9 gennaio – Memoria liturgica della Beata Eurosia Fabris – "Mamma Rosa"
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Questo mio breve intervento è una testimonianza, anche se non diretta, su una meravigliosa figura di donna cristiana il cui modello è attuale anche per i nostri giorni: la beata Eurosia Fabris in Barban (1866-1932), dai più conosciuta come «Mamma Rosa», i cui resti mortali sono ora conservati nella chiesa parrocchiale di Marola, in provincia di Vicenza.
Si tratta della mia bisnonna materna, la nonna di mia mamma Giovanna Barban, colei che mi ha dato alla luce. Sono consapevole che è assai raro poter scrivere, per quanto indegnamente, su un proprio antenato che, secondo la Chiesa, gode già della beatifica gloria di Dio mentre i parenti sono ancora in vita. Per questo narrerò qui dei dettagli inediti, che nemmeno la settima edizione della sua biografia – peraltro ormai esaurita – riporta.
Siamo a fine ’800. «Mamma Rosa» era così chiamata da Chiara Angela e Italia, due bambine rimaste orfane in tenerissima età della mamma, allorquando Eurosia decise di occuparsi di loro. La sua fu una vera vocazione a essere mamma, senza ancora avere generato. La scelta fu facilitata dal clima familiare intensamente religioso in cui visse e si formò Rosina, come era conosciuta in casa. Quella prima vocazione fu immediatamente seguita, a vent’anni, dalla seconda: il matrimonio col papà delle bambine, Carlo, un matrimonio eroico, dal quale ebbe nove figli. Tre di essi divennero sacerdoti: due del clero diocesano vicentino e uno religioso francescano, padre Bernardino Barban ofm, il suo biografo.
La terza vocazione portò Mamma Rosa ad allargare il cuore materno per accogliere nella sua casa altre creaturine bisognose di affetto e cure materne. Tra queste Mansueto Mazzucco, divenuto in seguito frate minore con il nome di fra Giorgio. La risposta alla triplice vocazione fu resa possibile, in Mamma Rosa, dal sentirsi chiamata alla santità di vita nello svolgimento dell’umile, quotidiano, talora logorante lavoro in
famiglia, in parrocchia, tra le giovani che avviava alla professione di sarta, ma alle quali più ancora insegnava i solidi principi della dottrina cristiana e i corretti comportamenti in sintonia con le indicazioni evangeliche.
La missione e il coraggio di svolgerla fedelmente le provenivano dalla sua semplice ma fervida preghiera: il presepio, l’eucaristia, il crocifisso, lo Spirito Santo, la Madonna, le anime del purgatorio erano le sue devozioni preferite. Era inoltre fedele alle pratiche religiose del culto mariano: il rosario quotidiano, i fioretti, le processioni, con una pietà santuario della Madonna di Monte Berico, punto di riferimento per la sua devozione, ben visibile, alto sul colle, da Marola.
Infine, la vocazione francescana. Entrò a far parte dell’Ordine francescano secolare frequentandone le riunioni, ma soprattutto vivendone lo spirito in povertà e letizia, nel lavoro e nella preghiera, nella delicata attenzione verso tutti e nella lode di Dio Creatore, con la fortezza eroica dimostrata nel corso della malattia che condusse alla morte suo marito Carlo nel 1930. Due anni dopo morì anche lei, a Marola: era l’8 gennaio 1932. La sua fama di santità ha raggiunto il culmine con la beatificazione nella Cattedrale di Vicenza domenica 6 novembre 2005, trattandosi della prima celebrazione di questo genere voluta da papa Benedetto XVI extra Urbem, ovvero fuori dalla città di Roma.
Due anni prima, però, successe qualcosa di strano e al contempo di nuovamente «miracoloso». Siamo nel 2003, il 7 luglio. Dopo il miracolo occorso ad Anita Casonato di Sandrigo (1924-2010), guarita all’istante da polisierosite tubercolare nel 1944 per intercessione di Mamma Rosa, il processo per la beatificazione accelera d’improvviso il passo, per espressa volontà di Giovanni Paolo II, il quale rende pubblico il decreto super miro, ossia l’avvenuto miracolo e fissa perfino la data della beatificazione: essa sarebbe dovuta avvenire in Roma nella primavera del 2005 assieme a padre Léon Dehon.
