A proposito di laicità – Fine
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La laicità in politica. Un settore in cui è particolarmente importante per i cristiani definire il senso della laicità è quello della politica. Il Concilio Vaticano II insegna: “È di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in nome proprio, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori” (GS n. 76).
La “chiara distinzione” di cui qui si parla non implica che i credenti debbano spogliarsi, in quanto cittadini, delle loro convinzioni religiose. Tutti i membri della società civile maturano le proprie prese di posizione alla luce di esperienze esistenziali pre-politiche che li condizionano e sarebbe un’assurda discriminazione voler considerare inaccettabili solo quelle di carattere religioso. L’essenziale, tanto da parte dei credenti quanto dei non credenti, è che essi, nel dibattito pubblico, s’impegnino a far valere le loro opinioni in base ad argomentazioni comprensibili e, almeno potenzialmente, condivisibili anche da altri cittadini che non abbiano alle spalle quelle esperienze.
Tanto meno avrebbe senso negare alla gerarchia ecclesiastica il diritto-dovere di pronunziarsi sulle questioni di principio che stanno a monte delle concrete scelte politiche e su queste stesse scelte, in quanto hanno a che fare con i princìpi. Ma, come insegna autorevolmente Benedetto XVI nella Deus caritas est, “la formazione di strutture giuste non è immediatamente compito della Chiesa (…) Il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è invece proprio dei fedeli laici”, i quali “sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica (…) rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità” (n. 29).
L’enunciazione dei princìpi, insomma, non può e non deve sostituire il discernimento dei credenti che, in quanto cittadini, sono chiamati a tradurre questi princìpi in formule giuridico-politiche, tenendo conto di una serie di fattori contingenti e nel rispetto della dialettica democratica con soggetti di diversa ispirazione. Che ciò comporti una “mancanza”, un “non”, rispetto alla pienezza delle soluzioni enunciate dal Magistero, è evidente.
Ma in politica le soluzioni adottate alla fine del dibattito pubblico non possono non risentire dell’apporto di ciascuno e, proprio per questo, non coincidono mai pienamente con la tesi di partenza di nessuno dei partecipanti. Di ciò è perfettamente consapevole una Chiesa che sa di “non essere” lo Stato e che non confonde ciò che i credenti sono tenuti a professare con le soluzioni concrete che essi devono accettare – “sotto la propria responsabilità” – nei diversi contesti storici.
Oggi come mai, forse, la laicità di tutti – credenti e non credenti – è messa alla prova. Non si può prevedere con quale esito. Quel che è certo è che da esso dipende, in una certa misura, il futuro della nostra società e della stessa Chiesa. Per un più ampio e approfondito sviluppo di questa tematica,
Giuseppe Savagnone
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