A proposito delle "carriere" ecclesiastiche
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Carriera e dintorni
E’ stat0 elevato alla dignità di”, “è stato promosso alla Chiesa di”. Questo si scrive, anche autorevolmente, quando si dà notizia che qualcuno è stato nominato vescovo o cardinale. E la gente dice: “ha fatto carriera”.
Elevazione, promozione, carriera: parole profane, del tutto sconosciute nelle pagine dei vangeli. “Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: “Che cosa vuoi?”. Gli rispose: “Di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno”. Rispose Gesù: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?” (Mt 20, 20-22).
La secca risposta di Gesù diretta a Giacomo e Giovanni, più che alla loro madre, indica che poco o niente avevano capito dell’insegnamento del Maestro: ciò che conta è “bere il suo calice” – metafora biblica che indica l’imminente sua passione -, condividere la sua stessa sorte e mettere la propria vita a servizio degli altri. Le ambizioni della carriera e le questioni di precedenza nel regno di Dio (“chi è il più grande nel regno dei cieli?”, avevano poc’anzi chiesto a Gesù), sconcertano. Pensavano infatti che il regno di Dio fosse equiparato a tutti i quelli della terra.
Esso è invece del tutto diverso. Sale in alto chi scende, è il primo chi si fa ultimo per mettersi a servizio degli altri. Lo dice Gesù nella medesima circostanza: “Tra voi non sarà così, – insegna Gesù nella medesima circostanza. Ma chi vuole diventare grande tra voi, si farà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (w. 26-28).
Uno dei grandi “recuperi” dottrinali del concilio Vaticano II (cf Lumen gentìum, 10) riguarda le due forme di partecipazione dei fedeli al sacerdozio di Cristo: il sacerdozio “comune” dato dal battesimo, e quello “ministeriale”, conferito dall’Ordine.
Le due tipologie differiscono non per grado (essere in prima o in seconda fila, avere più o meno potere, essere promossi o no), ma per la sostanza: perché il sacerdozio dei ministri ordinati ha la sua ragion d’essere nel servizio pastorale al resto del popolo di Dio. Senza un popolo da servire spiritualmente non ci sarebbe bisogno di alcun ministro ordinato.
È una diversità che non attenua, e tantomeno annulla, la “la vera uguaglianza nella dignità e nell’agire” (can. 208) tra tutti i battezzati. Evidenzia invece una Chiesa diversa nell’unità e unita nella diversità.
Quelle parole iniziali – promozione, elevazione, carriera ecc. -, pur così frequenti tra noi, bisogna allora dirlo: sono del tutto estranee al linguaggio evangelico, come anacronistici sono i tanti orpelli di cui non si teme – ancora oggi – di fare sfoggio perfino nelle celebrazioni liturgiche.
“Ogni soldato francese porta nella sua giberna il bastone di maresciallo di Francia”, avrebbe detto Napoleone Bonaparte. Si spera che così non sia nell’agenda di coloro che si preparano a diventare maestri e guide del popolo di Dio.
Vittorio Perì
Presidente nazionale UAC
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