In quel concistoro di cardinali erano presenti anche mio zio Gianluigi Barban e mia cugina Maria Carla Piccolo. Sembrava – per così dire – che due beati stessero per «fiutarsi» tra loro. Insomma: tutto era oramai pronto, ma nessuno di noi si sarebbe immaginato che, proprio nel 2005, il Papa polacco sarebbe salito al cielo. Nemmeno che sarebbe stato dichiarato «subito» beato (2010). Quella morte, quindi, stava per far svanire nuovamente ogni speranza. E, tuttavia, non ogni speranza, sia perché ci ricordavamo della determinazione del Papa polacco, sia perché eravamo persuasi che, appunto, i santi «si fiutano» tra loro.
Nessuno di noi, infatti, si immaginava quanto stava per succedere. In realtà, la diocesi di Vicenza, ancora il 29 marzo del 2005, aveva incaricato un’apposita commissione per procedere all’estumulazione del corpo di Mamma Rosa. Ricordo ancora, come fosse adesso, quella fredda primavera di marzo. Blindato anch’io con la commissione in un’apposita stanza nel cimitero di Marola, osservavo commosso il volto dei fedeli e dei miei cari che guardavano ammirati da dietro un vetro.
Mi venne un nodo alla gola, perché mi trovavo spettatore di quella strana «divisione», scrutando gli occhi dei miei cari che brillavano di curiosità, ma non potevano toccare la loro «nonna». All’improvviso la dottoressa Stefania Dante, il medico legale, mi chiamò e sbottò esclamando: «Guardi, padre, il cervello di sua bisnonna si è conservato perfettamente intatto!». Come era possibile – mi chiesi – che quel delicato cervello si fosse conservato per settantatré lunghi anni sotto terra senza corrompersi, come accade, di solito, per tutti i tessuti molli, se non per insegnarci la virtù dell’onestà? Ed ecco perché è ora conservato in un reliquiario d’oro nella chiesa parrocchiale di Marola.
Venne, poi, Benedetto XVI e qualcos’altro che ha dell’incredibile. Quella stessa diocesi vicentina che all’inizio si era dimostrata così stranamente restia all’apertura del processo canonico, volle Mamma Rosa, per iniziativa dell’allora arcivescovo monsignor Cesare Nosiglia, quale emblema della santità per tutto il Triveneto al quarto Convegno ecclesiale nazionale di Verona (2006), dichiarandola addirittura «patrona dei catechisti» della diocesi berica (2009) e inviando l’infaticabile don Dario Guarato parroco a Marola (2007) con delega speciale per l’implemento della devozione.
Nel frattempo nasceva a Torri di Quartesolo, sempre nel vicentino, la «Casa Mamma Rosa» (2006) per le mamme sole o con bambini in difficoltà e aumentarono vistosamente i pellegrinaggi verso la chiesa parrocchiale di Marola, che speriamo presto vedere elevata al rango di «santuario». In quest’anno 2012, la parrocchia di Marola, in sinergia con il Festival biblico di Vicenza, ha già messo in cantiere varie iniziative: il 9 gennaio la memoria liturgica viene celebrata da monsignor Arduino Bertoldo, vescovo emerito di Foligno (PG); sabato 19 maggio verrà a Marola, poi, Ernesto Olivero, fondatore del Sermig di Torino, e la domenica successiva ci sarà una missione tenuta dalla «Comunità Cenacolo» di Saluzzo, provincia di Cuneo, fondata da suor Elvira Petrozzi.
Vorrei concludere queste mie poche righe con un ultimo dettaglio. Tra i tanti miracoli che Mamma Rosa compie in Italia e all’estero, essa è oramai famosa per concedere la gravidanza a quelle giovani spose che desiderano diventare mamme. La dottoressa Katherine Hutton Mezzacappa, di Carrara (MS), che per amore a Mamma Rosa ha voluto tradurre gratuitamente la biografia in inglese, si è recata di recente in pellegrinaggio a Marola in una mite domenica primaverile dell’anno scorso. Era troppo presto, quel primo pomeriggio, per pensare che in chiesa vi fosse qualcuno.
Eppure, con sorpresa sua e dei familiari, la dottoressa vide parecchie decine di giovani soldati statunitensi in ginocchio su quella piccola e umile tomba e – mi disse – tanti fiori bianchi. Forse quei soldati erano entrati a pregare Mamma Rosa per le loro spose
lontane. E forse non sapevano che quella «rosa» che è stata Eurosia Fabris, proprio in quella chiesa, aveva portato ogni giorno dei fiori. È, infatti, la rosa bianca il fiore della fede.
Padre Gianluigi Pasquale
Messaggero di Sant’Antonio
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