50 Anni di Vaticano II
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Alla metà del XXI secolo nessuno avrebbe ipotizzato che 50 dopo la popolazione europea non sarebbe stata più in maggioranza cristiana .
La Chiesa è il Corpo mistico di Cristo che vive nel tempo, istituita da Cristo Signore per annunciare a tutti gli uomini Dio e la sua opera salvifica, per portare all’uomo il dono della salvezza e per indicare ad ogni uomo la Via della salvezza e la sua elezione alla beatitudine eterna.
Tutto ciò fonda il grande tema della “missione della Chiesa”, “andate in tutto il mondo” (Mc 16,15) che costituisce il compito permanente della Chiesa: fondare la Chiesa lì dove vive l’uomo. Questo spinge la Chiesa alla relazione con la società, sua stabile contemporanea. In essa la Chiesa ha sempre incontrato popoli che ancora non credono in Cristo, e per questo è ‘attrezzata’, ma da un po’ di tempo succede che molti battezzati sono passati a un vero e proprio abbandono della fede.
Questo, cinquant’anni fa nessuno lo avrebbe ritenuto ipotizzabile, come di fatti è stato, ma adesso è utile e necessario tener presente questa tendenza per impostare correttamente il cammino della Chiesa verso il futuro. Infatti il Papa, per ricordare il 50° dell’apertura del Concilio, ha indetto un ”anno della fede” per aiutare la Cristianità a vivere bene la propria fede, cioè con la tensione alla santità (LG 40) e perché la Chiesa riprenda coscienza di sé.
Tale concetto è stato bene espresso all’apertura del Concilio Vaticano II, quando Pietro e tutti i Vescovi in comunione con Lui si pongono in ascolto dello Spirito Santo, di ciò che Dio ha da dire alla Sua Sposa, cercando di testimoniare – secondo gli auspici del beato Giovanni XXIII – nell’oggi della storia, le immutabili verità rivelate e leggendo i segni di Dio nei segni dei tempi, e i segni dei tempi alla luce di Dio!
Diceva Papa Giovanni nella allocuzione di apertura del Concilio, l’11 ottobre 1962: “Trasmettere pura ed integra la dottrina, senza alterazioni o travisamenti … questa dottrina certa ed immutabile che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze dei nostri tempi”.
Non è che la Chiesa ha dimenticato qualcosa, chi e cosa è, ma è necessario che, nel dibattito e nel travaglio attuale, Essa, secondo l’unico corretto modo di leggere e di interpretare ogni Concilio Ecumenico e, pertanto, anche il Concilio Vaticano II, ripensando sé stessa come realtà teologica, che affonda le proprie radici nell’atto di fede, che ci fa professare “Credo la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica”, si riscopra semplicemente “Chiesa”, sgorgata dal costato di Cristo e corroborata dall’effusione dello Spirito a Pentecoste.
La Chiesa è Una e Unica e Santa, sino alla consumazione della storia, e la comunione che in essa si realizza è per l’eternità. Non sarà mai altra cosa. Il Concilio è stato un avvenimento sia umano, sia soprannaturale, perché lo stesso Spirito Santo guida la Chiesa alla progressiva, piena comprensione dell’unica Verità rivelata, e pertanto non stupisce che la comprensione dei dettami conciliari abbia richiesto decenni di confronto e dibattiti, e ancora ce ne vorranno, sempre nel solco dell’ascolto di ciò che lo Spirito Santo ha voluto dire alla Chiesa in quella straordinaria Assemblea.
L’umile accettazione da parte della Chiesa di essere nella società (né al di fuori, né al di sopra, né al di sotto, nonostante la sua convinzione di portare al mondo la rivelazione di Dio), una semplice realtà capace di dare il suo contributo al bene comune, la mette in condizione di poter offrire a tutti quel Vangelo che fruttifica nel cuore dell’uomo nella libertà con cui egli lo accoglie.
Nessun’altra preoccupazione può superare nella Chiesa quella di poter incontrare fraternamente le persone e comunicare loro la propria gioiosa esperienza della fede e della speranza riposta in Cristo. Ciò significa per il Concilio che la Chiesa ha bisogno che ad essa resti evidente che essa non intende giovarsi di “alcuna sovranità esteriore esercitata con mezzi puramente umani” (GS 42), la sua azione non sia, e neppure appaia, determinata dalla volontà di esercitare un potere sulla società.
I predicatori del Vangelo “essendo inviati ad annunziare agli uomini il Cristo salvatore del mondo, nell’esercizio del loro apostolato si appoggiano sulla potenza di Dio, che molto spesso manifesta la forza del Vangelo nella debolezza dei testimoni. Bisogna che tutti quelli che si dedicano al ministero della parola di Dio, utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo, i quali differiscono in molti punti dai mezzi propri della città terrestre” (GS 76).
Certamente il Concilio ha voluto valorizzare talune verità evangeliche, che oggi rappresentano patrimonio condiviso dell’intera cattolicità; basti pensare alla felice sottolineatura della vocazione universale di tutti i battezzati alla santità, che richiama l’ineludibile imperativo dell’imitazione di Cristo, e ricorda che “il suo regno non si erige con la spada ma si costituisce ascoltando la verità e rendendo ad essa testimonianza, e cresce in virtù dell’amore con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli esseri umani” (DH 11).
don Giovanni Basile.
don Giovanni Basile.
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