procurato, spesso senza saperlo.

18. Fateci partecipi dei vostri problemi, difficoltà, inte­ressi, per favorire la nostra maturazione.

19. Anche quando ci allontaneremo da voi, continuate ad esserci vicini con il vostro affetto e i vostri consigli.

20. Siate certi che il vostro ricordo e soprattutto i vostri esempi ci saranno di grande aiuto e ci accompagne­ranno nel cammino della vita.

I vostri figli

 

EDITRICE «I FRATELLI DIMENTICATI» Via Indipendenza, 34 – 35013 Cittadella (PD) – Tel. 049/940.11.05 c.c.p. 11.48.23.53 – Fax 049/94.00.913

 


     

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Tu ci hai dato un modello di vita
nella famiglia di Nazareth,
aiutaci, o Padre buono,
a fare della nostra famiglia
un'altra Nazareth, dove regnano
l'amore, la pace e la gioia.
Fa' che la nostra vita,
sia profondamente contemplativa,
intensamente eucaristica
e vibrante di gioia.
Aiutaci a rimanere insieme
nella gioia e nella sofferenza
attraverso la preghiera familiare.
Insegnaci a vedere Gesù
nei membri della nostra famiglia
specialmente nelle loro difficoltà.
Possa il Cuore Eucaristico di Gesù
rendere i nostri cuori miti ed umili
come il suo e possa aiutarci
a compiere i nostri doveri familiari
in modo santo.
Possiamo amarci
come Dio ama ognuno di noi,
ogni giorno sempre più,
e possiamo perdonarci le offese
come Dio perdona le nostre.
Aiutaci, o Padre buono,
a prendere ciò che ci dai
e a darti tutto ciò che ci chiedi
con grande gioia.
O Immacolato Cuore di Maria,
causa della nostra gioia,
prega per noi.
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S. Angelo Custode,
rimani sempre con noi,
guidaci e proteggici.
AMEN

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